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Autore: Thurin    30/05/2013    3 recensioni
L'immagine di un oscuro passato riaffiora nella mente di Nico Robin, un ricordo a lungo nascosto capace di sconvolgere l'intera umanità. Un segreto a lungo celato ai suoi più intimi amici, il ricordo di un dolore mai sopito, per Franky il viaggio insieme a Cappello di Paglia non è solo voglia di avventura, ma fuga da un destino che lo chiama con voce ossessionante, un destino legato a doppio filo al passato della giovane archeologa. A poco a poco la consapevolezza del legame reciproco porterà i due pirati a ricomporre i pezzi di un puzzle diabolico, portando alla luce ciò che per lunghi anni era stato nascosto.
Vorrei dedicare questo racconto in più capitoli all'utente Avventuriera, che mi ha spinto (dopo un'appassionata discussione) a provare a cimentarmi in una fan-fic. In effetti questa è una commissione per suo conto! Spero che questo mio primo lavoro riesca ad appassionarvi, buona lettura...aspetto i vostri commenti (siete liberi di distruggermi come e quando volete!).
Genere: Avventura, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Franky, Nico Robin | Coppie: Franky/Nico Robin
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo I
I Fantasmi di Ohara

 
La tenue fiammella della candela tremolava ad ogni alito di vento che filtrava all'interno dell’enorme stanza circolare. Nella penombra creata dal mischiarsi di luce ed oscurità, il vecchio professore si fermò appoggiando la candela al tavolo da lettura, si sedette in modo stanco sullo scranno di legno intagliato e trasse un profondo respiro; il vapore del suo alito rimase sospeso a mezz'aria quasi indeciso su che direzione prendere, poi quasi per magia sparì confondendosi con la fredda aria della notte.
-Sempre più affannato- pensò il professor Clover, e non si riferiva soltanto al suo respiro, ma a quello dell’immensa stanza sotterranea posta svariati metri al sotto dell’Albero della Conoscenza. Alzando lo sguardo verso l’alto, poteva quasi scorgere le radici che s’inerpicavano formando le pareti e il soffitto di quella sala, all’altra estremità, seppur nascosta, sapeva esserci una seconda scala che portava verso i piani superiori: biblioteca, cucina, sala da pranzo e poi ancora su fino alle aule dell’Istituto di Archeologia e le stanze dei suoi colleghi archeologi. Volgendo poi lo sguardo verso le sue mani rugose e incallite, provò un certo divertimento nel notare come nel tempo, sembravano aver assunto le stesse conformità del legno circostante.
"Suvvia professore, in realtà lei non è così vecchio"
La voce gli veniva incontro di spalle, accompagnata da passi decisi ma posati.
"Ma certo" rispose il vecchio senza voltarsi “io sono molto più vecchio”
A quelle parole i passi si fermarono, Clover si volto sedendosi ora di lato rispetto allo scranno ed anche se l’età che vantava di avere poteva tradire il suo udito, i suoi occhi non potevano non riconoscere la figura snella e slanciata ferma appena dentro il cerchio di luce della candela: gli stivaletti quasi nascosti da un paio di jeans aderenti, la lunga giacca rosa tenue quasi in contrasto con la carnagione chiara e il bianco innaturale dei capelli, una persona inconfondibile che il vecchio Clover conosceva fin troppo bene, non solo per la sua bellezza, ma soprattutto per la straordinaria genialità della sua mente.
“Ti stavo aspettando Olvia, vieni, accomodati pure”
Per un lungo attimo gli occhi azzurri della giovane donna si soffermarono sulla candela che ancora tremolava al ritmo del respiro del grande albero, infine si sedette di fronte al professore.
“Un posto davvero singolare per un appuntamento galante” ironizzò Olvia “l’archivio dell’Istituto d’Archeologia si addice proprio a due fossili come noi” Clover arrossì ma non si scompose, cercò nella mente le parole giuste per esprimere il turbinio di pensieri che lo avevano accompagnato nel percorso verso la grande sala:
“Se avessi voluto un appuntamento galante, avrei invitato una giovane studentessa del mio corso!” rise, rivolgendo uno sguardo ammiccante verso la collega, che non si scompose, per Clover questo era di certo un inizio non troppo incoraggiante. “Passando a cose più serie” ora il tono di voce chiaro e deciso “sei riuscita a metterti in contatto con lui?”
“Si, ma non sarà semplice”
“Chi altri lo è venuto a sapere”
“Nessuno che possa crearci particolari problemi, anzi forse potrebbe giocare a nostro vantaggio”
Lo sguardo di Olvia si soffermò su un angolo buio non molto distante dal tavolo, come se da qualche parte tra le venature dell’archivio, due occhi le fossero piantati addosso.
“Olvia sei sicura di quello che dici? Te l’ho già detto non possiamo correre alcun rischio”
L’archeologa tornò con lo sguardo verso il professore che ora le appariva davvero più vecchio di quanto non avesse immaginato.
“Nessun rischio professor Clover, ho già elaborato un piano, se tutto andrà come ho previsto, nessun altro ne verrà a conoscenza”
Clover s’appoggiò lentamente al duro schienale della sedia inarcando le spalle e la schiena rigida; mentre una mano massaggiava il mento e la folta barba, fissò il suo sguardo intenso negli occhi di Olvia, quasi a voler scorgere un barlume d’incertezza, poi distendendo i muscoli si limitò ad un'unica frase: “Molto bene”
Detto questo trasse da uno scomparto segreto sotto il tavolo un raccoglitore dall'aspetto comune, come se ne vedono tanti all'interno di un archivio. A prima vista, Olvia era più stupita dell’esistenza di uno scomparto segreto all'interno di quel tavolo, che del raccoglitore in sé. Clover appoggiò l’oggetto davanti lei, si ripiegò all'indietro appoggiandosi nuovamente allo schienale e incrociò le braccia.
“Dunque è tutto qui?” chiese Olvia con un misto di dubbio e stupore. Il vecchio professore non le rivolse alcuna parola, il suo sguardo sempre più profondo lasciava trasparire ogni suo pensiero. Olvia capì che le mille altre domande che voleva porre al vecchio maestro, non avrebbero trovato risposta, tornò allora a fissare quel punto oscuro tra le venature del grande albero, in mezzo agli scaffali dell’archivio, quasi ci fosse una strana forza attrattiva che la invogliasse a ricercare cosa fosse nascosto alla sua vista. Mentre ancora fissava assorta il buio oltre la candela che aveva di fronte si rivolse nuovamente al professore:
“Come d’accordo professor Clover, da qui sarà solo e soltanto una mia responsabilità; ora le spiegherò come ho intenzione di agire”
Non molto distante, nascosta dalle ombre degli scaffali, una bambina dai capelli corvini fissava la madre con profonda intensità ed ascoltando parola per parola quella discussione, cominciò a tremare, come se una paura ancestrale avesse attanagliato il suo cuore. Immobile e sbigottita fissava i due seduti al tavolo e mentre ancora parlavano le sembrò che la luce della candela diventasse sempre più intensa, nel giro di pochi istanti, divenne quasi insopportabile, le figure divennero sempre più sfuocate, un lampo di luce bianca investì tutta la stanza e le voci cessarono di colpo come inghiottite da quel nulla scintillante.
 
A bordo della Thousand Sunny Nico Robin si svegliò in uno scatto di puro terrore. Il sudore le imperlava la fronte e scendeva lungo il viso e il collo, gli occhi sbarrati, il respiro affannoso.
A quell'attimo di smarrimento seguì la frenetica ricerca del suo taccuino, si levò dal letto, aprì il cassetto della sua scrivania e si sedette a prendere appunti
-Ancora una volta, nuovi elementi, ma nessuno significativo- non sapeva ancora di preciso cosa volesse dire quel sogno ricorrente che la perseguitava dal suo ritorno sulla Sunny, ma qualcosa dentro di lei la spingeva a scavare sempre più a fondo in questo ricordo, quasi ne andasse della sua stessa vita. Cosa ci facevano il professor Clover e sua madre di notte nell'archivio dell’Istituto di Archeologia? Di cosa stavano discutendo in così tanta segretezza? Cosa conteneva quel raccoglitore affidato ad Olvia? Enigmi nell'oscurità. A Robin non piaceva affatto quella situazione, il viaggio verso l’Isola degli uomini-pesce sarebbe durato ancora qualche giorno e nell'impossibilità di cercare risposte nei suoi libri a bordo, si sentiva quasi prigioniera dei suoi stessi incubi.
Assorta nei propri pensieri si ritrovò a tamburellare la matita sul taccuino lasciando piccole macchie di grafite sui fogli appena ingialliti. Ridestatasi da quell'attimo quasi ipnotico di smarrimento si rese conto, guardando i suoi appunti che il nervosismo le aveva preso un po’ troppo la mano, con un sospiro sconsolato prese una gomma e cancellò accuratamente gli scarabocchi dai suoi appunti –cancellare ciò che non serve per preservare l’essenziale- quel pensiero le nacque quasi spontaneo, seguito dal fugace ricordo di un’isola in fiamme, un albero abbattuto e migliaia di libri in fondo ad un lago. Si alzò per dirigersi verso il piccolo boccaporto della stanza, all'esterno si stagliavano le profondità oceaniche, fredde, scure, come la grande stanza del suo sogno:
“Anche la natura sembra non concedermi scampo dalle mie ossessioni” le tenui luci degli organismi bioluminescenti balenavano in lontananza come tante stelle che a poco a poco perdevano la propria luce. Sapeva che ormai non avrebbe più chiuso occhio, quindi tanto valeva rivedere i suoi appunti degli ultimi anni di ricerca; riprese il taccuino e appoggiata alla parete della stanza sfruttava la poca luce esterna per rileggere i suoi studi. L’Isola degli Uomini-Pesce avrebbe dovuto segnare una tappa importante nella sua ricerca dei poignee griffe, d'altronde molti indizi portavano a sospettare che laggiù avrebbe trovato un altro tassello del mosaico, di che natura non ne aveva alcuna idea. Uno starnuto la colse di sorpresa mente ancora sfogliava il taccuino e solo allora si rese conto di essere scesa dal letto scalza e senza alcuna coperta addosso. Ora avvertiva il freddo della stanza e si biasimò non poco per essersi fatta prendere da quel momento di smarrimento, erano nelle profondità oceaniche, quindi era naturale che le temperature fossero basse. Scocciata s’infilò un paio di ciabatte ed una vestaglia pesante, poi si voltò per controllare se Nami stesse ancora dormendo. La posa scomposta e il respiro lento e profondo dell’amica navigatrice non le lasciò alcun dubbio, sorrise dolcemente, e scacciando gli ultimi residui di ansietà le rimboccò le pesanti coperte.
“Sarebbe un guaio peggiore se la nostra navigatrice prendesse un raffreddore”.
   
 
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