Fanfic su artisti musicali > LM.C
Ricorda la storia  |      
Autore: Vortex    24/05/2013    0 recensioni
Eravamo liberi di essere, perché allo stesso tempo non c’eravamo.
[...]
Tu mi guardasti con i tuoi occhi fulgidi che pesavano su di me. Non ti risposi. Fuori dalla finestra, attraverso le tende sottili, spiragli di luce nascente mi ricordarono che eravamo agli albori del giorno; noi esistevamo solamente in quell’istante, quando le lingue di sole che accarezzavano le strade erano ancora troppo fredde per dare calore, ed una sottile nebbia mattutina sporcava il fulgore dell’alba.
{KiritoxAiji; Slash}
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Altri
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Disclaimer: I personaggi presenti in questo scritto non mi appartengono, al contrario del brano stesso, da considerarsi di mia esclusiva proprietà.





Madness.








Quando due cose bruciano, finiscono per consumarsi a vicenda. Era quello che mi avevi detto tu, te lo ricordi Shinya?

A volte mi manchi. Sembra che io sia una vera e propria calamita per psicopatici comunque, visto che non ho fatto in tempo a prendere le distanze da te che mi sono ritrovato con uno affetto dalla sindrome di Peter Pan.

Ti ricordi quanto mi dava fastidio vederti fare scena in quel modo, all’inizio? Non riuscivo a sopportare che qualcuno potesse essere additato come quello strano oltre a me. Sai, tutti mi hanno sempre detto di essere anormale, perciò non venir più notato per questo motivo mi innervosiva. D’altro canto io ero l’unico che tu non riuscivi a sconvolgere con quei tuoi atteggiamenti da psicopatico bipolare. Non riuscivi a comprendere quel mio modo di fare sempre scherzoso, di chi non si prende sul serio, vero?
Forse quello più matto tra noi ero proprio io, che ti lasciai avvicinare troppo.

Mi faceva tenerezza quello sguardo sperduto che assumevi davanti alle telecamere, hai sempre avuto problemi a relazionarti con gli sconosciuti, il te di quei momenti era troppo diverso da Kirito: l’uomo che diventavi davanti ad un microfono. Ti bastava cantare per immergerti nell’identità di vocalist. E poi c’erano quegli sprazzi di follia durante i quali non facevi che delirare, assumere atteggiamenti a dir poco terrificanti; ti arrabbiavi perché io non mi spaventavo.
Ti ricordi quella volta che te ne andasti per i corridoi e le camere dentro cui ci stavamo preparando per un nuovo live sopra ad una bicicletta dalla dubbia provenienza con un coltello in mano? Nel vederti Jun-san aveva riconosciuto quella luce folle ad animarti gli occhi ed era scappato nella sala accanto per avvertire tuo fratello. Tu venisti verso di me, la parrucchiera che mi stava sistemando i capelli si appiattì contro il muro terrorizzata, io rimasi tranquillamente seduto e ti fissai attraverso il riflesso dello specchio. Non contento mimasti di tagliarmi il collo ed i capelli prima di permettere alla povera donna di cacciarti fuori. Jun-san ti strappò dalle mani l’arma che avevi, gridando: << E’ pericoloso! Non è un giocattolo! >>, solo dopo che ti vide mentre ti accarezzavi un polso con la lama. Quando spensero le telecamere tu riuscisti a riprenderti il coltello e mi chiedesti perché ero rimasto così tranquillo.

<< Non mi avresti fatto niente. >> ti risposi incurante.

<< Ed ora? >> ti avvicinasti, puntandomi il coltello alla gola, percepivo la lama fredda sfiorarmi la pelle. In tutta risposta scoppiai a ridere, senza muovermi di un passo.

<< Pensi che non ne sarei capace? >> senza risponderti, mi limitai a fissarti, un pallido sorriso di sfida mi incurvava le labbra. Tu, anziché affondare l’arma, ti avvicinasti, i nostri respiri potevano mescolarsi. Tutto in quel momento mi parve sfocato, anche ora quando cerco di riportarlo alla mente ho un vuoto, ma il tuo viso me lo ricordo chiaramente. Il tuo viso non lo dimenticherò mai.

<< Che state facendo voi due? Shi-nii metti via quell’aggeggio, ma Jun-san non te l’aveva tolto? >>

Kohta ci separò, trascinandoti dove sarebbe stato più facile controllarti. Nel guardarti darmi la schiena ebbi un brivido che mi percorse l’intera spina dorsale, ma non era dovuto alla situazione da cui ero appena uscito. Mi piaceva quel lato di te.
 

La band era quanto di più simile al concetto di casa conoscessimo. Tutti noi. Un mondo dove potevamo sentirci quanto meno compresi. Il posto in cui mi trovo adesso, anche se è solo una persona a costituire la mia nuova famiglia, va bene lo stesso, penso che sia addirittura meglio perché Maya può accettarmi, ancor prima di capirmi. È qualcosa di totalmente estraneo a tutto ciò che rappresenti tu.

Quando stavamo ancora insieme, l’incoscienza dovuta ad una giovinezza inconsapevole ed inesperta ci faceva pensare che sarebbe durata per sempre, come se le cose non potessero mutare sotto lo sguardo crudele del tempo. Il successo dei Pierrot ci aveva portati in alto, tanto che tutto ciò che ci circondava risultava fumoso, ed anche tu per me eri terribilmente offuscato; nemmeno mi ero reso conto del fatto che fossi una bomba ad orologeria, prima o poi saresti esploso; abbracciandoti mi illudevo di poter rimandare il più possibile il momento in cui il countdown sarebbe terminato, nel baciarti e toccarti percepivo un eccitazione in grado di mandarmi fuori di testa ed impedirmi di vedere quanto pericoloso fossi. Non c’era paura nei miei gesti perché ero sempre stato un maledetto incosciente. Ma per quanto si possa pregare affinché qualcosa non accada, era invitabile. Ti frantumasti assieme a me, alla nostra band, ciò che ne era rimasto. Bruciasti con un’intensità in grado di distruggere quello che ti circondava, così come feci io in risposta alla tua fiamma, consumando ogni cosa. Ora è tutto finito, restano le cicatrici.

Scottano ancora, a volte.
 

Spesso ti divertivi a trattarmi come un cagnolino ubbidiente. Il controllo ti eccitava almeno quanto la tua eccentricità faceva con me. Comportandoti da padrone pretendevi la mia obbedienza, in cambio accettavi di giocare assieme; ricordo ancora il modo in cui la tua lingua mi scorreva sulla pelle accaldata, come mordicchiavi il mio capezzolo sinistro, era una scusa per ascoltare il mio cuore urlare cose che non volevo tradurre mediante la voce.

Una volta finito un tour ci sentivamo pervadere dalla sensazione di essere ritornati alla realtà, per esorcizzare quella percezione passavamo giorni –di solito una settimana- rinchiusi in casa mia. Nemmeno avevamo bisogno di alcol o droga per comportarci come se li avessimo assunti, bastava togliere i freni inibitori imposti dall’educazione del vivere in società. Eravamo liberi di essere, perché allo stesso tempo non c’eravamo. E non esisteva nulla al di fuori della mia camera, nessuna musica, nessun testo, nessuna telecamera, nessun flash delle macchinette fotografiche, nessun truccatore, nessuno stilista. Non c’erano nemmeno i Pierrot, Kirito o Aiji, solo un modo di rapportarsi che non avremmo saputo definire e Shinya, e Shinji.

<< E’ buffo. Ci hai mai pensato che abbiamo le stesse iniziali? Shinji Mizui e Shinya Murata. >> dissi una volta, prima di scoppiare a ridere. Tu ridevi con me.

<< Allora eravamo destinati ad incontrarci. >> commentasti.

<< Credi nel destino? >>

<< A volte. È un buon capro espiatorio. >> chi altri avrebbe risposto in quel modo? Eri di una sincerità sconvolgente, brutale quasi. Ragionavi secondo processi logici che non erano di questo mondo, a guardarti mi sembravi così effimero. Eri semplice, ma per capirti si doveva entrare nella tua visione distorta delle cose.

Tu mi guardasti con i tuoi occhi fulgidi che pesavano su di me. Non ti risposi. Fuori dalla finestra, attraverso le tende sottili, spiragli di luce nascente mi ricordarono che eravamo agli albori del giorno; noi esistevamo solamente in quell’istante, quando le lingue di sole che accarezzavano le strade erano ancora troppo fredde per dare calore, ed una sottile nebbia mattutina sporcava il fulgore dell’alba.
Le nostre conversazioni erano praticamente tutte così. Impossibili da dimenticare ma difficili da ricordare. La tua stessa figura mi appariva in questo modo dannatamente contraddittorio.

Quanti anni sono passati da quando ti dissi che non volevo più vederti? Il tuo volto imbronciato non si deformò neanche quella volta, o se lo fece attese di essere abbastanza lontano perché non vedessi. Il tempo si è distorto dopo che sei uscito dalla mia vita, la convinzione che non scorresse più si alternava in modo inquietante a quella che andasse fin troppo veloce; compensazione, dicono, me ne sono convinto anche io.

Le ultime parole che mi dedicasti presero forma sotto la musica che strimpellavo con la mia chitarra, intanto la frattura tra di noi si era definitivamente aperta senza possibilità di chiudersi, non importava quanto avresti urlato, semplicemente perché non era rimasto più nulla, avevi fatto di me terra brulla. Ti insinuasti sotto la mia pelle come una miriade di aghi, cambiando la direzione in cui scorreva il mio sangue così che dentro al corpo non ne rimase una goccia.

Penso ancora di amarti, a volte. La tua mancanza è dentro di me da talmente tanto di quel tempo che pian piano ho imparato a conviverci, è un po’ come volerti dimenticare nonostante inconsciamente continui a ricordarti.
Vedendoti sullo schermo lucido di un computer, ascoltando la tua voce registrata mediante un paio di auricolari, ecco che la tua nuova immagine si sovrappone a quella che mi rimase di te; i tuoi mutamenti sono troppi e posso avvertire il peso angosciante di ognuno di essi.
Ricordo ancora la rabbia che provai quando mi accorsi di come le mie convinzioni fossero effimere. Pensavo di sapere tutto, con quell’arroganza infantile ormai smussata dal tempo; adesso penso che l’accumularsi degli anni abbia esercitato una forza tale da sbriciolarla quel tanto che basta a farmi aprire gli occhi sulla verità delle cose. Non lo ammetterò mai, probabilmente, ma mi concedevo di prendere atto esclusivamente di ciò che andava secondo il mio volere. Adesso so in cosa consisteva quella stranezza dalla quale eri così attratto. Prima, pretendevo da te che potessi fornirmi una ragione per la quale amarmi senza che questa assumesse la forma di risposta. Perché tu mi amavi, Shinya, vero?

Continuo a chiedermelo.

Ci dicemmo addio quando la personalità violenta che albergava in te prese il sopravvento. Distruggesti i mobili della tua stessa casa, nel tentativo di sfogare la rabbia esplosa dentro il tuo fragile corpo. Nemmeno ascoltavi la mia voce, avevi i timpani rotti dal rombo del tuo cuore deflagrato, ed il sangue si era mischiato all’adrenalina, strascichi di follia resi incandescenti dal ribollire del liquido nelle tue vene.

Avevo progettato di gridarti contro: << Non ti amo, del resto come potrei mai amarti!? >>, volevo dirti addio in quel modo crudele. Invece vederti in quello stato mi impedì di riuscirci. Il ricordo di quando, dopo un live, ti arrabbiasti ed, in preda ad uno scatto di violenza, spaccasti un paravento scaraventandolo contro il pavimento e prendendolo a calci mi riempì la mente. Chiunque avrebbe avuto paura di te, io semplicemente cercavo di trattenere le lacrime perché mi trovavo di nuovo di fronte all’uomo che, una volta ottenuto l’accesso al mio cuore, lo aveva mangiato, dilaniandolo pezzo per pezzo, facendolo a brandelli pulsanti e ridendo di come lo imploravo di non fermarsi perché avevo un istinto talmente masochistico da riuscire a farmi trarre piacere da ciò.

<< Non voglio più vederti. >> ti dissi invece. E mai, nemmeno per un istante, ho pensato di tener fede alla mia parola.

Come fossi il tuo fedele cagnolino mi tenevi legato da un guinzaglio invisibile, ancora oggi riesci a farlo. Sebbene tu sia uscito dalla mia vita tempo addietro, ancora continuo a desiderare la mia libertà. Ed il pensiero a cui mi sono aggrappato per tutto questo tempo, la consapevolezza sulla quale ho costruito la mia nuova vita lontano da te è che anche tu sei indissolubilmente legato a me mediante una catena fatta di autodistruzione.

Perciò quando vengo a sapere da tuo fratello di un altro dei tuoi innumerevoli tentativi di autolesionismo nonché di suicidio, mi viene quasi da sorridere. Per quanto possiamo far finta, non cambieremo mai tu ed io, eh?
Eravamo talmente vicini, ci stringevamo con una determinazione tale che adesso ho freddo nel ritrovarmi accanto agli altri.

Quando due cose bruciano, finiscono per consumarsi a vicenda. Era quello che mi avevi detto tu, te lo ricordi Shinya?
 
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > LM.C / Vai alla pagina dell'autore: Vortex