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Autore: Slytherin Nikla    14/12/2007    1 recensioni
Non so nemmeno se ho azzeccato categoria... Ultimamente scrivo di "angeli", ma non nel senso che si intende di solito...almeno credo. Questo è uno di quei racconti...
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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momentaneous

Era ancora là.

Alto, ritto nonostante un'età che pareva insondabile ma dava l'impressione d'essere piuttosto avanzata, l'espressione un po' triste incisa nelle rughe sottili e sensuali del suo viso. E gli occhi, occhi chiari e penetranti come il bagliore di una lama di coltello; occhi come di ragazzo, che a prima vista stonavano un poco nell'aspetto solenne dell'uomo, occhi che di tanto in tanto si velavano di ricordi troppo densi per poter essere riportati alla luce fino a diventare gli occhi di chi sembrava aver vissuto mille anni o forse più.

Ed era ancora là, immobile nel bar sull'altro lato della strada, un sigaro spento tra le dita, là ad aspettare lei. Perché sapeva che alla fine l'avrebbe vista.


Anche la donna che lui chiamava Minerva sapeva. Non aveva una precisa consapevolezza, non avrebbe potuto, ma in un livello al di sopra delle percezioni e della ragione sapeva che lui era là fuori, da qualche parte... In un angolo nascosto di quella loro assurda città, appoggiato ad un muro, seduto su una panchina, dietro un giornale aperto, magnifico nella sua eterna solitudine. Lo sentiva. Non lo aveva mai visto e se le cose fossero andate secondo i piani non sarebbe mai capitato, ma sentiva la sua presenza, un passo dietro di sé: un'ombra amica, un leggero vento d'ali, un lampo di luce, niente più.


L'uomo si raddrizzò sulla sedia un attimo prima che Minerva oltrepassasse il portone del palazzo in cui lavorava, lasciando sul tavolo il prezzo della consumazione – torta di nocciole e caffè alla vaniglia, più un adeguato extra per la cameriera. Quindi si alzò con tutta calma, per concedere alla donna dall'altra parte della strada il tempo di trovare un taxi, e si rimise in cammino. Discretamente, in silenzio, sparendo dietro un angolo ogni volta che lei si voltava, perché seguirla da lontano era stata la sua missione. Comparire al momento giusto era stato, tanto tempo prima, il suo lavoro, ma ormai tutto ciò che ne rimaneva era la capacità di svanire tra le ombre un attimo prima di essere visto... Sempre con la segreta e inconfessata speranza che finalmente Minerva avrebbe un giorno potuto scorgerlo, costringendolo una volta per tutte ad uscire da quella tremenda prigione.

Sfilò gli occhiali e li pulì distrattamente, mentre, dopo avere a propria volta sottratto un taxi ad un furibondo uomo d'affari, chiedeva in tono asciutto al conducente di seguire i fanali dell'auto su cui la ragazza si trovava, ormai a distanza di sicurezza nel traffico.

Una pupa da tenere d'occhio, eh?”, aveva domandato il tassista, allusivo, immettendosi nella circolazione e lanciando un'occhiata complice all'uomo seduto sul sedile posteriore. Ma il passeggero era rimasto immobile, impassibile, a sfregare le lenti con gesti meccanici e la mente fissa chissà dove. La voce dell'uomo arrivò ai suoi sensi lunghi minuti più tardi, quando ormai l'altro si era rassegnato a trasportare nel silenzio quel cliente così stravagante.

Non è una 'pupa' “, si limitò a dire, ma il tono che aveva usato non avrebbe invogliato il minimo commento. Minerva non era una “pupa”, non lo era mai stata e lui lo sapeva meglio di chiunque altro. Sì, lui sapeva. Perché vedeva, aveva sempre visto ogni cosa, e non avrebbe certo permesso all'incauta, sciocca osservazione di uno sconosciuto incrociato per caso di mettere in dubbio quella verità immutabile.


Minerva infilò la chiave nella serratura con un senso di lieve delusione. Non c'era niente, davanti alla porta, niente sulle scale, niente sullo zerbino, niente appoggiato al muro... Non un biglietto, non uno dei piccoli doni che da qualche tempo trovava ogni giovedì.

Nel primo periodo si era preoccupata, per quegli inspiegabili ritrovamenti, preoccupata fin quasi al punto di denunciare il fatto alla polizia, ma quando aveva capito (senza sapere in che modo, per altro) che il misterioso sconosciuto che con tanta cura sapeva scegliere un fiore o un biglietto non si sarebbe mai fatto vivo, aveva rinunciato senza fatica agli iniziali propositi bellicosi.

Certo ai primi momenti di allarme e timore era subentrata la fase della curiosità, il desiderio di incontrare quell'ammiratore che così bene sembrava indovinare ciò di cui il suo cuore aveva bisogno; ma dopo sei mesi, per forza di cose, quelle fasi intermedie erano state superate. E Minerva si godeva, con un sorriso pieno d'affetto per un uomo che – adesso lo sapeva – non avrebbe mai visto, le piacevoli sorprese con cui lui silenziosamente le dava il benvenuto ogni giovedì.

Ma quel giorno non c'era nulla, ad aspettarla, e la donna fece scattare la chiave sforzandosi di non ammettere di esserci rimasta male. Fu allora che la vide. La busta di carta un poco ingiallita, appena oltre la soglia, chiaramente fatta scivolare attraverso la fessura sotto la porta. Minerva si chinò a raccoglierla, mentre un sorriso si allargava sulle sue labbra.


In piedi ed appoggiato ad un lampione, alto e scuro come il ferro che lo sosteneva, l'uomo riusciva incredibilmente ad essere invisibile nonostante il suo aspetto fuori dal comune. Era riuscito a conservare, a dispetto delle molte cose perdute del suo passato, la straordinaria abilità di non colpire lo sguardo di chi incrociava la sua strada, restando niente più che un'ombra dai contorni sfumati in fondo agli occhi, sbuffo di fumo o nuvola che spariva non appena si tentava di metterlo a fuoco.

Un vago sorriso interrompeva i lineamenti del suo volto, sopra il maglione dolcevita nero. E quel sorriso, da molti anni a quella parte, svelava come in un libro aperto i suoi pensieri, o, meglio, il suo pensiero. Perché quello era il sorriso di Minerva, per lei sola, e se solo fosse esistito ancora uno soltanto di quelli che lo avevano conosciuto, senza dubbio avrebbe letto in quel sorriso la soddisfazione per il fatto che lei, a quell'ora, certo doveva avere trovato il suo biglietto.


Era carta spessa, ruvida, molto vecchia... Vecchia di secoli, perché no.

_ “Non ci sono altre cose – e dico proprio cose – oltre a quelle che si vedono? “

Tante. Le cose dietro alle nostre spalle; le cose troppo lontane; in generale, tutte le cose, se c'è abbastanza buio “_*

Minerva si scrutò per un attimo nello specchio dell'ingresso e sorrise a propria volta, ignorando che sul marciapiede sotto casa sua, nel medesimo istante, allineato come un'ombra al lampione di ferro battuto, un uomo stava facendo la stessa identica cosa.

Era curioso, pensare che da qualche parte là fuori esistesse qualcuno in grado di intuire la sua anima al punto di scegliere, settimana dopo settimana per più di sei mesi, il piccolo pensiero o la frase giusta per strapparle un attimo di serenità, senza sbagliare mai. Chiunque fosse, quell'angelo senza volto era una di quelle cose che non si vedono arrivato chissà come o perché nella sua vita. Minerva accese il gas sotto il bollitore, la mente fissa su quella rassicurante consapevolezza.

Ma ora il tempo stava per finire.

Se ne era reso conto all'improvviso, con un moto di panico, mentre una nebbia sottile saliva dai marciapiedi fradici di pioggia e il sole sembrava sciogliersi, rosso come un grumo di sangue, sull'orizzonte ancora velato, qua e là, da nubi grigio scuro. Da anni, secoli ormai aveva smesso di attendere il segnale, convincendosi, non senza una massiccia dose di sogno, che alla fine davvero si fossero dimenticati di lui. In fin dei conti, era caduto da così tanto tempo... Avrebbe potuto trascinarsi, ancora per un po'.

Ora invece, ora che aveva smesso di aspettare, ora che anche la speranza di tornare era venuta meno, ora che aveva trovato una ragione di vita, il segnale era arrivato. Quel maledetto gabbiano aveva girato davvero su se stesso tre volte, oppure era stata soltanto una suggestione? L'uomo fissò gli occhi sull'animale, che adesso passeggiava lungo l'argine del fiume con la testa rivolta verso di lui. Ecco. Quello certo non poteva essere un caso. Il gabbiano guardò un'ultima volta l'uomo sgomento, spiccò il volo e di nuovo compì tre leggiadri volteggi circolari.

Dimentica per un istante dell'autocontrollo che da tanti anni il suo proprietario esercitava su se stesso, la mano destra dell'uomo si abbatté con violenza sul lampione alle sue spalle. Non era possibile, non era giusto, non era... L'uomo trasse un profondo respiro. Doveva calmarsi, non era dignitoso per un angelo comportarsi in modo tanto emotivo; ma tra il dirlo, e mettere in pratica il concetto, ci passava una vita intera.


Minerva era stata investita da un'ondata di tristezza inspiegabile, arrivata da chissà dove ma così forte da costringerla a posare in fretta la tazza del tè per non rischiare di rovesciarla. Senza motivo se non uno sconosciuto istinto, si affacciò in fretta alla finestra della cucina e prese a frugare con lo sguardo la strada sottostante. Gente che camminava, parlava, viveva come ogni giorno; tutto come sempre, come in ogni singolo istante della sua vita, tutto normale... E invece no, non tutto. Nell'istante stesso in cui i suoi occhi si posarono su di lui, sull'uomo vestito di nero che per un istante si era passato la mano sulla fronte, in quel gesto di tradita disperazione Minerva comprese di avere trovato, ad un tempo, il proprio angelo e la fonte della dolorosa tristezza che l'aveva colpita pochi istanti prima.


Lei lo aveva visto.

L'uomo in nero tentò di scivolare via dal suo sguardo, come spesso aveva fatto con tutti gli altri, ma i sentimenti contrastanti che si agitavano in lui da quando si era reso conto che Minerva lo aveva finalmente scoperto glielo rendevano impossibile; ciò che per anni aveva desiderato, sperato al di là di ogni speranza, era accaduto, ma adesso era troppo tardi, e lui si sentiva così stanco...

Sei tu “.

Le parole della donna caddero nel silenzio, mentre intorno a loro la vita della gente proseguiva senza ostacoli: nessuno vedeva quell'uomo alto e solenne, sempre più pallido sopra il collo del dolcevita nero, e nessuno vedeva neppure Minerva, la musa per cui un tempo lui aveva abbandonato la propria vita.

Il mio angelo... Sei tu, lo so “.

L'uomo si voltò piano, fino a trovarsela di fronte, sguardo nello sguardo: e anche gli occhi di Minerva parvero assumere l'eterna profondità di quelli di lui. Annuì con un breve cenno della testa, quasi imbarazzato, ma non parlò. Sentiva che non ne sarebbe stato capace senza che la commozione per quel sogno realizzatosi troppo tardi prendesse il sopravvento. Non sarebbe stato in grado di tenerla a bada, non con la fine così vicina e le forze sempre più esili.

Minerva batté un paio di volte le palpebre; le sembrava che nella sua mente comparissero ricordi nuovi, inconsapevoli e al tempo stesso innegabili... Il bel viso dell'uomo, la sua sagoma scura contro il lampione, i contorni che sembravano sfumare, tutto di lui le ispirava sensazioni conosciute ma dimenticate, come una vita risalente a secoli prima ma cancellata dalla memoria razionale... Poi, finalmente, mentre un riflesso incondizionato dei suoi muscoli le faceva spalancare gli occhi, dal mare torbido dell'irrazionale emerse un nome.

Gabriel...? ”

L'uomo sorrise, un poco stupito. Non capiva come lei avesse potuto riconoscerlo, ma ne era lieto: gli sembrava un modo molto felice per andarsene... La donna lo guardava sorridendo, senza domande, senza curiosità; qualche tempo prima, in uno dei suoi biglietti, lui le aveva scritto che “l'amore di apprezzamento contempla trattenendo il respiro, e tace”*, e lei ora si sentiva esattamente così. Come se non esistesse, se non potesse esistere, qualcosa o qualcuno in tutto il mondo in grado di distogliere la sua attenzione da lui. Come se non ci fosse nient'altro da fare, e il guardarlo, dopo tanto averlo atteso, fosse l'unica cosa possibile.

Nonostante si sentisse sempre più debole, l'uomo riconobbe senza fatica i pensieri di Minerva, e pur senza dire una parola gliene fu profondamente grato. Poi, all'improvviso, si accasciò.

Minerva si inginocchiò accanto a lui, un poco spaventata nonostante gli occhi dell'uomo le trasmettessero la serena consapevolezza che quello era il naturale svolgersi delle cose, gli sollevò la testa appoggiandosela in grembo, e con un gesto naturale che tuttavia la stupì ne accarezzò per la prima volta il viso.

Non puoi andartene adesso “, gli disse, nel suo abituale tono ragionevole e pragmatico, risoluto ma un poco velato di malinconia. “ Non puoi. Non ti ho ancora ringraziato... “

Gabriel chiuse gli occhi per un attimo, sentendo che il momento di ritornare si avvicinava. Ciò che per anni aveva sperato era accaduto solo in parte, ma andava bene così... Minerva non avrebbe saputo che aveva lasciato la propria vita per vegliare su di lei, non avrebbe saputo fino a che punto era stato sciocco, non avrebbe saputo che pur di impedire che le accadesse qualcosa era scivolato, lentamente, fin sulla terra, era diventato troppo pesante e non era stato più capace di risalire.

Non importava che lo fosse, o che lo fosse stato: Minerva aveva riconosciuto in lui il suo angelo, e questo era anche più di quanto avesse sperato. Aprì gli occhi per guardarla ancora una volta, mentre una calda lacrima ne scivolava via fino a bagnarle le dita. Un istante più tardi Minerva si ritrovò inginocchiata a terra, con nient'altro che quella lacrima a parlare del suo angelo. Intorno a lei, soltanto la nebbia in cui Gabriel si era dissolto.

*C. S. Lewis, “A viso scoperto”

*C.S. Lewis, “I quattro amori”

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