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Autore: Bale    25/05/2013    1 recensioni
" Matteo si era finalmente sentito libero, vivo. Nessuno badava a lui e questo lo rendeva felice. Era normale, un normalissimo ometto banale, finalmente lo avevano capito tutti, compreso lui stesso. "
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sull'orlo del precipizio






Matteo stringeva forte forte gli occhi, come un bambino che cerca di scacciare via un mostro.

Era stato picchiato a sangue da alcuni teppisti del quartiere perché lo avevano visto baciare il suo ragazzo in discoteca.

A dire il vero quello non era proprio il suo ragazzo. Si erano conosciuti il giorno prima in un locale.

Matteo era andato lì con la sua migliore amica per l’aperitivo.

Si erano scontrati in bagno ed era subito scattato qualcosa in lui. Si erano piaciuti, c’era stato un colpo di fulmine.

Avevano trascorso insieme il resto della serata e, alla fine, si erano scambiati i numeri di telefono.

Il giorno dopo, nel pomeriggio, Matteo aveva ricevuto una telefonata. Era lui, Paolo. Voleva invitarlo ad uscire.

Matteo, era stato un po’ restio all’inizio, ma alla fine aveva ceduto.

Non gli capitava spesso di incontrare dei bellissimi ragazzi omosessuali come Paolo, soprattutto perché era dura per lui accettare la propria omosessualità. Cercava di non mostrarla troppo. In giro c’erano un sacco di maniaci omofobi pronti a fargli la festa.

Quando usciva cercava di comportarsi normalmente e, andandosene in giro per locali con la sua migliore amica, una donna, sperava di apparire come un perfetto eterosessuale ad un appuntamento.

Nei locali, però, si guardava continuamente intorno, in cerca di qualcosa o di qualcuno. Non c’era amore nella sua vita e lui ne aveva un gran bisogno. Aveva Anna, certo, ma lei era un’amica che non poteva comprendere a pieno le sue pene e le sue paure, per quanto si sforzasse di farlo.

Una volta, al cinema, lo aveva difeso. Erano andati a vedere “I Segreti di Brokeback Mountain” e, all’improvviso, nel bel mezzo del film, un omone grasso, sudato e ubriaco si era alzato ed aveva cominciato a dirne di tutti i colori scuotendo il pugno verso lo schermo.

Matteo ci aveva pensato su un bel po’, poi si era alzato in piedi anche lui e aveva cominciato ad urlare nella sua direzione per difendere quel film, per difendere ciò che narrava, per difendere ciò che lui era.

L’omone era andato dritto verso di lui e, se Anna non fosse intervenuta tempestivamente, probabilmente Matteo sarebbe finito in ospedale con tutte le ossa rotte.

Quando erano usciti indenni da quel cinema, però, Matteo sapeva bene che era solo questione di tempo.

Prima o poi qualcuno gliel’avrebbe fatta pagare per essere quello che era. Non poteva più nascondersi e soprattutto non voleva. Non aveva più senso. A lui piacevano gli uomini. Era gay, omosessuale, finocchio. Non gli importava come lo definivano. Era lui, era semplicemente se stesso e non poteva esserci nulla di male in quello.

Si era nascosto per troppo tempo dietro un muro di ipocrisie. Aveva dovuto rinunciare a fare incontri, aveva dovuto rinunciare all’amore.

Da ragazzino aveva avuto il suo primo rapporto sessuale in uno squallido e sudicio bagno di un locale pubblico. Si era nascosto lì perché non sarebbe potuto andare altrove. Forse solo le fogne lo avrebbero accolto con maggiore piacere.

Si era vergognato per troppo tempo. Non si era mai sentito accettato da nessuno, neanche da sua madre.

Soltanto Anna aveva cercato di comprendere in qualche modo il suo dolore, i suoi timori. Spesso c’era riuscita, ma non sempre era stata in grado di fare qualcosa per lui.

Lei non aveva problemi. Era bella, in gamba, una ragazza piena di risorse.

Matteo, una sera, nel buio della sua camera, si era ritrovato a pensare e lei come alla sua sposa.

Anna sapeva della sua omosessualità e avrebbe potuto sposarlo per regalargli la parvenza di una vita normale. Sarebbe stato un matrimonio di copertura, un sipario dietro il quale nascondere i suoi veri istinti che la gente riteneva sbagliati e disgustosi.

Non aveva mai parlato ad Anna di quel suo pensiero, anche perché, quella stessa sera, nello stessa oscurità, si era masturbato pensando al suo maestro di sci.

Lui era omosessuale. Non poteva rimediare a questo. Non c’era cura, perché in fondo la sua non era neanche una malattia.

Il suo cuore si era spezzato in due quando sua madre lo aveva mandato via di casa e, un pezzo, era rimasto proprio lì con lei, nonostante tutto. Gli aveva detto che era grande, che doveva farsi una vita sua e che non poteva continuare a nascondersi dietro la gonnella di sua madre. Matteo, però, era stato perfettamente in grado di leggere tra le righe. Sua madre lo aveva mandato via per quello che era. Lui era un figlio sbagliato, con un problema troppo ingombrante, troppo pesante per le spalle magre e scarne di una donna ormai sulla soglia del declino.

Sette anni dopo sua madre era morta e gli aveva lasciato tutti i suoi beni, accompagnati da una lettera nella quale implorava il suo perdono. Matteo l’aveva perdonata. Era sua madre, non avrebbe potuto fare altro.

Aveva continuato, poi, la sua vita che già da troppo tempo era priva della sua presenza.

Aveva continuato a far finta di niente finché c’era riuscito, ma poi, quando aveva incontrato Paolo, aveva sentito un interruttore accendersi nel profondo del suo petto. Tutto si era illuminato e Matteo aveva capito che non poteva né voleva più vivere nell’ombra.

Era la sua vita, doveva viverla. Doveva gestirla da solo, come credeva. Doveva guidarla nei sentieri che voleva esplorare. Doveva respirare a pieni polmoni, ringraziando il Cielo per quello che era. Non c’era più nulla di cui vergognarsi. Gli era bastato affondare i suoi occhi in quelli di Paolo per capirlo.

Aveva accettato, quindi, il suo invito ad uscire e si era ritrovato in una discoteca.

Aveva ballato con lui e alla fine, spinti dai super alcolici che avevano annullato ogni loro inibizione e abbassato le loro difese, si erano baciati. Lo avevano fatto per ore e ore, in mezzo a tutta quella gente che era troppo impegnata a ballare per farci caso.

Matteo si era finalmente sentito libero, vivo. Nessuno badava a lui e questo lo rendeva felice. Era normale, un normalissimo ometto banale, finalmente lo avevano capito tutti, compreso lui stesso.

All’improvviso, però, si erano sentiti afferrare per le spalle ed erano stati trascinati fuori, in un vicolo buio e sudicio, da un paio di ragazzotti muscolosi.

Avevano cominciato a prenderli a calci e a pugni, insultandoli e sputando loro addosso.

Matteo aveva alzato lo sguardo sul suo assalitore. Era giovane, non poteva avere più di vent’anni. Si era chiesto il motivo di tanto odio in una persona così giovane e ancora poco matura.

Aveva poi portato lo sguardo verso Paolo, a terra poco lontano da lui. Aveva sgranato gli occhi. Paolo perdeva sangue dal torace: era stato accoltellato.

Gli sarebbe toccato lo stesso destino. Sarebbe morto per mano di un ragazzo troppo spaventato per accettare il mondo così com’è. Anche lui ci aveva messo un po’ per farlo, ma non aveva mai pensato di fare del male a qualcuno. Ciascuno di noi fatica a trovare la sua strada e non è importante soltanto ciò che ci aspetta alla fine del cammino, ma anche il modo in cui lo percorriamo.

Matteo perse i sensi subito dopo, perfettamente consapevole della fine che lo attendeva. Non si sarebbe più risvegliato, ma non era affatto pentito di aver baciato Paolo. Era felice di morire dopo aver vissuto almeno un po’ la sua vera vita, senza nascondersi e senza cercare scuse.

Chiuse gli occhi.

Qualcuno lo stava tirando su dalle spalle e lo chiamava insistentemente per indurlo a svegliarsi.

Qualche anima buona aveva chiamato l’ambulanza.

Era salvo, almeno lui era salvo.




 

   
 
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