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Autore: Envy_Love    15/12/2007    4 recensioni
"«Uff.. e va bene, ti accompagno a casa tua!» fece, sbuffando. «Dov’è che abiti?» chiese, osservandolo dall’alto. Il bambino era spensierato.
«Non abito.» disse, stringendo la mano del più grande, un po’ più forte.
«Che vuol dire?» chiese l’altro inarcando un sopracciglio «Non può essere che “non abiti”!» sbottò, poi. Sbuffò, alzandolo per la mano e prendendo il braccio il marmocchio: era leggerissimo, e vestiva con abiti alquanto stracci. «Dove vivono i tuoi genitori?» insistette.
«Non abito perché non ho mamma e papà!» e gonfiò le guance, imbronciando poco il viso. L’altro fermò il passo, e lo fissò. «E tu hai detto di essere mio fratello, quindi lo sei!» decretò, annuendo. «Non hai..?» cominciò. E si interruppe. Fissava il bambino con sguardo vuoto: ma sì, perché non accontentarlo? «E va bene.» decise «Ti porterò con me.» e se lo caricò in spalla, facendolo ridere. Il bambino cominciò a dondolare, muovendo le braccine avanti e indietro, mentre il ragazzo lo teneva fermo per le gambe."

La rielaborazione della storia di FMA.
Don'T Kill Me, Please..
Genere: Generale, Azione, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Envy, Un pò tutti, Winry Rockbell
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Primo

Periferia di Central City, 9 Ottobre ’04.
Calciava prepotentemente una bottiglia vuota, che si ritrovava davanti ogni minuto. Pensava a ciò che aveva appena visto: un’ennesima banda di ragazzini che ne picchiava un altro, solo. E lui che aveva fatto? Era sopraggiunto sul luogo e aveva urlato a squarciagola di lasciarlo in pace, fingendosi suo fratello. Mai scelta fu peggiore! Quel bambino gli camminava dietro da un’ora bella e buona, chiamandolo continuamente “Nii-San”. Ma chi era quel moccioso? Cosa voleva da lui?
«Nii-san, dove andiamo?» chiese, il piccolo bambino biondo, dagli occhi del medesimo colore, a quello che l’aveva appena salvato. E lo guardava sorridendo, felice e allegro. Vedendo che l’altro non lo ascoltava, gli corse incontro e gli afferrò prepotentemente una manica, tirandolo verso di se. «Nii-san, dove andiamo?» fece ancora. L’altro lo guardò male. Ma non tanto per gli occhi dall’insolito colore che si ritrovava (che, per la cronaca, erano lenti a contatto), ma proprio perché lo stava guardando malissimo. Quasi irato: ma che c’è d’arrabbiarsi tanto con un bambino piccolo come quello che lo stava importunando?
«Insomma, mi lasci in pace?!» gli aveva detto, scorbutico, liberando la manica dalla presa del bambino «Non sono tuo fratello, e non ti sto portando proprio da nessuna parte!» ma il bambino non si diede per niente per vinto: con un salto raggiunse i suoi capelli e vi si attaccò, trascinando il moro alla sua altezza. «Ma che fai, shorty?! Lasciami!» lo rimproverò. Il bambino fissò interessato i capelli del più grande: erano neri, è vero, ma avevano anche bizzarri riflessi verdognoli. Ma non verde normale: verde sporco, verde muschio secco.. verde acido andato a male. Il ragazzo tentò di divincolarsi dalla presa del più piccolo, ma invano.
«Stai fermo!» ordinò il bambino. Dimostrava appena sei, sette anni: non di più, non di meno. Sembrava piuttosto affascinato alla vista di quei capelli così tanto bizzarri, che rimase a fissarli per un po’, costringendo il più grande a stare in una posizione alquanto scomoda. «Oooh… ma sono così di natura?» chiede il bambino, lasciandolo, osservandolo poi negli occhi, fisso. Adesso sembra piuttosto rapito dal colore insolito di essi. E stava aprendo la bocca per chiedere qualcos’altro, quando lui lo precedette.
«No. Sono tinti.» disse il più grande, dandosi una sistemata. «Adesso lasciami in pace, voglio tornarmene a casa mia.» e si voltò, riprendendo la sua strada. Ma il bambino non mollava: era sempre dietro di lui che camminava, che lo seguiva. Il tutto almeno finchè non accelerò il passo e lo fiancheggiò. Tese la mano verso quella del più grande, e l’afferrò, camminando di fianco a lui. Il ragazzo lo osservò, e sospirò «Uff.. e va bene, ti accompagno a casa tua!» fece, sbuffando. «Dov’è che abiti?» chiese, osservandolo dall’alto. Il bambino era spensierato.
«Non abito.» disse, stringendo la mano del più grande, un po’ più forte.
«Che vuol dire?» chiese l’altro inarcando un sopracciglio «Non può essere che “non abiti”!» sbottò, poi. Sbuffò, alzandolo per la mano e prendendo il braccio il marmocchio: era leggerissimo, e vestiva con abiti alquanto stracci. «Dove vivono i tuoi genitori?» insistette.
«Non abito perché non ho mamma e papà!» e gonfiò le guance, imbronciando poco il viso. L’altro fermò il passo, e lo fissò. «E tu hai detto di essere mio fratello, quindi lo sei!» decretò, annuendo.
«Non hai..?» cominciò. E si interruppe. Fissava il bambino con sguardo vuoto: ma sì, perché non accontentarlo? «E va bene.» decise «Ti porterò con me.» e se lo caricò in spalla, facendolo ridere. Il bambino cominciò a dondolare, muovendo le braccine avanti e indietro, mentre il ragazzo lo teneva fermo per le gambe.
«Ieeeeee!! A casa col nii-saaaaan!!» e ondeggiava ancora, e ancora, e ancora. E il suo “Nii-San” rideva, contribuendo a farlo ondeggiare. Ma in fondo.. forse, l’averlo salvato da quei bambini non era stata proprio una cattiva idea..

***

Terzo Distretto di Central City, 9 Ottobre ’12.
Era stato chiuso a chiave nella sua stanza, per l’ennesima volta. Ma cosa si era meritato per finire in castigo a quel modo? Oh, bhè, semplice: aveva continuato a studiare quell’arte che in quella casa era stata categoricamente vietata come fuori da essa; Alchimia, la chiamavano. La Grande Arte, la Rentan, la Grande Opera. Qualcosa di proibito, un tabù. E suo fratello maggiore detestava quando lui infrangeva le regole. E perché? Perché c’andava di mezzo lui che era il suo tutore!
«Che ti serva da lezione, adesso! Così impari a studiare quell’arte!» gli aveva ripetuto. Ma lui aveva ormai quattordici anni e doveva, anzi, pretendeva di badar a se stesso.
«Ma taci, Envy!» gli aveva urlato contro da dietro la porta «Non sei tu a decidere cosa posso o non posso fare!» e strinse i denti, furioso, battendo i pugni sul legno della porta. E poi, come ogni volta, si voltò verso la finestra e la aprì, sorridendo: avrebbe portato la Grande Arte con se fino all’inferno! Prima di uscire, però, tornò verso la scrivania, dove teneva i suoi appunti segreti in quaderni, scritti in codici che Envy neanche osava immaginare. Prese una sacca, e vi ripose il tutto dentro, più qualche penna di ricambio. Si vestì, prese qualcosa dalle provviste del cibo (rigorosamente nascoste nel doppiofondo dell’armadio), la infilò anch’essa sella sacca e, sistematosi i capelli biondi in una treccia, si fiondò fuori casa, passando dalla finestra. Vestiva di nero, come sempre, e sulle spalle indossava una mantella rossa, ma era piuttosto piegata, perché rappresentava un simbolo che caratterizzava tutti gli alchimisti: la croce col serpente.
Quindi si diresse a passo svelto lontano dalla propria abitazione, lontano dal proprio fratello adottivo: aveva imparato a scappare di casa ormai da qualche anno, e non gli importava niente di quello che diceva la gente. Ma non tutti si rivolgevano a lui con sorriso spento o non sentito, odiandolo e magari maledicendolo, essendo il fratello di un teppista. Alcuni si rivolgevano a lui con sorrisi sinceri, volendogli bene, magari dandogli un po’ di pane, sapendo comunque com’era la situazione in casa loro. Il cognome? Perso nel tempo.
«Buongiorno, Edward!» fece il fornaio, quando Edward vi passò accanto. E lui sorrise, ricambiando il saluto con un cenno della testa. E l’uomo gli porgeva sempre un pezzo di pane, da portare nel viaggio in giro per la città che faceva ogni giorno, per essere sicuro che l’esercito non lo prendesse.
Perché l’esercito lo cercava, dite? Perché studiava l’Alchimia, ovvio. Ma c’era sempre qualcuno che la faceva franca e che, anzi, riusciva a studiare molto di più di quanto si potesse apprendere in quei quattro libri sputati che si trovavano nelle biblioteche sottoforma di libri di cucina o di appunti di viaggio fantastici, a volte anche sottoforma di appuntamenti con donne.. forse fin troppo dettagliati!
«Ha trovato niente oggi, signor Frank?» fece Edward, rivolto al panettiere che collaborava con lui all’apprendimento dell’Alchimia. Quello scosse la testa, sospirando.
«Purtroppo no. Solo che c’è una novità, e devi stare attento!» Edward inarcò un sopracciglio, non capendo quasi cosa voleva dire «Si dice che l’esercito abbia aumentato le guardie che popolano la città, e tutto per trovare dei cospiratori!»
«Cospiratori? Che cospiratori?» fece Edward, avvicinandosi all’uomo robusto e biondiccio che si trovava davanti.
«Noi, Edward. Noi che studiamo l’Alchimia per loro siamo cospiratori! Mi sa che dobbiamo ridurre le visite alla biblioteca centrale!» confidò l’uomo. Edward scosse frenetico la testa.
«No, non mi interessa.» rispose, secco e sicuro. Frank quasi non ci credeva «Amo troppo l’Alchimia, e di certo non mi farò scoraggiare da quattro guardie in più!» e sorrise, tranquillo.
«Sei davvero strano, Edward.» annuì Frank «Ma mi piaci. E ti sosterrò finchè non sarai diventato un perfetto Alchimista!» e gli tese la mano. Edward l’afferrò convinto e la strinse.
«Sì! Grazie, Frank!»
«Grazie a te che mi stai ridando la speranza di un futuro più radioso di questo.» rispose Frank. Edward sorrise. Perché un futuro più radioso di quello? Perché il periodo che stavano vivendo era difficile. E, per difficile, intendo una nuova guerra civile alle porte del futuro che s’apprestavano a percorrere.

 



Envy_Love:Il primo capitolo è andato! Fatemi sapere cosa ne pensate!
  
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