Questa storia mi è venuta in mente
all'improvviso e mi è venuta una voglia incredibile di scriverla. Ci ho messo
quattro giorni in tutto e posso assicurare che per me è un record assoluto,
scrivere così tanto in così poco tempo.
E' un esperimento, quindi prendetelo
con le pinze. Va letto con molta attenzione.
Buona lettura,
Reira
Edit: sono costretta a ripubblicare questa
one-shot per via del ripristino del server di EFP che me l’aveva cancellata. Chiedo
scusa a chi l’ha già letta e se la trova di nuovo di fronte.
- Quello che
non è accaduto –
Draco pensò che quella mattina il cielo fosse
insolitamente terso. Neanche una nuvola a offuscare i suoi occhi. Si alzò con
movimenti lenti e calibrati, spostando cautamente il lenzuolo, come se avesse
paura di svegliare qualcuno dall’altra parte del letto. In realtà, se si
escludeva la presenza dell’elfo domestico che si era appena materializzato
nell’angolo, la stanza era completamente vuota.
Un cambiamento piacevole rispetto al solito. Draco
cominciava a essere stufo di sconosciuti che crollavano esasusti nel suo letto
dopo una scopata massacrante e non si rialzavano fino al mattino dopo. Le
persone iniziavano a dargli prurito, una volta superato il livello accettabile
di ore in loro compagnia. E questa regola valeva per chiunque.
A quanto pareva, il ragazzo della sera precedente
aveva avuto il buon gusto di scomparire dalla sua vista in tempi decenti. Tanto
meglio.
Draco si stropicciò gli occhi con il dorso della mano
in un gesto infantile. Se lo concedeva solo quando era l’unico spettatore di se
stesso. Soffocando uno sbadiglio, chiamò l’elfo domestico e gli spiegò nel
dettaglio cosa voleva per colazione, specificando quando e dove dovesse
portargliela. Raramente mangiava due giorni di seguito nella stessa stanza. In
verità, era altrettanto raro che dormisse nello stesso posto per due notti di
fila, ultimamente.
Palazzo Malfoy offriva enormi possibilità per quanto
riguardava la varietà delle camere e Draco era convinto che il cambiamento
potesse in qualche modo soffocare la piega inquietante che stavano prendendo i
suoi sogni in questi giorni.
La cosa stava seriamente iniziando a seccarlo.
All’inizio si era solo stupito. Non gli era mai
capitato di sognare di se stesso neonato. Ad un certo punto, nella notte, gli
era comparsa davanti agli occhi l’immagine leggermente sfocata di un bambino
appena nato, la pelle pallidissima, la bocca spalancata in un pianto disperato,
mentre si dimenava in una culla, scalciando via una coperta di cotone. Da
principio Draco non aveva capito che si trattava di lui, ma lo stemma dei
Malfoy inciso sul legno della culla non lasciava adito a dubbi.
C’era qualcosa di strano nei colori del sogno, avevano
un sapore di vecchio e stantio, come di un ricordo tirato fuori da chissà dove.
Il giallo si stendeva come un velo opaco su ogni cosa, le immagini non
riuscivano a rimanere nitide e, di tanto in tanto, perdevano la messa a
fuoco.
Eppure a turbarlo non era stata la vista di quel se
stesso frignante e scomposto o la stranezza dei colori, bensì la voce che ad un
certo punto aveva sentito distintamente nella testa.
“Questo sei tu.”
Non poteva dire di riconoscerla. Certo gli ricordava
qualcosa, ma era un pensiero vago e indistinto, che non sarebbe rientrato nella
schiera delle certezze.
“Draco Malfoy, nato il 5 giugno del 1980.”
Senza dubbio non era la voce di una persona anziana.
Era un uomo, probabilmente tra i venti e i trenta. Il tono era incredibilmente rilassato
e c’era un’aria di intima confidenza con cui Draco faceva fatica a rapportarsi.
Se avesse voluto immaginare il misterioso narratore, probabilmente gli avrebbe
piazzato un mezzo sorrisetto in faccia. Ma, essendo completamente addormentato
e nel bel mezzo di un sogno quantomai assurdo, non aveva certo modo di
scegliere cosa immaginare.
“Ah, capriccioso e viziato fin da piccolo, eh Draco?”
La voce aveva un tono di rimprovero, ma il sospiro che
aveva seguito le parole suggeriva che, in realtà, il narratore si fosse
estremamente intenerito. Probabilmente aveva subito anche lui l’effetto
devastante di quei batuffoli di carne chiamati bambini. Non si rimane mai
uguali, quando se ne vede uno. Alcuni non sanno che pesci prendere di fronte a
un esempio di essere umano non ancora formato, altri si lasciano vincere dal
fascino dell’innocenza, altri ancora regrediscono fino a ridursi essi stessi a
larve non ancora cresciute. Draco avrebbe potuto giurare che la voce narrante
corrispondeva esattamente al terzo tipo.
L’immagine poi era cambiata repentinamente e davanti
agli occhi chiusi di Draco era comparso un altro neonato. Questo era sorridente
e con ciocche sottili di capelli scuri in testa. Muoveva simultaneamente
braccia e gambe, come se stesse oscillando, in un ritmo veloce, e strizzava gli
occhi, scoprendo le gengive in un sorriso senza denti.
“E questo sono io.”
Il filtro dei colori nella sua mente doveva avere un
qualche malfunzionamento, perchè anche in questo caso l’immagine era poco
nitida e attraversata da linee scure, come fossero interferenze.
“Harry Potter, nato il 31 luglio del 1980.”
Draco, a quel punto, aveva spalancato gli occhi. Era
ancora nella sua stanza. Per sicurezza aveva fatto un rapido giro di
perlustrazione. Nessuna traccia di Potter. Quindi si trattava solo di uno
scherzo malsano della sua mente. Per quanto estremamente fastidioso, Draco
pensava che, almeno, un episodio del genere sarebbe rimasto isolato.
La notte seguente, tuttavia, la situazione non era
affatto migliorata.
Era ricomparso il neonato sorridente e la fastidiosa
voce di Potter. Se non fosse stato addormentato, Draco avrebbe alzato gli occhi
al cielo e sbuffato rumorosamente. Invece, essendo nelle mani spietate
dell’incoscienza, era costretto a rimanere immobile ad ascoltare qualunque
cazzata Potter avesse da dirgli.
“Sono nato nella casa a fianco alla tua. Giardini
adiacenti, separati solo da una staccionata. Non trovi anche tu che l’estate
sia la stagione migliore per nascere? ”
L’immagine era cambiata ancora. Adesso Draco poteva
vedere una versione ridotta di Palazzo Malfoy, intatta nel bianco delle pareti,
ma di dimensioni considerevolmente minori. Anche il giardino era piccolo, e
circondato tutt’intorno da una semplice staccionata in legno. Il cancello d’ingresso
rimaneva in ferro, lo stemma dei Malfoy che sigillava l’entrata.
Proprio di fianco a questa versione per elfi di
Palazzo Malfoy, faceva discreta mostra di sè un cottage. Mattoni scuri e tegole
rosse sul tetto. Un giardino ben curato, anche se poco più grande di un
fazzoletto. Draco pensò che, presumibilmente, fosse la topaia dov’era nato
Potter.
Le due case erano adagiate sulla cima di una
collinetta e spiccavano isolate sul resto delle abitazioni che si raccoglievano
ai loro piedi. Un’unica strada conduceva in basso, costeggiata ai lati da
platani e cespugli cresciuti senza controllo.
“Ci siamo conosciuti proprio in questo momento.”
Draco vide nuovamente se stesso, placidamente adagiato
nella culla, questa volta con gli occhi grigi spalancati verso l’alto. Notò,
con un moto di lieve disgusto, che stava sbavando. Non c’era nulla da fare, non
sopportava la vista di essere umani non ancora avvezzi alla regole della buona
creanza. Non riusciva a fare un’eccezione neanche per se stesso.
Poi la scena si era ampliata e Draco aveva potuto
notare una donna, abbassata sulla sua culla, con in braccio un fagotto celeste.
Un massa informe che muoveva senza sosta le mani intorno a sè, stringendo nel pugno
qualunque cosa riuscisse ad afferrare.
Lo sguardo da ebete di Potter non era affatto cambiato
nel tempo. E persino in questo mondo parallelo era rimasto identico, pensò
Draco con una punta di stupore. Il sogno stava prendendo una piega sempre più
stravagante. Lui e Potter certo non erano mai stati vicini di casa e Draco
ricordava con assoluta chiarezza la prima volta che si erano incontrati. Erano
abbastanza grandi da poter compiere delle scelte autonomamente. E Potter non
aveva scelto lui.
Nel sogno, tuttavia, Harry ridacchiava, guardando
nella sua direzione e la donna che lo teneva in braccio, una ragazza giovane e
dai lineamenti delicati, con lunghi capelli rossi, faceva il solletico a Draco
sulla pancia.
“Questo è l’inizio di tutto,” diceva la voce di Potter
nella sua testa. “Cavolo, Malfoy, hai un’espressione da stronzetto anche a sei
mesi!”
E poi Draco aveva sentito una risata soffice
rieccheggiare nella sua mente, ricolma di un affetto di cui non riusciva a
spiegarsi la presenza. Eppure ne poteva percepire la vibrazione, il
ripercuotersi irregolare negli anfratti della sua testa.
Nel frattempo l’immagine era cambiata di nuovo. Ci
aveva messo un attimo a schiarirsi, e, nonostante la nitidezza fosse
notevolmente migliorata, continuava ad oscillare lievemente. Draco riconobbe il
posto. Era una delle stanze al pianterreno di Palazzo Malfoy, sulla cui parete
di sinistra erano appese le fotografie di ogni componente della famiglia con
indosso un’uniforme Slytherin, il primo giorno di scuola. Ragazzini e ragazzine
di undici anni, alcuni con l’aria seria di chi vuole impressionare, altri con
un sorriso soddisfatto, si muovevano appena nelle cornici d’argento. Certe foto
sapevano di antico, il color seppia che dominava l’atmosfera, le divise diverse
da quelle che Draco era abituato ad indossare. Tuttavia, tutti esibivano
orgogliosamente uno stemma con il serpente verde argento sul lato destro del
mantello, senza nessuna eccezione. Era tradizione dei Malfoy farsi scattare una
foto il giorno dopo lo smistamento, in modo da far sapere a tutta la famiglia
che erano finiti nell’unica casa che fosse degna del loro nome.
In basso, sotto alle cornici, a Draco parve di
scorgere qualcosa.Un ciuffo di capelli biondi.
“Questo sei tu a tre anni. Già uno Slytherin nel
cuore!”
Il piccolo Draco saltellava, cercando di sfiorare i
vetri delle cornici più in basso. Nonostante lo sforzo che stava facendo, aveva
un’aria incredibilmente compiaciuta. Il campo poi si era allargato, e Draco
aveva notato un bambino con gli occhiali, dall’aria scarmigliata, che
ridacchiava al suo fianco. Quel coglione di Potter. Sorridete, aveva detto
qualcuno, e loro si erano girati di scatto con un’aria confusa.
Click.
“La nostra prima foto è orribile, a dire il vero. Tua
madre ci ha praticamente tagliato a metà la faccia e per il resto non si vedono
altro che generazioni di Malfoy in divisa scolastica. Non che sia andata molto
meglio gli anni successivi. Ho l’impressione che tua madre non abbia mai
imparato ad abbassare il cavalletto, perchè ha continuato a tagliarci fuori
dall’inquadratura finchè non siamo diventati abbastanza alti da poterci
finalmente entrare.”
Il tono sconcertato di Potter lo divertiva. In effetti
sembrava proprio una cosa da sua madre.
“E poi, onestamente, non ho mai capito la sua
fissazione per quella parete piena di vecchie foto. Ha continuato a
fotografarci lì ogni anno, il giorno del tuo compleanno.”
A quel punto si erano susseguite una serie di immagini
in sequenza veloce. Harry e Draco a quattro, sei, sette, dieci anni, sempre
davanti a quella parete. Nelle prime foto era difficile decifrare la loro
espressione, visto che più di metà del viso era tagliata, e l’unico indizio
poteva essere dato dalla sopracciglia, che entravano a malapena
nell’inquadratura. Quando finalmente erano cresciuti a sufficienza da essere
visibili, le loro espressioni erano quanto di più dissimile si potesse
immaginare. Harry dava quasi sempre l’impressione di uno colto di sorpresa,
Draco faceva del suo meglio per assumere un contegno degno dei Malfoy alle sue
spalle. Tuttavia la foto dei sette anni faceva eccezione. Harry si girava verso
destra con un’aria scocciata, abbassando il mento sul petto, e Draco ghignava
guardando dritto verso l’obiettivo, aggiustandosi la cravatta che sua madre gli
aveva fatto indossare.
“Cavolo, Draco, non sai quanto ero incazzato con te
quel giorno! Perchè diavolo hai dovuto chiedere l’ultimo modello di scopa
giocattolo come regalo di compleanno? Merlino, io ci sbavavo dietro da mesi e te
non sapevi neanche che esistesse prima che te ne parlassi io!!”
Draco avrebbe sghignazzato senza ritegno, se fosse
stato sveglio. Evidentemente questo mondo parallelo del suo sogno aveva forti
analogie con la realtà. Tutta questa faccenda stava cominciando a divertirlo.
Era curioso di sapere dove sarebbe andato a parare Potter. Da sveglio
probabilmente la cosa gli sarebbe apparsa sotto un’altra luce, ma, finchè era
addormentato, non lo preoccupava minimamente.
L’immagine era cambiata di nuovo e stavolta sotto gli
occhi chiusi di Draco era apparso un ragazzino che dormiva in un letto a due
piazze. Draco aveva riconosciuto nuovamente il luogo, era la sua camera a
Palazzo Malfoy, quella che aveva occupato fino all’undicesimo compleanno.
Leggermente più piccola rispetto alla sua, in realtà, ma il letto era delle
stesse dimensioni enormi, con un baldacchino da cui scendevano tende di cotone
sottile, in modo che la luce proveniente dalla finestra potesse penetrare
all’interno, anche se affievolita dal tessuto.. Sembrava che fosse mattino
molto presto, a giudicare dal bagliore appena percepile che filtrava dalle
tapparelle.
E, ad un certo punto, la porta si era spalancata ed
erano entrati i suoi genitori, entrambi in pigiama, suo padre con un pacco
enorme tra le mani. Buon compleanno Draco, avevano detto e si erano seduti in
fondo al suo letto, aspettando che si svegliasse.
“Ecco, questa è un’altra cosa che non capisco. Che
bisogno c’è di svegliare un bambino alle sei del mattino, l’ora esatta in cui è
nato, per fargli gli auguri? Draco, lasciatelo dire, le tue tradizioni
familiari non hanno alcun senso.”
Draco avrebbe potuto giurare di aver visto Potter
scuotere la testa e sospirare. Gli venne il sospetto che fosse semplicemente
invidioso. Nel frattempo, il suo alter ego di sette anni si era svegliato e si
era avventato sul pacco come un animale sulla sua preda. Come un animale che
non mangia da una settimana, sarebbe più corretto dire. Suo padre non faceva
che ripetergli di darsi un contegno e sua madre lo guardava con aria
comprensiva. Nel frattempo, sulla soglia della porta era comparso un piccolo
Potter con gli occhiali storti sul naso e i capelli in condizioni disastrose.
Era ancora in pigiama.
“Il punto è che alla fine dovevo alzarmi anch’io a
quell’ora per farti gli auguri! Lo so, ora mi dirai che non te ne fregava nulla
se c’ero o meno, l’importante era che ci fosse il tuo regalo. Ma la verità è
che non mi avresti più parlato per una settimana se non fossi stato lì. Ero pur
sempre il tuo migliore amico.”
Anche se avesse potuto farlo, Draco non avrebbe saputo
che rispondere. Non riusciva proprio a seguire il filo del discorso di Potter.
Migliore amico? Quando mai erano stati migliori amici? Poi si ricordò che era
solo un sogno e allora si rilassò di nuovo.
La scena si era spostata di nuovo. Draco riconobbe il
giardino sul retro di Palazzo Malfoy. Sull’erba fresca appena tagliata, un
bambino biondo aveva appena buttato la cravatta per terra e la stava
calpestando pieno di rabbia. Dopo essersi sfogato, aveva preso in mano la
scopa, che sembrava essere stata gettata sul terreno morbido poco prima, e
l’aveva inforcata. Ma nel momento in cui aveva provato a librarsi in aria,
aveva vacillato, instabile sul bastone di legno, ed era miseramente crollato a
terra con tutta la scopa. A giudicare dalle macchie di terriccio sulla camicia
e sui pantaloni non doveva essere la prima volta che cadeva. Draco notò,
nonostante l’immagine fosse chiaramente malferma e poco nitida, che il se
stesso in miniatura aveva gli occhi lucidi per la rabbia e la frustrazione.
Poi, all’improvviso, si era rialzato, si era diretto
verso la staccionata che separava casa sua da quella di Potter e aveva chiamato
il nome di Harry a gran voce.
E in quel momento Draco si era svegliato. Era completamente
sudato e si accorse di aver dormito un numero di ore spropositato. A mente
lucida, questa storia del sogno lo infastidiva non poco. Era come se Potter si
fosse infilato nella sua testa e stesse riscrivendo la sua infanzia come voleva
lui.
Ma il vero timore di Draco non era che Potter gli
leggesse i pensieri, era che fosse la sua stessa mente ad aver creato questa sorta di mondo
alternativo. Non riusciva a capire che senso avesse e rifletterci troppo a lungo
gli faceva venire l’emicrania.
Così aveva adottato la soluzione di cambiare ogni
notte la stanza in cui dormiva, possibilmente portandosi a letto qualcuno che
lo sfiancasse così tanto da non aver neanche la forza di sognare. Ma a quanto
pareva aveva sottovalutato le sue capacità di resistenza. O forse aveva
sopravvalutato la potenza sessuale dei suoi partner.
Qualunque fosse il caso, il sogno di Draco era ripreso
esattamente dove lo aveva lasciato la notte precedente.
In piedi davanti alla staccionata di legno bianco, quel
ragazzino biondo sporco di terra chiamava Potter, che se ne stava immusonito
dall’altra parte del giardino. Harry esitava, ciondolandosi sulle gambe e
lanciando, di tanto in tanto, occhiate adoranti alla scopa che Draco teneva in
mano. Alla fine crollò. Pur con una buona dose di sospetto, si avvicinò alla
staccionata. Prova tu, erano state le uniche parole di Draco.
Potter si era letteralmente catapultato al di là dello
steccato, chiaramente fuori di sè per la gioia. Aveva lanciato un sorriso
radioso a Draco, che, invece, continuava a guardarlo con le sopracciglia
corrugate, e aveva afferrato la scopa. Un attimo dopo, galleggiava nell’aria,
almeno un metro da terra. Draco aveva spalancato gli occhi per la sorpresa,
accigliandosi il secondo successivo. Il labbro inferiore tremava appena. Potter
aveva fatto un giretto di prova intorno al giardino, poi aveva rallentato,
avvicinandosi nuovamente a Draco. E gli aveva teso la mano.
“E’ questo il momento, Draco. Alcune persone passano
tutta la vita a chiedersi quando capiterà, altre, pur avendolo vissuto, non
riescono ad individuarlo. L’istante in cui una persona entra a far parte della
tua vita in modo indelebile.”
Harry non aveva fermato il movimento della scopa, e
così Draco ci era saltato sopra, un piede sul legno e la mano stretta in quella
di Potter, mentre scivolava dietro di lui. E, ad un tratto, si era ritrovato in
volo.
Quel sogno stava prendendo una sfumatura inaspettata.
Draco si accorse che i colori vibravano
e per un istante pensò di sentire sul viso il vento che sferzava la pelle di
quei due bambini sulla scopa. Era una strana sensazione, stare fermo in un
letto e sentire il vuoto sotto di sè al tempo stesso.
Harry aveva accellerato e impennato verso l’alto,
costringendo Draco a stringersi ai suoi fianchi per non cadere. Non si erano
sollevati per più di tre metri da terra, le scope giocattolo avevano i loro
limiti. Ma Harry stava puntando dritto verso la strada in discesa che portava
in paese. Draco vide in lontananza sua madre e suo padre che uscivano in
giardino, urlando qualcosa.
“Mi sono sentito invincibile. Non era solo la
sensazione di volare, la velocità o l’aria gelida tra i capelli. Erano
soprattutto le tue dita strette sulla mia maglietta, come se contassi su di me.
Finalmente ho pensato di averti raggiunto.”
Senza alcun preavviso, Harry si era lanciato giù per
la discesa, abbassando il corpo sul manico di scopa e accellerando al massimo.
Draco lo aveva imitato, avvolgendo completamente le braccia intorno alla sua
vita e chiudendo gli occhi.
“Ti sei fidato di me. Avevi talmente paura che mi hai
stritolato le costole, ma non ti saresti mai tirato indietro. Sei un orgoglioso
del cazzo, ammettilo!” Potter aveva ridacchiato. “E una volta che ci siamo
lanciati a tutta velocità non siamo riusciti più a fermarci.”
Draco poteva sentirlo. Non sapeva come fosse
possibile, ma gli si stava aggrovigliando lo stomaco in un miscuglio di
sensazioni che non gli appartenevano. C’erano paura, invidia, eccitazione,
brandelli di pura felicità. Riusciva persino a sentire il cotone leggero della
maglietta di Potter sotto le dita.
Lo sguardo di Harry era assolutamente concentrato,
notò Draco. La bocca era una linea sottile, le palpebre leggermente abbassate
per proteggersi dal vento, il collo proteso in avanti e la mascella serrata,
sembrava che stesse sfruttando ogni briciola della sua energia per volare
sempre più veloce. E al tempo stesso c’era qualcosa di incredibilmente vivo in
lui, quel fendere l’aria come se fosse stata di sua proprietà, con uno sprezzo
del pericolo che sconfinava pericolosamente nell’idiozia.
Draco sentiva la paura montargli dentro man mano che
si avvicinavano alla fine della discesa, ma era troppo impegnato a godersi la
sensazione di quella spirale di eccitazione crescente che gli stringeva il
petto, per farci caso. Gli venne un’improvvisa voglia di alzarsi, prendere la
sua scopa e volare da qualche parte, non importava dove. Sfortunatamente,
svegliarsi non era un’opzione realizzabile al momento, quindi si rassegnò a
rimanere dov’era.
Ormai erano arrivati alla fine della strada e Potter
aveva deviato improvvisamente a sinistra per evitare di andare a sbattere
contro lo steccato di una delle villette. Aveva rialzato il busto e teneva le
braccia rigide sul manico di scopa, mentre abbassava le gambe verso terra.
Sollevando un incredibile polverone, aveva poggiato i piedi al suolo cercando
di frenare in qualche modo la scopa. Erano andati avanti per almeno un paio di
metri, finchè, finalmente, quel pezzo di legno non si era deciso a fermarsi.
Poi entrambi erano rimasti immobili per un attimo,
aspettando che la polvere calasse, e Draco aveva visto sua madre in cima alla
strada. Gli stava strillando, apparentemente spaventata a morte. Doveva averla
notata anche Harry perchè, con un sorriso enorme in volto, le aveva urlato di
rimando.
Salvi!
E poi erano smontati dalla scopa e avevano iniziato a
ridere come pazzi. Draco sentiva le ginocchia tremare ed era convinto che avrebbero
ceduto da un momento all’altro, ma Harry l’aveva abbracciato, completamente
stravolto dalla gioia, e aveva iniziato a saltellare, stringendo forte il collo
dell’amico.
Sdraiato sul letto di casa sua, Draco sentì un’ondata
di calore travolgergli le viscere, per poi scomparire improvvisamente. Ebbe
come l’impressione di essere stato abbandonato, lasciato solo a confrontare le
blande sensazioni che la vita quotidiana gli offriva con quelle di quel
ragazzino, così intense da riempirlo fino all’orlo.
Nel frattempo, la scena era cambiata di nuovo. Draco
riconobbe il suo letto a baldacchino e i due bambini che ci stavano saltando
sopra. C’era una luce stranamente innaturale nella stanza, bianca e soffice,
che stonava decisamente con il blu pallido del cielo visibile dalla finestra.
Poi, osservando con più attenzione, Draco si accorse che la luce proveniva dal
centro del letto. La mano di Harry, in un’esplosione di magia spontanea, li
illuminava entrambi. Indossavano ancora il pigiama, le magliette che si
sollevavano leggermente ad ogni salto. Harry esibiva un sorriso sdentato, gli
erano caduti entrambi gli incisivi da latte, mentre Draco stava ridendo con un
trasporto che gli mozzava il fiato. Ogni tanto saltavano con lo stesso ritmo,
facendo scricchiolare le molle del letto, ogni tanto lo perdevano e ognuno
cercava di riprendere il passo dell’altro, in un rincorrersi senza sosta.
La sua espressione era così irriconoscibile, carica di
una spontaneità sorprendente, che, per un attimo, Draco pensò che non potesse
trattarsi di lui. Sentì una pugnalata di invidia colpirlo alle spalle,
ferocemente, e una punta di inaspettato rimpianto minacciarlo appena sotto le
palpebre chiuse. Non riusciva a crederci, che la vita potesse scorrerti sotto
la pelle in quel modo, come sangue nelle vene e nelle arterie.
“Eravamo inseparabili. Neanche me lo riesco a
ricordare quante volte ci siamo buttati giù per quella discesa! Tua madre
voleva uccidermi ogni volta che mi vedeva vicino alla tua scopa!”
La risata lieve di Potter rieccheggiò flebilmente
nella sua testa, mentre le immagini si susseguivano ad un ritmo vertiginoso.
Lui ed Harry che si inseguivano nel giardino di casa sua, che si avventavano su
una torta, che crollavano a dormire esausti nel letto di Draco, che provavano a
far fluttuare i loro giocattoli, che ridevano talmente forte da doversi tenere
la pancia con le mani, ma, soprattutto, c’erano loro due sulla scopa, insieme,
che si lanciavano a tutta velocità nell’aria, rischiando di spaccarsi le ossa.
“Per me volare vuol dire volare con te” diceva la voce
di Potter. “Con il tuo petto che si adatta alla mia schiena ogni volta che
faccio una curva e le tue mani che mi stringono quando mi lancio in picchiata.”
Tutte quelle sensazioni stavano rischiando di
spezzarlo in due e Draco si era dovuto svegliare. Si era sollevato di scatto,
ansimando. Uno sconosciuto lo stava fissando con occhi assonnati dall’altra
parte del letto. Draco gli aveva sibilato un paio di insulti e quello si era
smaterializzato all’istante.
Era incazzato nero. Non poteva credere che Potter
stesse manipolando in questo modo i suoi sogni. Si diresse a passo rapido verso
la vasta biblioteca di Palazzo Malfoy, sperando di riuscire a trovare qualche
libro che potesse spiegargli che cazzo stava succedendo.
Dopo due ore passate a rovistare tra manuali di magia
dei sogni, Draco non era arrivato a nessuna conclusione. Esistevano incantesimi
in grado di pilotare i sogni, ma non si conosceva alcun modo per costruire un
sogno da zero e tantomeno di farlo riprendere la notte successiva dal punto
dove si era interrotto quella precedente. Inoltre non si faceva menzione di
realtà alternative o di voci che chiacchieravano con il sognatore.
Quello stronzo di Potter doveva aver trovato un
qualche incantesimo segreto per entrare nel suo cervello. Non c’era altra
spiegazione. Perchè lo stesse facendo rimaneva un mistero, ma a quanto pareva
non era intenzionato a dargli tregua.
La notte successiva Draco si sistemò sul divano in
salotto, sperando che la scomodità potesse impedirgli di raggiungere uno stato
di rilassatezza tale da arrivare alla fase rem.
Ovviamente, appena chiusi gli occhi e perso coscienza
di sè, Draco si era trovato nuovamente di fronte gli ormai familiari colori
appassiti del sogno. Si riconobbe immediatamente, mentre tentava di appendere
qualcosa alla parete. Osservando con più attenzione si rese conto che era la
stessa stanza dove lui e Potter erano stati fotografati, quella con le foto dei
Malfoy in divisa scolastica. Appena il se stesso undicenne si era scostato
dalla cornice, finalmente inchiodata al muro insieme alle altre, Draco era
riuscito a vederne il contenuto: un ragazzino biondo e con la faccia appuntita,
la divisa Slytherin indosso, che esibiva un ghigno compiaciuto e indicava il
serpente sul suo mantello con il dito.
“Poteva andare diversamente?” Quella di Potter era
chiaramente una domanda retorica.
La bocca di Draco si contrasse in un sorriso mentre
dormiva.
Poi vide Harry avvicinarglisi con aria furtiva. Aveva una
cornice di legno in mano. Sogghignò in direzione di Draco e raccolse il
martello e i chiodi che erano per terra. Draco alzò gli occhi al cielo e
sbuffò.
I miei genitori ti uccideranno, lo sai vero? sussurrò
con aria palesemente divertita.
Harry era impegnato ad appendere la cornice al muro e
non si voltò per rispondergli, ma il suo ghigno si allargò ancora di più.
Vorrà dire che dovrò trovarmi nelle vicinanze della
tua scopa quando lo scopriranno, rispose, mentre osservava soddisfatto la foto
oscillare lievemente, proprio a fianco a quella di Draco.
Draco rise e gli diede un pugno poco convinto sulla
spalla. Sei proprio un Gryffindor, blaterò, scuotendo appena la testa, e poi
erano corsi via entrambi, mentre la voce di Narcissa si faceva strada dall’ingresso.
A Draco vennero in mente i vaghi cenni che Snape aveva
fatto sul padre di Harry, sulla sua arroganza e spavalderia. Mentre guardava la
foto dell’undicenne Potter che mostrava fieramente i colori rosso-oro della sua
divisa, pensò che, in questa vita, quei tratti della sua personalità dovessero
essere venuti a galla con estrema facilità.
Fosse stato sveglio, avrebbe probabilmente posto a
Potter la stessa domanda che era stata rivolta poco prima a lui.
Poteva andare diversamente?
“Te lo ricordi quanto si è incazzato tuo padre? Ho
disonorato generazioni e generazioni di Malfoy con i miei colori Gryffindor su
quella parete!”
Potter pareva star divertendosi un mondo e Draco non
potè fare a meno di sentirsi contagiato da tanta leggerezza. Mentre dormiva,
non poteva certo incolparsi per essersi lasciato coinvolgere dal suo sogno. Non
dipendeva da lui, dopotutto.
La scena cambiò improvvisamente e di nuovo Draco vide
la sua camera immersa nella penombra. Nel suo letto dormivano due persone:
Harry, con una gamba sopra il lenzuolo e una sotto, completamente scomposto
persino nel sonno, e Draco, con la mano sotto la testa a mò di cuscino e i
capelli biondi che gli ricadevano ordinatamente sugli occhi. Quando i suoi
genitori erano entrati nella stanza, sussurrando buon compleanno, Draco si era
alzato a malapena dal cuscino biascicando Harry è rimasto a dormire. Potter non
si era degnato nemmeno di svegliarsi. Lucius lo guardò sospirando e poi lasciò
il pacco ai piedi del letto, mentre l’appena tredicenne Draco si riaddormentava
pacificamente.
“In estate dormivamo sempre insieme. A dire la verità,
non mi sono mai abituato al dormitorio di Hogwarts. Non vedevo l’ora che
finisse l’anno scolastico per potermi godere tutte quelle ore di sonno
ininterrotto nel tuo letto.” Potter sospirò soddisfatto. “Mai dormito più
comodamente in vita mia.”
Draco non poteva certo dire lo stesso. Quel divano gli
stava massacrando la schiena. In compenso si sentiva inspiegabilmente
tranquillo. Tranquillo e protetto. E per un attimo non realizzò che le
sensazioni che stava provando erano in realtà di qualcun altro.
Nella sua testa continuavano a susseguirsi immagini in
sequenza veloce. C’erano sempre loro due, nel letto a baldacchino di Draco, ma
ogni volta che la scena cambiava sembravano più grandi. Harry aveva le mascelle
più compatte e i muscoli delle braccia meglio definiti, mentre il viso di Draco
si era fatto ancora più fino e aveva perso del tutto quella rotondezza tipica
dell’infanzia. Inoltre avevano preso entrambi l’abitudine di dormire a torso
nudo, con solo i pantaloni del pigiama indosso. Draco notò che, ad un certo
punto, le dita di Harry stavano sfiorando il suo avambraccio. Lui non si era
ritratto al tocco, anzi, si era spostato leggermente in avanti in modo che la mano
di Harry aderisse completamente al suo corpo.
Draco sentì una scossa di profondo timore scivolargli
sotto le palpebre e andarsi ad insinuare pericolosamente tra le pieghe della
tranquillità.
Nella scena successiva era Draco stesso ad aver
poggiato una mano sul petto di Potter. In quella dopo ancora, la sua fronte era
talmente vicino alla spalla di Harry che credette di sentire l’odore tiepido
della sua pelle nelle narici.
La tranquillità fu sostituita da uno strano miscuglio di
eccitazione, paura, confusione, desiderio, un flusso potente di emozioni che
confluiva direttamente nel basso ventre di Draco, in attesa di trovare uno
sbocco. Non potè più negare l’evidenza. Era attratto da Potter. Sentì un rivolo
di sudore gelido attraversargli la schiena e spalancò gli occhi.
Cazzo.
Questo era davvero troppo. Potter stava esagerando.
Draco si alzò istantaneamente dal divano e cominciò a fare avanti e indietro,
attraversando il salotto a passo di marcia.
Ogni volta che si svegliava sentiva gli strascichi
delle emozioni provate nel sogno rimanergli sulla pelle come una patina oleosa.
Per quanto cercasse di scrollarsele di dosso, ne poteva sentire la consistenza
insidiosa sul corpo, non c’era verso di liberarsene.
Il respiro leggero di Potter continuava a infrangersi
sulle sue dita e Draco seppe che non c’era via di scampo.
Si sedette nuovamente sul divano, accigliandosi. Non
sapeva a che gioco stesse giocando Potter, ma di sicuro l’aveva incastrato per
bene.
Non vide altra via d’uscita se non arrivare alla fine
di quello stramaledetto sogno.
Così si trascinò al piano di sopra, verso la sua
camera, e si lasciò cadere sul letto a baldacchino. Almeno dormirò comodo, fu
il suo ultimo pensiero coerente prima di lasciarsi avvolgere dalla morsa
dell’incoscienza.
Stavolta le sensazioni lo invasero all’improvviso.
Stava volando, le braccia incollate ai fianchi di Potter, i suoi capelli scuri
che gli solleticavano il naso, il vento freddo che gli colpiva le guance,
mentre salivano in alto, lasciandosi alle spalle le figure sempre più piccole
dei suoi genitori.
Harry si girò un attimo verso
di lui, guardandolo da sopra la spalla, e gli sorrise scoprendo una fila di
denti bianchi. Era un sorriso intimo e Draco si ritrovò a dover combattere quel
calore tiepido che gli avvolgeva lo stomaco.
Appoggiò la fronte sulla
schiena di Harry e chiuse gli occhi, lasciando che fosse la fiducia ad avere la
meglio sulla paura.
“Non sono riuscito più a
volare senza di te. Volevo solo andare il più veloce possibile e sentire la tua
presa farsi sempre più forte, senza lasciarmi mai. Tu non sai com’è, Draco,
rubare ogni briciola della tua fiducia e stringere tra le mani la vita di
entrambi.”
Draco sentì la propria
capacità di giudizio annebbiarsi, mentre si concentrava unicamente sulla
sensazione dei muscoli di Potter, tesi sotto la camicia. Guardò per un secondo
in basso e vide le case ridursi a puntini indistinti e i movimenti di ogni cosa
rallentare, mentre loro accelleravano sempre di più. Sentì un lampo di
eccitazione attraversargli il corpo, proprio come la prima volta che avevano
volato insieme.
“Non ho idea di come sarebbe
stata la mia vita senza di te. Di che persona sarei stato, se mi avessero tolto
ogni istante passato al tuo fianco.”
Draco si sentì sommergere da
due sensazioni opposte che non riusciva a spiegarsi. Sentiva la gioia spandersi
come un liquido nelle ossa, ma, al tempo stesso, una sostanza pesante e
compatta gravitava sul fondo e Draco ne percepì il sapore amaro sulla lingua.
Erano due emozioni
provenienti da punti distinti nella sua testa, non solo la consistenza, persino
la vibrazione che emanavano era completamente diversa. C’era una sorta di
sfasatura tra le due che Draco non riusciva a spiegarsi.
“Buon compleanno, Draco. Lo
so, non fare quella faccia! Ti ho comprato anche il regalo vero. Ma fai almeno
finta che questo ti sia piaciuto, non sai quanto mi ci è voluto per mettere
insieme tutti i ricordi!”
E poi improvvisamente quel
liquido, denso come piombo fuso, gli invase i polmoni e Draco non riuscì più a
respirare.
Rimpianto. Pesante come
catrame.
Pensò che sarebbe precipitato
al suolo e sarebbe morto, invece l’immagine iniziò a sbiadire, le forme a farsi
confuse, fino ad esplodere in una bolla di colori. E non c’era più nulla,
finchè dal buio non emerse una voce.
“Prima di morire, Dumbledore
mi ha consegnato un oggetto. Un’ampolla di ricordi che diceva provenisse da
molto lontano.”
La voce era quella di Potter,
Draco l’aveva riconosciuta, ma il suono era più duro, cupo e tagliente. Non
c’era familiarità e non c’era spensieratezza.
“Quando li ho visti la prima
volta non sono riuscito a capire. Nessuno di quei ricordi era autentico. E la
mia voce non aveva mai pronunciato quelle parole. Dumbledore non mi ha mai
spiegato come ne fosse venuto in possesso, mi ha solo detto che si trattava di
ricordi che io stesso avevo messo insieme per te. La vita è un bivio continuo, Harry, alcune scelte si compiono, altre
rimangono possibilità inespresse. Se Voldemort non fosse mai esistito,
forse tutto questo sarebbe successo. Dumbledore pensava di farmi un favore,
facendomi avere ricordi appartenuti a una vita che non ho mai vissuto. La
verità è che mi ha portato solo rimpianti.”
Draco capì a chi apparteneva
l’altra sensazione, quella che l’aveva soffocato, tanto era intensa.
“E non so perchè, di tutte le
persone al mondo, dovevi essere proprio tu a rendermi felice. Ma, un attimo
prima di sprofondare nuovamente nel rimpianto e nella nostalgia di avvenimenti
mai capitati, mi è venuta in mente una cosa. Voldemort è morto. E noi siamo
vivi. La vita è un bivio continuo, ma questa possibilità non voglio lasciarla
inespressa, Malfoy.”
Quando riaprì gli occhi,
Draco si rese conto di essere nuovamente sveglio.
Si sollevò sui gomiti, meravigliandosi
di come riuscisse facilmente ad inalare aria. Poi si avvicinò alla finestra,
fissando il cielo.
Era insolitamente terso e
Draco pensò che, osservando con attenzione, sarebbe sicuramente riuscito a
vedere Potter, se avesse deciso di volare in quella direzione, uno di questi
giorni.
Fine.