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Autore: LarryShipperEverywhere    26/05/2013    2 recensioni
Tratto dalla storia:
La piscina si trovava al limitare del bosco, perciò appena raggiunsi il primo albero mi ci appoggiai contro con un braccio.
-Finalmente soli-la voce proveniva da dietro di me e avevano un tono duro e al contempo suadente.
Mi girai di scatto, per quanto il corpo me lo permettesse, e vidi il festeggiato, il ragazzo del bosco, quello di cui non mi sarei mai fidata.
Lo vidi, ma solo per un secondo, perché poi qualcuno si parò davanti a me, e io svenni, accasciata a terra.
Quello che sentii dopo furono solo alcune grida, molti colpi, e l’odore insostenibile del sangue.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Liam Payne, Niall Horan, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Come al solito ero l’ultima arrivata. Lo ero sempre stata.
L’unica cosa che mi dava conforto era l’odore della scuola. In qualunque scuola fossi andata, quello era rimasto lo stesso. E ne avevo girate tante di scuole. Se avessi dovuto fare una lista di tutte le scuole in cui ero stata, penso che non sarebbe bastato nemmeno un intero rotolo di carta igienica, neanche quelli che tanto si vedono nelle pubblicità e che sembrano non finire mai. 
Ero assorta nei miei pensieri, quando sentii una voce squillante chiamarmi insistentemente. Mi risvegliai dai miei pensieri e sollevai lo sguardo dalla rivista che stavo facendo finta di leggere; era una di quelle sulla situazione economica inglese. I problemi della nazione mi confortavano; mi facevano sapere che non ero l’unica ad averli. La voce trillante che prima mi aveva chiamato apparteneva a una signora con capelli ricci e crespi, lasciati cadere su una camicia grigia abbinata a una gonna nera e delle scarpe con un leggero tacco di un paio di centimetri. Qualcosa mi diceva che la moda non era il suo forte. Per tutto quel tempo la signora aveva continuato ininterrottamente a parlare, decisi allora di interromperla in quanto non avevo ascoltato una parola di quello che aveva detto. 
-Scusi, mi potrebbe ripetere il suo nome?- Chiesi.
-Come ti ho detto, io sono la signorina Welles, la segretaria della preside e sono qui per spiegarti meglio come funzionano le dinamiche della nostra scuola..-
Cosa c’era poi da spiegare, mi chiedevo, in fondo era una scuola mica un nuovissimo centro finanziario. Parlava come se io fossi una ritardata e mi fosse tutto così difficile da capire quando ,in realtà ,probabilmente conoscevo il sistema della scuola meglio di lei. Una volta che hai girato tutte le scuole del paese inizi a farti una certa esperienza nel settore.
Mi illustrò quindi tutto il ,a suo parere, complicatissimo sistema scolastico. Feci finta di ascoltare, annuendo ogni tanto. Mi diede poi la cartina della scuola e l’orario delle lezioni del giorno dopo. Ci buttai subito un occhio: prima ora fisica con il professor Leichester. Bene già odiavo fisica, in più il nome del professore non mi dava le rassicurazioni sperate; mi immaginavo già un uomo sulla cinquantina, stempiato e con un forzato accento scozzese.
Salutai quindi la signorina Welles e mi avviai all’uscita di scuola. All’interno, la scuola era una di quelle tipiche scuole americane: un edificio abbastanza grande, a due piani, con grandi corridoi centrali e con armadietti personali ai lati, fatti apposta per depositare i libri. Tutto era così diverso per me, le scuole che avevo frequentato fino ad allora, erano basate sul tipico modello inglese: corridoi stretti e senza armadietti, aule piccole e edifici divisi in vari blocchi, a seconda dell’anno di frequentazione.
Uscii dalla scuola e mi sedetti sui gradini aspettando l’arrivo di mio padre, che probabilmente sarebbe arrivato al volante della rang rover dello zio. Il colloquio era finito relativamente presto ed ebbi quindi tempo di divagare nei miei pensieri, cosa che solitamente mi piaceva, ma non in quel momento. Non volevo pensare al grande cambiamento che stavo affrontando. Il vero problema non era la nuova scuola, a quella ci avrei fatto l’abitudine come per tutte le altre, ma il fatto che di lì a pochi giorni mio padre mi avrebbe lasciato definitivamente da sola e ,non solo in una città nuova, ma addirittura in una nazione nuova. Non era di certo la prima volta che ero stata in America, ma era la prima volta che ci venivo a vivere. Per una ragazza come me abituata alle pioggerelle leggere e al sole tiepido dell’Inghilterra, passare al caldo afoso dell’estate e alle forti piogge e alla neve dell’inverno, era stato un duro colpo. Ma la cosa peggiore era stata che, invece che andare in una delle grandi città sulla costa come San Francisco e New York, ero capitata in una cittadina sconosciuta ,circondata da foreste, di nome Lexington, nello stato dell’Oregon .
Arrivò quindi la rang rover verde. Aprii la portiera e ci salii. Mio padre iniziò subito a tempestarmi di domande
– Come è andato il colloquio? Ti piace la tua nuova scuola? Sono sicuro che ti troverai bene Rielle-. Anche se mi chiamavo Ariel, mi piaceva quando mi chiamava in quel modo. Era un soprannome che mi aveva dato mia mamma quando era piccola, e dopo che era morta, il papà non l’aveva più usato. Ma in quell’ ultimo periodo aveva cominciato a usarlo sempre più spesso. Penso che il motivo fosse perché finalmente dopo molto tempo era felice: aveva trovato un bellissimo lavoro a San Francisco che gli avrebbe permesso finalmente di guadagnare tre volte quello che avesse mai guadagnato con il vecchio lavoro. All’inizio l’idea che sarebbe andato a San Francisco non mi era piaciuta per niente, finché un giorno non trovai internet aperto su una pagina che riguardava i costi dei college. Capii allora che stava facendo tutto questo per me, per potermi pagare il college. Come avrei potuto essere arrabbiata con lui, quando aveva sempre pensato al mio bene e alla mia felicità?
-E’ andata molto bene, la scuola mi piace molto. L’unico problema domani sarà come arrivare a scuola, dato qui a Lexington non esistono autobus- gli risposi.
-Non credo che per quello ci sia problema. Tuo cugino ha una volvo, ricordi? Penso che se glielo chiedi, sarà felice di darti un passaggio.-
Mio cugino. Il cugino che non avevo visto da quando avevamo sei anni e giocavamo insieme con i giocattoli dei cartoni. A quel tempo era un po’ cicciotto, ma a me piaceva in quel modo. Era semplice e ingenuo e io me lo ricordavo così. Finché dopo undici anni non lo rincontrai. Eravamo arrivati all’aereporto di Paxton, e mio padre mi disse che c’erano due persone ad aspettarci. Avevo già intuito che potessero essere loro, d’altronde erano i nostri unici parenti in Oregon. Stavamo uscendo dall’entrata centrale, quando un uomo di mezza età ci corse incontro e andò ad abbracciare mio padre e capii immediatamente che si trattava dello zio: quei due si assomigliavano così tanto, tutti e due con un po’ di pancia, la carnagione chiara, le guance arrossate, e un espressione sempre sorridente sul volto. Lo zio si girò verso di me e mi spettinò i capelli..
– Come sta la mia piccola Ariel?- disse. Sorrisi di ricambio, e sentii che chiamò qualcuno
- Liam, vieni ad aiutarci-. In quel momento mi ricordai il suo nome: Liam, Liam Payne.



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