Lost.

E Harry si era perso.
Si era perso nella geometria di una mano, nella storia di un tocco, nella religione di un silenzio sacro, nella matematica precisione di una scia di baci.
Harry si era perso.
Si era perso nella grammatica di sussurri gridati sottovoce, nella chimica di un bacio troppo inteso e nella geografia di un corpo che conosceva fin troppo.
Harry continuava a perdersi.
Si continuava a perdere nell’ossessione di un momento, nell’attesa di una decisione, nelle prese di posizione.
Harry ormai non aveva speranze.
No, non ne aveva di speranze. Con Louis nemmeno una.
Chiuse gli occhi e sospirò attirando l’attenzione del più grande che era impegnato a mordergli piano il collo, sospirò ancora e guardò Louis sedersi sulle sue ginocchia, lo lasciò scostargli un riccio dal volto e gli sorrise.
“Louis, mi sono perso.”
“E dove?”
“Mi sono perso, come faccio a saperlo?”
“Ma ci sono qui io.”
“Sei tu che mi hai fatto perdere.”
“Mi dispiace.”
“Non dovresti dispiacerti. Mi hai fatto perdere in te e io mica voglio ritrovarmi.”
“Non capisco, Harry.”
“Non importa.”
Harry rise e baciò piano le labbra del più grande che gli accarezzò il volto.
“Mi sono perso anche io.”
“Sì?”
“Sì, e non intendo cercare la strada di casa perché mi porterebbe comunque a te. Sei tu la mia casa ora.”
“E tu la mia, anzi tu sei il mio mondo.”
“E tu tutte le cose belle.”
“Tu sei la più bella.”

E si persero entrambi nella geometria di due corpi uniti, nella storia che era la loro, nella religione di voci che si uniscono, nella matematica imprecisa del loro amore, nella grammatica di sospiri silenziosi, nella chimica della loro attrazione e nella geografia dei loro petti talmente vicini da incastrarsi.