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Autore: _eleonora    27/05/2013    2 recensioni
Lo so che è una OS, ma vi avverto che è davvero molto lunga. Ho provato a toglierne dei pezzi, ma già questa è il riassunto rispetto alla storia originale.
***
Eravamo due normali ragazzi, fra di noi non c’erano scommesse, c’era solo un patto: ci saremmo dovuti aiutare a vicenda. Avrei dovuto portare un po’ di pace nel suo modo e lui un po’ di movimento nel mio.
Ma ora nel suo modo c’è troppa pace, e nel mio c’è troppo movimento.
Ma sembrava tutto perfetto mentre me ne stavo nell’occhio dell’uragano, dove la pace regnava e riuscivo a vedere solo i suoi occhi, ma quando l’uragano passa si riesce a vedere la catastrofe che ha lasciato. Non ho più la mia media di bei voti, non ho più quella pace e quella quotidianità che avevo prima. Lui mi ha sconvolta, e come se niente fosse se ne è andato lasciandomi il vuoto.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vi avverto che è abbastanza lunga (6.760 parole) ma spero che abbiate la voglia e il tempo di arrivare in fondo. 


Hurricane.

Infilo le mani nelle tasche dei jeans e abbasso la testa finché salgo i tre scalini dell’entrata anteriore dell’autobus che, purtroppo, mi porterà a scuola, uno dei luoghi che odio di più fra tutti quelli che frequento. Scruto i sedili cercandone uno vuoto, appena ne trovo uno mi ci precipito prima che qualcuno possa fregarmelo. Al mio fianco una ragazza tiene la musica decisamente troppo alta, a giudicare dal rumore che proviene dalle sue cuffiette deve essere metal, ma non ne sono sicura, potrebbe essere anche sua madre che urla. Dall’altra parte del corridoio un ragazzo ripassa freneticamente geografia, o storia, non sono certa di quale materia sia. Afferro l’Ipod dalla tasca della cartella e faccio partire in riproduzione casuale la musica. Ho all’incirca venticinque minuti prima di arrivare in quella maledettissima piazza piena di ragazzi che faranno finta di essere in pena per me, ma è tutta colpa loro, e questo lo sanno, esattamente come lo so io, e proprio come tutti lo sanno. Ma loro mi guarderanno lo stesso da lontano, pensando comunque che venendo a parlarmi peggiorerebbero la situazione ad entrambi. Quindi, a quel punto, tutto ciò che avrei potuto fare sarebbe stato quello di continuare a piedi fino alla scuola e rifugiarmi nella mia aula per non uscirne più e non guardare in faccia nessuno. Ma forse devo spiegarvi perché la situazione è questa, no? Forse devo raccontarvi tutto da capo, anche se questo farà male, dopotutto ogni storia, bella o brutta che sia, merita di essere raccontata. Ma vi avverto, la mia è una storia diversa da quella che vi aspettate, ma non incolpate me di questo, incolpate loro.

***
Nove mesi prima.

Scendo dall’autobus sistemando il colletto della camicia accuratamente chiusa. Il color turchese mi dona, mamma lo ripete sempre, dice che si intona ai miei capelli biondi e ai miei occhi azzurri, per questo il maglione del primo giorno di scuola è sempre di questo colore. Un piede dopo l’altro mi dirigo verso la scuola, passo la piazza che brulica di dementi e continuo a camminare concedendomi una smorfia di disgusto alla vista di tutto quel fumo di prima mattina. Non ho idea di come ci si senta ad essere dipendenti da qualcosa, ma sono certa che se fossi in loro cercherei in tutti i modi di smetterla. Passo il cancello e mi dirigo alla segreteria, da lì si vede tutto il corridoio. Osservo i nuovi studenti e ridacchio all’idea che un giorno insegnerò a loro. Sono certa che sarà così, farò fiorire le nuove generazioni cecando di essere più brava dei professori che purtroppo non stanno facendo un buon lavoro con la mia. Afferro la cartellina e mi dirigo verso il gruppetto di matricole che sta fermo nel prato e mi stampo un bel sorriso sul volto.
«Buongiorno!» dico sorridendo «Sono Jane, e sono certa che adorerete questa scuola come la adoro io, dovete solo ambientarvi, e tutto filerà liscio»
Alcuni mi guardano straniti, come se venissi da un altro mondo. Ma è normale, qui non sono in molte le persone che amano la scuola come la amo io, ma sono certa che se farò un buon lavoro riuscirò a fargli cambiare idea. Alcuni li inquadro fin da subito, futuri sportivi: quelli li riconosci anche stando lontana dei chilometri.
«Vi lascio una cartina della scuola, e nel caso che abbiate bisogno sappiate che sono a vostra disposizione» ammicco e lascio una cartina ad ognuno.
Rispondo a qualche domanda e commento qualche professore, dò qualche dritta e poi rientro a scuola per dirigermi al mio armadietto. 210. Sarebbe anche un bell’armadietto, se non fosse per il fatto che il numero ventuno contraddistingue gli armadietti nel corridoio della palestra. Armadietti che, per la vicinanza, vengono assegnati agli sportivi, e con sportivi includo anche qualunque ragazza sia convinta che sgambettare con una minigonna rossastra e un top troppo corto abbinato sia uno sport. Purtroppo gli ultimi quattro armadietti del corridoio rimangono sempre vuoti visto che non ci son abbastanza atleti per occuparli tutti, ecco che quindi è toccato a me occuparne uno.
«Harris» dice una voce alle mie spalle, neanche due secondi che parte l’eco, almeno sette ragazzi ripetono il mio cognome con un tono che dovrebbe salutarmi e anche sfottermi allo stesso tempo. 
«Ragazzi» dico con un cenno di testa e una smorfia schifata sul volto.
Al solo passaggio già si sente l’odore del fumo che ti fa venir voglia di vomitare. Per fortuna l’odore è alleviato da una lieve traccia di dopobarba alla menta, tipico di John, e da un po’ del profumo di Stefan. Torno al mio armadietto e prendo un quaderno, giusto per prendere appunti nel caso qualche professore voglia iniziare fin dal primo giorno con le sue lezioni.
«Come sono andate le vacanze?» domando alla ragazza che occupa l’armadietto di fianco al mio.
Lei fa finta di niente, mi lascia uno sguardo cupo e se ne va a piccoli passi tenendo la testa bassa. I capelli neri le coprono il volto con una lunga frangia, e i vestiti neri e viola la fanno sembrare una depressa cronica, cosa che in effetti è. Faccio una smorfia di delusione: in quattro anni ancora non sono riuscita a farla sorridere, mi sento così inutile.
«Molto bene, grazie» dice una voce alle mie spalle «qualche festa, qualche ragazza, un paio di guai e un bel po’ di nuotatine in piscina.» aggiunge con un sorriso strafottente sul volto.
«Che estate emozionante, Harry. Se non sbaglio anche le ultime diciotto sono state così» rispondo col suo stesso tono.
«Non scherzare» dice imbronciandosi «fino a cinque anni me ne stavo a guardare i cartoni, è dai sei che ho iniziato con le festicciole a base di orsetti gommosi e biscotti»
«Mi ero dimenticata del tuo umorismo» dico sospirando.
Chiudo l’armadietto e mi avvio nel corridoio cercando di scoprire se qualcuna delle matricole di prima si è già ambientata.
La giornata passa veloce, come sempre d’altronde, qui il tempo vola. Così passano anche delle settimane e dei mesi, e prima che me ne renda conto è già la fine di novembre e io mi dedico alla pianificazione dei regali di Natale.
Piego la lista in quattro ed esco di casa per andarmene al centro commerciale. Una volta arrivata mi distribuisco fra i vari negozi cercando di fare tutto. Gioielleria per mamma, profumeria per papà, negozietti vari per tutti gli altri parenti, e una visita veloce alla cartoleria per tutti i bigliettini d’auguri. Questo è un periodo dell’anno particolarmente stressante. Quando torno a casa nascondo tutto nell’armadio e, dopo una veloce doccia, mi addormento sotto le coperte con un libro fra le mani.

***

«Maledizione!» impreco tirando un calcio alla macchinetta.
Vista l’ora non ho più tempo per infilarmi in mensa e prendere del cibo, e l’unica opzione che ho è il cibo di questa stupida trappola mangiasoldi. Tutto questo solo perché le ripetizioni quelle matricole se le fanno dare all’ora di pranzo, e non posso rifiutare, no, perché con tutti i regali di Natale io sono rimasta a secco e ho bisogno di soldi.
«Ferma, che se la rompi poi io non posso più mangiare» ridacchia qualcuno alle mie spalle.
Non proprio qualcuno a caso, diciamo un ragazzo che conosco fin troppo bene. Con qualche abile mossa fece scendere la merendina, e dopo avermela data infila le sue monetine per prendere anche lui qualcosa. Lo ringrazio e mi avvio verso la mia classe.
«Aspetta!» urla con una mano dentro al distributore. Sorrido e lo aspetto, fa una corsetta goffa e mi affianca. «Senti, stavo pensando che potresti darmi una mano con i regali di Natale. So che sei molto organizzata, e poi sei una femmina: la maggior parte dei miei parenti sono femmine, e i miei regali fanno sempre schifo.»
Ridacchio e mordo la merendina che ho appena preso. L’idea non mi attira molto, gli acquisti di Natale sono una delle cose più affaticanti che esistano, e io non conosco i gusti dei suoi parenti, potrei indirizzarlo verso  regali peggiori dei suoi. Guardo gli occhioni verdi che mi stanno supplicando e mi domando perché lo ha chiesto a me, se non per qualche cordiale parola nel cortile, io e lui non siamo così intimi da scambiarci favori, non siamo neanche amici, o conoscenti, siamo solo vicini d’armadietto che si salutano la mattina. Avrebbe potuto chiederlo a qualche ragazza, magari la sua ragazza, invece lo ha chiesto a me. Probabilmente lei deve andarsi a fare la manicure quel giorno, quindi avrà chiesto a tutte le altre ragazze che conosce, e visto che probabilmente anche loro avevano problemi simili allora si è rivolto a me, che sono senza vita sociale. Questo non perché io sia antipatica o altro, ma solo perchè non ne ho tempo, studio tutto il giorno e non mi permetto di uscire, e le poche volte che lo faccio è solo per far passeggiare il cane.
«Credo che si possa fare» dico non troppo sicura.
Lui sorride e butta nel cestino la confezione delle patatine ormai vuote, mi lascia il suo numero e mi dice di trovarci al centro commerciale alle quattro davanti alla gelateria del primo piano. Con una corsetta si allontana fino alla sua classe, io vado in biblioteca visto che ho un’ora buca.
Alle quattro sono davanti alla gelateria e aspetto Harry, che però non sembra arrivare. Mi avvicino al bancone e prendo un gelato al cioccolato, appena ce l’ho in mano mi guardo intorno alla ricerca del ragazzo riccio che a momenti dovrebbe arrivare. Ma tutto quello che vedo piombarmi addosso è una palla da football che mi colpisce alla pancia e che, per istinto, mi fa portare le braccia sul ventre facendomi sporcare la maglia. Quando cerco chi l’ha lanciata sono ancora dolorante, ma non abbastanza da non vedere un gruppo di ragazzi, sei o sette, con i telefoni in mano che filmano la scena.
Qualcosa dentro di me mi fa correre via e finisco nel bagno a lavarmi la maglia e a massaggiare la botta dolorosa che ho proprio sopra l’ombelico. Gli occhi sono leggermente umidi, ma è colpa del dolore, non dell’imbarazzo o chissà che altro. Io sono superiore a loro, questo lo so io, e lo sapranno anche loro, un giorno.
«Che ci fai qui?» domanda una voce troppo familiare.
«Che ci faitu, qui.» rispondo.
«E’ il bagno dei maschi, credo sia tu l’intrusa.» spiega divertito.
Mi guardo intorno disorientata, devo essere corsa qui dentro senza pensarci, troppo presa dal dolore. Abbasso in fretta la maglia e mi asciugo le mani.
«Ti sei fatta molto male?» domanda.
Per un secondo credo che la mia mente sia scoppi, lui lo sa? Lui centrava qualcosa, era stato lui. Mi aveva chiesto aiuto solo per questo, non erano stati degli stupidi ragazzi che avevano colto l’opportunità per uno scherzo, era stata una cosa premeditata.
«Sei stato tu ad organizzare tutto questo?» chiedo stringendo i denti.
«Non volevamo farti male, si sono spaventati tutti quando sei corsa via con le mani sull’addome» cerca di giustificarsi senza guardarmi negli occhi.
«Sei uno stronzo» dico uscendo dal bagno e dirigendomi alla fermata dell’autobus.
A questo punto mi conviene continuare a studiare e a non avere una vita sociale e degli amici, se sono quelle le persone che mi aspettano. Torno a casa e inizio a studiare una materia a caso stendendomi sul divano, così finisce la mia giornata. E così si svolgono anche molti altri giorni che seguono, fino a che le vacanze non mi sorprendono per la loro velocità e mi costringono a starmene a casa a fare nulla tutto il tempo.

***

«Buone vacanze» mi dice appoggiandosi all’armadietto con una spalla.
Alzo a malapena lo sguardo per lasciargli un sorriso costretto e torno a mettere nella cartella tutti i libri che riempivano il mio armadietto.
«Siamo a Natale, tutti sono più gentili, no?» domanda posando due dita sotto il mio mento.
Sbuffo e sorrido, un sorriso finto, ma decisamente molto più ampio, quasi inquietante oserei dire. Ma come può aspettarsi da me? Quel video lo hanno visto anche i professori probabilmente, anche se dopo averlo guardato due volte, fortunatamente, tutti si sono stancati. Ovvio, lo scherzo non era neanche troppo divertente, un semplice gelato spiaccicato su una maglia rosa, quindi tutti lo hanno dimenticato velocemente.
«Ti preferisco distaccata» sussurra divertito ritraendo il braccio.
«Bene, perché è tutto quello che otterrai da me» sbatto rumorosamente l’armadietto.
«Io dicevo sul serio, volevo davvero una mano. Ma quando gli altri l’hanno scoperto ne hanno approfittato» dice avviandosi con me lungo il corridoio.
«Certo» dico guardandomi intorno e salutando alcuni membri del corso di matematica avanzata.
Josh, uno di loro, mi si avvicina mettendosi di fronte a me. I pantaloni beige sono arrotolati sotto le caviglie e la maglia a stampe cade morbida lungo il busto, il cardigan è tirato su lungo le braccia lasciando scoperti gli avambracci. Gli sorrido gentilmente e gli rifaccio gli auguri.
«Che ne dici di vederci per dei ripassi durante le vacanze? Potremo mangiare qualcosa insieme.» chiede imbarazzato.
«Certo» dico senza mostrare tutta la felicità che provo.
«In realtà deve dare ripetizioni a me» si intromette Harry.
«Cosa?» socchiudo le labbra voltandomi verso di lui.
«Si, non ricordi? Me lo hai promesso ieri» no, non gli ho mai promesso nulla, ma non voglio fare la figura della smemorata con Josh. Mi inumidisco le labbra per prendere tempo.
«Oh, si. Ora ricordo. Ma possiamo vederci lo stesso, magari degli altri giorni» propongo.
«Ma avevi detto che mi avresti aiutato tutti i giorni, sai come sono in difficoltà» dice mettendomi una mano attorno ai fianchi. Anche se sono rivolta verso Josh sono sicura che non sta guardando me, ma lui. È una specie di vendetta per il fatto che sono arrabbiata con lui nonostante si sia ripetutamente scusato?
«In questo caso ci rivediamo quando le vacanze finiscono. Dopotutto dare ripetizioni è il ripasso migliore, tu lo dici sempre. Buon Natale Jane» gira i tacchi e se ne va.
«Ma cosa ti salta in mente?» domando tirandogli un pugno al petto e menttendomi di fronte a lui.
«Non volevi una scusa per evitare di uscire con lui?» domanda con fare innocente.
«No!» sbotto tirandogli un altro schiaffo alla spalla. Chiudo le mani a pungo lungo i fianchi e lo guardo male.
«Vai a dirglielo allora» propone.
Sbuffo e me ne vado. Come potrei andare da lui ora? Sarebbe come prenderlo in giro. Lo odio, perché fa così? Non sono come lui che posso rifiutare l’ennesima ragazzo che chiede di uscire con me, e se si tratta di uno dei ragazzi più intelligenti che io conosca allora non ha proprio senso. Salgo in autobus e torno a casa.
Fortunatamente anche mamma è a casa da oggi, papà dovrà lavorare ancora, ma non importa poi molto. Appena entro la vedo che sistema il salotto in maniera frenetica, forse deve venire la nonna, lei ha sempre da ridire sulla mamma. Credo che la odi, forse avrebbe preferito che suo figlio sposasse una donna diversa.
«Ciao mamma» le stampo un bacio sulla guancia e lascio lo zaino davanti alle scale.
«No signorina, tu quello lo porti in camera.» ordina con fare severo. «Ci sono ospiti stasera.» aggiunge mentre salgo le scale, si probabilmente è la nonna.
Sistemo i libri sullo scaffale e mi cambio. Mi stendo sul letto con l’intento di riposarmi, ma quello che faccio in realtà è addormentarmi per delle ore che a me sembrano quasi troppe poche. Non so se sogno, ma so che dormo davvero bene, erano secoli che non dormivo così bene per colpa dello studio ossessivo.
A svegliarmi è mamma, noto subito la sua collana di perle, e capisco che deve essere tardi. Nonna odia i ritardatari. Ancora assonata mi infilo le calze ed un vestito colorato e morbido che arriva a metà ginocchio e corro in bagno per lavarmi il volto. Quando esco vedo mamma davanti allo specchio della mia camera che si sistema le forcine che le tengono alto lo chignon biondo.
«Dovresti vederla, lei è davvero una bella donna» mi dice sistemando anche i miei capelli «Sua figlia poi, due occhi e un sorriso che ti spiazzerebbero» continua amareggiata, come se io non fossi abbastanza.
«Conosco nonna, e anche la zia. So come sono fatte, tu sei meglio» dico preoccupata, non era mai stata così agitata.
«Ma quale nonna? Stasera viene Anne. L’ho incontrata al supermercato, davanti alla sezione dei cereali, sai come io sono pignola sui cereali. Di solito la gente non capisce la mia fissazione, ma lei si. Abbiamo confrontato tutti i cereali e dopo aver scelto quelli adatti alle nostre famiglie la figlia è arrivata, ci siamo trattenute per qualche chiacchiera e l’ho invitata. Non abbiamo molti amici, e la gente come loro è davvero adorabile» sospira e con lo sguardo mi ammonisce di fare la brava.
A interrompere quel momento è il campanello che la fa scattare al piano inferiore. Mi guardo allo specchio e con le mani sposto i lunghi capelli biondi e lisci dietro le spalle e mi avvicino all’armadio per prendere le scarpe.
«Che devo fare? In sostanza» chiedo a mamma, una volta arrivata in cucina.
«Vai di la e presentati, sii simpatica» gira per la cucina freneticamente con le presine e un cucchiaio in mano «Vai! Che aspetti?» mi domanda puntando con il cucchiaio il salotto.
Alzo le mani per scusarmi e vado in sala, con loro c’è papà e io vado proprio affianco a lui, che mi posa una mano sulla spalla.
«Lei è Jane, mia figlia» dice sorridendo «Jane, loro sono Anne, Des e i loro figli, Gemma e Harry» guardo ad una ad una le persone che mi vengono presentate.
Mamma aveva ragione, Anne è una donna fantastica, suo marito anche, ma non come lei. Sua figlia le assomiglia molto, deve essere più grande di me,  e suo figlio… suo figlio è Harry. Sbuffo.
«Ciao Jane» mi saluta divertito.
«Hey Harry» ricambio abbozzando un sorrisetto.
«Vi conoscete?» domanda sua madre.
Dopo che le abbiamo detto che siamo compagni a scuola e che i nostri armadietti sono vicini gli argomenti cambiano, sono soprattutto mamma e Anne a parlare, ma bene o male tutti quanti le ascoltiamo cercando di non addormentarci. Mamma ha preparato la sua specialità e tutti le fanno i complimenti, mangiamo il dolce di Anne e li ascolto parlottare dopo la cena riguardo al Natale e a tutti i problemi che questa festa porta. Anne si lamenta del fatto che ha troppi parenti e tocca sempre a lei cucinare, mamma si lamenta del fatto che non c’è mai il clima che vuole lei, visto che non abbiamo parenti, qui in Inghilterra. Sono tutti a New York, da dove vengono i miei, l’unica parente che abbiamo è la nonna, che li ha seguiti quando hanno traslocato.
«Potreste venire da noi, tre persone in più non faranno la differenza» dice Anne nel pieno silenzio, tipico di quando una conversazione è finita e se ne cerca un’altra.
Mamma ci guarda, me e papà, per vedere se a noi l’idea va, papà sorride e annuisce, io rimango zitta e cerco di sembrare serena. Perché dovrei passare il Natale con un’ipocrita come lui? Dopo quello che mi ha fatto mi ero ripromessa di non guardarlo più in faccia, ma questa situazione me lo sta impedendo.
«Se a voi non dispiace, ci farebbe molto piacere»

***

«Tesoro aggiungi una forcina, hai un ciuffo di capelli che i cade dietro l’orecchio» dice mia madre prima di infilarsi il cappotto.
Vado in bagno e metto un’altra forcina, passo le mani sulla gonna del vestito rosso e sospiro. Sarà la festa di Natale peggiore del mondo, spero che i suoi parenti non siano come lui, e che abbia comprato dei bei regali per la sua famiglia.
Cammino velocemente fino all’entrata e dopo essermi messa il cappotto mi infilo in macchina insieme a mamma e papà, cercando di evitare la neve. Non ci vuole molto ad arrivare a destinazione, dieci minuti massimo. La casa da fuori sembra molto grande, anche il giardino è ben tenuto e, anche se è inverno, riesco a vedere un sacco di piante e sicuramente d’estate fioriscono rendendolo fantastico.
«Jane, Harry è in camera se vuoi raggiungerlo» dice Anne in un modo così gentile che non posso rifiutare.
Salgo le scale titubante, perché in effetti io non conosco questa casa e ho paura di perdermi, ma riconosco subito la camera di Harry perché ne proviene della musica. Busso e da dentro mi viene detto di entrare. La camera non è molto grande, giusto un letto, un armadio e una scrivania, lui è seduto e nella stanza ci sono anche altri ragazzi e un paio di ragazze, probabilmente sono i cugini.
Non è poi così male come giornata, i suoi parenti sono simpatici, ma quando il pranzo finisce e loro se ne vanno rimane solo Harry, sua sorella se ne è andata da un’amica, e i nostri genitori parlano in sala da pranzo del più e del meno. Siamo uno di fronte all’altro sul tappeto del salotto, fra di noi c’è la scatola della tombola.
«Ti avevo detto che non sono bravo con i regali, quindi vedi di non tirarmelo dietro se non ti piace» si alza e prende un pacchetto da sotto l’albero ben addobbato.
«Non dovevi» mi lamento con un sorriso.
«Dai, aprilo» mi incita mentre si passa una mano fra i capelli.
Cerco di scartarlo nonostante il fiocco azzurro sia stretto bene e la carta bianca sia praticamente ricoperta di scotch, scommetto che lo ha incartato lui. Scarto la scatolina e vedo che si tratta di una scatola della gioielleria, subito lo guardo per sgridarlo, ma lui mi zittisce ordinandomi di finire di aprirla. Quando la apro rimango a bocca aperta. Quando ero andata a prendere i regali di Natale mi ero soffermata a lungo su questa collana, cercando di escogitare un modo per farmela regalare dai miei, ma loro non ne avevano voluto sapere.
«Come lo sapevi?» gli domando tirando fuori la semplice collana di perle.
Non so perché mi piaccia tanto, ma appena l’ho vista mi ha ricordato quelle che nonna portava da giovane in tutte quelle foto in cui era bella e si divertiva. Ora è una specie di macchinetta che ha da ridire su qualunque cosa, ma questo non centra. L’avevo trovata elegante e perfetta per tutti quei vestiti turchesi che mi ritrovo nell’armadio e un giorno sarebbe stata perfetta da indossare con il titolo d’insegnante.
«Ti ho vista al centro commerciale, e ho chiesto alla commessa cosa ti fossi fermata a guardare così a lungo, così ho pensato di regalartela» sorride compiaciuto, non gli deve capitare spesso di azzeccare un regalo.
«Grazie, è stato gentile da parte tua» dico mentre cerco di chiudere il gancio dietro il collo, appena ci riesco passo le dita sulle perle lisce sorridendo. «Però io non ti ho fatto un regalo, scusa»
«Se riinizi a salutarmi magari chiudo un occhio» rido e annuisco. «Aspetta, non basta. Devi venire con me alla festa di capodanno»
«Il capodanno lo passo in famiglia, di solito» dico gesticolando con le perle.
«Sicuramente lo passerai qui, guardali» indica i nostri genitori seduti al tavolo che ridono e parlano amorevolmente «Ti toccherebbe stare sola, anche Gemma va da amici» usa un’espressione che dovrebbe supplicarmi, anche se mi fa solo ridere.
«Devo chiedere» dico tranquillamente mettendo una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Non ho veramente intenzione di chiederlo, mi inventerò che non vogliono o farò in modo di ammalarmi all’ultimo momento, non sono una ragazza da capodanno con amici. Questo credevo lo sapesse, a quanto pare era ostinato a portarmi con lui, ma non ne avevo voglia di stare fra tutta quella gente ubriaca o sentir quella puzza di fumo tutta la sera. Di questo se ne accorse.
«Mamma, credi che Jane possa venire con me a capodanno?» dice come se mia madre non lo sentisse.
«Credo di si, Claire che ne dici? Lui si diverte sempre molto a quella festa»
«Certo! Tesoro ti farà bene uscire un po’, e poi noi siamo qui a capodanno, e se Harry non c’è tu ti annoieresti a morte.» dopo averlo detto tornano ai loro discorsi e io guardo duramente Harry.
«Andata» dice compiaciuto alzandosi.
Lo maledico mentalmente e poso le mani sul volto.

***

Indosso un vestito turchese e delle ballerine dello stesso colore quando scendo con Harry dalla sua macchina e ci avviamo verso la grande abitazione dove si tiene la festa. Mi ha ammonita di non lasciarmi troppo andare, sennò poi ci sarebbe finito lui nei guai, ma sono sicura che invece sarà lui a lasciarsi andare. Mi presenta a qualcuno dei suoi amici, e saluto qualcuno che conoscevo già. Mi offre da bere e mi ripete che deve essere l’unica cosa che bevo. Probabilmente la regola vale solo per me, perché nel giro di due ore lui è in piscina vestito che urla cose a vanvera con un altro paio di ragazzi.
«Harry esci di lì, ti ammalerai!» lo richiamo tendendoli una mano, lui si avvicina al bordo, ma non da segni di voler uscire.
«Ti ho portata qui sperando che ti divertissi una volta tanto, andiamo Jane!» mi prende un polso e mi fa cadere con lui in acqua, il suo gesto incita anche altre ragazze a gettarsi e la piscina si riempie.
Lo perdo di vista, deve essere con qualche amico, o amica, adesso. Mi guardo intorno disorientata, ho bisogno di lui per tornare a casa. Dopo un po’ mi stanco di cercarlo e mi fermo ad un lato della piscina appoggiano i gomiti sul bordo per reggermi. Le persone vanno e vengono davanti ai miei occhi, tutti sorridono, anche le persone che si baciano lasciano intravedere un sorrisetto fra un bacio e l’altro. Qualcosa mi spinge a buttarmi nella mischia, ballo da sola, sorrido a me stessa. Ad un certo punto ci ritroviamo, per poco però, lui si fa subito trascinare da qualcun altro a ballare. Ma sono quei pochi secondi in cui incrocio il suo sguardo che qualcosa in me si sta muovendo, qualcosa di stranamente piacevole.
Con tutta la voce che ho mi lascio coinvolgere nel conto alla rovescia, e quando i fuochi d’artificio esplodono e illuminano i volti di tutte queste persone fradice che si abbracciano, io sorrido. Forse una nuova me è il desiderio giusto da esprimere, e credo che realizzarlo non sarà poi così difficile.
«Tieni» dice Harry dandomi un asciugamano, per evitare che gli bagni la macchina.
«Grazie» dico chiudendo stretti gli occhi che bruciano per colpa del cloro.
«Come è andata?»
«Bene, grazie» gli dico mentre salgo sul sedile anteriore stendendo sotto di me l’asciugamano «Te?»
«Bene. Sono felice che finalmente tu abbia fatto qualcosa di diverso» dice sorridendomi e poi mettendo in moto la macchina, io sorrido con lui e cerco di non addormentarmi prima di arrivare a casa sua.

***

«Buongiorno» dice una voce alle mie spalle.
«Buongiorno» replico chiudendo l’armadietto.
«Primo giorno significa maglione turchese, come sempre» commenta Harry andando verso il suo armadietto.
«Il turchese mi dona» rispondo seccata.
«Questo lascialo decidere agli altri» risponde divertito, gli lascio un pugnetto sul braccio e andiamo verso le nostre classi.
Prima di arrivare alla mia classe una ragazza mora e con gli occhi verdi ci ferma, o meglio, lo ferma. Gli parla quasi in codice, di cose che io a quanto pare non posso sapere, ma sembra abbastanza preoccupato, la ragazza continua e lui sembra calmarsi per un attimo, si salutano e ognuno continua per la sua strada. Sembra un incontro fuori dal normale per lui, qualcosa che quella ragazza gli ha detto lo ha scioccato o solo terrorizzato a morte.
«Ci vediamo stasera» dice quando siamo davanti alla porta della mia classe.
«E’ il compleanno di mamma, non credo di poter uscire»
«Appunto, con chi credi che festeggerà?» risponde divertito.
Gli sorrido ed entro in classe, non ci vuole molto, però, prima che quel sorriso scompaia. I compleanni di mamma rimangono sempre nella mia memoria per i vestiti ridicoli che mi fa indossare, ma è il suo compleanno e sono obbligata a metterli per renderla felice. e io ho paura di quale sia il vestito di quest’anno.

***

«Dio, sei bellissima Jane» sussurra mamma portandosi le mani davanti alla bocca, gli occhi le diventano quasi lucidi.
E’ un vestito turchese, perché è lei che mi ha messo la fissa per questo colore, con le maniche a tre quarti e una gonna morbida che arriva giusta sopra il ginocchio. Se tutto va bene lo ha preso dal suo armadio dei vestiti che non indossa da quando ha vent’anni. Le sorrido e mi siedo sul divano con lei. Legge una rivista e quando il campanello suona mi supplica di andare ad aprire, perché lei si deve ritoccare il rossetto.
«Dio, sei bellissima Jane» dice Anne, più conosco questa donna più sono convinta che sia stata creata per essere amica di mamma.
Saluto tutti uno ad uno, e poi richiudo la porta.
«Dio, sei bellissima Jane» ripete con vocina stridula Harry, forse per prendermi in giro.
«Piantala, è il suo compleanno, dovevo farla felice» sbuffo girandomi verso di lui.
«Dico sul serio, seri davvero carina.» arrossisco facendolo sorridere, mi afferra la mano e ci spostiamo in salotto, dove mi lascio cadere sul divano.
La serata sembra una banale copia di un film in cui tutto è perfetto, si parla di scuola, di progetti, degli anni passati di mamma, si fanno battutine e si mangia. È strano, fino ad appena quattro mesi fa questa mi sarebbe sembrata la sera migliore del mondo, ma mi torna sempre in mente quel capodanno, e penso a come mi sentivo quella sera, e tutto questo in confronto mi sembra inutile. Ma ovviamente non posso mettermi a ballare qui in mezzo, quindi lascio che la serata si concluda banalmente.
«C’è una festa, domani» mi dice Harry prima di andarsene «Passo a prenderti alle otto» conclude noncurante della mia approvazione.
«Metti qualcosa di corto e, preferibilmente, non turchese» ammicca e corre goffamente verso l’auto dei suoi genitori, rimano a bocca aperta sulla soglia di casa.

***

E’ già febbraio quando mi rendo conto che la mia vita è cambiata. Me ne accorgo solo ora, alla festa di Harry, sono a mio agio in situazione come queste, in cui il controllo sembra essersene andato dalle mie capacità. Mi avvicino a lui, ancora sobrio sul bancone di casa sua, con i piedi penzolanti.
«Come sta il nostro festeggiato?» gli domando cercando di mettermi affianco a lui.
Purtroppo, a differenza sua, io ho già iniziato a bere e non riesco a trovare la forza e l’equilibrio per alzarmi di quel poco che serve per sedersi sull’isola della cucina. Mi tende una mano che afferro prontamente mimando un ‘grazie’ con le labbra.
«Sicuramente più sobrio di te» risponde ridacchiando.
«Lo sai che non devi farmi bere»
«Scusa, stavo pensando ad altro signorina Hobisognodelbaby-sitter» gli faccio una smorfia e lui ride.
Avevo sempre notato la sua bellezza, è una cosa risaputa che Harry Styles è uno dei ragazzi più belli e richiesti della scuola, ma solo ora mi rendo conto che la sua potrebbe essere addirittura perfezione. Forse la vista quasi sfocata mi impedisce di vedere tutti i suoi difetti, o forse sono accecata da qualcos’altro. Poso la mia mano sulla sua, per fortuna è l’alcool che agisce per me. Ci guardiamo, non so cosa significhi il suo sguardo, so solo che il mio non significa nulla, perché effettivamente non riesco a pensare a nulla. Non ci ho ancora fatto l’abitudine a queste cose, sono ancora un’estranea a tutto ciò.
«Stai bene?» mi domanda ad un certo punto.
«Mh» dico incantata dai suoi occhi verdi.
«D’accordo» sorride «basta birra per te» mi sfila la bottiglia dalle mani e la posa dall’altra parte del tavolo.
«A cosa pensavi?»
«Non capiresti» sussurra scendendo e facendo scendere anche me.
«Sono la prima della classe, lo sai questo?» ribatto in tono supponente.
«Si tratta di cose davvero importanti, non di voti, Jane» sospira «E poi non sei la prima della classe da delle settimane»
Afferro la sua mano e la stringo trascinandolo fra la folla di persone che lo saluta, arriviamo al portico e lo faccio sedere sul dondolo e poi mi metto affianco a lui.
«Dimmi» dico incrociando le gambe.
«Metti dritte quelle gambe, o ti si vede tutto» sussurra divertito, metto giù i piedi e faccio toccare le ginocchia, assicurandomi che il vestito mi copra abbastanza «Si tratta di Madison» dice mentre io ancora mi sto sistemando.
«Chi è?» chiedo sorpresa.
«Una ragazza, quando siamo tornati dalle vacanze di Natale mi ha detto una cosa che… non lo so. È solo strano e difficile» dice tutto d’un fiato.
«Che ti ha detto?»
«Durate le vacanze è andata ad abortire» prende un grosso sospiro «Era mio.» dice con schiettezza, posa i gomiti sulle ginocchia e infila il volto fra le mani.
Gli accarezzo la schiena e mi stringo a lui, ma guardo nel vuoto di fronte a me. Lui a questo punto sarebbe potuto essere padre.
«Harry, sono cose che capitano» gli dico dolcemente.
«Sono stato un cretino. E se non se ne fosse resa conto in tempo? Se avesse deciso di non abortire? Un irresponsabile, ecco cosa sono.» si autocommisera senza sosta per dei minuti, non ho intenzione di bloccarlo, credo che faccia bene sfogarsi in situazioni del genere. E poi non lo conosco abbastanza bene da poterlo consolare. «Lei non era neanche la mia ragazza, l’avevamo fatto una volta sola, ed ero ubriaco» aggiunge.
Cerco di zittirlo, ma lui continua, e sono quasi certa che ad un certo punto abbia pure pianto, ma in modo silenzioso, così che io non potessi accorgermene. Se qualcosa in me stava cambiando, anche in lui stava succedendo lo stesso.

***

«Harris» il passaggi della squadra di football porta con se l’odore di fumo che ancora tanto odio, ma a coprirlo questa volta è il profumo di Harry che si appoggia con una spalla all’armadietto affianco al mio.
«Ragazzi» faccio un cenno con la testa e torno ad Harry.
«Scusa per ieri sera, io non volevo farti pesare questa cosa» si avvicina a me, mantenendo la sua spalla bel attaccata al ferro degli armadietti «E’ solo che tu mi ispiri pace, e parlarne con te mi ha aiutato molto» afferra la mia mano e ne incrocia le dita «Forse ho solo bisogno di un po’ di tranquillità, per uscire da tutto ciò, e forse tu sei la persona adatta» le mie labbra si socchiudono.
«Che significa?» domando ingenuamente.
«Che mi piaci» sorride, ma io rimango seria, quasi impassibile «Questo ovviamente non implica per forza che anche io ti devo piacere, ovvio.» si stacca dagli armadietti e lascia la mia mano.
«Ma tu mi piaci» dico dopo un po’.
«L’hai deciso in due minuti?» commenta divertito «Ti va di uscire stasera?»
Così è iniziato tutto, e per delle settimane siamo stati sempre più vicini. Abbiamo imparato a conoscerci e a sopportarci, forse ora ero in grado di dire che veramente mi piaceva fin da quel giorno.

***

«Possiamo cambiare?» sbotta lui.
Io stringo il telecomando fra le mani e mi accerto che lui non riesca a raggiungerlo, anche se la sua schiena combacia con la mia e il suo braccio sinistro mi circonda la vita.
«E’ un programma interessante» ribatto io alzando il volume.
Alla fine guardiamo tutto il programma, anche se lui si lamenta in continuazione. Quando finisce vado in cucina e prendo del gelato, ne sto mettendo un po’ dentro ad una tazza quando sento due braccia circondarmi la vita e girarmi.
«Lo stai preparando anche per me, vero?» domanda per poi lasciarmi un leggero bacio sulle labbra.
«Viziatello» sussurro ridendo.
Mi spinge di più verso ripiano di legno e stringe le sue mani sulla pelle dei miei fianchi. Fa sfiorare i nostri nasi e poi mi bacia, è un normale bacio che ci concede solo di far sfiorare le nostre labbra. Sono così morbide che le bacerei a vita.
«Con te non posso fare nulla, altro che viziatello» mi lascia andare e io chiudo la vaschetta del gelato, gli do una tazza e mi siedo di fronte a lui al tavolo della cucina.
«Solo perché non ti lascio guardare quello che vuoi» commento.
«Oh no, io intendo ben altro» mi guarda intensamente facendomi ridere.
«Se questa è una delle tue tattiche per portarmi a letto allora non funzionerà» rido mentre lui sbuffa.
«Tu non sai cosa ti perdi» aggiunge poi ritrovando il sorriso.
«Problemi miei» mi stringo nelle spalle e lui scuote la testa.
«In realtà sono problemi anche miei, ma lasciamo stare» sussurra mettendo in bocca un po’ di gelato.
«Rimani qui stasera?» domando cercando di cambiare discorso.
«E’ una provocazione?» si acciglia e punta il cucchiaino nella mia direzione «Perché sei davvero stronza quando mi provochi.» sorrido innocentemente, ma sa bene che non lo stavo provocando «Comunque sono da Calvin, sai che ogni giovedì facciamo quella cosa»
«Odio quando vai da lui, ho sempre paura» abbasso lo sguardo e gioco con il gelato quasi sciolto.
«Vieni qui» striscia la sua sedia per farmi posto e io mi vado a sedere sulle sue gambe «Sai che non succede nulla»
«Harry, ho solo paura. Sai che non mi faccio certi problemi, ma quando fate quelle gare del cavolo io sono in pensiero per te» chiudo le braccia attorno al suo collo e incastro il volto nell’incavo del suo collo.
«Da anni corriamo su quella pista e non ci è mai successo nulla» mi accarezza con una mano i capelli e li arriccia fra le dita.
«Se finisci all’ospedale ti picchio e ti rompo ancora più ossa di quelle che già non ti sei rotto» dico stringendolo forte.
«D’accordo» dice solo, sapendo che non sto scherzando.
«Dico sul serio, devi metterti la cintura e anche un casco, e una di quelle tute imbottite per non farti male. E devi giurarmi che non farai scommesse su chi corre più forte, sennò ti uccido direttamente.» lo ammonisco.
«Te lo giuro, starò attento» dice baciandomi la guancia.
Gli lascio un leggero bacio e poi torniamo accoccolati sul divano, a guardare quello che vuole lui questa volta.

***

Scendo dall’autobus e vado a sedermi su una delle prime panchine che trovo. Mi ero ripromessa di essere forte, ma rivedere tutti quei posti che la mattina facevano insieme mi sta distruggendo.
Questa storia mi sta distruggendo, perché non è finita come doveva finire. Perché lui ora non è qui con me.
Quel giovedì sera, quell’ultimo giovedì sera, non mantenne la sua promessa. Scommise di correre più forte degli altri e di battere il suo record. Ci riuscì, ma una volta superato il traguardo si rese conto che per frenare era troppo tardi, era finita.
In effetti non potevo aspettarmi un finale con le rose, perché la nostra storia non era mai stata così perfetta. Io non ero la classica secchiona, ero solo una ragazza che si impegnava nel suo futuro, e lui non era il classico giocatore di football, era solo un ragazzo che se la cavava con lo sport. Eravamo due normali ragazzi, fra di noi non c’erano scommesse, c’era solo un patto: ci saremmo dovuti aiutare a vicenda. Avrei dovuto portare un po’ di pace nel suo modo e lui un po’ di movimento nel mio.
Ma ora nel suo modo c’è troppa pace, e nel mio c’è troppo movimento.
Mi alzo e cercando di non incrociare gli sguardi di persone che mi ricordano lui mi dirigo a scuola.
«Ciao» dice qualcuno che non mi sarei mai aspettata.
Alzo il volto e mi asciugo un paio di lacrime, i suoi occhi contornati di nero sembrano voler finalmente esprimere qualche emozione.
«Mi dispiace, per Harry. Lui era un bravo ragazzo, non aveva nulla a che fare con loro.» riesco a sorriderle, perché era da anni che speravo di sentire la sua voce, e finalmente ci sono riuscita.
Quando se ne va, però, mi accascio con la schiena all’armadietto.
Sento un vuoto dentro di me, come se tutto ciò che avevo se ne fosse andato via all’improvviso. Perché ora non ho più quasi nulla. Ma sembrava tutto perfetto mentre me ne stavo nell’occhio dell’uragano, dove la pace regnava e riuscivo a vedere solo i suoi occhi, ma quando l’uragano passa, e solo allora, si riesce a vedere la catastrofe che ha lasciato. Non ho più la mia media di bei voti, non ho più quella pace e quella quotidianità che avevo prima. Lui mi ha sconvolta, e come se niente fosse se ne è andato. E a me non rimane altro che aspettare che arrivi un altro uragano che riesca a farmi sentire come riusciva a farmi sentire lui. Anche se dubito che qualcuno ci riuscirà di nuovo.

Give me a moment.
*saluta*
ehm... non sono portata per le one-shot, questo lo so.
Sono fatta per scrivere pagine e pagine e pagine, ma non avevo nè il tempo nè la voglia di rendere questa una storia a capitoli.
Era da un sacco che non pubblicavo qualcosa, per questo mi sono impegnata a finirla il prima possibile.
Ne approfitto per scusarmi con tutti quelli che aspettano il continuo alle mie storie, giuro che prima o poi aggiorno.
Per quanto riguarda la storia, spero si sia capito che fine ha fatto Harry (?)
So che è triste, demotivante, depressiva, diversa, una perdita di tempo o qualunque altro aggettivo vogliate usare per descriverla,
ma ho pensato che invece di una storia d'amore per una volta potevo scrvere di una storia d'amore stroncata per colpa di qualcosa di incontrollabile.
E' deprimente che le mie one-shot finiscano sempre con qualcuno che muore o qualcuno che prende un aereo e se ne va per sempre,
ma non riesco a fare di meglio.
Spero vivamente che mi lasciate un commento, per sapere come la trovate e perchè è sempre piacevole ricevere dei suggerimenti. 
Infine consiglio a tutti di ascoltare la canzone a cui è ispirata la storia 'Hurricane' di Bridgit Mendler, nella versione acustica (?)

 

  
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