Quello che veramente ami rimane,
il resto è scorie
Quello che veramente ami non ti sarà strappato
Quello che veramente ami è la tua vera eredità
Ezra Pound, Canti pisani – Canto LXXXI
Non ne posso più.
Sono stato sportivo e disinvolto, mi sono congratulato con Ozora, sono perfino riuscito a fare lo spiritoso con Genzo; ho risollevato il morale dei ragazzi, ho detto loro che sono stati fantastici, che non avrebbero potuto fare di più, che la palla è rotonda e che può anche capitare di perdere una partita importante come questa. Che non siamo affatto inferiori ai nostri avversari.
Sono il capitano, io. Ho il compito di spronare, guidare, confortare e anche sgridare quando serve.
Ma chi sprona me? Chi guida me? Chi mi conforta? E chi mi sgrida se serve?
C’è voluto un bel coraggio per sopportare gli occhi rossi di Hermann, la faccia vergognosa di Müller e i singhiozzi desolati di Franz. Perché io sono il capitano eccetera eccetera.
Il mister è stato grande, ci ha rincuorato, ci ha detto che questo per noi è solo l’inizio. Questo è il nostro nastro di partenza.
Io lo so quello che mi aspetta.
A settembre esordirò nella massima serie.
A quindici anni!
E con ciò?
Oggi ho perso.
Per questo non ne posso più.
Ho bisogno di stare solo.
Sono triste. Sono arrabbiato. Sono furioso con me stesso.
Ho bisogno di sfogarmi, ma da solo. Nessuno deve vedermi. Franz può permettersi di piangere senza ritegno davanti a tutti, io no.
Esco dallo spogliatoio, mi appoggio alla porta e scoppio in lacrime.
Perché abbiamo perso? Perché???
Con la differenza di un gol, e all’ultimo minuto.
Che beffa!!!
Ci sono cose troppo grandi per me, problemi che non riuscirò mai a risolvere, ma almeno fino a due ore fa ero imbattibile.
Adesso non sono più neanche quello.
Adesso sono uno come tanti.
Non sono più niente...
Vorrei mettermi a urlare.
“Karl...”
Attraverso le lacrime vedo davanti a me mamma, papà e Marie che mi scruta con i suoi occhietti scintillanti. C’è anche Herr Förster.
Mi asciugo la faccia col dorso della mano.
“Peccato per la partita” dice papà.
“Io... scusa...” balbetto “volevo tanto... per voi... ma non...”
“Hai lottato con tutto te stesso” osserva lui.
“Sì, ma non è servito”
“Sei così giovane, avrai la tua rivincita prima di quanto immagini”
“Hm...”
“E poi...” papà fa una pausa “i vincitori di oggi non lavoreranno con me... invece tu...”
Sollevo la testa, confuso, tanto confuso che smetto perfino di piangere.
“Eh?”
“Eh sì... mi hanno proposto di lavorare al Bayern... sarò uno degli allenatori”
“...?” non riesco neanche a parlare. Mi giro verso Förster, il quale annuisce vigorosamente:
“Proprio così” dice.
“... perciò ci trasferiamo tutti a Monaco” conclude papà con un sorriso, il primo che gli vedo sulla faccia dopo tanto tempo.
Guardo alternativamente lui e la mamma.
“Staremo di nuovo insieme”
Marie strilla:
“Karl!!!!! Non sei contentooo?!?!?”
Prima ancora di capire cosa sto facendo, mi butto in braccio a papà. Lui mi posa le mani sulle spalle:
“Su, su”
“Papà”
E mentre ricomincio a piangere, sento il visino di Marie premuto contro la mia maglia e la mano morbida della mamma che mi accarezza i capelli. Förster si dedica ostentatamente alla sua sigaretta, come se non volesse disturbarci con la sua presenza.
“Vi... vi voglio bene” riesco solo a dire.
Ora posso restituire a papà la sua catenina.
Non tocca più a me custodirla.