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Autore: scandros    16/07/2003    0 recensioni
Quando siamo sull'orlo del baratro e tutto sembra perduto, la speranza ci illumina verso un nuovo futuro. Così Holly incontrerà Trish. Riuscirà a fargli dimenticare l'amata Patty?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jun Misugi/Julian Ross, Ryo Ishizaki/Bruce Arper, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly, Yayoi Aoba/Amy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 2

 

 

 

Incontri e scontri

 

 

La ragazza era riversa sulla strada. La pioggia battente non riusciva a disperdere la pozza di sangue sotto il suo corpo. Vide un ombra correre verso la giovane, il capo coperto dal cappuccio della felpa.

La guardò ancora e fu pervasa da un senso di indefinita tristezza. Inconsapevolmente, senza alcuna ragione, cominciò a piangere. L’uomo si avvicinò alla figura distesa sull’asfalto. La prese tra le sue braccia e cercò di smuoverla. Rimase in attesa di un suo movimento, ma non vide il benché minimo segno di vita. Scosse il capo e il cappuccio si riversò sulle sue spalle. Alzò il capo al cielo urlando mentre le sue lacrime amare si mischiavano a quelle del cielo. Lo guardava attonita. Non riusciva a distogliere lo sguardo da quel giovane, da Oliver Hutton mentre disperato stringeva a se la ragazza urlando inconsolabilmente il suo nome: Patty.

 

Continuava a rigirarsi nel letto disturbata dai suoi soliti incubi. Un’improvvisa sensazione di freddo la destò. Si levò improvvisamente a sedere sul letto. La fronte madida di sudore, il battito accelerato. I suoi incubi la angosciavano ancora di più.

Oliver Hutton. Era arrivato ferito il giorno prima e lei lo aveva curato. Cosa ci faceva nel suo sogno? Perché si disperava dinnanzi alla morte di quella ragazza di cui lei non riusciva mai a vedere il volto? Guardò la sveglia. Erano le cinque. Nell’arco di un’ora sarebbe squillata ricordandole che alle sette e trenta doveva essere in ospedale.

Si passò le mani tra i capelli nel ricordo ancora vivo di quel sogno. Perché proprio lui? Patty. Quel nome. L’aveva pronunciato anche il giorno prima e l’aveva chiamata così. Perché?

- Forse si tratta della sua ragazza e per questo la cercava ieri. Ma allora perché mi è venuto in sogno? Non ci capisco più nulla. Continuo a chiedermi se tutti questi incubi, il mio mal di testa, fanno parte di reminiscenze del mio passato. -. Si voltò verso la finestra. Il vento l’aveva spalancata e adesso spirava gelido nella sua stanza da letto. Rabbrividì, ma era ben cosciente che non si trattava di freddo. Chiuse gli occhi e fece una smorfia di dolore. Non capiva nulla di quello che le stava accadendo. Scostò le coperte e si alzò dirigendosi in bagno.

Si soffermò a guardare il lungo specchio dietro la porta del bagno. Si spogliò continuando a rimirare le forme perfette del suo corpo. Da qualche anno, con una certa assiduità, faceva jogging per mantenersi in forma. I capelli lunghi e scuri ricadevano sul biancore etereo della sua pelle creando un contrasto evidente e sensuale. Era bella, molto, ma lei non si sentiva tale. I suoi grandi occhi nocciola sembravano inespressivi, inanimati e spesso erano annebbiati dalle sue lacrime. Tanti uomini le avevano detto che era splendida, ma lei aveva amato solo Jason, seppure come un amico. Non era riuscita a provare neanche per lui quel grande sentimento che in molti chiamavano amore, a lasciarsi trasportare in un turbine di emozioni e passione. L’aveva amato, e basta. Non aveva sofferto per averlo lasciato, tale era il suo anelito di libertà.

 

Trish sospirò cercando di riprendere l’autocontrollo e si infilò sotto la doccia nella speranza che potesse alleviare il senso di ansia che la avvolgeva.

 

 

- Buongiorno dottoressa Hamilton! - disse l’infermiera incrociandola all’ingresso del reparto ortopedia. Non appena si era liberata, si era diretta in quel reparto dove dal giorno prima era stato ricoverato il calciatore Oliver Hutton. Voleva sapere se incontrarlo ancora una volta gli avrebbe provocato lo stesso effetto dell’incubo di quella notte.

- Buongiorno. Qual è la stanza di Oliver Hutton? - chiese regolando gli occhiali sul naso.

- La numero 218, in fondo al corridoio. Ci sono visite per lui. -

- Bene grazie. - rispose congedando l’infermiera. Era quasi mezzogiorno. Il suo cerca persona squillò e si fermò in corridoio per richiamare il pronto soccorso.

- Chi mi ha cercata? - chiese con tono professionale.

- Il dottor Arnau. E’ qui, glielo passo dottoressa. -

- Sì, grazie, Miguel. -

- Trish! -

- Dimmi Luis. Problemi? -

- Nulla di grave. Volevo solo sapere se avevi già provveduto a far ritirare le analisi complete del signor Aribau. Ho qui la moglie…

- Già ritirate. Ho aggiornato anche la sua cartella. La trovi nello schedario. -

- Sapevo che di te potevo fidarmi. -

- Ma va? Adesso giudichi anche il mio lavoro? - gli chiese in tono ironico.

- Dovresti saperlo che sei la mia preferita. Anzi, visto che ieri hai rifiutato l’invito a cena, ti va di pranzare insieme nella nostra meravigliosa, calda, insuperabile e quanto mai schifosa mensa? - le chiese sarcastico.

- Okay. Non appena mi libero ti chiamo. -

- Dove sei? -

- Ortopedia. -

- Oliver Hutton! Non ti sarai mica presa una sbandata per il personaggio famoso? -

- Luis non dire scemenze. Come potrei infatuarmi di una persona che neppure conosco? -

- Effettivamente da te non mi aspetterei un comportamento del genere. Anche perché non sarebbe giusto nei miei confronti, vista la corte spietata che ti faccio. -

- Smettila di dire scemenze e torna al lavoro. Gli sto riportando gli effetti personali. Ci vediamo dopo. -

- Sì, amore mio. - concluse canzonando la collega. Trish sorrise alle battute infantili ma piacevoli del noto Casanova dell’ospedale. La sua compagnia era piacevole e gli ricordava il suo amico Jason. Proprio perché vittima del suo ricordo, temeva di poter ripetere gli stessi errori, illudendo l’amico di un amore improbabile.

Non appena si voltò, si imbatté in una coppia di ragazzi che attendendo di entrare nella stanza del calciatore. Le due ragazze si guardarono. Trish da un lato, avvolta nel camice bianco, con i capelli scurissimi raccolti nel classico chignon, gli occhiali da riposo sempre sul naso. L’altra invece, era una ragazza più o meno della sua stessa altezza, snella e dal portamento aggraziato. L’ovale chiaro era incorniciato da una chioma castano ramata che morbidamente le scendeva sulle spalle. Non avrebbe mai dimenticato quel suo sguardo fisso su di lei, i suoi occhi sgranati che la guardavano, mentre il mazzo di fiori le scivolava via dalle mani posandosi sul pavimento del corridoio. E lui la guardava nella stessa maniera. Sembravano entrambi catturati dalla sua immagine, incapaci di fare un minimo movimento o pronunciare il più piccolo sibilo. La ragazza dai capelli rossi tremava e tentoni si aggrappò al braccio di lui.

Trish ebbe un fremito, proprio come durante l’incontro con Oliver Hutton.

- Posso aiutarvi? - chiese loro cercando di interrompere quello stato di strano torpore.

- Pat…Patty! Sei tu! - sussurrò lei con le lacrime agli occhi.

- Prego? Ha detto qualcosa? - le chiese guardandola con maggiore curiosità.

- Tu…tu sei…Patty! - le disse ancora una volta.

- Mi dispiace, temo mi stia confondendo con qualcun altro. Mi chiamo Trish Hamilton, non Patty! - rispose cortesemente senza distogliere lo sguardo dalla coppia.

- Ma…io sono Amy e lui…Julian Ross. -

- Signora, sono davvero spiacente ma non sono la persona che crede lei. Evidentemente ci somigliamo ma, le assicuro che mi chiamo Trish Hamilton. Ora scusatemi, devo vedere un paziente. - disse loro lasciandoli senza parole. Prima che potesse girare la maniglia, un uomo seguito dal dottor Velasquez aprì la porta.

- Dottoressa Hamilton, cercavo proprio lei! - disse il dottor Velasquez evidentemente inasprito dal colloquio con l’uomo che l’aveva preceduto.

- Mi dica dottore. -

- Il signor Gomez è il procuratore del signor Hutton. -

- Piacere di conoscerla. - gli disse ponendogli la mano in segno di saluto. L’uomo gliela strinse ma era palesemente adirato. - Cosa posso fare per voi? - chiese per nulla intimorita dall’espressione cagnesca.

- Il signor Velasquez è adirato con noi perché siamo intervenuti tempestivamente sul signor Hutton senza prima consultare lo staff medico della squadra. Il signor Hutton è un calciatore professionista molto noto e le sue gambe valgono parecchi milioni di euro. -. Trish aveva ascoltato i commenti del primario di ortopedia e aveva compreso dal suo sguardo che era alquanto tediato da quel comportamento poco coerente con la loro mentalità.

- Signor Gomez, mi sono occupata io del primo soccorso del signor Hutton. Sebbene le sue condizioni non fossero gravi, a causa del trauma dovuto alle cadute e al dolore procuratogli dalle ferite, è svenuto. Non solo. Il battito del cuore ha cominciato a rallentare e abbiamo dovuto utilizzare il defibrillatore per ristabilire il ritmo normale. Di fronte a tutto questo, secondo lei era opportuno attendere che qualcuno di voi fosse contatto e venisse subito. E comunque, sapendo che si trattava di uno sportivo, abbiamo richiesto esami complementari a quelli di routine e più specifici per accertarci che una caduta rovinosa avesse procurato danni a legamenti o altro. - disse Trish sicura e preparata sull’argomento.

- Infatti, come le ho già detto, dall’esame artoscopico è risultato solo un lieve distacco della cartilagine rotulea. Abbiamo fatto quello che era necessario. Il signor Hutton dovrà rimanere ingessato per qualche settimana, e con la gamba in trazione non correremo il rischio di rigetti. Per quanto concerne il trauma cranico, è di lieve entità e non ha procurato alcun danno cerebrale. - concluse il dottor Velasquez visibilmente più rilassato dopo l’ampio prologo fatto da Trish.

- Oramai è fatto. Avrei preferito consultare prima altri specialisti. -

- Signor Gomez, solitamente ci occupiamo di feriti ben più gravi e generalmente salviamo loro una vita. Mi sembra davvero eccessiva la sua preoccupazione. In questo ospedale i malati sono curati in maniera eccellente e indistintamente, sicuramente non in base al nome, al titolo o a raccomandazioni. - esplose Trish cercando di mantenere la calma ma pur sempre seccata dal comportamento di quell’uomo.

- Me lo auguro per voi. In ogni caso predisporrò il trasferimento del signor Hutton. -

- Faccia come crede, fin quando resterà, sarà ben curato. Con permesso. - gli disse aprendo la porta della stanza di Oliver Hutton. Aveva visto il sorriso sulle labbra del primario. Condivideva le sue idee e quanto Trish aveva declamato al procuratore.

 

Il volto girato verso la finestra. Rimirava silenziosamente il paesaggio oltre i vetri cercando forse di assaporare la fresca giornata di ottobre. Il vento ululava tra le fronde dei platani facendo ondeggiare le fogli al suo ritmo. Aveva la stessa impressione del giorno prima, del sogno di quella notte: lui era triste, malinconico. Perché un giovane attraente, rampante come lui doveva sentirsi così mesto? Richiuse la porta alle sue spalle destandolo dai pensieri. Si voltò lentamente verso di lei e la guardò con più attenzione rispetto al giorno prima. Quegli occhi sembravano perdersi nei suoi. Ebbe un fremito. Non ricordava se qualcuno l’aveva mai guardata con la stessa attenzione, premura, forse eccitazione. Gli incuteva timore o probabilmente qualche altra strana, inspiegabile sensazione! Ma quale? Non era paura la sua, non temeva l’aggressione o il comportamento scorretto di Hutton. Ma nella sua espressione c’era qualcosa che la incuriosiva e al tempo stesso preoccupava. Smosse le labbra e fievolmente pronunciò qualcosa.

- Patty! -. Trish assottigliò gli occhi per guardare meglio l’immagine dinanzi ai suoi occhi. Una copia di adolescenti sorridenti che si rincorrevano. Un flashback. Negli ultimi tempi le capitava sovente di avere dei flashback che all’improvviso comparivano ai suoi occhi come immagini confuse. Scosse il capo. Oliver Hutton la fissava. Ripeté quel nome quasi eccitato. Gli occhi sgranati su di lei in preda all’euforia di quell’attimo.

- Signor Hutton, io mi chiamo Trish Hamilton. L’ho già detto ai suoi amici. Evidentemente somiglio a questa persona di nome Patty. -

- No. Non può essere così. Tu sei Patty, la mia Patty! - esclamò non convinto dell’affermazione della dottoressa.

- Le ripeto che mi chiamo Trish Hamilton! - sentenziò quasi infastidita da quelle continue insinuazioni sul suo nome. Si avvicinò al letto e gli diede una busta.

- Sono venuta per consegnarle i suoi effetti personali. - gli disse spiegando la ragione della sua visita. Non era vero. Era solo una scusa e lei lo sapeva. C’era qualcosa in quel ragazzo che la attirava. Oliver abbassò lo sguardo afferrando la busta. Lei prese la cartella clinica al bordo del letto e cominciò a scorrerla velocemente in attesa che il giovane controllasse che i suoi effetti fossero interamente contenuti nel sacchetto. Alzò leggermente lo sguardo su di lui. Gli oggetti erano sparsi sul copriletto: tra le mani tratteneva solo la fotografia e il braccialetto di cui le aveva parlato Carmen. Non staccava gli occhi da quella foto. La sua mano tremava.

- Patty! Per un attimo ho pensato che tu fossi tornata da me. Non c’è giorno che non ti pensi, che ti cerchi nella mia quotidianità, nella mia vita oramai così monotona da quando non ci sei più. Sono disperato. Sei andata via senza dir nulla, forse per punirmi del mio egoismo, senza lasciarmi la possibilità di spiegarti. Mi hai abbandonato al nulla e adesso mi ritrovo qui, in un letto di ospedale, con il tuo fantasma di fronte a me. Ti somiglia. Tanto. Sono certo che se si sciogliesse i capelli e si togliesse gli occhiali, sareste identiche. Ma come faccio a dirlo? L’ultima volta che ti ho vista, avevi sedici anni. Perché non riesco a chiudere gli occhi e ad abbandonarmi all’oblio? Perché ogni giorno cerco la ragione per andare avanti senza di te? Piccola stella mia, quanto vorrei rivederti, almeno, solo per un piccolissimo attimo. - pensò continuando a rimirare quell’immagine. Trish l’aveva guardato costantemente. Possibile che il sentimento per quella ragazza fosse tale da indurlo ad essere così nostalgico? Provò compassione per lui. Si avvicinò di nuovo al suo letto.

- Ha trovato tutto? - gli chiese senza pretendere che la guardasse.

- Non lo so, e comunque non ha importanza. Ho trovato quello che volevo. - disse stringendo la foto e il braccialetto. Era una catenina in argento con appesa una iniziale. Era una “P”.

- D’accordo. Allora, io vado via. Ci sono dei suoi amici, posso farli entrare? -

- Le hanno detto chi sono? -

- Se non ho capito male, Julian Ross ed una certa Amy. -

- Sì, va bene. - rispose in tono distaccato. Trish lo guardò ancora e poi gli voltò le spalle. - Grazie! - aggiunse prima che la donna si congedasse.

 

Quando Amy e Julian entrarono, trovarono Holly ancora impegnato a rimirare la fotografia.

- Come stai? - gli chiese Julian cortesemente.

- Bene, grazie Julian. Gomez dice che mi vuole far dimettere e trasferire a casa così potrò stare più tranquillo. -. Amy si era avvicinata alla finestra e guardava il cortile estraniata dal mondo interno. La guardarono entrambi. Julian sapeva cosa stava provando. Aveva visto la sosia della sua cara amica Patty, la ragazza di cui uno dei suoi migliori amici era disperatamente innamorato.

- L’hai vista! - esclamò rivolgendosi all’amica. Chinò il capo in segno di assenso e strinse i pugni.

- E’ lei. - disse Holly guardando nel vuoto.

- No. Lei è Trish Hamilton. -

- No Amy. Sono sicuro che sia lei. -

- Holly non dire stupidate. Se si fosse trattato di lei, ci avrebbe riconosciuti. - ribatté seccamente cercando di convincersi che effettivamente non si trattava dell’amica.

- L’istinto mi dice che è lei. -

- Amy ha ragione. Patty non era così fredda e distaccata. Lei era adorabile, gioiosa, allegra…lei era la nostra Patty e tu dovresti fartene una ragione. -

- Sai bene come la penso a tal proposito. Fino a che non la troverò, o qualcuno non mi dirà che è morta, non mi darò pace. -

- Holly, non puoi continuare a vivere con il suo fantasma. Lei non c’è più. Se ne è andata dieci anni fa al tuo ritorno dal Brasile. Nessuno ha più notizie di lei da allora. Non è più tornata a Fujisawa e in quella che era la sua casa, ci abita da allora un’altra famiglia. -

- Patty non sarebbe mai andata via senza una ragione. -

- Mi sembra inutile parlarne perché il tuo cuore ha già deciso. Vuoi continuare a tormentarti? Fallo pure amico. Non hai il diritto di soffrire così tanto. Hai perso l’entusiasmo, sei diventato una macchina che gioca a calcio per dovere e non per il piacere di stare con quello che una volta era il tuo migliore amico. Lei non tornerà Holly, fattene una ragione! - ribadì risoluto Julian. Holly non parlò ed Amy continuò a fissare il paesaggio oltre la finestra. Come l’amico, non aveva mai perduto la speranza di trovare la sua cara amica Patty.

- Anche se non tornerà, lei rimarrà sempre con me! - sussurrò accompagnato dalle lacrime di Amy che lentamente le stavano scivolando giù per le gote.

 

 

Trish percorreva il corridoio quasi soffocata da quella sensazione di angoscia che avevano pervaso le quattro mura. Aveva avvertito la stessa sensazione del sogno, la medesima malinconia. Si toccò la fronte sudata. Aveva la strana impressione che le loro vite si stessero intrecciando! Qualcosa li accomunava, forse la tristezza delle loro vite oramai piatte e prive dei migliori sentimenti un po’ per scelta, un po’ per l’incessante procedere degli eventi. Oliver Hutton si sarebbe ripreso facilmente dalle ferite riportate nell’incidente, ma Trish sapeva che la ferita che aveva al cuore, non si sarebbe mai rimarginata. Andò in bagno e si guardò allo specchio.

Cosa aveva lei di tanto somigliante con la ragazza che cercavano? Possibile che i loro tratti somatici fossero tanto simili e che tutte le persone che ruotavano attorno a Oliver Hutton la scambiassero per la misteriosa Patty? Si portò una mano al viso accarezzando la pelle morbida. Quale grande sentimento aveva legato quel giocatore alla ragazza? Possibile che il destino era stato così cruento e ingiusto da dividerli? Più pensava a lui, più accresceva il desiderio di sapere cosa angosciava Oliver Hutton.

  
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