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Autore: Mika_mika    14/12/2007    4 recensioni
« Andrai sulla terra, c’è un’anima che pretendo tu mi porti qui negli Inferi»
Perentorio come chi non accetta la possibilità di un fallimento.
D’altronde, in quell’eventualità, le conseguenze non le avrebbe subite lui.

Seconda Classificata al Concorso Song-fic indetto da Suzako. Solo per voi, Angels. Un buon Natale spiumacchiante ^^
Genere: Drammatico, Song-fic, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Itachi, Altri
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
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Le fiamme delle candele fremettero, mentre la cera blu oltremare, sciolta dal calore, scivolava placida ai lati del fusto cili

A volte ritornano e sì, ogni tanto ritorno anch’io. Sono viva, siate tranquilli. La mia vita prosegue tra abbondanti alti e bassi e riprenderò a scrivere, ne andasse della mia vita XD Sono consapevole di avere mooooooolte fic da finire, ma sappiate che non dimentico mai le mie opere né tantomeno le abbandono al dimenticatoio u.u

Questa song-fic è basata, come qualsiasi partecipante al concorso, su Angels dei Within Temptation, canzone di cui vi consiglio l’ascolto.

Per coloro che la conoscono, è nata, prima di divenire partecipante, come una fic esplicativa di Be My AngelYaeRan Version, una Roundrobin tra Rekichan e Rei-Murai.

Passiamo alle dediche che sono d’obbligo ù.ù


A Rei-Murai, che questa storia l’ha ispirata, quando, quel giorno di tanto tempo fa, ha avuto la brillante idea di concepire i nostri beniamini di Naruto in versione angelica. Lei per prima, e quindi a lei tutto il merito ù.ù So di avere un brutto carattere, tesora, lo so sul serio. E so che spesso da me tu ti potesti sentire abbandonata. Non lo sarai mai, io ci sarò sempre. Come Neji ci sarà sempre per Ran, nel suo modo scontroso e supponente. E tu hai capito, e questo è l’importante. Ti voglio bene.


A Rekichan, il niichan del quale non si potrebbe mai e poi mai fare a meno. Non basterebbero tutte le parole del mondo per descriverti e ringraziarti. Hai fatto troppo e sei stata troppe cose, troppe volte. E questa fanfic è già di 20 pagine di suo. Ti lovvo, amorosa. Ma ti lovvo davvero tanto. <3333


A Ross e Suzako, il mitico duo. Le due Shirakawa. LamiamantaH, e l’altra che non ha definizione, ma a cui voglio bene lo stesso (L). La luce delle mie serate a Lucca, ci sarebbe così tanto da ricordare che non finiremmo più. Ma la vostra stanza è stato il rifugio in un intero B&B che avevamo brillantemente occupato, e di questo vi sia fatto merito, insieme a tutto il resto.


A tutti voi che leggete, anche solo per l’opera in cui vi state per imbarcare. E’ apocalittica, ma ho creduto in ciò che ho scritto dalla prima all’ultima parola.


Al mio, di Shisui, che questa fanfiction non la leggerà mai, né probabilmente ne conoscerà l’esistenza. Perché ti amo con ogni fibra del mio essere, e perché so che per quanto tu sia lontano, per quanto tu sia una persona particolare, sarà sempre un sentimento ricambiato. Perché in un modo o nell’altro sei la mia luce nelle tenebre, come la tua voce che dava musica alle mie giornate quando riuscivamo a sentirci tutti i giorni.


Colonna sonora di questa dedica, “Pieces” dei Sum 41.


Un buon Natale a tutti, e non moritemi assiderati da tedio di questo poema epico.


Mentre le piume cominciano a fluttuare…


Buona lettura.


Sempre, ogni giorno di più, e con tutta sé stessa,



Mika




¤~¤~¤~¤~¤




Le fiamme delle candele fremettero, mentre la cera blu oltremare, sciolta dal calore, scivolava placida ai lati del fusto cilindrico.

La loro danza rendeva l’illuminazione della stanza instabile, incerta, nonostante la calma fosse profonda come quella di una tomba.

Un solo respiro rotto, nel buio che le fiammelle non diradavano più di quanto le stelle potessero fare con la distesa nera dell’universo.

Una goccia lieve di sudore scivolò su una schiena bianco latte, prima di asciugarsi, mentre l’ansimare si placava lentamente, infrangendosi con sempre minor costanza sulla pelle olivastra dove le labbra piene erano quasi poggiate.

Un grande onore, indubbiamente, come quello di poter trattenere il suo corpo poggiato a quello dell’altro, i capelli neri di entrambi intrecciati e ramificati sulle lenzuola di seta cremisi, brillanti all’ondeggiare del fuoco.

«Itachi »

Voce profonda.

L’altalenanza delle ombre si bloccò, prima di diventare più intensa, seppur per un secondo appena, e il ragazzo dovette trattenersi dall’imitarle.

« Sì, mio signore»

Voce pacata, ben modulata, mentre apriva gli occhi rossi nonostante non vedesse nemmeno la propria mano poggiata sul petto solido dell’altro.

« Andrai sulla terra, c’è un’anima che pretendo tu mi porti qui negli Inferi»

Perentorio come chi non accetta la possibilità di un fallimento.

D’altronde, in quell’eventualità, le conseguenze non le avrebbe subite lui.

Il ragazzo fissava apatico il paesaggio più che conosciuto, quasi ipnotizzato dal lento volteggiare dei rosei petali di ciliegio sulle correnti della brezza del tramonto.

Ne seguì uno in particolare, che gli parve eccezionalmente perfetto, finché non lo vide posarsi sulla superficie arancione dell’acqua del laghetto illuminata dal sole morente.

Il secco battere della canna di bambù spezzata, che, colma d’acqua, andava a scontrarsi su una pietra, lo risvegliò dal suo stato comatoso.

Era un’atmosfera irreale, quella di casa sua, al tramonto, all’alba…a qualsiasi ora del giorno.

Poiché non vi è nulla di reale in una prigione dorata, che non fa nulla nemmeno per fingersi qualcosa di differente.

E nonostante il silenzio vi sono parole che sfuggono all’udito, parole che sfuggono al suono.

E sono le parole che viaggiano altrove, per poi arrivarti alle spalle e colpire.

Alzò lo sguardo, distrattamente, verso le tegole che formavano il bordo del muro di cinta della casa.

Il rosso del sole gli colpì gli occhi, in una frazione di secondo, costringendolo a strizzarli nel tentativo di scacciare quelle macchie che placide comparivano, si dilatavano e scomparivano, come assorbite, nella loro forma arabescante.

Un sorriso, ma non suo.

Un sorriso a seguire le parole oltre il suono, mentre il serpente avvolgeva le sue spire, apriva la bocca e…

Alzò gli occhi intensamente celesti, incastonati nella linea a mandorla formata dalle ciglia inferiori e superiori, in un fruscio troppo forte per essere solo quello di un passerotto.

Nel voltarsi dei suoi piedi nudi sulla consistenza ruvida del tatami, lo stagliarsi di quella figura longilinea, nera contro il sole del tramonto, sembrò per un momento un’illusione ottica data dal movimento.

Ma quando il suo campo visivo fu stabile al pari dei suoi passi, era ancora lì, con la tunica dal colore indefinito che fluttuava con la leggerezza impalpabile di quello stesso vento che la sollevava insieme ai petali di ciliegio. La forma fiera che sorgeva dalla fine delle spalle fin oltre l’intelaiatura della finestra, in una profusione di piume diafane.

Gli parvero bianche.

Le novità sono solite portare lo stupore nella vita dell’uomo, comparendo con la curiosità di un fratello minore che si affaccia nella stanza del maggiore.

La consuetudine porta il sorriso, la linea di demarcazione oltre la quale la sorpresa si fonde col reale, oltre la quale lo straordinario diventa naturale.

La attraversò con la stessa pacata nonchalance con cui avvicinò i suoi passi alla finestra e stese le lunghe dita a seguito del braccio e della mano, invitando l’angelo a prenderle.

Lo fece, se pur con lieve titubanza.

Colui che doveva stupire era rimasto stupito.

Sollevò il viso, in un ondeggiare innaturale dei lunghi capelli, neri e sottili, attorno al viso la cui perfezione era quasi commovente.

Occhi di un’ossidiana profonda e sfaccettata di pura luce.

Pura luce e pura sofferenza.

E l’unica cosa che possa rivaleggiare con l’inclemenza dell’amore è il dolore, che gli è sadicamente fratello.

Come un innamorato riconosce l’effetto di quel dolce palpitare costante del cuore, un sofferente riesce a percepire quando le dita invisibili strizzano il cuore in una stretta implacabile.

Due atti così simili e così agli antipodi da poter essere sopportati, a cui ci si può assuefare, ma di certo non possono venire ignorati.

« Posso avere il piacere di aiutarti?»

Voce leggera e quasi vellutata, solo per le orecchie del suo interlocutore, lui e nessun altro.

Parole ingoiate e attutite da quattro mura che sembravano troppo atte a soffocare.

L’angelo lasciò che le sue ginocchia cedessero.

Dalla fiera posizione eretta, sul cornicione, che lo portava ad occupare la visuale rendendo la stanza orfana dei raggi del sole, ricadde senza suono seduto su esso.

Le spalle tremanti in un pianto privo di singhiozzi, mentre la mano libera andava a coprire la scia sottile delle lacrime, le dita dell’altra serrate attorno a quelle dell’umano, come a sincerarsi che egli non potesse sfuggirgli.

« Dio ha espresso la sua pietà in te, umano a cui è data visuale della manifestazione dell’annuncio»

Parole di difficile interpretazione, tanto riecheggianti quando la voce morbida era tremante dal pianto che pareva quasi liberatorio.

Non una parola, prima che proseguisse.

« Ho cercato la tua benedizione per spezzare la maledizione che grava su di me. Non riesco a tornare in paradiso…e io…»

La voce s’incrinò fino a spezzarsi, mentre l’altro si sedeva sui talloni ai suoi piedi, a metà tra un segno di rispetto e la consolazione dell’altra mano che andava a scostare quella dell’angelo dagli occhi.

« Non riesco più nemmeno a contattare i miei fratelli…»

Quasi un pigolio, questa volta, mentre le lunghe ciocche nere e tipicamente orientali dell’umano incontravano un punto di luce che rendeva la parte destra quasi bianca, in un incorniciare quantomeno singolare del volto.

« Ti aiuterò, fin dove e come mi sarà concesso»

Quando l’angelo chinò il viso, i capelli non smisero di fluttuare innaturalmente ai lati del capo, ma un sorriso si disegnò sul volto di porcellana, riflettendosi negli occhi a mandorla dell’umano nel momento in cui lo rialzò.

« Per chiamarmi usa pure il nome di Itachi»

Poteva sembrare una regale concessione, posta così, ma la voce era addolcita, rasserenata.

« Shisui Uchiha, ma basterà abbondantemente il nome solo»

Aveva il sospetto che il nome fornitogli dall’altro avrebbe potuto non essere vero, ma d’altronde dall’aspetto era un angelo superiore.

Tutti tra loro avevano un nome sacro la cui pronuncia era una parola di potere, ed era quindi sostituita più che usualmente.

Ma la dialettica di qualsivoglia frase crolla davanti alla semplicità di un sorriso, e riflettere quest’ultimo è più semplice che ribattere a tono con altrettanta retorica.



Così fu.

Sparkling angel
I believed
You were my saviour
In my time of need.



Gli uomini usualmente apprezzano l’armonia.

Apprezzano la grazia.

Apprezzano chi riesce ad essere affine alla natura.

Gli uomini semplicemente apprezzano ciò che da soli non riescono a raggiungere, ciò che non fa parte della loro natura.

Non ne sarebbero ipnotizzati, se ritenessero di poter ottenere queste cose con facilità, per quanto siano loro vicine.

Shisui non avrebbe seguito affascinato le movenze di Itachi che fluttuava, con le ali spiegate e quasi immobili sul pelo dell’acqua, increspata impercettibilmente dalla punta dei piedi nudi che di tanto in tanto vi andava a collidere. Non l’avrebbe seguito, se così non fosse stato.

Pareva essere parte di tutto, e al contempo non assimilabile a nulla.

Così affine, in pace, senza bisogno di perdere nulla di sé stesso per adattarlo a qualcos’altro.

Possedeva il dono di allietare, come Dio aveva voluto, ma faceva parte di lui e lo emanava, senza alcuno sforzo.

Il suo voltarsi fu un vortice di piume bianche e diafane.

Qualcuna cadde sull’acqua scomparendo senza lasciare traccia.

Incrociò lo sguardo dell’altro, aprendosi in un ampio sorriso, e dal laghetto si spostò con un graduale abbassarsi fino al giardino, camminando poi fino al portico sul quale Shisui era seduto.

Privo di peso, quasi stesse ancora volando, si poggiò sulle ginocchia dell’altro, i cui piedi cessarono di dondolare nel vuoto tra il terreno e il pavimento della casa, provocato dalle palafitte antisismiche.

Era stato il modo più semplice che i giapponesi fin dall’antichità avevano trovato per smorzare gli impietosi tremori della terra.

Rimase a fissarlo, senza una parola.

I capelli neri dell’altro continuavano a fluttuare attorno al suo viso, cessando solo nel momento in cui le ali sulla schiena si richiusero e scomparvero in quella che parve solo una folata di vento.

Gli scostò una ciocca dal viso, in un gesto privo di significato particolare.

«A volte mi chiedo se voi siate veramente reali…» sussurrò infine, con sguardo perso.

Dita fredde, quelle che gli si poggiarono sulle tempie per indurlo a sollevare il viso, laddove altri avrebbero fatto pressione sotto al mento. Dite di chi del calore necessario all’uomo per ritenersi sano non aveva bisogno, completo in sé stesso, privo di interazioni.

« Noi siamo il tuo annuncio. Io, tutti gli altri che ti si sono presentati in questi anni. Noi siamo il tuo annuncio»

Ripetè due volte il concetto, di nuovo giostrando la propria frase sulla radice originaria del termine “angelo”.

Greco antico.

Verbo αγγέλλω.

Coloro che portano i messaggi.

«Io non lo so, Itachi…» Ribatté l’altro, con molta franchezza, socchiudendo gli occhi sotto al tocco. «Perché l’unica cosa che avete annunciato fin’ora non la avete annunciata a me»

Frase criptica anche per colui che teoricamente avrebbe dovuto avere la conoscenza di ogni cosa, in ogni campo.

«L’unico annuncio che è venuto da voi per il momento è stato diretto verso i miei genitori, tanto per dirgli che meritavo solo queste mura» Tono amareggiato, con cui andò a prevenire qualsivoglia domanda di Itachi.

Avrebbe chiesto lo stesso, perché fare il giochino dell’interrogatorio?

Itachi voltò per un attimo lo sguardo, pur mantenendo le dita sulle sue tempie, guardandosi in giro come a studiare il giardino, e il salotto che si intravedeva attraverso gli shoji aperti, oltre il corridoio coperto dal parquet di ciliegio ove Shisui era seduto.

Una casa grande, signorile, ma nella quale aveva visto solo e sempre Shisui, come stanziale.

I servi si muovevano come ombre silenziose, ma parevano evitare accuratamente quello che tecnicamente avrebbe dovuto essere il loro padrone, a favore di servigi più silenziosi ma distaccati.

Isolamento.

Prigioniero in una gabbia dorata, ma pur sempre prigioniero.

« Perché?» Domandò, in un soffio, quasi con il timore di sentirsi rispondere.

Le mani dell’altro, a questo punto, si alzarono, andando ad imporsi sulle guance dell’angelo senza violenza, solo una lieve carezza che era speculare alle dita poggiate sul suo capo.

Le fronti si sfiorarono, per un attimo.

Ogni rumore parve annullarsi, all’inspirare dell’altro necessario ad esalare le parole.

« Perché io sono pazzo. Solo un pazzo parla da solo e vede cose che non esistono»

Parole dure, mentre negli occhi neri riluceva una vena di dolore mista alla follia che il pensiero di essere folli provoca.

Tipica crudeltà degli uomini, nascondere ciò che non possono comprendere, così che non avendolo in vista possano illudersi che il problema sia risolto.

Tipica crudeltà degli uomini, surclassare la libertà degli altri uomini, plasmandola e plagiandola a proprio piacimento, così che il più forte finisca con il dominare il più debole.

Tipica crudeltà di Dio, quella di fare del suo eletto la vittima sacrificale, troppo volto alla volontà superiore per capire che di vita ne aveva concessa una sola.

E la vita di Shisui era sottomessa al proprio dono, al proprio destino, che sarebbe giunto solo in seguito…molto in seguito, si spererebbe…

«Shisui…» Chiamare del nome intenso, come ad investirlo del suo pieno significato, mentre raddrizzava la schiena tornando dritto, rispetto alla lieve flessione che l’avvicinarsi così improvviso dell’umano aveva provocato «Tu conosci il tuo destino, la tua assegnazione? Questa non è l’unica vita concessati, e non è nemmeno la più importante, e più duratura. Tu hai un dono, Shisui, e questo dono è il tuo segno…»

Si faceva schifo da solo a dire parole simili, così maledettamente moralistiche e infiocchettati, ma lo spettacolo deve continuare, e la parte è una parte, sul copione. Non accetta repliche.

Lieve incomprensione negli occhi dell’altro, al vedere la quale dovette trattenere un ghigno.

Non spezzare l’equilibrio, la veggenza del destino non è affare da uomini, lasciare che la provvidenza divina abbia il suo corso…

Maniche di idiozie, e lui non ne era toccato.

« Gli umani come te, Shisui…» continuo chiamare del suo nome, quasi ipnotico, mentre la vicinanza dei volti annullava qualsiasi altra visuale per entrambi «…sono gli eletti. Più dei puri di cuore, più di qualsiasi altro…» le ali si dispiegarono, diafane, andando ad avvolgersi come in un rassicurante cerchio attorno ai loro corpi, partendo da dietro le sue spalle «Tu prenderai queste stesse ali, e sarai il messaggio e il messaggero del Signore. Nei secoli dei secoli, Amen»

Concluse, quasi con sacralità, mentre un tremito risaliva nella schiena dell’altro.

Stano pensare di avere uno scopo, di avere un’utilità, se non nella vita almeno in quello che c’era dopo.

Se gli altri potevano dubitare, lui non ne aveva il beneficio. Gli era stato mostrato. “Annunciato”, come sempre ripeteva Itachi.

Se gli altri erano legati indissolubilmente ai propri peccati e ai propri meriti, ai propri pregi e ai propri difetti, lui ne era sciolto, poiché la sua salvezza si appoggiava alla sua stessa predisposizione.

E se gli altri lo avevano relegato, al suono di una doppia mandata di chiavistello, all’interno di mura troppo alte per lasciare speranza, lui ne sarebbe volato fuori, forte delle proprie ali.

« Non essere più triste…io ci sarò sempre…» Un sussurro lieve, perfetta l’espressione di cordoglio, crucciata quel tanto da sembrare coinvolta, ma non abbastanza da sembrare arrabbiata «Ti voglio bene, Shisui…»

E di nuovo quel nome che tornava, quasi con ridondanza melodica, annebbiandogli la mente.

Un movimento delle labbra morbide dell’altro, per pronunciare quelle semplici quattro parole, che lo attirò come un satellite al proprio pianeta.

Ma lui, privo di moto di rivoluzione che lo tenesse distaccato, fu libero di avvicinarsi.

Le dita affusolate, decisamente calde rispetto alla bassa media di temperatura dell’altro, scivolarono sul lato del collo fino ad intrecciarsi ai capelli. Lì strinsero, attirandolo più vicino.

Un sospiro.

Forse di uno, magari dell’altro.

Fosse stato anche di entrambi sarebbe importato ben poco.

Chiuse gli occhi, come se quella bellezza così pura fosse troppo brillante e troppo incontaminata perché il suo animo mortale potesse accettare quel desiderio così traviante, così sbagliato.

Schiuse le labbra perché la consistenza quasi gelida che andò a toccare le sue era troppo morbida perché il suo animo mortale potesse accettare di non andarle incontro, dolcemente.

La vera essenza, di quel sapore che immaginò dovesse necessariamente essere quello dell’ambrosia, la colse solo quando, istintivamente, fece scivolare la lingua sulla bocca semi-aperta dell’altro.

Si era aspettato resistenza, sarebbe stato anche normale se l’altro gliel’avesse opposta, ma nulla di simile arrivò.

L’unica cosa che gli venne incontro fu l’umidore tiepido della lingua dell’altro che andava ad intrecciarsi con la sua.

I volti si inclinarono, sigillando quel bacio e quell’unione.

Cielo e terra.

Mortale e immortale.

Nuovo e antico.

Buono…e cattivo.

Irrimediabilmente cattivo.

Come quel lampo, di malizia e malignità, che, non visto e non visibile da dietro le palpebre chiuse dell’umano, passò negli occhi dell’altro.

Un lampo rosso, che contaminò tutta l’irida.

E il ragno comincia a tessere la sua rete più fittamente, all’avvicinarsi della farfalla…




Blinded by faith
I couldn’t hear
All the whispers
The warnings so clear



« Ma sei sicuro, Itachi?»

« Certo che sì! Su, avanti, aggrappati!»

Nel silenzio di quella casa perennemente vuota all’infuori del primogenito del proprietario, la voce di quest’ultimo riecheggiava solitaria, come se stesse parlando da solo.

La discussione invece era decisamente reale, nonché molto concitata.

Le strade del Signore sono infinite…ma il Demonio ne ha sempre una di più.

Quotidianità, semplice e lineare.

Nulla di meglio per mettere a suo agio un futuro angelo.

Distendere la sua mente, abbassare qualsiasi difesa.

D’altronde, quale arduo compito poteva essere, per uno come lui?

Chiedergli di plagiare uno spirito che aveva trascorso l’intera vita solo, in unica compagnia dei suoi pensieri solitari, in una casa troppo grande per una persona sola e al contempo troppo piccola per poter essere un intero mondo, era come chiedergli di spezzare il tronco di una piantina appena nata.

La giusta pressione, nel giusto punto, per il giusto tempo, e le fibre si sarebbero date per vinte.

Si trattava solo di piegarlo.

Aveva fatto di meglio in condizioni peggiori.

E innanzitutto, se la pianta era già abbastanza grande, come un ventenne, per i canoni umani, si poteva quasi ritenere, per prima cosa andava indebolita.

E nulla indebolisce meglio una creatura dell’essere portata fuori dal suo habitat naturale.

Quindi ora, vicini al muro di cinta, si apprestavano a superarlo, per quanto i metodi paressero non convincere molto Shisui.

Purtroppo fargli capire che non era il peso di una persona in più a farlo crollare al suolo pareva essere qualcosa di fin troppo arduo.

« Ti faccio passare i guai col Grande Capo, se mi mandi a miglior vita in versione pastella per terra» Minacciò, salvo poi avvolgergli le braccia attorno alle spalle, e lasciare che la stretta del loro abbraccio coincidesse con il fruscio delle piume che svettavano di lato, aprendosi in tutta la loro magnificenza, e staccando con un movimento senza suono quanto senza peso i loro corpi da terra.

« Mai sentito parlare di Intelligenze Angeliche?»

« Ma non mi dire, vi si può abbinare anche la parola “intelligenza”» Ironizzò l’altro, sottilmente, guardandolo di sbieco.

Si prese un ironico verso in risposta, che aveva un retrogusto di infantile, prima che arrivasse la spiegazione seria…o quantomeno presunta tale.

« Lo so che la tua mente umana si rifiuta di collaborare, a volte, ma quantomeno prova a capire che di certo non voliamo per questa roba diafana qui. Diciamo che questa è un vettore della nostra forza, viene tutto dalla mente»

Spiegazione semplice, assai convincente, come se davvero fosse applicabile anche a lui.

In realtà era millenni interi che non provava più l’ebbrezza di un volo effettuato in quella maniera, ma queste, di certo, non erano questioni che a Shisui dovessero interessare.

Meglio che fosse felice, spensierato.

Ignaro.

Meglio che concentrasse le proprie iridi scure, incastonate in quegli occhi a mandorla, sulla sterminata distesa di quel campo isolato, dall’alto della sua visuale in un cielo sconfinato.

Fuori dalle mura tanto insignificanti quanto inespugnabili della dimora di famiglia, a sentire solo il profumo condotto dall’imminente primavera, il profumo dei fiori in imminente sbocciatura.

Guardando per la prima volta una città che l’aveva visto nascere e crescere, senza conoscerlo quanto lui non conosceva lei.

E per una volta non era lui ad essere occultato agli occhi altrui per altrui volontà, ma gli altri a non poterlo vedere solo perché lui non desiderava essere visto. Gli altri a non poterlo vedere perché lui, alla volta della sua libertà, aveva accettato un lembo della veste di Itachi.

E in quello stesso lembo era ancora avvolto, quando con leggiadria atterrò insieme all’angelo sotto un ciliegio, ancora nel pieno rigoglio di tutti i suoi petali, dotato ancora perfino di qualche foglia verde.

Nessuna pioggia rosata, ma l’atmosfera non era per questo meno idilliaca, né i loro baci più fuggevoli, quasi scappassero con la brezza.

« Riuscirò a farti tornare in Paradiso» Disse Shisui, ad un certo punto.

Privo di collegamento logico, ma con una decisione che faceva sembrare dovesse per forza averlo.

Peccato che nemmeno l’intelligenza decisamente superiore alla media di Itachi avesse potuto nulla nel districare quella matassa mentale.

« Grazie…ma non capisco il nesso…» Titubante, portò avanti le sue parole.

Non fosse mai che dovesse rimanerci male.

Una mano scivolò tra i suoi capelli serici, che come al solito cessavano di fluttuare solo allo scomparire delle ali, e della tensione di energia che queste portavano, come una scossa.

« Perché poi in quello stesso Paradiso io ti raggiungerò, quando verrà il tempo…E avremo la nostra eternità assoluta e perfetta. Non vorrei trascorrerla in coscienza, se non avessi la certezza della tua presenza…»

La voce si perse in un sussurro, e la dolcezza in un abbraccio.

La perplessità dello sguardo si perse nel lampo di un sorriso, e la malignità per un attimo si arrese all’affetto.

E’ quando il giunco comincia a piegare la quercia, che il destino si ribalta, e le nostre azioni non hanno più certezza…



I see the angels
I'll lead them to your door
There is no escape now
Now mercy no more
No remorse cause I still remember
The smile when you tore me apart



I suoi occhi rossi parevano faticare a riflettere la corteccia dell’albero di ciliegio, che pure era l’unica occupante del suo campo visivo.

Poco importava il dare le spalle alla direzione dalla quale Loro sarebbero dovuti arrivare.

Il peso della spada poggiata in grembo gli era indifferente. Troppo secoli di abitudine.

Magari anche millenni, ma aveva perso il conto.

Il bagliore violaceo della sua aura maligna che si espandeva attorno si rifletteva sulla stoffa bianca delle sue vesti, prima che se la sollevasse senza sforzo, andandola a conficcare nel terreno.

Come una goccia sul pelo dell’acqua, che provoca lenti cerchi concentrici, fino ad incresparne la superficie in modo strabiliante, così la lama che affondava fece ritirare impietosamente l’erba attorno a sé.

Terreno grigiastro, al suo posto.

Ogni facoltà di creare vita disintegrata.

Non era quello il destino di chi da quella spada era toccato.

Nel frattempo, nella mente del diavolo si ripetevano in lenti fotogrammi tutti i più piccoli movimenti di Shisui. Uno per uno, il giorno precedente.

La sensazione di trionfo dell’altro, al pensiero di essere riuscito a contattare due angeli che avrebbero potuto aiutarlo.

Povero, povero, piccolo umano ingenuo…

Seppur all’ombra delle fronde dell’albero, le sue ali spalancate disegnavano un tratto di ombra più intensa. Particolare il modo in cui la loro consistenza diafana facesse passare e non passare al contempo la luce.

Ma alla fine, non era quello il loro scopo principale.

L’importante e l’essenziale era il fatto che la loro consistenza bianca, più che palese, avrebbe attirato i due.

Le prime due mosche inattese e in parte non volute a finire inavvertitamente nella rete del ragno.

E la loro presenza in avvicinamento gli trillava nella testa come una dannata campana di chiesa.

Una mano gli si impose sulla spalla, con delicatezza inaudita.

E ad essa seguì una voce pacata.

Che nervoso, cristo…

« Sei tu l’angelo disperso che il piccolo Shisui ci ha indicato?»

« Sì»

Un semplice monosillabo, ma la voce profonda ed inquietante riuscì lo stesso a sorgere, riecheggiando nella cassa toracica.

Come condotto da essa, il colore nero cominciò gradatamente a tornare sulle ali, a partire dalla loro attaccatura nelle scapole.

Le dita lunghe e affusolate si serrarono in un movimento sinuoso attorno all’elsa finemente decorata della spada, i cui disegni tribali si trasferirono pian piano sul dorso e sul polso, man mano che la stretta dal mignolo arrivava fino all’indice, e il pollice concludeva il tutto, con un suono tanto inudibile quanto fermo.

« Sono io…»

Le bocche sottili dei due angeli si spalancarono, in una sorpresa così evidente che ghignò davvero con piacere.

Lui era famoso, molto famoso.

Famoso e temuto.

Potente.

Lui era il più forte dei decaduti, l’attendente diretto di Lucifero.

Paura, piccoli angeli?

Sarà sempre troppo poca.

Sarebbe stato effettivamente semplice, per il più grande ed esperto dei due, avere l’accortezza necessaria per avvertire le alte sfere della sua presenza decisamente non richiesta e non prevista, e soprattutto delle sue false spoglie per stare affianco al pupillo del Signore.

Peccato che i riflessi, per quanto buoni, necessitino sempre di un minimo raggio di azione.

E lui quel raggio non lo concesse.

Senza remora alcuna staccò con un rumore secco la lama dal terreno, prima di conficcarla nuovamente in tutta la sua lunghezza nel petto dell’angelo.

Voltò la presa della mano e mise in tensione i muscoli.

Definire quel corpo squarciato sarebbe stato un eufemismo.

Così come lo sarebbe stato definire l’altro terrificato.

Il portamento impeccabile, forte di quella bellezza assoluta e crudele, tremenda in ogni sua parte.

La spada roteava nella sua presa, con l’aria di essere senza peso.

E una goccia di sangue scivolava con la stessa placidità di una lacrima giù per la sua guancia marmorea, nemmeno molti secondi dopo.

Residuo della vita del secondo angelo, già scomparsa in un mare di piume.

Solo una era rimasta, e con lentezza, condotta dal vento, si andò a poggiare affianco a quella dell’altro.

Il gong alla fine di uno scontro.

Uno scontro la cui vittoria non era in dubbio.

Nulla gli impedì poi di pulire la spada nell’acqua limpida di un torrente e farla poi scomparire.

Nulla gli impedì di rimettere in piedi l’illusione dissimulativa delle sue ali.

Nulla gli impedì di spiegarle, nuovamente bianche, contro il sole, e tornare a casa di Shisui.

Nulla gli impedì di ricominciare il teatrino.

Planò verso Shisui, individuabile quanto un fiore bianco in un campo di papaveri in piena fioritura, nel mezzo del suo giardino a dare da mangiare ai pesci rossi del laghetto.

Fu quasi divertente inscenare quel plateale crollo emotivo, fatto di lacrime e singhiozzi, avvolto tra le braccia di Shisui, lasciandosi cullare come un bambino dalla madre dopo un incubo.

Ancora più splendido, fu, forse, dare dettagli tanto rocamboleschi e cruenti quanto totalmente inventati sul momento, della scena che si era trovato di fronte appena giunto al luogo dell’incontro.

Non che servisse più di tanto, alla fine.

Alle parole “morti”, “demoni”, “sangue”, “impotente”, già Shisui l’aveva azzittito, comprendendo l’antifona.

Che fosse un umano intelligente non lo si poteva negare.

Fortunatamente aveva quel po’ di autocontrollo maturato nei secoli che gli permetteva di non scoppiare platealmente a ridere.

Si lasciò sollevare il viso, e, nonostante tutto, nonostante la sua indole, il passaggio delle labbra calde e morbide sulla pelle umida di lacrime delle guance aveva un che di piacevole e tranquillizzante.

E la tranquillità lo attirava.

Lo rendeva ossessivo, morboso.

Poiché nulla agogna un rinnegato quanto il ritrovare la pace di cui aveva perso perfino il ricordo.

Nemmeno una rimembranza su cui piangere era stata loro concessa, una volta che la caduta si era conclusa e sconfitti, distrutti, si erano ritrovati nel più profondo degli Inferi.

Il loro Signore non aveva mai smesso di lottare.

Loro erano sempre di meno, ma gli erano comunque rimasti al fianco.

Ma forse, in un’intera esistenza, poteva concedersi che quel momento fosse solo suo.

Nella tranquillità di quel giardino, di quell’abbraccio, di quelle labbra, di quelle parole.

Dove tutto pareva tremendamente giusto e semplice.

«Non posso più restare…Ti metterei in pericolo…» Parole frammentarie, sebbene le lacrime si andassero fermando, nel calore del corpo dell’altro, sulla rassicurante solidità della sua spalla.

« Non andare» Frase dal tono quasi perentorio. Se fosse stato qualcun altro avrebbe potuto pensare si trattasse di un ordine, anziché di una richiesta.

Ma lui, alla fin fine, era troppo gentile anche solo per pretendere.

« Ti amo…» Aggiunse, con parole lente quasi non riuscisse nemmeno lui a capire in bocca che sapore potessero avere.

Due parole che sarebbero dovute essere la vittoria.

L’apoteosi della sua superbia.

Ma quella lacrima che gli attraversò trasversalmente la guancia destra, disegnandone l’ovale perfetto, pareva avere una densità così diversa, una scia così tanto più salata, rispetto alle altre…

Sorrise nella sua spalla.

Dolcemente.



You took my heart
Deceived me right from the start
You showed me dreams
I wished they'd turn to real
You broke a promise
And made me realise
It was all just a lie



La loro realtà non aveva dimensione di appartenenza.

Nessuno poteva catalogarla.

Loro non appartenevano al Cielo.

Loro non appartenevano agli Inferi.

Loro si appartenevano l’un l’altro, semplicemente, e nessuno avrebbe dovuto avere l’ardire di intromettersi.

Si era abbandonato.

Aveva ceduto come mai in millenni di esistenza.

Solo per il gusto di rimanere accasciato tra le braccia dell’altro, e sentirsi al sicuro.

L’orgoglio assopito con le carezze.

L’inquietudine e la combattività messe da parte, convinte con la pazienza.

Aveva rivisto la luce, la pace, che aveva imparato tempo prima ad abbinare a quel periodo dell’esistenza che gli umani chiamano usualmente infanzia.

Shisui ve lo aveva condotto, con grazia, nel suo Paradiso personale.

Nel Paradiso che ogni prescelto si porta dentro.

L’aveva accolto laddove Dio l’aveva cacciato.

E aveva accettato, tacitamente, e parimenti inconsapevolmente, ogni colpa che Itachi aveva sempre creduto non sarebbe stata perdonata.

C’era un gusto nuovo, nel rimanere tra le sue braccia senza vestiti e senza forze, a sentire i rumori tenui del giardino della casa, estraniata dalla città che pure lo circondava.

Non c’era modo in cui lui sarebbe potuto rimanere lì, vero?

Una parte di lui era rilassata, il suo respiro era accordato con quello dell’altro, cullato e condotto dall’alzarsi ritmico del petto sotto la sua mano candida e affusolata.

E l’altra era in tumulto, sottomessa alla volontà di quelle braci in vece di iridi, di quegli occhi che non trovavano mai conforto dall’ira, dall’incarnazione del tormento.

Da Lucifero, che era il suo signore e padrone, e non avrebbe mai accettato nemmeno l’idea di un pensiero di tradimento.

If I lay here, if I just lay here, will you lay with me and just forget the world?

« Io…credo di amarti, Shisui…»

Chiuse gli occhi, con un lampo rossastro da sotto le palpebre che illuminò le iridi nere, invisibili per chiunque, al momento.

Chiuse gli occhi e ricacciò all’indietro quella parte di lui che tendeva la mano per essere salvata.

Quella parte di lui che, se non fosse stato per il suo smodato orgoglio, per quell’onore che non avrebbe mai e poi mai accettato uno sbaglio, avrebbe fissato piangendo la luce immensa che lo stava scaraventando giù dal suo luogo di nascita, la luce che gli stava rendendo corrotto l’aspetto, come corrotta era la sua anima.

La parte di lui che verso quella luce avrebbe sporto il braccio, chiedendo misericordia, chiedendo perdono, solo per sapere che gli erano ancora concessi.

Quella parte di lui che si sarebbe fatta consolare da Dio e dalla sua voce vellutata.

Ne aveva perso la memoria, di quale fossero il suo aspetto e la sua voce.

E aveva quindi perso ogni speranza di redenzione.

Lui non viveva di parole

Le parole non gli servivano.

Le parole erano per gli umani, che senza non sembravano in grado di vivere.

Trasferivano in esse le loro emozioni, imbellettandole, fino a perdere quell’impatto che li travolge inizialmente.

L’impatto su cui si basa la tentazione.

Che poi era anche lo stesso sull’onda del quale lui viveva.

Doveva farsi trascinare da esso, perché la sua stessa natura non entrasse in contrasto.

E non aveva bisogno di quell’ipocrisia.

Però quelle parole avevano un retrogusto così particolare, in bocca. Avevano una risonanza così particolare nelle sue orecchie. E Shisui sembrava così coinvolto da esse

Si tirò su, puntandogli l’avambraccio al lato del volto.

« Nuncet semper…»

Suggellate dal bacio, quelle che ancora una volta erano solo parole.

Ma è solo con le parole che si esprime il mondo intero…

Amor, che al cor gentil ratto s’apprende…



Sparkling angel
I couldn’t see
Your dark intentions
Your feelings for me
Fallen angel
Tell me why
What is the reason?
The thorn in your eye?


I see the angels
I’ll lead them to your door
There is no escape now
No mercy no more
No remorse cause I still remember
The smile when you tore me apart



Fissò l’intreccio delle loro gambe sul tatami, in modo quasi sonnolento.

Era cosciente della consistenza rigida della parte che sosteneva Shisui, ma, per quanto lo riguardava, dietro la schiena aveva solo il petto morbido dell’altro.

Magari poteva concedersi un sonnellino…tanto per festeggiare il fatto che i genitori di Shisui avessero cortesemente deciso di togliere di nuovo le tende.

Erano stati un imprevisto, doveva ammetterlo.

Ma quel cambio di programma gli aveva permesso di svolgere un paio di commissioni giù agli Inferi senza arrampicarsi sugli specchi, e aveva attivato il fattore “mancanza” in Shisui.

E gli umani erano tremendamente succubi della mancanza.

Lo era anche lui, ma ammetterlo sarebbe stato deleterio.

Ad un diavolo mancano più cose di quelle che ha o potrebbe avere.

Non c’è soddisfazione.

Lieve sbadiglio appena trattenuto, smorzato dal richiamo vicino all’orecchio.

« Itachi…»

« Nh

Risposta interrogativa di placida attesa, al solito.

« Ho avuto modo di parlare con l’angelo custode di mio fratello riguardo alla tua situazione, e della fine che ha fatto il nostro primo tentativo di contatto. Ha detto che ti aspetta sotto la Cascata Mishin, dopodomani alle tre»

Non visto, alzò gli occhi al cielo.

Ma per la miseria, gli pareva di averla già avuta, la sua dannazione…Perché quell’umano ancora non si arrendeva? Aveva preso così sul serio la promessa di aiutarlo?

« Grazie» disse, con un sorriso aperto e apparentemente così sincero da rendere impossibile, perfino inconcepibile, andare solo a pensare che stesse ponderando bestemmie.

Nemmeno un minuto prima era l’apoteosi del rilassamento e ora doveva mettersi a pensare al fatto che avrebbe dovuto smuoversi, più prima che poi, per stroncare qualche altro essere dalle piume bianche.

Non presentarsi sarebbe stata un’idiozia. Persino così intorpidito riusciva a capire che catena irreversibile di casini gli avrebbe provocato un gesto del genere. E con la giusta dose di sfortuna la voce sarebbe arrivata persino ai piani alti.

Meglio un omicidio in più, tanto non sarebbe stato il primo né l’ultimo.

Zittì qualsivoglia discussione con Shisui con un bacio.

Non aveva voglia di parlare.

La sua tunica ondeggiava nella brezza leggera che la potente caduta dell’acqua della cascata smuoveva, riempiendo di goccioline l’aria.

Non si era mai soffermato a osservare quanto bello fosse un piccolo arcobaleno sul pelo di un’acqua limpidissima e gelida.

S’inginocchio a terra, allungando la mano fino a immergerla, e chiuse gli occhi per godersi la sensazione della corrente che pressava lievemente sulla pelle tentando di convincere la sua mano a cedere alla sua forza.

Percepì due aure che si avvicinavano.

Ritrasse la mano.

Una corsa libera nelle campagne, libera ma forse non goduta appieno.

Si tratteneva sulle spalle muscolose il kimono forse un po’ troppo casalingo, percependo il ritmo dei suoi stessi passi ad accompagnare i rumori della natura.

Conosceva la strada, più per sentito dire che per altro.

E nella sua mente, ora, tutto era volto ad arrivare il prima possibile, ad assistere a quel colloquio.

Per egocentrismo umano, pensava forse di poter aiutare nella mediazione della situazione.

Per egoismo umano, avrebbe voluto che Itachi non se ne andasse mai, che rimanesse lì, incatenato da quella maledizione che, a quanto lui diceva, gli impediva di tornare, e che non se ne andasse mai dal suo fianco.

Per altruismo angelico, avrebbe voluto che lui potesse risalire nel Paradiso, nella sua casa di sempre.

Per amore, per semplice amore, voleva solo che lui fosse felice.

Il rumoreggiare dell’acqua era forte nelle sue orecchie, e altrettanto dolce, poiché così differente dallo scrosciare languido e monotono del laghetto nel suo giardino.

Le sue scarpe di stoffa scivolavano sui sassi muschiati, e aveva il fiatone per la lunga corsa, ma l’aria che respirava e gli alberi cui si aggrappava facevano battere il suo cuore in una specie di intensa euforia.

Un sibilo metallico stonò con la quiete naturale di quel luogo, spezzandola.

Strano, e assolutamente fuori luogo.

Molto più simile ai rumori che echeggiavano nella palestra della villa quando il suo sensei lo allenava nell’arte della spada, piuttosto che all’acqua che batteva sulle pietre.

Scostò un ramo e superò la pianta che gli impediva il passaggio.

Il sole troppo diretto per un attimo lo accecò.

Qualcosa schizzò sulla sua guancia morbida e liscia.

Pian piano, mentre faceva scorrere il dorso della mano su di essa, la vista cominciò a snebbiarsi.

Sulle gocce di sangue, non si riflette la luce.

Le gocce di sangue non creano l’arcobaleno.

La luce intensa rendeva i lunghi capelli neri lucidi come la seta più pura, come incurante dell’essenza stessa della notte emanata dalla moltitudine di piume da corvo.

Quella figura, così tanto familiare e al tempo stesso tanto estranea, trasferiva nella sua mente confusa il vero significato della parola morte, attraverso il sensuale scivolare del sangue su una lama che pareva troppo grande e troppo pesante per un corpo così sottilmente slanciato.

La mente dava l’identificazione, e il cuore esagitato nei battiti la rifiutava.

Ma il desiderio di scoprire è sempre stato ciò che porta l’uomo alla dannazione.

« …I…Itachi…»

Fece quasi fatica, a pronunciare il suo nome.

« Itachi…tu…quegli angeli…le tue ali…»

« Shisui, io…posso spiegarti!»

« Ah, lo spero per te!»

L’angelo sobbalzò, colpito da una tale ira. Sarebbe stata più dura del previsto…

E non aveva senso, mentire.

Non ora.

Per quanto fosse tremendamente intelligente, per quanto fosse tremendamente scaltro, non riusciva a trovare qualcosa di abbastanza convincente da sfatare l’evidenza dei fatti.

« Io…io sono un decaduto…sono uno di quelli che seguirono Lucifero negli Inferi…dopo la sua battaglia contro Dio…»

L’umano si sedette su una roccia, mentre la schiacciante ed improvvisa consapevolezza lo opprimeva. Allora esistevano davvero…quegli angeli dei quali il suo Custode gli aveva parlato tanto tempo prima, e dai quali doveva guardarsi…

« E tutta quella storia della maledizione…della tua relegazione qui…tutta la tua disperazione…»

Non ebbe la forza di fissare quegli occhi azzurri, concentrandosi sulle felci mentre rispondeva:

« Mentivo»

Poté quasi sentirlo, il suo cuore che si spezzava…

La voce del ventenne tremò pericolosamente, mentre chiedeva: « Perché?»

Lievi goccioline di acqua scivolavano placide sulla liscia consistenza delle foglie, seguite dal suo scuro sguardo, ricondotto a quel colore dopo il rosso carminio che lo aveva dominato in battaglia.

« Perché dovevo portare la tua anima alla perdizione. Mi era stato ordinato da Lucifero…»

Dire la verità faceva così male perché era contro la sua natura, o perché la realtà era troppo crudele in confronto alla finzione?

« S…solo per questo…? Mesi e mesi passati con me…solo per questo…?» la voce rotta dal dolore del tradimento si alzava di tono ad ogni frase sospesa « Mesi di attenzioni e parole gentili…solo per questo?!»

« Shisui, io…»

Venne impietosamente interrotto dal grido di Shisui, tremante di un pianto sempre più incombente.

« Anche quando mi fissavi in volto e dicevi di amarmi, mentivi?!»

« No, io…»

« GUARDAMI NEGLI OCCHI, QUANDO MI PARLI!...i tuoi occhi fissavano i miei mentre intessevi il tuo mondo di menzogne…ora che devi dirmi la verità non ci riesci?»

Preso dal lato dell’orgoglio, Itachi sollevò fieramente lo sguardo, fissandolo nel suo.

« Io ti amo, Shisui. Ti amo sul serio, come mai in vita mia ho amato. Ti amo»

Amor, ch’a nullo amato amar perdona



You took my heart
Deceived me right from the start
You showed me dreams
I wished they would turn into real
You broke the promise and made me realize
It was all just a lie?



Parole semplici e dirette, pronunciate con un’espressione toccata e ferma, che ebbero la capacità di far sfatare l’ira che era montata dentro Shisui.

Perché la rabbia, per quanto forte e corrosiva, era ancora troppo giovane per surclassare quell’amore così consolidato da sembrare sempre esistito.

Perché la voce che le aveva pronunciate vibrava di emozione, tentando di esprimere con il tono la loro vera essenza così effimera.

Perché l’espressione del suo volto sembrava così turbata da ciò che egli stesso stava dicendo, da farlo quasi intenerire, mentre l’immagine del diavolo sanguinario con la spada sgocciolante di carminio appoggiata sulla spalla andava pian piano sbiadendo.

« Ti prego, Shisui…non ti chiedo di perdonarmi…solo…credimi…quando ti dico…ti amo»

Si maledisse, internamente.

Si maledisse per essere così terribilmente corruttibile da quelle che erano probabilmente solo belle parole.

Ma non poté fare a meno di passare un braccio attorno alle sue spalle, attirandolo a sé, e sentendosi stringere forte.

Dopo l’astio e l’isterismo che gli avevano sconvolto la mente, portandolo a trovare qualsiasi difetto ed esempio di menzogna da parte di Itachi, ora, condotto da quelle mani sottili e da quel calore sempre così intenso che lo avvolgeva con dolcezza, riusciva a ricordarsi tutto ciò che aveva portato il loro legame ad essere così saldo.

Ricordava i piccoli sorrisi che distendevano le labbra morbide e carnose di lui, quando lo guardava.

Ricordava le lunghe ore che l’altro aveva passato tra le sue gambe, con la testa appoggiata al suo petto, a percepire la vibrazione mentre la sua voce melodiosa modulava i suoi haiku preferiti, finché egli non si addormentava addosso a lui.

Ricordava le bacchette che, appoggiate sulle sue dita, lo imboccavano amorevolmente ogniqualvolta ne avevano l’occasione.

Ricordava la profondità e l’armonia dei suoi canti sommessi condurlo al sonno quando l’inquietudine glielo precludeva.

Ricordava quanto fosse bello, sentirsi dire che sarebbero rimasti sempre insieme, che non l’avrebbe mai abbandonato…

« Anch’io ti amo, Itachi…qualsiasi cosa tu sia…»



Could have been forever.
Now we have reached the end.



E laddove il cuore trova la pace, dove la natura tranquilla avvolge senza stringere, dove il sosrriso torna pacato nell’odore delle lacrime, tutto si tramuta nell’equilibrio di un cristallo.

Ma il cristallo non sarà mai diamante.

E un solo colpo, con la sola punta dell’unghia, nel punto giusto, manda tutto in frantumi, con un impatto tanto delicato e melodioso all’esterno, quanto dirompente e distruttivo nel bilanciamento interno.

E così, se quel palmo di mano dalla carnagione olivastra, fuori si alzò con solo un fruscio di vesti nere, se l’acqua della cascata si piegò remissiva alla pressione della sua mente, per la grotta retrostante ad essa fu l’annuncio dell’Apocalisse.

Annasparono nel prorompere dell’acqua, implacabile, che riempì la grotta e poi rifluì all’esterno, tra schizzi potenti come schiaffi e gocce vaporizzate tanto sottili da insinuarsi fin dentro i polmoni.

Poi tutto si concluse, con un ritorno graduale e scivoloso al silenzio.

Ma, nonostante il rumore della cascata fosse ripreso, la visuale della grotta era libera.

Impossibile perfino per l’acqua, opporsi alla forza mentale della figura che restava sospesa a pelo dell’acqua, in un’aurea violacea e dall’aspetto insano.

Impossibile, poiché seppur rinnegato era sempre il custode del potere che Dio aveva riservato al suo prediletto.

Il suo Astro del Mattino.

Shisui chiuse gli occhi per liberarsi dell’acqua che gli impregnava le ciglia.

Sei ali.

Nere, immani, e dispiegate in circolare attorno al corpo.

E un ghigno, sadico, quasi, a dare una luce sinistra al volto.

Il tremito al suo fianco lo percepì come se fosse proprio, mentre un suono sottile e sordo palesò il passo indietro di Itachi.

Nessun bambino gradisce essere scoperto a rubare la marmellata. In particolare se la madre è stata parecchio tassativa su quel barattolo…

Chissà se avrebbe visto anche sul viso di Adamo ed Eva quell’espressione terrificata e impotente, colpevole e senza speranza di fuga, nel momento in cui avevano violato la loro unica e per questo massima restrizione.

Itachi, però, lo sapeva perfino meglio di loro, paradossalmente.

Dio aveva promesso il perdono.

Dio aveva concesso suo Figlio, per aprire la via alla redenzione.

Lucifero no, non l’avrebbe mai fatto.

Non c’erano più vie di fuga, ora.

Alcuna pietà.

In realtà forse non c’erano mai state…

Lui non chiese spiegazioni, ma lo guardava in faccia.

E la sua presenza a scandagliargli la mente la percepiva come quella di un cancro che si fa strada all’interno.

E ciò che lui avrebbe considerato il morbo che aveva traviato il suo prediletto lo avrebbe trovato subito.

Traviato dall’amore.

E l’amore lo pervadeva.

Quello era tradimento.

E un traditore non perdona chi lo tradisce.



This world may have failed you,
It doesn't give a reason why.
You could have chosen a different path in life.



Impeto di lucidità, improvvisa, repentina, mentre fece per girarsi verso Shisui e sfiorarlo.

Un solo tocco e l’avrebbe fatto scomparire.

Ovunque lui fosse ricomparso, dai piani alti sarebbero tornati a percepire la sua presenza, al momento offuscata dall’aura maligna di Lucifero.

Era sicuro che l’attenzione del Paradiso intero fosse volta a quell’angolo di terrra.

Il Rinnegato non può uscire dal suo regno senza essere notato.

L’avrebbero salvato, Shisui sarebbe stato intoccabile perfino per Satana se Lui avesse mandato i suoi arcangeli e le sue squadre di esorcisti.

Ma Itachi non apparteneva a sé stesso.

Aveva cercato la libertà tra le braccia di un padrone molto meno clemente, molto meno lassista.

Il dolore gli esplose nella testa, mentre sulla fronte sorgevano gli arabeschi neri, i segni della sua dannazione che Lucifero possedeva, a macchiare la pelle bianca.

Gli stessi arabeschi che Shisui aveva visto quando, con l’incanto, aveva traviato la sua percezione del reale, e in particolare del colore delle ali.

Simboli del suo potere e della sua debolezza.

Finì inerme, sollevato da terra, un urlo strozzato e prolungato di sofferenza che si fece strada a fatica nel suo corpo, in tensione fin nel più piccolo muscolo.

Non poteva nemmeno guardare Shisui in volto…

Quel volto che al momento era una pietra, sconvolta ed inerte.

L’incarnazione del momento in cui la coscienza umana si scontra col non intelligibile, con poteri che nel suo caso erano stati sì rivelati, ma mai nella loro piena potenza.

E soprattutto, mai nella versione traviata, di quella potenza.

Il primo taglio partì dal basso verso l’altro, sulla sua guancia, e squarciò la pelle concludendosi con un sottile schizzo di sangue verticale.

Le gocce ricaddero sulla roccia bagnata ad un metro e mezzo sotto di lui sospeso in aria.

Il giro di note lente e suggestive che danno inizio ad una sinfonia spettacolare.

L’avrebbe ucciso così e sarebbe stato un lento tripudio di sangue.

Avrebbe sorriso, se il dolore non gli avesse invaso i muscoli facciali.

Era decisamente nel suo stile, niente da dire.

Quando la goccia toccò l’acqua, dissolvendosi in essa in sottilissimi rivoli rosati, l’Allegro ebbe inizio.

Il suo urlo scosse la vallata, rimbombando nella pietra.

Nemmeno se mille lame l’avessero colpito in contemporanea avrebbero potuto aprire così tanti tagli contemporaneamente.

Shisui sentì distintamente la consistenza densa di una goccia di sangue sulle labbra, più di tutto quello che gli ricoprì il corpo a causa dell’eccessiva vicinanza.

« Basta!»

Strozzato da un pianto che non si era nemmeno reso conto di trattenere, l’urlo sorse spontaneo, equiparandosi per un momento alle grida di Itachi.

Eppure lui avrebbe solo voluto vederlo felice per sempre…

Gesto secco della mano che prima era ancora stesa lungo il fianco, da parte di Lucifero.

E si sentì catapultare all’indietro, inchiodato alla parete.

Percepì con inquietante chiarezza la pietra dietro le sue spalle cominciare a mutare forma, al di là della pressione costante che continuava a schiacciarvelo contro.

Migliaia di piccoli punti che aveva il sospetto si sarebbero trasformati in altrettanti spessi spunzoni.

Conficcati direttamente nella sua schiena, nelle sue gambe, nel suo collo, nelle sue braccia…nella sua testa…

Il male, evidentemente, non conosce limite morale alla fantasia e alla perdizione.

Ma questo lui non era abbastanza esperto del mondo per capirlo davvero.

In quel momento Itachi si inarcò all’indietro, gli occhi rivolti verso un cielo che non aveva più guardato da secoli, volente o nolente, un grido di dolore che vi si innalzò.

Chiuse gli occhi per non vedere, strinse i denti per non urlare.

L’udito e il tatto, però, non poteva sottrarseli.

Dietro la sua schiena, il tessuto cominciava a rompersi sotto gli spunzoni che prendevano forma acuminata.

Strinse i pugni, all’ennesimo urlo di Itachi.

La figura di Lucifero poteva quasi vederla ancora lì, come se avesse gli occhi aperti.

I capelli neri in onde sinuose e inquietanti a muoversi attorno al viso di una perfezione virile e inquietante.

Traviata.

Occhi rossi come lo stesso Inferno, incrinati dal grigio, dal violetto, dal nero, in un tumulto di potere e di peccato.

Non avevano scelta.

Una scelta non esisteva.

Forse non era mai esistita.

Burattini nelle mani altrui, troppo poco potenti, sia lui che Itachi, per riuscire a prendere le fila del proprio destino.

E se una volta, una volta sola, il secondo le aveva avute tra le mani, il momento era stato troppo breve per discernere con le esattezza le due vie.

Erano state due, troppo differenti e troppo drastiche.

E lui era stato ancora una volta troppo poco potente.

E gli uomini preferirono le Tenebre alla Luce

Lui però, nato umano e destinato ad elevarsi a più alte sfere, in realtà non aveva mai lottato davvero.

Non aveva mai avuto modo di capire quale fosse la differenza tra egoismo e altruismo.

La sofferenza urlata e al contempo singhiozzata di Itachi lo scosse dentro.

Aprì gli occhi, celeste intenso.

E la luce brillò, tra le nuvole addensatesi.

Brillò e le dilaniò, riflettendosi sull’acqua.



The smile when you tore me apart.
You took my heart,
Deceived me right from the start.
You showed me dreams,
I wished they'd turn into real.
You broke the promise and made me realize.
It was all just a lie.



L’apertura sistematica dei tagli si fermò, per un attimo, nello stupore.

Lucifero si concesse un battito di palpebre, nel vedere, diafane, quasi come un’allucinazione, le due ali dalle scapole di Shisui spalancate con fierezza, a staccarlo dal muro.

Pervaso di una luce propria, come se la montagna che sorreggeva la cascata fosse improvvisamente crollata per donargli i raggi del sole.

E nel frattempo, le nubi in cielo si ritiravano a favore di questi ultimi.

Alzò gli occhi, di sbieco, verso l’alto.

Sull’espressione apatica si dipinse un ghigno che pareva quasi divertito.

« I fatti tuoi mai, eh?»

Domanda apparentemente senza senso, inudibile per alcuni.

Forse inudibile anche per Lui.

Forse erano secoli che la sua voce non gli giungeva più.

E forse era così per volontà di entrambi.

Ma lui rimaneva il Suo prediletto.

Lo sapeva, lo aveva sempre saputo.

Si sarebbe trattato di accettarlo come postulato…

Ma l’aveva creato troppo scettico per la fede, troppo passionale per il platonismo.

Gli era piaciuto illudersi che gli piacesse così, in realtà.

Ma sapeva parimenti che non tollerava che i suoi prediletti venissero intaccati. Nemmeno se era lui ad intaccarli.

Purtroppo per lui era poco incline a pensare che un futuro angelo era comunque basilarmente un essere umano.

Troppo probabile che non ci avesse nemmeno fatto caso.

Si stupì ugualmente dei poteri che fu in grado di liberare.

L’acqua era sotto il suo controllo, versatile e potente nel suo essere inafferrabile.

Simbolo di una personalità molto meno succube di quanto si potesse essere inclini ad immaginare.

Forse semplicemente un uccellino tenuto per sempre in una campana di vetro invece di essersi indebolito aveva conservato e fatto tesoro della forza delle sue ali a smaniare di volare…

La tortura mortale su Itachi si interruppe, in virtù del fatto che, oltre ogni sua previsione, si trovò costretto, quasi, a difendersi con serietà.

Lo attaccava con maestria non indifferente per essere un novellino.

Peccato che lui la sua maestria l’avesse affinata e sviluppata nei secoli…

Parò, ovviamente, e si concentrò forse nel prendersi il gusto di annullare gli attacchi dell’altro.

Gli angeli la materia in qualche modo la manipolavano, con il beneplacito della natura.

Con essa erano in sintonia totale, in un continuo dare e avere, in un continuo interscambio.

Lui e i suoi diavoli la natura la piegavano, la spezzavano, la disintegravano in un nulla che non era contemplato da Dio, se non per loro.

Erano il suo opposto, la sua nemesi, e dove sussistevano loro i quattro elementi non avevano motivo e diritto di permanere.

Non poteva sperare di vincere, non solo così.

E non poteva sperare di sopravvivere.

Se anche lui non avesse contribuito, si sarebbe ammazzato da solo.

Perché il bene, paradossalmente, era troppo benigno per pensare a tutto.

Non sarebbe riuscito a rivoltare mezzo Paradiso, millenni e millenni fa, se la buona fede di Dio non l’avesse condotto alla rovina.

E aveva capito ciò a cui il suo adorato Signore non aveva pensato.

Essendo comunque merito suo, in qualche modo, se i suoi rinnegati e lui stesso avevano trovato il modo di utilizzare comunque poteri che avevano solo cambiato la loro polarità nella caduta, conosceva la dinamica della cosiddetta “intelligenza angelica”.

Povero piccolo Shisui…

Non avrebbe resistito alla Risonanza.

Mai.

Itachi lo guardava, sforzandosi di vederlo davvero tra le spire del dolore, nel deperimento del suo stesso organismo provocato dalla perdita di sangue che il potere di Lucifero impediva si bloccasse tramite la rimarginazione delle ferite.

Lo guardava, e si chiedeva se qualcun altro avrebbe mai lottato così per lui.

Come fosse una bestia in punto di morte decisa a sfruttare ogni sua goccia di vita.

Come se non ci fosse nulla di più importante di tentare di salvare la sua, di vita, che ormai era agli sgoccioli ad ogni stilla di sangue che defluiva dal suo corpo per infrangersi sulla pietra.

Gli venne da piangere, senza che nemmeno avesse la forza mentale di sviluppare la consapevolezza che non ce l’avrebbe mai fatta.

Ma forse, questo lo aveva sempre saputo…

Nel momento esatto in cui aveva concepito che quel sorriso così pacato, quegli occhi a mandorla rivolti sempre verso di lui, potevano essere di più di una missione, di più di un’anima da trafugare, aveva segnato la condanna di entrambi.

Ma in quel momento lo guardava solo.

Lo guardava e basta.

E non era più un essere mortale e fragile come il cristallo, ai suoi occhi.

Alla sua bellezza si era aggiunta la forza e la grazia divina.

E l’avrebbe abbracciato senza lasciarlo più.

L’avrebbe guardato fino a non riuscire a mettere più a fuoco nient’altro.

Se non fosse che il suo corpo forte e flessuoso si irrigidì, nel kimono, ad un certo punto.

Uno spasmo che era quasi un tremito.

E il rivolo di sangue che gli scivolò, in diretta dallo stomaco, o forse dai polmoni, fuori dalla bocca, sembrò il fiorire di un papavero in un campo di margherite.

Spostò gli occhi neri e inorriditi su Lucifero, il cui ghigno gli diede ogni conferma.

Non era anormale, era previsto.

Quantomeno da lui era previsto.

Lo vide alzare il viso, il ghigno che si allargava.

« Lo hai ucciso, sei contento? E’ il tuo divino potere ad avergli deteriorato l’organismo! Congratulazioni!»

Cattiveria, nella sua voce.

Cattiveria e soddisfazione.

« Ma l’ultimo atto…sarà il mio…»

Lo sibilò quasi, prima che entrambi vedessero la mano sollevarsi con una lentezza irreale, prima che il braccio si fermasse in linea sulla spalla e il palmo non arrivasse ad essere di fronte al viso di Shisui.

Sul fondo della grotta sotto la cascata, uno spunzone acuminato si andò a creare, affinandosi.

Un’aura nera avvolse la mano.

Altre due dita dell’altra ancora libera si alzarono in un gesto secco.

Amor condusse noi ad una morte

Caina attende chi a vita ci spense…



Could have been forever.
Now we have reached the end
.



La pressione dell’aria mutò, in un’onda d’urto che parve risucchiare Shisui in avanti per una frazione di secondo, prima che lo sbalzasse indietro.

Itachi urlò il suo nome, guardando il volo di metri e metri in totale incapacità di controllo che lo condusse infine a infrangere la schiena sul muro, lo spunzone conficcato nello stomaco.

Il viso di Shisui si deformò nel dolore che lo colse, insopportabilmente troppo forte, nella pura sorpresa che lo sbalzo gli aveva provocato.

Al rivolo di sangue si andò ad aggiungere un fiotto puro.

Dalla bocca semiaperta defluiva lentamente la consistenza densa, senza che potesse far nulla a riguardo.

Troppo poco tempo per guardarlo, a dir la verità, ma abbastanza da imprimerselo fin dentro la retina.

Troppo poco tempo per il dolore lancinante che lo trapassò come una scossa, incessante per lunghissimi secondi, finché non seppe con certezza che era questione di poco.

Cinque litri fanno presto a defluire…

Pigramente, Lucifero rilasciò l’influenza sul muro della grotta che tornò liscio.

Shisui, privato del sostegno al proprio corpo ormai privo di forza, cadde a terra, riverso in un lago di sangue.

Solo gli occhi celesti, come il cielo che era tornato a coprirsi con le nuvole, fissavano in avanti liquidi.

Fissavano il Rinnegato ridere di gusto, avvicinandosi ad Itachi.

Si staccò da terra senza sforzo alcuno, prendendogli il viso tra le mani.

« Eri il migliore, il mio prediletto…lo sei sempre stato…»

Che potesse essere deluso?

Possibile, ma non così probabile.

« E forse lo sei ancora. Ti ho concesso una morte che mi è costata parecchio sforzo…»

Ma quale magnanimità, decisamente

« Hai toccato il fondo, Itachi. Assaporati la morte, ne hai una sola a disposizione»

E con queste parole sparì, insieme all’incantesimo che tratteneva Itachi a mezz’aria.

Caracollò, inerte come lo era stato l’umano, finendo supino, di fronte a lui.

Il loro sangue si mischiò, divenendo un’unica pozza rossastra, in cui si consumò il loro addio fatto solo di sguardi.

Non potevano pretendere né da sé stessi né dall’altro la forza di parlare.

Ma gli occhi che si guardarono fissi valsero più di tutte.

Valsero parole, baci e lacrime.

Valsero un congedo che non sarebbero mai stati in grado di darsi.

Erano lì a risultato delle loro scelte, dei loro bivi.

Il capolinea di tutto era quello.

C’erano altre vie, c’erano state sicuramente, ma non le avevano predilette.

Forse, se lo avessero fatto, nessuno dei due avrebbe avuto qualcuno da guardare nel momento in cui la vita defluiva.

Allungarono le mani, Shisui la destra, Itachi la sinistra.

Le allungarono con le loro ultime forze.

Le dita si tesero l’una verso l’altra.

Ma la fine di una vita non è un lieto fine.

Non ci sarebbero stati mai sorrisi dolci e sguardi idilliaci.

Erano un insieme di lividi e sangue e non avevano bisogno di tutto quello.

Il sangue schizzò appena, macchiandogli anche il dorso delle mani quando i palmi vi si infransero sopra, quasi in sincrono.

Indici e medi finirono quasi incrociati, l’uno nello spazio di apertura delle dita dell’altro.

Non si toccarono mai, come il cielo non può toccare l’inferno.

Come Dio e il Diavolo alla fin fine non possono toccare direttamente l’uomo.

Le loro mani non si toccarono mai.

Ma i loro occhi persero ogni luce mentre ancora si guardavano.

Poco importava che non sarebbero mai riusciti ad essere uniti.

Mai come avrebbero voluto.

Ma quello sguardo era per loro.

Ed era per sempre.

In

Secula

Seculorum

Amen.

  
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