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Autore: Gaea    01/06/2013    6 recensioni
Il professor Fell amava l’Italia, in particolare Firenze. Per questo, durante il suo forzato ritiro avrebbe voluto poter restare in quella grandiosa città, magari studiando quegli autori che tanto lo affascinavano fin dall’adolescenza. Per fortuna la ricerca di un consono posto di lavoro l’aveva già portato a fare una gustosa scoperta…
Genere: Generale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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GENERE: Generale, Thriller RATING: Arancione

AVVERTIMENTI: one-shot

CREDITS: //

INTRODUZIONE: Il professor Fell amava l’Italia, in particolare Firenze. Per questo, durante il suo forzato ritiro avrebbe voluto poter restare in quella grandiosa città, magari studiando quegli autori che tanto lo affascinavano fin dall’adolescenza. Per fortuna la ricerca di un consono posto di lavoro l’aveva già portato a fare una gustosa scoperta…

NOTE DELL’AUTORE: Mi rendo conto che per qualcuno che non ha mai visto il film o letto il romanzo a cui è ispirato, sarà difficile cogliere un po’ di cose. Confido che arrivati alla fine tutto divenga chiaro ^^ nel caso, ci sono le note a fondo storia. Buona lettura!

 

DISCLAIMER: PERSONAGGI, LUOGHI, NOMI E TUTTO CIÒ CHE DERIVA DALLA TRAMA UFFICIALE DA CUI HO ELABORATO LA SEGUENTE STORIA SONO DI PROPRIETÀ DELLA UNIVERSAL PICTURE (credo) CHE NE DETIENE TUTTI I DIRITTI. QUESTA STORIA NON È STATA SCRITTA A SCOPO DI LUCRO.

 

 

Fegato e cipolle

“Prego professore, si sieda”.

“La ringrazio infinitamente”. L’accento era americano, ma più dolce, come se le radici di quell’uomo affondassero in un terreno che poco aveva a che spartire con gli Stati Uniti.

Il suo italiano era fluido, i pochi errori sembravano squisiti jeu de mots; Sofia, completamente incantata, si ritrovò a pensare che quell’uomo accarezzasse le parole, più che pronunciarle. Un brivido di eccitazione le scese per la schiena: benché la differenza di età fosse enorme, il suo fascino era innegabile.

“È un piacere averla qui” proseguì la ragazza con sincera soddisfazione.

“Ti ringrazio davvero molto cara, ma il piacere è tutto mio: non sono molte le occasioni che un vecchio come me ha di trovarsi in così squisita compagnia”.

Sentendosi arrossire come una scolaretta, Sofia distolse lo sguardo. Impacciata, senza sapere come riempire il tempo, spostò il peso da un piede all’altro, prima di aprirsi in un ampio sorriso e chiedere, quasi cinguettando “Vorrebbe qualcosa da bere? Caffè? L’espresso italiano è il migliore del mondo… Altrimenti posso scendere al bar qua sotto, fanno delle granite eccellenti e con questo caldo è proprio quello che ci vuole!”.

“So che ti sembrerà strano, ma ad un vecchio come me la granita provoca qualche imbarazzo – rispose lui ammiccando e battendosi un’unghia contro un incisivo incredibilmente immacolato – forse potresti trovarmi una tazza di tè caldo*?”.

“Certamente… ha qualche preferenza? Limone, latte, zucchero…?”.

“Quello che sceglierai tu andrà benissimo, grazie”.

Sofia si ritirò, diretta verso le scale che l’avrebbero riportata all’interno di Palazzo Capponi.

 

Rimasto solo, il professor Fell volse lo sguardo verso il panorama che gli si offriva dal tetto del palazzo. Il sole era ancora alto ed il cielo aveva quella limpida tonalità di azzurro che solo il cielo italiano possiede. Sospirò soddisfatto, felice di essere finalmente nella sua Firenze, la città che amava sopra ogni altra. Persino il chiasso delle macchine bloccate in un qualche ingorgo là, in fondo alla strada, pareva accordarsi a quella città in perenne equilibrio fra l’antico e il moderno. Sorridendo dell’inconsistenza dei suoi stessi pensieri, il professore controllò l’orologio: erano le quattro e mezza del pomeriggio. Non era inglese e non era mai stato in Inghilterra: eppure

l’abitudine di bere una tazza di tè alle cinque era un piacevole cerimoniale che cercava di ripetere ogni volta che gli si presentava l’occasione. Magari con qualcuno di quei deliziosi pasticcini alle mandorle locali di cui non ricordava mai il nome.

Le sue riflessioni vennero interrotte dall’arrivo del suo anfitrione.

“Professor Fell, che piacere conoscerla finalmente di persona!”.

“Mr. De Bonaventura, questo posto è davvero incantevole!” rispose l’americano, alzandosi a stringere la mano che gli veniva porta. Sofia si avvicinò ai due, tenendo un vassoio con due piccole teiere, tazze e un piatto di pasticcini.

“Ho cercato, ma purtroppo non abbiamo tè in foglie… spero che fra questi filtri ci sia qualcosa di suo gradimento”.

“Ci sarà senz’altro”.

Con un sorriso, la ragazza accennò ad andarsene.

“Sofia… - venne richiamata dall’ospite - … ancora grazie”.

Ripetendosi mentalmente di smetterla di agire come una sciocca mammoletta in preda a convulsioni ormonali, Sofia si allontanò dalla terrazza, un misto di eccitazione e ansia le faceva battere il cuore. Quegli occhi azzurri…

 

“Bene, mi parli un po’ di lei: il curriculum che ci ha lasciato è impeccabile, vorrei però capire meglio le ragioni che l’hanno spinta a decidere di fermarsi a Firenze. Non sono molti i posti come curatore disponibili in questa città, ma sono certo di poterla aiutare a trovare qualcosa, sempre che poi lei riesca a convincere il direttivo amministrativo: sono molto scrupolosi”, concluse, accendendosi una sigaretta.

“Capisco perfettamente. E come non si potrebbe essere qualcosa meno che scrupolosi, quando si parla del patrimonio italiano? Certo che capisco le vostre riserve. Sono solo un vecchio professore americano in pensione che ha passato tutta la vita fra carteggi e manoscritti cercando di penetrare l’essenza della cultura italiana; tuttavia non trovo così strano che qualcuno possa opporsi alla mia idea”.

“Sono contento che capisca. Vede, sarebbe tutto più facile se lei mi dicesse esattamente quale posto vorrebbe occupare nella Fondazione Capponi. Archivista? Magari responsabile degli scambi con altre fondazioni?”.

“Veramente, professore, ambirei al posto di curatore”.

Il professor De Bonaventura scoppiò in una fragorosa risata. “Ah, voi americani! Senza peli sulla lingua, giusto? Una persona meno ironica avrebbe potuto offendersi per la sua audacia, esporre così brutalmente a un uomo la volontà di soffiargli il posto” terminò, esalando fumo.

“Speravo che lei la prendesse con il giusto spirito. Dopotutto, mi ha chiesto quello che vorrei ed io mi sono limitato a dirglielo. Ora, questo non esclude che mi adatterei ad altro… sono un esperto dantista, l’ha ben visto, e non posso negare che sarei ben lieto di aiutarvi nella catalogazione delle note manoscritte risalenti al periodo prerinascimentale. Nulla sarebbe più emozionante del ritrovare una nota autografa del Sommo Poeta”.

“Vede, iniziamo a ragionare. Credo che la fondazione sarebbe onorata di avere un così illustre studioso ai propri servigi, ma resta il problema della retribuzione: lo Stato non è di manica larga, nel nostro Paese, non credo…”.

“Non mi sembra che lei, curatore, se la passi male… – lo bloccò l’altro, portandosi poi la tazza alle labbra - … ma non sono i soldi che cerco, non si preoccupi. Cerco la quiete e lo studio, un luogo dove trascorrere i miei ultimi anni. Non chiedo poi molto da lei, solo una lettera di referenze e una buona parola durante la prossima seduta del consiglio di amministrazione”.

“Beh, professore, vedremo quello che potremo fare. Cambiando discorso, ho cercato il suo nome negli archivi dei maggiori giornali internazionali – non era forse impallidito, tutto ad un tratto, il suo ospite? – e sono stato piacevolmente sorpreso di trovare fra i suoi articoli alcuni rivolti alla cucina. Non la facevo un buongustaio”.

Un ampio sorriso illuminò il volto anziano dell’uomo, facendo brillare una chiostra di denti candidi.

“Non credevo ci fosse modo di rintracciare anche quelle pubblicazioni! Ebbene, sì, mi diletto a cucinare e sperimentare in cucina. Ho scritto qualche articoletto su come cucinare la carne… cose di poco conto in realtà. Un uomo deve pur avere un hobby, giusto? Niente di troppo costoso, anche se il mio debole per la cucina francese mi porta a spendere un occhio della testa per certi vini”.

“Adesso che è in Italia imparerà a conoscere il buon vino italiano. Non c’è francese che possa battere un buon rosso toscano… le dirò, mi rinfranca sapere che ama il vino, vedendola prendere un tè a quest’ora ho creduto fosse astemio. Non che vi sia nulla di male, ma sa com’è, non credo di poter confidare fino in fondo in un letterato che non apprezzi un buon bicchiere di vino di tanto in tanto”.

“Ancora una volta mi trova d’accordo con lei, eppure sa, forse sarà l’età, ma preferisco qualcosa di caldo nel pomeriggio, anche in una così bella giornata d’agosto”. E, così dicendo, si versò un altro poco di tè. La conversazione proseguì così sui temi più disparati, a tratti specialistica, a tratti frivola. Piacevolmente colpito dalla competenza che quell’americano dimostrava sull’italiano medievale, De Bonaventura iniziò davvero a contemplare l’idea di avvalersi di quel personaggio straordinario nel suo staff. Lanciò di sfuggita un’occhiata all’orologio.

 

“Non credevo che agli americani piacesse il tè – prese la parola osservando il professore che terminava la seconda tazza – anche se devo ammettere che la mia conoscenza degli statunitensi si limita ai turisti che vengono qui a fare fotografie con lattina di Coca Cola e gelati in mano”.

“Ho girato una buona parte di mondo, sono stato soprattutto in Francia e nel continente americano… ma, nonostante non sia mai stato in Inghilterra, ho sempre ammirato la precisione tipicamente inglese per quanto riguarda i piccoli cerimoniali della vita quotidiana. C’è qualcosa di eroico nel modo in cui un inglese non rinuncia al suo tè delle cinque nemmeno durante una guerra… un modo per mantenere un legame con la propria terra anche lontano da casa. Buffo: molti psichiatri sarebbero estremamente interessati a questo” proseguì, la voce quasi un bisbiglio e passando inconsciamente all’inglese, come parlasse fra sé.

Poi scosse la testa e sorrise, passandosi la mano sinistra sui capelli lisciati all’indietro. De Bonaventura notò una piccola cicatrice sul dorso.

“Sa che è eccellente anche come accompagnamento ai pasti, un po’ come i vini? E non solo a colazione o, come la stiamo bevendo noi, per… come la chiamate voi? Mirenda?”.

“Merenda – sorrise l’altro, dimenticando il leggero refuso del compagno. Psichiatri… – e dice sul serio? Non ne ho mai sentito parlare. Non so perché, ma pensando al tè associo istintivamente l’idea ai dolci. Vediamo, dato che prima mi ha illuminato sulla sua passione per la cucina, mi consigli un buon pranzo a cui abbinare questa bevanda”.

“ Vede, io apprezzo soprattutto tè forti e adatti alla carne. Molti prediligono i tè verdi giapponesi che sono molto adatti alle verdure… non sono un amante delle verdure, io. Sono soprattutto un carnivoro”.

Il tono e il sorriso che accompagnò l’ultima osservazione fece sentire al curatore un brivido d’allarme. Non capì il perché.

“Ma, mi ha chiesto un parere… vediamo. Conosce il Pai Mu Tan? – al cenno di diniego dell’altro proseguì – è un delicato tè bianco, di solito consigliato con il pesce; io personalmente trovo che si sposi molto bene con alcuni tagli di carne, come le cervella… In ogni caso, il tè migliore in assoluto in questi casi è Lapsang Souchong, un tè nero affumicato… ma suvvia, perché parlare di questo ora, non voglio annoiarla quando sicuramente lei avrà molto da fare e vorrà tornare a casa, dopo che io le sono capitato in ufficio così bruscamente. Perché non viene da me a cena? Domani sera, magari? Sarei onorato di averla alla mia mensa. E potrei farle assaggiare i tè di cui parliamo”.

“La trovo un’idea eccellente. Allora, restiamo d’accordo così… chiederò a Sofia di stilare un permesso per accedere ai nostri archivi, intanto scriverò personalmente la lettera di referenze… e se dovesse continuare a voler lavorare a Villa Capponi sarei lieto di convocare il consiglio e caldeggiare una sua assunzione, magari come assistente curatore. O alla biblioteca: vista la sua

cultura credo sarebbe il posto migliore per lei. Glielo potrei portare domani sera , dovrà solo controfirmare il permesso”.

“Perfetto, Mr. De Bonaventura … a domani allora. Posso abusare della sua ospitalità e rimanere su questa terrazza ancora un poco? Vorrei vedere il tramonto”. “Certamente, resti pure quanto vuole, dirò a Sofia di lasciarle aperta la porta di comunicazione”.

“Grazie mille, a domani”.

 

 

“Eccellente, Mr. De Bonaventura, davvero eccellente. Come le spiegavo prima, il leggero retrogusto affumicato del Lapsang Souchong controbilancia perfettamente il sapore forte e grasso del fegato. E le cipolle caramellate! Davvero Armando, avrei voluto le avesse assaggiate. Sapori così decisi sono l’abbinamento perfetto con il vostro tipico pane sciapo… devo ammettere che la cucina francese non lascerà mai il mio cuore, ma l’inventiva italiana a tavola è insuperabile… un po’ come la vostra attitudine alla corruzione. Vendere al mercato nero opere rinascimentali per comprare sanitari placcati d’oro… non le è sembrata una scelta davvero kitsch?”.

Il signor De Bonaventura non rispose. Sistemato con la testa ripiegata su un graticcio che, nei progetti dell’architetto, avrebbe dovuto ospitare bottiglie di vini pregiati, fissava il soffitto con occhi vuoti e morti.

Il torace era stato aperto con perizia, così come il cranio, e gli organi estratti e riposti in contenitori di plastica che presto sarebbero finiti nel congelatore – non appena il dottore avesse terminato il suo spuntino.

Certo, non erano le cinque: l’ospite era arrivato in ritardo ed i preparativi per la cena erano stati piuttosto lunghi e turbolenti. Ma era lo stesso estremamente soddisfatto del suo tè pomeridiano – oramai serale – e della sua rivisitazione del tipico sandwich inglese. Probabilmente, anzi, certamente si stava guastando l’appetito per la vera e propria cena, ma come resistere?

Hannibal Lecter, accennando un brindisi verso il cadavere, si portò la tazza fumante alle labbra e sorseggiò con gusto il suo tè.

 

 

 

 

 

 

 

Lo stile è un tantino prolisso, lo so… ma ho creduto che la rivelazione finale risultasse più incisiva, dopo un inizio così descrittivo e quasi ridondante! Soprattutto perché l’inizio del film è di una pesantezza simile (ed è “Hannibal”, il terzo della saga, se vi interessa). Bello eh, però senza Jodie… E poi chi ha visto il film o letto i romanzi lo sa: Lecter è un vero gentiluomo, un artista sensibile e dal palato raffinato … un uomo perfetto, se si chiude un occhio sulla sua leggerissima psicopatia!

Quanto all’asterisco: ho cercato perfino sul sito dell’Accademia della Crusca… il tè è una bevanda controversa, soprattutto per quanto riguarda la calligrafia. Ho preferito quella “italiana” data ad altre scelte più comuni, come “tea” inglese o “thé” di “estathé” .

Per finire, tirando le somme: in “Hannibal”, Hopkins si trova a Firenze dopo essere scappato dall’America. In una delle prime scene in cui appare ha uno scambio di battute con il nostro Nannini, il quale gli chiede se sappia qualcosa della misteriosa sparizione del suo predecessore… il sorrisetto saputo mi ha portata a immaginare questo missing moment. E il contest sul tè ha acceso la miccia della scrittura, facendo il resto!

Per chi fosse interessato al concorso in questione, lo trovate qui ->  http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=10458178&p=3 . Vorrei ringraziare tantissimo Mme. Bovary per aver accettato di sostituire il giudice misteriosamente svanito!!!!!! 

   
 
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