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Autore: lalychan    31/05/2013    3 recensioni
Yonghwa non sa come dichiararsi, e quando infine vede sfumare l'ultima occasione per farlo decide di distrarsi facendo un giro in un night club di Hongdae...dove lo aspettano calde sorprese!
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Library Couples'
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Questa OS fa parte di una raccolta di quattro da me chiamata "Library Couples"
Al momento ne ho scritte altre due, "Rent a Boy" e "Burning" sempre con i CNBLUE come personaggi. Vi consiglio, se vi interessano, di leggerle nell'ordine indicato nel titolo. Buona lettura





Doveva essere mio.

Appena avevo posato lo sguardo sul suo corpo smilzo e i suoi capelli lunghi avevo sentito una morsa allo stomaco.
Erano due mesi che lo vedevo in biblioteca e ancora non ero nemmeno riuscito a scambiare due parole con lui. Ero troppo timido per farlo.
Ormai era diventato un rito per noi: io andavo in quel posto tutti i giorni fin dal mio primo giorno di università, due anni fa, lui era solo una matricola. Dall’inizio del semestre aveva iniziato a frequentare quell’edificio tre volte la settimana, a giorni alterni. Lunedì da dopo pranzo all’ora di cena, mercoledì dalle cinque alle nove, venerdì dalle tre alle sei.
Puntuale come un orologio svizzero, da due mesi la sua routine era diventata anche la mia. In quei tre giorni posavo l’orologio di fronte a me anziché tenerlo al polso e controllavo regolarmente l’orario fino a quando, alzando lo sguardo verso l’entrata, che si trova di fronte al tavolo cui mi siedo abitualmente, scorgevo le sue gambe lunghe e magre fasciate dai jeans, la sciarpa a righe colorate ciondolante al suo collo e i suoi capelli castano chiaro lunghi e lisci, a volte raccolti in una coda improvvisata che gli conferiva un’aria un po’ sciatta ma tremendamente sexy.
Non mi ero mai interessato ad un altro ragazzo prima di incontrare lui, ma giorno dopo giorno mi ero rassegnato a quello strano sentimento. Semplicemente il mio cuore si era acceso come un’insegna al neon al primo sguardo scambiato con quel misterioso studente.
Credo che si chiami colpo di fulmine.
Non era particolarmente bello, era solo…lui. Qualcosa nel suo modo di atteggiarsi, in quel corpo un po’ sproporzionato tra altezza e magrezza, aveva smosso il mio cuore fino a quel momento assopito.
I suoi occhi incuriositi avevano scrutato la sala di lettura dopo che la ragazza del front office gli aveva fornito il tesserino, e nel farlo avevano incontrato i miei, concentrati in contemplazione della sua persona da forse troppo tempo perché non se ne fosse accorto.
Mi aveva fatto un cenno di saluto, con un sorrisino timido.
Ovviamente io mi ero irrigidito come un baccalà e avevo abbassato la testa tornando sui miei libri senza rispondere. Decisamente maleducato. Ma non potevo farci nulla. Ero fatto così.
Ormai il semestre primaverile era agli sgoccioli, nel giro di due settimane ci sarebbero state le vacanze, per chi come me non frequentava i corsi estivi.
Chissà se lui li avrebbe frequentati. Non sapevo nulla di quel ragazzo. Nemmeno che cosa studiasse. Nemmeno come si chiamasse.
In due mesi mi ero semplicemente limitato ad aspettarlo e osservarlo studiare.
Si sedeva sempre allo stesso tavolo, quello in fondo a sinistra. Dal mio tavolo di fronte all’entrata potevo tenere d’occhio tutta la sala di lettura, di conseguenza anche spiarlo mi riusciva piuttosto facile. Fortunatamente sedeva sempre dandomi le spalle, così da permettermi di bearmi della sua schiena indisturbato, per tutto il tempo in cui rimaneva chino sui suoi libri.
Piano piano la mia curiosità nei suoi confronti era diventata quasi morbosa, lo consideravo ormai una mia proprietà e sentivo la rabbia invadermi quando qualche stupida ragazzina si sedeva accanto a lui al tavolo fingendo di studiare, mentre sapevo benissimo che cercava una maniera poco invadente per provarci con lui.
Nell’ultima settimana ci avevo riflettuto e avevo deciso di provare almeno a presentarmi. Non potevo continuare ad amare segretamente un dongsaeng di cui non sapevo nemmeno il nome.
Potete quindi immaginare in che stato fossi quel lunedì in cui lo aspettai tutto il giorno invano. Non mise piede in biblioteca. Controllai più volte anche nelle altre sale, magari si era spostato.
Invece nulla.
Sparito.
Beh, magari aveva avuto qualcosa di meglio da fare, ma era comunque strano. Da quando era entrato la prima volta non aveva mai saltato un giorno o ritardato di un minuto nella sua routine di studio in quella biblioteca. Cominciavo seriamente a preoccuparmi.
Attesi speranzoso fino al momento della chiusura, e mi alzai di malavoglia dal mio tavolo quando la bibliotecaria mi fece capire che se non mi fossi mosso mi avrebbe chiuso dentro.
Mi trascinai sconsolato verso casa, continuando a domandarmi cosa accidenti fosse potuto succedere per costringerlo a mancare al nostro appuntamento.
Beh, perché ormai era palese che quella regolarità, quella puntualità, non erano casuali. Era come se ci fossimo studiati da lontano durante quei due mesi. O almeno, per me era stato così.
Magari lui era solo uno con delle abitudini molto regolari.
Magari invece si era stufato di aspettare che mi decidessi a presentarmi.
Magari, anzi, quasi sicuramente, in realtà ero solo io ad essermi fatto tutte quelle pippe mentali su un possibile “noi”, e lui aveva semplicemente studiato per i suoi esami, del tutto ignaro della dimensione parallela che la mia mente aveva creato a mio uso e diletto e in cui l’aveva cacciato dentro a forza.
Sta di fatto che non chiusi occhio quella notte, e nemmeno la notte successiva.
Mercoledì lo aspettati come sempre, e per la seconda volta ricevetti una cocente delusione: non si era fatto vivo.
Iniziavo seriamente ad essere preoccupato che gli fosse successo qualcosa. Era un pensiero assurdo e fuori luogo ma la strana ansia che avevo nel cuore non poteva essere casuale.
Di nuovo mi dovettero cacciare a forza dalla biblioteca, di nuovo tornai a casa sconsolato e non riuscii a dormire. Ormai ero così stanco per la mancanza di sonno che il giovedì non riuscii ad alzarmi dal letto, e decisi di rimanere sotto le coperte a crogiolarmi nella depressione.
Non lo vedevo da meno di una settimana ma mi sentivo come se mi avessero tolto qualcosa di importante. Ed ero certo che questo sentimento derivasse dal mio rimorso per non aver trovato il coraggio di presentarmi fino a quel momento. Avevo il terrore di aver perso la mia unica occasione.
Il venerdì decisi di fare un ultimo tentativo.
Mi alzai più tardi del solito, saltai bellamente le lezioni e mi rifugiai direttamente in biblioteca. Mi misi a leggere un libro, dato che ero certo di non potermi concentrare a sufficienza da riuscire a studiare.
L’orologio da polso d’acciaio, regalo di compleanno del mio migliore amico Jonghyun, scandiva lentamente, fin troppo lentamente, l’accrescersi del mio nervosismo e della mia disperazione.
L’ora del nostro ufficioso appuntamento, le tre, arrivò e passò senza che nulla cambiasse. Il mio misterioso dongsaeng non si faceva vivo e io continuavo a sprofondare nel mio personale buco nero di rimpianto, preoccupazione e tristezza. Mi sentivo infinitamente solo senza di lui.
Non che fossi mai stato uno pieno di amici, li contavo sulle dita di una mano, ma senza la sua presenza era come se tutto intorno a me fosse diventato freddo nonostante la primavera stesse lentamente lasciando posto alle prime giornate davvero calde d’estate.
Alzai una mano per zittire la bibliotecaria quando si avvicinò al mio tavolo con espressione imbronciata, pronta a minacciarmi di chiudermi dentro se non mi fossi levato dai piedi.
Raccolsi velocemente la borsa e uscii, inforcando la mia bici e pedalando senza mèta, la mente vuota, il cuore pieno di sentimenti negativi.
Non so come ma mi ritrovai ad Hongdae.
Me ne accorsi a causa della folla di giovani che ostruivano l’uscita numero nove della metro, linea verde, la numero due, fermata della Hongik Univerisity, Hongdae per l’appunto.
Decisi di unirmi alla massa di gente, sperando di venire trascinato dalla corrente da qualche parte, poiché così da solo non sarei andato da nessuna parte.
Non mi andava di tornare a casa, non mi andava nemmeno di andare in un posto preciso, non volevo chiamare i miei amici, che in ogni caso, essendo venerdì sera sicuramente avevano già organizzato la loro serata.
In parole povere mi ero spento, assieme alla mia ultima speranza di poter avvicinare quel ragazzo.
Non stavo mai in biblioteca durante gli esami, che sarebbero iniziati il successivo lunedì, perché si affollava di sfaticati dell’ultimo minuto che passavano le giornate a preparare trucchi inutili per poter copiare anziché studiare, e solitamente disturbavano tutti gli altri con rumori e risatine.
Finiti gli esami mi sarei cercato un lavoretto per l’estate, ma non avrei frequentato i corsi estivi, quindi non avrei più avuto occasione di vederlo, almeno fino al prossimo semestre, e non ero certo che sarebbe stata la stessa cosa. Anzi, di sicuro se avessi lasciato trascorrere così tanto tempo il tacito accordo tra me e quel dongsaeng sarebbe saltato e ognuno avrebbe preso la propria strada.
Non sapevo cosa mi desse quelle certezze, ma per me erano più inconfutabili della sfericità della terra.
Legai la bici con la catena e mi incamminai con le mani in tasca lungo la piccola salita che portava al cuore pulsante di Hongdae, dove si trovavano tutti i ristoranti, i bar, i norebang e i club. Intorno a me ragazzi e ragazze più o meno della mia età chiacchieravano e ridevano, ansiosi di godersi la loro notte brava, qualcuno già alticcio.
Mi lasciai guidare dalle gambe, passando in mezzo alla gente, del tutto indifferente agli sguardi perplessi che mi venivano rivolti.
Non ero certo vestito come uno che sta andando a divertirsi, avevo le occhiaie e una faccia da funerale, e oltretutto ero solo. Tutti elementi inadatti a quella situazione e a quel luogo.
Ma ad esser sincero non me ne importava un fico secco.
Volevo solo che succedesse qualcosa.
Volevo qualcosa che mi svegliasse da quello stato comatoso in cui la delusione mi aveva fatto precipitare.
Ad un tratto mi trovai di fronte a un locale dall’aria sospetta.
Anzi, era del tutto normale per un Night Club.
Ragazze più o meno giovani, appollaiate sui dei trampoli da circo, con dei vestiti talmente corti da chiedersi se li avessero comprati al reparto bambini, attendevano pazientemente in coda di poter accedere a quel luogo di incontri poco casti.
Allo stesso modo, giovani impiegati single o uomini di mezz’età probabilmente separati, studiavano le pollastre con interesse, sperando di fare buona caccia quella sera.
La cosa era legalissima. Si entrava in gruppetti di amici, mai soli, e si veniva assegnati a un tavolo. Idem le ragazze. Solo che queste venivano poi “rapite” dai camerieri che le trascinavano a un altro tavolo, sperando che l’incontro con gli sconosciuti del sesso opposto potesse concludersi in un’uscita dal locale verso il motel più vicino.
Se così non era, le signorine tornavano al tavolo iniziale per poi essere nuovamente trascinate, spesso bruscamente e controvoglia, a un nuovo tavolo. E via così, questa danza da tavolo a tavolo continuava tutta la notte tra fumo di sigarette, superalcolici e momenti di pausa scanditi dalle esibizioni dei ballerini sul palco della minuscola pista da ballo.
Ballerini maschi.
Tutti in età universitaria, tutti affascinanti e palestrati, rigorosamente seminudi, o ridotti a tali dopo l’esibizione che prevedeva sempre un minimo di denudazione, a diletto del pubblico femminile che trasudava ormoni sbavando sotto il palco, di fronte a quegli idol mancati che sinuosamente regalavano lo spettacolo dei loro corpi in movimento al pubblico già fin troppo caldo.
Mi ero sempre rifiutato di entrare in posti del genere, anche perché, modestamente, non ne avevo mai avuto bisogno. Potevo avere qualsiasi ragazzo o ragazza volessi, mi sarebbe bastato un messaggio ad uno dei miei contatti di Cyworld.
Fu proprio l’aria di “trasgressività” che quel luogo sotterraneo emanava ad attirarmi. Avevo bisogno di qualcosa di forte per uscire dal mio sonno.
Mi accodai a un gruppetto di studenti e chiesi di poter entrare con loro. Mi fissarono un po’ stralunati ma fecero spallucce e acconsentirono.
Una volta dentro mi pentii di aver cercato salvezza dalla depressione in un posto del genere. I ragazzi con cui ero entrato erano abbastanza tranquilli, perfino troppo, tant’è che le ragazze che arrivavano al nostro tavolo se ne andavano annoiate dopo cinque minuti. Qualcuna aveva provato ad avvicinarsi a me ma l’avevo liquidata immediatamente. Erano troppo volgari per i miei gusti.
Rimasi abbastanza di sasso quando un cameriere comparve al mio fianco trascinando per un braccio una contrariatissima straniera.
Era vestita con dei jeans attillati, una camicetta di volant rossa e scarpe col tacco non troppo alto. Decisamente troppo sobria per quel genere di posto.
Automaticamente mi spostai un po’ quando si sedette al mio fianco, non mi era mai capitato di trovarmi in una situazione del genere con una straniera, e nemmeno lei sembrava molto a suo agio.
«Guarda che non mordo» mi disse secca accorgendosi del mio gesto.
Parlava bene la mia lingua. Forse avrei potuto sfruttare l’assurdità della situazione per fare un po’ di conversazione. Ne avevo le scatole piene di starmene in silenzio a trangugiare vodka.
«Parli bene il coreano, di dove sei?» chiesi nel modo più formale possibile, per evitare di dare l’impressione di volerci provare. Era il mio ultimo pensiero.
«Italia, ma sono a Seoul da sei mesi e ho studiato coreano nel mio Paese. Spero di uscire presto di qui, le mie amiche mi ci hanno trascinato dicendomi che sarebbe stato divertente ma finora ho conosciuto solo vecchi porci o studentelli sfigati. Tu non sembri divertirti però. Che ci fa uno carino come te in questo posto? Non ce l’hai la ragazza?» rispose lasciandomi di sasso. Non aveva peli sulla lingua. Fortunatamente però non sembrava interessata ad abbordarmi, pareva cercasse solo qualcuno con cui scambiare due chiacchiere, esattamente come me.
«No, non ho la ragazza e non la sto cercando. Volevo solo un po’ di movimento, ero in cerca di qualcosa che mi tirasse su ma mi sa che ho scelto il posto sbagliato» risposi, tendendole poi la mano per presentarmi.
«Mi chiamo Jung Yonghwa»
«Io sono Bianca. Ti va di fare due salti in pista? Ho bisogno di sgranchirmi le gambe e di dare un’occhiata ai ballerini. Almeno loro valgono il prezzo dell’entrata, anche se mi hanno detto che è vietatissimo cercare di abbordarli» disse strappandomi un sorrisino. Era simpatica dopotutto.
Assentii con un cenno e la seguii lungo i corridoi di moquette semibui che si incrociavano tra i tavoli fino a raggiungere la minuscola pista da ballo dove le poche persone non impegnate a fare nuove conoscenze si stavano riunendo per assistere allo spettacolo.
Le luci in sala si abbassarono, e cinque ballerini vestiti in ecopelle nera, borchie e maglie trasparenti fecero il loro ingresso sul palco ballando gli ultimi successi k-pop, sia di gruppi maschili che femminili.
Bianca al mio fianco lanciò un urlo degno di un tifoso da stadio e cominciò a saltellare tutta esaltata, gli occhi che le brillavano mentre scrutava avidamente quei poveracci che probabilmente avevano deciso di sfruttare la loro immagine per pagarsi gli studi all’università.
Spostai lo sguardo dalla bella italiana ai cinque ragazzi sul palco, paralizzandomi nel momento stesso in cui i miei occhi si posarono sul più alto dei ballerini.
Fasciato dai pantaloni di pelle nera, con una maglietta dello stesso colore, trasparente sul davanti e con un grosso strappo sulla schiena a lasciar in bella mostra la pelle nuda sotto di essa, muovendosi sensualmente un metro sopra la mia testa c’era il mio dongsaeng della biblioteca.
Vestito in quel modo non sembrava più così mingherlino, anzi, tutto sommato la sua massa muscolare non era per nulla trascurabile.
Sentivo Bianca fischiare e agitarsi al mio fianco, o meglio, immaginavo che lo facesse, perché ai miei orecchi non arrivava alcun suono, i miei occhi non percepivano che l’immagine di lui che si strusciava sui compagni e regalava movenze sexy al pubblico in visibilio.
La musica cessò e le luci si alzarono mentre il quintetto sudato e seminudo si inchinava e lasciava il piccolo palco, scendendo dalla scaletta laterale, probabilmente per andare a cambiarsi per l’esibizione successiva.
Non riuscii a muovermi, potei solo seguire con lo sguardo la sua schiena che spariva in qualche antro buio nel retro del locale.
«Yonghwa, ci sei? Che ti succede? Guarda che hanno finito» mi disse la mia amica straniera tirandomi per un braccio.
Finalmente mi ripresi dallo shock e mi affrettai a tornare al tavolo, seguito a ruota da Bianca che aveva un’espressione a metà tra il curioso e il seccato.
«Sei gay?» mi chiese appena ci fummo seduti.
Sputai il rum che avevo iniziato a tracannare, tossendo.
«Cosa te lo fa pensare? E poi potresti essere un po’ più discreta, qui siamo in Corea, non in Italia» la rimproverai arrossendo. Era così evidente che avevo perso la testa per quel ragazzo?
«Potrei dire lo stesso di voi coreani che mi mettete le mani addosso appena vi do un po’ di confidenza. Siete dei polipi, quindi non ti lamentare della mia lingua, almeno non invado i tuoi spazi» rispose tagliente.
A pensarci bene non potevo darle torto. Un discreto numero di miei coetanei trattava le straniere come delle accompagnatrici gratuite.
«Ok, come non detto. Comunque perché me l’hai chiesto così all’improvviso?»
«Perché per un bel ragazzo come te essere single è parecchio strano, e perché ti ho visto sbavare per quel ballerino coi capelli lunghi. Ti piace vero?» domandò in tono malizioso facendomi un sorrisino.
La fissai senza rispondere. Sì, mi piaceva eccome. Almeno, mi piaceva prima di venire a sapere che lavoro facesse.
Cosa pensavo di lui ora che lo avevo scoperto?
Sentii lo stomaco contrarsi al ricordo dell’esibizione cui avevo appena assistito.
Beh, potevo affermare con sicurezza che mi piacesse pure di più dopo aver conosciuto quel suo lato che ero certo avrebbe preferito nascondermi se ci fossimo conosciuti prima.
Chissà se si era accorto della mia presenza.
Probabilmente le luci soffuse gli impedivano di riconoscere i volti del pubblico, e forse era meglio così. Chissà cosa avrebbe pensato di me vedendomi in un posto del genere. Nulla di buono di sicuro.
«Vieni» mi disse Bianca prendendomi per un braccio e trascinandomi attraverso il locale fino a una zona riservata a fianco al palco. Un buttafuori piuttosto ben piazzato fece per bloccarci ma la ragazza gli mostrò un pass e ottenne il via libera.
La gente in quella parte del locale era diversa. Probabilmente erano personaggi della Seoul bene, scesi a divertirsi coi comuni mortali ma che preferivano comunque tenere un certo distacco dalla gente normale.
Bianca raggiunse un tavolino in fondo dove una ragazza molto carina sorseggiava un drink in compagnia di un trentenne che portava al polso un Rolex d’oro.
«Unni, il mio amico Yonghwa qui ha bisogno di un favore» esordì la mia accompagnatrice in tono perentorio. Sembrava più un ordine che una richiesta. La sua amica lanciò uno sguardo eloquente al suo compagno.
L’uomo al suo fianco ci fece cenno di sederci, e noi obbedimmo.
«Ditemi» ci incalzò in tono tranquillo. Qualcosa mi diceva che conoscesse molto bene quel locale, forse ne era addirittura il proprietario. Certo che Bianca aveva delle strane amicizie.
«Il ballerino alto, lo vuole conoscere» rispose secca la mia amica.
L’uomo si accese una sigaretta, aspirando qualche boccata prima di degnarsi di rispondere.
«Lo sai che non si può»
«Non è un capriccio, è una cosa seria. Dai oppa, fai uno strappo per una volta. Diglielo anche tu Unni» insisté Bianca facendomi arrossire. Poteva anche farla meno tragica. Ai loro occhi sembravo di certo un gay affamatissimo.
«Dai Jungmo, accontentala per stavolta. Non mi sembra che questo ragazzo sia un tipo pericoloso. E poi Jungshin è grande abbastanza da sapersi difendere»
Jungshin.
Così si chiamava il mio dongsaeng misterioso?
Mi piaceva. Aveva un bel suono.
Mi sfuggì un sorriso mentre ripetevo mentalmente quel nome per fissarlo nella memoria.
«D’accordo, d’accordo, ma solo per stavolta. E solo dieci minuti. Jungshin qui ci lavora, che si scambino i numeri e si incontrino fuori di qui se gli va. Io devo far andare avanti il locale, non sono certo qui a fare il cupido dei miei dipendenti» brontolò l’uomo chiamando con un cenno il buttafuori.
«Lascia passare il ragazzo nel backstage e assicurati che lo lasci prima della prossima esibizione dei ragazzi» ordinò al gorilla che si fece da parte per accompagnarmi.
Lanciai uno sguardo preoccupato a Bianca che alzò i pollici in segno di vittoria.
D’accordo, ero entrato in quel night in cerca di qualcosa che mi svegliasse, ma sembrava che il destino stesse giocando con me. Troppe coincidenze tutte insieme.
Ma chi ero io per mettermi contro il destino?
Col cuore che mi batteva a mille mi diressi verso la porta tagliafuoco nascosta a fianco alle scalette laterali del palco, scortato dal buttafuori.
L’aprii trovandomi di fronte un corridoio pieno di porte nere.
«Vedi di uscire prima dell’inizio del prossimo spettacolo, non mi va di venirti a prendere» mi ammonì l’armadio umano alle mie spalle prima di spingermi dentro e chiudere la porta alle mie spalle.
Rimasi impalato dov’ero, intorno a me regnava il silenzio totale, non fosse per il rumore sordo del battito del mio cuore che mi rimbombava nelle orecchie.
Ad un tratto una porta alla mia sinistra si aprì e ne uscì uno dei cinque, il volto truccato di nero e argento, un completo bianco addosso.
«E tu chi sei? Come si sei arrivato qui?» mi chiese avvicinandosi e osservandomi sospettoso.
«Cerco Jungshin. Mi manda il capo, Jungmo» risposi prima che potesse sbattermi fuori. Era molto più muscoloso di me.
Si fermò assumendo un’espressione perplessa.
«Seriamente? Doveva essere di buon umore se ti ha lasciato passare. Di solito non permette a nessuno dei clienti di avere a che fare con lo staff. Comunque, se cerchi Jungshin il suo camerino è l’ultimo a destra, ma ti consiglio di bussare prima di entrare, ho visto Donghwak andare a trovarlo cinque minuti fa» disse poi con un ghigno malizioso stampato sul viso bicolore, prima di sparire in un altro camerino.
Perfetto, mi mancava giusto questa scoperta per concludere in bellezza quella giornata assurda.
Nonostante gli infausti presagi, decisi comunque di fare un tentativo. Ormai ero in ballo, ero sicurissimo che quella sarebbe stata la mia unica e ultima occasione di creare un minimo di contatto con Jungshin.
A passi lenti percorsi il corridoio fino ad arrivare di fronte alla porta che mi aveva indicato il ballerino doppia-faccia. Mi ci fermai davanti, indeciso se aprirla o meno.
Non sentivo alcun rumore provenire dall’interno.
Non sapevo se considerare la cosa positiva o meno.
Alzai una mano, chiusa a pugno, e feci per bussare quando la maniglia si abbassò e mi trovai davanti un altro dei ragazzi del gruppo che mi fissò con aria interrogativa. Alle sue spalle scorsi Jungshin, seduto su una poltroncina in pelle, a braccia conserte e con espressione arrabbiata.
«E tu chi sei? Che vuoi?» mi chiese l’ospite scrutandomi torvo. Abbassai la mano e indietreggiai di un passo. Forse era meglio sparire. Mi sentivo decisamente fuori luogo in quel momento.
«Lascialo entrare e chiudi la porta quando te ne vai» ordinò Jungshin dal suo posto, senza cambiare posizione né espressione.
Quello che indovinai essere Donghwak mi lanciò un’occhiata velenosa, quindi si fece da parte per farmi passare e appena misi piede nella stanza uscì sbattendo la porta.
Mi trovai così di fronte all’oggetto delle mie ricerche, la fonte del mio malessere psicologico, il mio desiderio proibito che dal suo piccolo e comodo trono mi fissava a metà tra il curioso e il divertito.
Indossava ancora i vestiti con cui l’avevo visto ballare poco prima.
Notai la matita nera che gli contornava gli occhi dandogli un’aria sexy e misteriosa, e in più aveva raccolto i capelli in quella coda spettinata che usava ogni tanto in biblioteca.
Sentii una morsa allo stomaco e il cuore accelerare il battito.
Era stupendo.
Era lì, di fronte a me.
Era la resa dei conti.
«Sei venuto fin qui solo per ammirarmi o volevi dirmi qualcosa? Magari è il caso di presentarsi prima di tutto, no? Siediti» disse in tono cordiale indicandomi un’altra poltroncina, identica alla sua, alla sua sinistra.
Come un automa obbedii accomodandomi sulla finta pelle che scricchiolò sotto il mio peso facendomi arrossire.
«Come sapevi che lavoro qui?» domandò.
«Non lo sapevo. Ci sono capitato per caso» risposi con un filo di voce, spaventato da quegli occhi penetranti che mi studiavano da vicino per la prima volta.
«Ma che coincidenza. Comunque mi chiamo Lee Jungshin. E tu sei?»
«Jung Yonghwa» risposi telegrafico.
Assentì a sé stesso spostando lo sguardo sulle proprie dite smaltate di nero.
Avevo ucciso la conversazione con le mie risposte insulse.
Complimenti Yonghwa, tutte le tue pippe mentali e la tua fatica per dire solo il tuo nome? Un vero leone. Emblema del coraggio.
«Dovevo lavorare» disse Jungshin ad un certo punto.
«Eh?» chiesi, non capendo a cosa si riferisse. Non avevo formulato alcuna domanda, anche perché la mia mente era occupata da ben altri pensieri. Quei pantaloni di pelle mi avrebbero ucciso.
«Non sono mai venuto in biblioteca questa settimana. Avevo il turno di giorno qui al locale, a volte ci usano anche come personale delle pulizie prima dell’apertura» spiegò in tono piatto, tornando a puntare gli occhi truccati su di me.
«Non è questo il motivo per cui sei qui?» aggiunse poi, come se mi avesse letto nel pensiero.
Arrossii senza poter fare nulla per controllarmi, abbassando subito la testa nella speranza che non se ne accorgesse.
«Scusami se non ti ho avvertito hyung, ma mi sembrava impertinente venire al tuo tavolo a dirti “Sai, la prossima settimana non potrò venire quindi non aspettarmi”. Dopotutto non ci eravamo mai nemmeno presentati no?» continuò come se quel discorso fosse normale.
In realtà non era normale per nulla.
Mi aveva appena fatto capire che si era reso conto che lo attendevo con ansia ogni volta che sapevo sarebbe venuto a studiare in biblioteca, e la cosa mi metteva tremendamente a disagio. Se si era accorto di tutto perché non aveva mai detto nulla?
«Hyung, non posso stare a chiacchierare per molto, quindi vorrei sapere come mai sei venuto da me. Nel locale ci sarai pure capitato ma entrare nel backstage è vietato, se Jungmo hyung ti ha dato il permesso vuol dire che glielo hai chiesto espressamente, o sbaglio?» disse di nuovo, dimostrando ancora una volta quanto fosse sagace.
«Veramente è stata Bianca» riuscii a dire quasi sottovoce.
«Capisco. Ma di certo avrà avuto un motivo per farlo» proseguì con un tono che mi fece sentire un bambino a cui si stava cercando di spiegare un ragionamento matematico.
Alzai la testa guardando Jungshin con sguardo spaesato. Cosa potevo rispondere? Ero troppo timido per dire la verità. E quella situazione era così improvvisa che non ero in grado di gestirla. Il tempo passava e non avevo ancora concluso nulla. Sarei stato buttato fuori senza aver avuto il tempo di chiedere a Jungshin il cellulare o il contatto Cyworld.
L’avrei perso.
Ne ero perfettamente conscio.
Quella nuova certezza si fece strada in me paralizzandomi.
Se non avessi fatto alcuna mossa l’interesse che Jungshin stava dimostrando nei miei confronti in quel momento sarebbe svanito nel nulla come un fantasma, e non avrei mai più avuto l’occasione di costruire un qualsiasi tipo di rapporto con lui.
«Non guardarmi così hyung» mi ammonì sorridendo nervosamente e alzandosi dal suo posto per prendere dalla sedia un completo bianco simile a quello che avevo visto addosso all’altro ballerino.
Automaticamente mi alzai anch’io.
«Ti sto facendo perdere tempo inutilmente, devi lavorare. Scusami» dissi a capo chino, costringendo i miei piedi a muoversi verso la porta. Arrivato di fronte ad essa misi la mano sulla maniglia ma non la abbassai.
Stavo sprecando la mia unica occasione.
Era davvero questo che volevo?
Sentivo un peso enorme opprimermi il petto, così forte da togliermi quasi la capacità di respirare.
Stavo quasi per abbassare quella dannata maniglia quando sentii la mano calda di Jungshin posarsi sulla mia.
Mi voltai appena, trovandomelo alle spalle, il suo viso vicinissimo al mio. Il suo sguardo era diretto sulle nostre dita a contatto. Imbarazzato tornai a fissare la porta di fronte a me.
«Vuoi davvero andare via così hyung? Lo sai cosa succederà se esci adesso vero?» chiese sottovoce, sussurrando le parole al mio orecchio, facendomi venire la pelle d’oca e annullando ogni mia volontà.
Voltai di nuovo lentamente la testa, nello stesso momento in cui il suo viso si spostò in direzione del mio.
Pochissimo, inutile spazio separava le nostre labbra.
«Ti sei innamorato di me. Vero hyung?» mi chiese con voce quasi impercettibile, lo sguardo serio incatenato al mio.
Senza rendermene conto risposi di sì con la testa.
Non ero capace di mentire.
Non potevo mentire a lui.
Non potevo nascondere nulla a quegli occhi che erano capaci di leggere ogni mio pensiero o preoccupazione.
Lui aveva già capito tutto dall’inizio.
Mi stava solo aspettando.
Se il destino non mi avesse guidato in quel posto forse avrebbe smesso presto di farlo, stanco dei miei tentennamenti.
Vidi un sorriso spuntare sulle sue labbra, prima che le appoggiasse sulle mie, liberandomi di quel peso che mi aveva quasi schiacciato il cuore fino a quel momento, e facendomi sentire in paradiso.
Mi accorsi che aveva intrecciato le dita alle mie, ancora posate sulla maniglia di quella porta.
Chiusi gli occhi e lasciai che ogni nanosecondo trascorso a contatto con la sua bocca venisse inciso a fuoco nel mio cuore.
Lo sentii appoggiarsi del tutto alla mia schiena, posando la mano libera sui miei addominali, stringendomi di più a sé.
Non so quanto tempo trascorse, ero proiettato in una dimensione dove il tempo e lo spazio erano nulli. O infiniti, che poi è lo stesso.
Quando si staccò mi resi conto che avevo le guance rigate di lacrime.
Abbassai la testa per nasconderle ma Jungshin mi prese il viso tra le mani e le asciugò delicatamente con i pollici.
«Vai a casa a dormire hyung, sembri distrutto. Domani quando mi sveglierò passerò a trovarti ok?» disse in tono dolce, aprendosi in un sorriso radioso.
«Come fai a sapere dove abito?» chiesi con voce spezzata.
«Al contrario di te io ho fatto di tutto per scoprire chi fosse il misterioso ragazzo che mi aveva rapito il cuore. Sei molto popolare nel campus, lo sai hyung? Mi è bastato chiedere in giro di te, mi hanno mandato da Jonghyun e lui mi ha detto tutto. Hai davvero ottimo gusto nel scegliere gli amici, è una persona meravigliosa» rispose ridacchiando, attirandomi poi nuovamente verso di sé per baciarmi, con molta più decisione stavolta.
«Domani voglio vederti riposato, sorridente e un po’ più eloquente, ok? Ora devo andare, è il mio ultimo giorno e devo lavorare al meglio se voglio ricevere una consistente liquidazione. Fila dritto a casa e dormi, hai una faccia terribile. Ci vediamo domani Yonghwa hyung» aggiunse poi, uscendo da quella stanza con un sorriso radioso, lasciandomi solo e imbambolato in quel camerino, ancora sotto shock.


***



«Ho trovato un lavoro part-time hyung»

«Jungshin, se torni a fare il ballerino ti scotenno»

«Come sei geloso Yonghwa hyung, lo sai meglio di me che il personale non può avere rapporti coi clienti»

«Un anno fa dicevi la stessa cosa, eppure io ero un cliente. Com’è che adesso sei qui nudo nel mio letto?»

«Colpa tua che sei un pervertito»

«Ma dai? Devo ricordarti come mi hai quasi violentato la nostra prima volta?»

«Quello non c’entra, ti sei presentato da me con quella tuta da meccanico senza nulla sotto»

«Scusami se ero appena uscito dal lavoro e c’erano quaranta gradi all’ombra»

«Te la sei cercata, lo so che in realtà l’hai fatto di proposito»

«No, è stato un caso. Sei tu che continui a venire a casa mia con addosso i vestiti di quando lavoravi in quel locale. Questo è provocare di proposito!»

«Ma hyung, è un gesto romantico per ricordare il nostro primo incontro»

«Allora mister romanticismo non ti lamentare se poi te li strappo di dosso appena entri da quella porta»

«Va bene, va bene, mi arrendo. Comunque non vado a fare il ballerino, se ti può far stare meglio»

«Meno male, ma quindi che tipo di lavoro è?»

«Sono il nuovo bibliotecario dell’università»

«…»

«Non dici nulla Yonghwa hyung?»

«E io che speravo di riuscire a laurearmi entro l’anno».



***FINE***

  
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