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Autore: myheartwillgoon    02/06/2013    2 recensioni
Tutto iniziò con una vacanza... Da sola, a Dublino
La famiglia che la ospita diventa la sua seconda casa. Marito e moglie con due figli adorabili.
Uno scontro con un uomo al parco la condiziona nel profondo.
Una serie di coincidenze li riporta a rincontrarsi.
Un incidente e tutto va a rotoli.
L'odio che prova è grande, ma riuscirà a resistere al suo cuore?
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Danny O'Donoghue, Glen Power, Mark Sheehan, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1

«Mamma, devo andare, hanno già chiamato il mio volo!» mormorai all’orecchio di mia madre che non faceva che piangere.
   «Lo so tesoro, vai e mi raccomando chiama appena arrivi!» mi ripeté lei, asciugandosi il viso.
   Abbracciai forte mio padre che, anche se non voleva darlo a vedere, tratteneva a stento le lacrime. «Divertiti, vedrai che l’estate passerà in fretta, goditi questa vacanza, te la meriti.»
   Gli ultimi saluti li riservai al mio fratellino che, nonostante litigassimo di continuo, non mi voleva lasciare e alla nonna che non voleva mancare alla mia partenza.
   Presi la valigia e mi incamminai verso il gate 8, dal quale sarei partita per Dublino. Continuai a sbracciarmi finché non li persi di vista e solo allora mi resi conto di quanto mi sarebbero mancati. Respirai a fondo e sentii ancora chiamare il mio volo, era ora di andare. Mi feci strada tra la gente che affollava l’aeroporto e mi precipitai verso l’aereo giusto in tempo. “Cominciamo bene!” pensai.
   Le hostess presero il biglietto, ne strapparono l’estremità e me lo riconsegnarono, augurandomi buon viaggio. Arrivata al mio posto un uomo, probabilmente irlandese, si propose di sistemarmi il trolley nella cappelliera e io lo ringraziai. Ero già stanca prima di partire, non avrei mai superato i tre mesi che mi rimanevano. Infilai le cuffie dell’Ipod e mi rilassai, godendomi la vista dall’oblò. A circa metà viaggio sentii una mano che mi scuoteva leggermente, aprii gli occhi e vidi che l’uomo che mi aveva aiutato mi indicava alla sua destra. Una hostess stava servendo da bere così presi un succo. Quella sorrise e passò oltre. Ringraziai nuovamente l’uomo e lui si scusò per avermi disturbata. Si presentò come David e mi raccontò che era stato in Italia per far visita a un suo caro amico e che ora tornava dalla famiglia. A interromperci fu la voce del pilota che ci informava dell’imminente atterraggio. Scendendo salutai David che mi diede il suo biglietto da visita nel caso avessi voluto chiamare per un saluto. Per essere la prima giornata non era andata poi così male.
 

«Ti odio» urlò la ragazza, gettando a terra un vaso che andò in mille pezzi.
   «Perché dici così? Cos’ho fatto di male? Dimmelo!» rispose lui, rosso in viso.
   «Pensi forse che non sappia che fai il cascamorto con la tua assistente? Non voglio più vederti, che sia ben chiaro, sei solo uno schifoso come tutti gli altri!»
   «Ma cosa stai dicendo» disse disperato lui, prendendole il polso, «non ho mai fatto niente di niente con Sharon, è solo un’amica, niente di più!»
   «Lasciami, Danny» lo ammonì «lasciami o chiamo la polizia.»
   Lui la lasciò, non voleva farle nulla. Uscendo sbatté la porta e i tacchi risuonarono sulle scale. Solo allora lui cadde in ginocchio e scoppiò in lacrime, maledicendo il giorno in cui era diventato famoso.
 

«Mi dovrebbe portare a Ballinteer Avenue, per favore.»
   «Nessun problema» mi rispose il taxista.
   Ci volle un po’ per arrivare, si trovava in periferia. Pagai il taxi, scesi e notai che ad aspettarmi c’era tutta la famiglia O’Donnel. Chris, il padre, era un uomo ben piazzato sulla quarantina, capelli brizzolati e occhi azzurri come il giacchio, Alisha, la madre doveva avere la stessa età, snella, capelli biondi e occhi chiari anche lei, con un sorriso che andava da un orecchio all’altro. Teneva in braccio il figlio più piccolo, Nick, di 4 anni, e per mano Cleo, di 8. Mi ero documentata bene prima di partire, per evitare di incappare in spiacevoli figuracce. Mi vennero incontro e si presentarono. Alisha mi abbracciò e mi disse: «Spero ti troverai bene, fai come fossi a casa tua.»
   Mi accorsi che, nonostante tutto, mi sfuggì una lacrima, ma la asciugai subito, non volevo che mi prendesse la malinconia.
   Chris prese le mie valigie e le trascinò per il viale che ci separava dalla loro casa. Non era un piccolo appartamento, ma una bellissima abitazione su due piani, dotata di piscina esterna e di un bel giardino curato. All’interno, al contrario di come mi sarei aspettata, trovai un grande ambiente illuminato, una vera e propria villa. Rimasi, probabilmente, a bocca aperta e i genitori si misero a ridere. Arrossii e mi scusai. La mia stanza era al piano superiore ed era anch’essa enorme. Almeno il doppio della mia a casa. Ero così felice che mi buttai sul letto e iniziai a saltellare. Mi mostrarono poi il resto della casa e mi lasciarono il tempo di riposarmi. Feci una doccia e poi scesi con loro per fare un giro del quartiere. Mi sembrava ancora un sogno.
  
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