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Autore: Himzish    30/05/2013    0 recensioni
Annotazioni, diari di bordo di anonimi viaggiotori, scrutatori delle bellezze e nefandezze del mondo (e dell'animo).
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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21.06.12, 15.47
Spagna, Barcellona, Plaza del muerto.

 

 

   

La vita qui è diversa. 
Vedo giovani per le strade con occhi arrossati da chissà quali sostanze, turisti presi da imponenti edifici contorti e un sole che inonda ogni particella d'asfalto e di polvere.
Non ha lo stesso colore: tutto si pregna di una sottile tinta ambrata, perennemente, e c'è un forte odore di caldo nell'aria, rasserenata dal venticello che smuove i capelli di una donna bionda poco lontana, intenta a chiaccherare con quello che dovrebbe essere il suo compagno.
In mezzo al vociare generale, ai passi leggeri eppure presenti delle tante anime dalle menti affollate, c'è una melodia trasparente, probabilmente improvvisata -non che si capisca da come viene suonata- di chitarra. L'uomo che ne pizzica le corde con le unghie lunghe e affusolate è seduto ai piedi di una colonna, unico tra i pilastri d'ombra di un piccolo portico modernistico catalano, con incastrati qua e là nel cemento chiaro pezzi di vetro colorati, lucidati dai raggi solari. Gli archi sembrano fargli da cassa, aiutano a trasportare per mano, dolcemente quegli arpeggi virtuosi e puliti lungo la piccola piazzetta in cui mi trovo, chiusa tra i palazzi di gente normale e bar con tende chiare. Quando la melodia s'insinua tra i passanti, sgorgando flebilmente fuori dal portico, si fonde con lo zampillìo dell'acqua di una fontana al centro di quella circonferenza caotica e aperta in più punti dai vicoli stretti, rimanendo sussurrante spettatore e al contempo protagonista di quel momento, un gradevole sfondo anche per il più sordo degli ascoltatori.
Il tè che sto bevendo ha ghiacciato il bicchiere, e il suo colore sembra riprendere quello della luce, attraversato -tra l'altro- dalla stessa nonostante io sosti nell'ombra. 
Non avevo in mente di fermarmi (in realtà non avevo in mente nulla), ma questo tavolo dal ferro bianco e battuto, ricamato da un'abile macchina qualche decennio prima di ora -si può capire dalla ruggine che in certi angoli lo intacca, o dalla vernice amabilmente scrostatasi sui riccioli delle gambe- e rispettiva sedia abbinata, all'ombra di una bianchissima colonna, mi hanno richiamato più di qualsiasi altra cosa. Mi sento scrutatore e pittore di questo momento, e sebbene tutto questo, questi suoni, questi colori e questi odori siano già indelebili nella mia mente non riesco a smettere di guardarmi intorno: ho sempre paura di perdermi qualcosa.
Anche la mia pelle ha preso l'odore di qui, lo sento avvicinando le mani al viso.
La gente non sembra far caso agli altri: nessuno si cura di nessuno, ma c'è un ossequioso rispetto nei modi e negli sguardi: ognuno ha la propria libertà. Sembra banale, ma c'è qualcosa di speciale nella spontaneità con cui avviene. 
Risate cristalline scoppiano assieme allo scontrarsi di bicchieri e piatti ormai svuotati dalle mani distratte di turisti in sosta, e il mio tè è ancora qui. Ho deciso di godermi ogni sorso, come se fosse parte di quel tutto che sto scrivendo. Mi attanaglia una strana solitudine, ma una solitudine bella, non vuota. Mi basto io e quello che ho intorno, che in qualche modo è diventato parte di me comunque. Ho la sensazione che tutta la bellezza di questo mondo sia racchiusa qui, in questa piazza, e la sua potenza nelle mie mani: mi sento dominatore e dominato di e da tutto ciò.
Invincibile e vinto.
Ed è bellissimo. Potrei -ed in effetti ne ho la sensazione- passare un'eternità così. Sono immerso nell'infinito e non c'è niente di più completo.

  
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