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Autore: areon    04/06/2013    0 recensioni
Caran viveva, sin dal giorno della sua nascita, in un piccolo paesino arroccato in mezzo alle montagne scoscese. Sin da quando, a tre anni, sua nonna le aveva regalato un mantellino rosso da cui si era sempre rifiutata di separarsi, era stata soprannominata Rossa.
Ispirato a Cappuccetto Rosso di Perrault
Seconda classificata al contest Cappuccetto Rosso di Gely_9_5
Genere: Angst, Dark, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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01. Caran
Caran viveva, sin dal giorno della sua nascita, in un piccolo paesino arroccato in mezzo alle montagne scoscese. Sin da quando, a tre anni, sua nonna le aveva regalato un mantellino rosso da cui si era sempre rifiutata di separarsi, era stata soprannominata Rossa.
Ispirato a Cappuccetto Rosso di Perrault
Seconda classificata al contest Cappuccetto Rosso di Gely_9_5

Rating: arancione
Genere: angst, dark, sentimentale
Personaggi: //
Note: long-fic (3 capitoli)

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- CARAN E IL LUPO -
Capitolo 1 – Caran

Caran viveva, sin dal giorno della sua nascita, in un piccolo paesino arroccato in mezzo alle montagne scoscese che caratterizzano l’intera regione, uno di quei posti in cui tutti conoscono tutti, di un paio di centinaia di anime al massimo, le case ammassate nelle vallette.
Sin da quando, a tre anni, sua nonna le aveva regalato un mantellino rosso da cui si era sempre rifiutata di separarsi, era stata soprannominata Rossa: Caran fu tanto entusiasta di quel mantello che sua nonna, quando crebbe, fu costretta a fargliene degli altri, sempre più grandi, adattando la taglia alla sua nuova statura. Oltretutto, quel soprannome divenne ancor più calzante quando, verso i dodici anni, il suo naso e le sue guance iniziarono a riempirsi di lentiggini che spuntavano come funghi in autunno.
Era cresciuta forte e sana, giocando con i coetanei e passeggiando spesso tra i boschi del posto. Le piaceva camminare in mezzo agli alberi, a prescindere dalla stagione: che fosse estate o inverno, che il sottobosco fosse coperto di foglie da poco cadute o di fiori appena spuntati, quando poteva usciva per un giro nel bosco o nei prati della valle attorno.
La Rossa era certamente una ragazza solare e gentile, benvoluta da tutto il paesello, ma aveva anche un carattere fermo e determinato, per il quale, in seguito alla prematura dipartita del padre, aveva assunto il ruolo di uomo di casa. Sua nonna, che viveva con loro, non era entusiasta della cosa, ma dopo il primo inverno con pasti caldi grazie alla legna da ardere raccolta dalla nipote divenne un po’ meno insofferente rispetto alla cosa; certo non era entusiasta che una ragazza adolescente andasse in giro da sola nel bosco, ma s’era dovuta rassegnare. La madre invece era relativamente tranquilla in merito: certo nemmeno lei era entusiasta, ma sapeva che Caran sapeva quel che faceva – in fondo, non era cresciuta seguendo passo passo il padre fino ai tredici anni per nulla – che era molto responsabile per la sua età, e soprattutto era consapevole del fatto che avevano bisogno di qualcuno che pascolasse le pecore, raccogliesse la legna e facesse tutti gli altri lavori che prima erano compito del marito.

***

Caran aveva da poco compiuto sedici anni.
Era ancora autunno, anche se piuttosto inoltrato, ma la neve aveva già iniziato a cadere prematuramente, annunciando un inverno lungo e rigido e stendendo un leggero manto bianco. Fortunatamente la neve caduta era poca, quindi quel giorno Caran poteva andare a raccogliere un po’ di legna.
La mattina, dopo aver fatto colazione con un po’ di latte e aver munto le pecore si preparò ad uscire. Raccolse i lunghi capelli corvini in una treccia, che le scendeva morbida fino all’addome, salutò la madre e la nonna, prese il suo mantello rosso e lo infilò sopra alla lunga tunica bianca, indossò gli spessi guanti di pelle e tirò sulla testa il cappuccio del mantello. Infine, si caricò l’ascia in spalla e uscì dopo aver salutato una seconda volta le due donne, annunciando appena prima di chiudere la porta che sarebbe tornata per pranzo.

Il cielo era plumbeo, quel giorno: probabilmente il sereno, se così poteva essere chiamato, non sarebbe durato ancora molto a lungo.
Caran gettò l’ascia nella carriola, che prese per i manici avviandosi verso il bosco lungo il sentiero sconnesso. Gli stivali di rigido cuoio scuro contrastavano con il colore latteo del terreno, completamente coperto di neve che lentamente impregnava l’orlo della gonna candida al suo passaggio.
Cercava rami caduti, ma che non fossero fuscelli eccessivamente gracili, e un qualche vecchio albero malato che avesse vissuto abbastanza a lungo da poter salutare questo mondo e la foresta in cui viveva senza rimpianti. Lungo il tragitto si fermava a raccogliere qualche ramo, finché vagando non trovò un albero che era esattamente come lo cercava: era un vecchio abete, chiaramente morto a causa della totale assenza di aghi sui suoi rami spogli. Iniziò a spezzare le fronde più esterne e basse, per farsi largo verso la base del tronco. Lavorò da metà mattinata finché non si avvicinò l’ora di pranzo. Poiché la carriola era quasi piena decise di spezzare qualche altra frasca e avviarsi poi verso casa, con l’intento di riprendere il lavoro dopo aver mangiato.
Aveva appena iniziato a nevicare. Mentre finiva diligentemente di caricare la carriola sentì un rumore sospetto dietro di sé. Poteva essere solo un animale innocuo, ma per sicurezza prese l’accetta e si voltò caricando un fendente.
Si trovò davanti un ragazzo dai corti capelli scuri, il viso giovane e asciutto, non scarno, dimostrava pressoché la stessa età che aveva la ragazza. Sotto il mantello marrone si intravedevano una camicia bianca e un paio di pantaloni color terra infilati negli stivali di cuoio scuro, della stessa tonalità dei guanti che avvolgevano le mani – o almeno, quella in vista. Anche se il fisico era coperto dal mantello si intuiva che fosse abbastanza muscoloso, abituato ai lavori duri, alle lunghe camminate e a maneggiare l’ascia.
Lo riconobbe all’istante, calando la scure e piantandola a terra.
 “Bel modo di accogliere un amico, Rossa.” la prese in giro il ragazzo con la sua voce profonda.
“Njl! Ti sembra questo il modo di comparire alle spalle di una ragazza indifesa?”
 “Indifesa? La tua accetta dice il contrario, mi sembra.”
Lei rise. Njl adorava quando rideva, sembrava che le lentiggini le danzassero sul volto, e non poté fare a meno di sorridere.
“Sei sempre il solito.”
“Spero sia un complimento.”
“Non ci conterei troppo…” scherzò tranquilla “Allora, come mai questo agguato?”
“Agguato? Quale agguato? Ti ho solo vista da lontano, in fondo il tuo mantello è inconfondibile e si fa decisamente notare in mezzo al bosco. Così ho pensato di passare a salutarti, portandoti questa.”
Finalmente anche l’altra mano si mostrò: stringeva tra le dita una rosa selvatica, sopravvissuta probabilmente per un qualche miracolo al freddo precoce. Era rossa, ma a causa delle temperature assai basse appariva bianca per il ghiaccio cristallizzato sui petali. Caran gli si avvicinò prendendo il fiore con un’espressione stupita sul volto, ma anche dolce.
“L’ho trovata per caso lungo la strada, ho pensato che avrebbe potuto piacerti.”
“Non me l’aspettavo proprio!”
Gli diede un bacio sulla guancia in segno di gratitudine.
“Grazie, è molto bella.”
“Come te.”
Di scatto spostò gli occhi dalla rosa a Njl. Lui sorrideva, ma non scherzosamente come sempre: si notava che era molto serio.
“Ma che dici? Non prendermi in giro!” Rideva nervosamente mentre parlava: quella situazione era strana, non ci si trovava a proprio agio. Njl non si era mai comportato così, da che lo conosceva: erano migliori amici sin dall’infanzia, anche se lui era più grande di un anno erano cresciuti assieme; l’aveva sempre presa in giro, e lei non era certo da meno, e qualche volta quando la vedeva triste le portava dei fiori per strapparle un sorriso, ma non le aveva mai detto che era bella. Njl non era il tipo da dire certe cose, o almeno non su di lei.
“Non ti sto prendendo in giro.”
Smise di sorridere, diventando completamente e indubbiamente serio.
“Sono innamorato di te.”
Caran era sconvolta. Mai si sarebbe aspettata qualcosa di simile, men che meno con il suo migliore amico. Era assurdo, completamente privo di senso.
“No. No, non puoi essere innamorato di me.”
“Sì che posso, e lo sono.”
“No, non ha senso, noi siamo amici, siamo cresciuti assieme… siamo praticamente fratelli!”
“No…” iniziò a ripetere Njl “no…”
“Ascoltami, Njl, io ti voglio bene, ma non posso amarti… è sbagliato. Anche se non siamo davvero parenti, per me sei come un fratello maggiore.”
Il tono di Caran era gentile come sempre, cercava di farlo ragionare.
“No, no, no!” Aveva alzato la voce, non l’aveva mai fatto. L’afferrò bruscamente per le braccia mentre parlava, facendola sobbalzare per lo spavento.
“Scusa, mi dispiace, non volevo spaventarti.” ammorbidì la presa, accarezzandole le spalle per tranquillizzarla. La voce gli tremava. “Ma ascoltami tu, ora. Noi non siamo fratelli, e io ti amo.”
“Mi dispiace,” replicò Caran con un filo di voce “devo tornare a casa.”
Lui lasciò del tutto la presa, lei gli restituì il fiore.
“Ok, allora ti accompagno.”
“Preferisco di no, vorrei andare da sola.”
La ragazza gli diede le spalle per finire di mettere la legna nella carriola.
La rosa cadde per terra mentre lui le si avvicinava. L’afferrò alle spalle, bloccandola come poteva con un braccio e tappandole con l’altra mano la bocca e il naso per farla svenire. Quando perse conoscenza le fece bere con attenzione il contenuto di una borraccia, poi le spezzò una gamba; infine, se la caricò in spalla senza troppi problemi, come se fosse un sacco di patate, e se ne andò.
La neve che cadeva sempre più forte coprì complice le sue tracce.

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E questo primo capitolo è andato… la storia si compone di tre capitoli, non è eccessivamente lunga :)
Piccola nota finale: il nome non è scelto a caso, Caran infatti è un termine elfico che significa rosso. L’idea era di intitolare la storia come la fiaba originale, ma usando i termini elfici, in quanto ho scelto di usare il nome Caran tra i tanti che avevo selezionato con lo stesso significato, solo che Helf Caran non mi suonava bene, così ho dato alla storia il titolo che effettivamente ha.
Qualcuno si chiederà: dice di amarla e le spezza una gamba? Non è coerente. Bene. Per Njl lo è. Scoprirete tutto nel prossimo capitolo.
Nel frattempo, spero abbiate gradito e che vorrete lasciare un commento ^^ Ci si vede al prossimo capitolo.
Baci,
areon

   
 
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