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Autore: Dahmer    04/06/2013    3 recensioni
I suoi occhi erano fuoco, la sua musica era il peccato, sarebbe stato destinato all’Inferno e la cosa non lo spaventava, non più almeno.
Genere: Drammatico, Suspence, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Tematiche delicate
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Vi consiglio di ascoltare Overneath the Path of Misery mentre leggete ... io mi sono lasciata guidare da quella canzone :) Spero vi piaccia :) 
Ps: So che la formazione attuale della band non comprende John 5 e M.W Gacy e Ginger Fish ma quella è sempre stata la formazione che preferisco :)

Bacio
*Black Devil*

 

I am a scar

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I suoi occhi erano fuoco, la sua musica era il peccato, sarebbe stato destinato all’Inferno e la cosa non lo spaventava, non più almeno.
Era seduto sul divano a guardare, impassibile, uno stupido programma televisivo. Al suo fianco, come al solito, c’erano i suoi compagni, eterni diavoli proprio come lui, forse per questo ci andava tanto d’accordo, ma non sempre le cose erano così idilliache come lui voleva far credere, soprattutto  con uno in particolare.
Si chiamava Jeordie, ma lui lo aveva sempre chiamato Twiggy. Era il suo migliore amico.
Dannazione però, lo faceva impazzire, voleva sempre avere l’ultima parola su tutto, ma, per i suoi gusti, dimenticava un po’ troppo spesso di non essere lui il leader della band. No, quello era Brian, ovvero Marilyn Manson e di certo non era uno che si lasciava mettere i piedi in testa da uno come Jeordie.
-CAZZO BRIAN LEVA I PIEDI DAL TAVOLINO, NON VEDO UN CAZZO!- sbraitò Twiggy accasciato al suo fianco, intento a trangugiare birra.
Manson si limitò a lanciargli uno sguardo acido e a squadrarlo da cima a fondo, ma non si mosse. Non prendeva ordini da nessuno, figuriamoci dal suo migliore amico.
-CAZZO BRIAN MI ASCOLTI?- gridò di nuovo Jeordie, cominciando ad irritarsi. Lo conosceva fin troppo bene e sapeva che lo stava ignorando solo per farlo innervosire, ma ogni dannata volta ci riusciva.
Lui si alzò, senza dire una parola e lasciò la stanza, procedendo a passi lenti e ridondanti.  
Cristo, Brian non era mai stato facile da trattare, i genitori per primi ci avevano rinunciato, ma non Twiggy.
-Brian torna qui- glielo impose e sbagliò. Fece l’errore più grande della sua vita. Brian lo raggiunse e lo alzò di peso dal divano, afferrandolo per il colletto della felpa. Lo sollevò qualche centimetro da terra e lo fissò dritto negli occhi.
Non disse nulla, non gli serviva dire nulla, i suoi occhi di solito parlavano da soli, erano fottutamente bravi a nascondere ogni sensazione che potesse indebolirlo, ma erano altrettanto capaci di ammonire tramite un solo sguardo.
Sbuffò e lo lasciò cadere sul pavimento. Gli altri erano rimasti completamente indifferenti, succedeva spesso che Brian si lasciasse prendere da frequenti momenti di follia, quindi ormai ci erano abituati, insomma, lui era Marilyn Manson, da lui non ci si poteva aspettare altro.
Tornò ad allontanarsi, adirato. I suoi passi rimbombarono violentemente nella stanza.
-Ragazzi sta peggiorando- disse Twiggy rimettendosi seduto.
-Non ci possiamo fare nulla Jeordie, ora zitto, c’è l’eliminazione- il tono di John 5 era assolutamente disinteressato, gli fregava certamente di più del programma che di Manson, questo era poco ma sicuro. Si era unito alla band per fare quel cazzo che voleva senza dover rendere conto a nessuno, non per occuparsi della depressione del cantante.
Twiggy, invece, era preoccupato, Brian era un fratello per lui e non era sempre stato così, almeno finché Marilyn Manson era semplicemente un personaggio, ma ora si era impossessato di lui, o forse era proprio  Brian ad aver deciso che era meglio come Marilyn Manson, almeno così era amato da qualcuno.
Fatto sta che quella dannata maschera lo stava distruggendo, il suo corpo era un’infinita rete di ferite sanguinanti, era un groviglio di tagli che probabilmente ormai non gli procuravano nemmeno più dolore, la sua mente era un nube di allucinazioni, dovute a tutte le droghe pesanti che si iniettava, sniffava, ingoiava, fumava o altro. Era Brian? No, era Marilyn Manson, era come se il suo personaggio cruento avesse eliminato la sua vera personalità, impadronendosi di tutto ciò che lo rendeva ancora umano.
Twiggy si diresse alla camera dell’amico, non poteva lasciarlo solo, non lui, ma più che altro, non con lui, non con Manson.
Quando lo raggiunse lo trovò, come sempre, ripiegato su se stesso, intento nel massacrarsi il petto con una lama affilata. Il comodino era completamente coperto da un cumulo di pastiglie e qualche busta di cocaina.
Il letto era disfatto, la moquette era macchiata da goccioline di sangue, che continuavano a cadere dal torace del cantante, totalmente indifferente alla presenza di Jeordie nella stanza.
-Brian …- Twiggy lo fermò. Manson odiava essere interrotto proprio quando cercava. Si, per lui non era dolore, era ricerca di qualcosa che ancora lo rendesse vivo, il sangue che scorreva nelle sue vene e i pensieri distorti che andavano a interrompere la monotonia della sua insensibilità, erano l’unica risposta.
Lo guardò, di nuovo non era necessario parlare. Jeordie prese le distanze, temendo un altro dei suoi improvvisi scatti d’ira. Manson riprese a torturarsi la pelle, conficcando la lama sempre più in profondità, con la disperata illusione di poter sentire ancora dolore.
Twiggy questa volta lo lasciò continuare, osservando ogni suo movimento, ogni riga che si veniva a creare su di lui, ogni futura cicatrice che si imbrattava lentamente di sangue. Lo vide ripercorrere alcune vecchie ferite, già chiuse, per poi notarle riaprirsi, sotto un tocco ormai esperto di chi non provava più niente, di chi non era più uomo.  
-Brian, voglio aiutarti, ti prego, devi lasciarmi fare qualcosa, ti stai distruggendo e io non voglio perderti, ti prego- la voce implorante di Twiggy tremava, tremava sempre quando doveva parlare seriamente con il suo amico.
Manson lo ignorò. Non gliene fregava più niente, né di se stesso né di Twiggy. Lo scacciò, non lo voleva tra le palle in quei momenti, forse si vergognava di ciò che era diventato.
Jeordie uscì, senza contraddirlo, senza cercare di convincerlo ad ascoltarlo. Si stava arrendendo e non avrebbe dovuto farlo.
Tornò dagli altri, risistemandosi accanto a M.W. Gacy.
-Non è servito a un cazzo giusto?- chiese l’amico, senza degnarlo nemmeno di uno sguardo. Twiggy rispose con un’occhiata gelida, che stava a significare qualcosa del tipo: io almeno ci ho provato stronzi.
Dalla stanza di Brian si sentì la sua voce satanica canticchiare la canzone Overneath the Path of Misery. Era terribilmente inquietante. Riusciva a sovrastare il volume del televisore con le sue parole perverse. Era come stare in un incubo. Il salotto era buio e la canzone riecheggiava in tutta la casa, le parole si diffondevano per poi scemare in un soffio senza speranza.
Pian piano la voce si spense proprio come quando si soffia su una candela, troncando la flebile luce proveniente dalla sua delicata fiamma.
Le ultime parole a svanire furono “no reason”, in un sussurro quasi impercettibile.
Jeordie ritornò da lui, ormai era un rito per Brian cantare mentre si auto mutilava, così lui aspettava che avesse finito, per potergli parlare, ma quel giorno non parlò.
Quando entrò in stanza il cantante era steso sul pavimento in un lago di sangue. I suoi occhi eterocromi erano rivolti al soffitto, immobili. Droghe di ogni tipo erano sparse accanto al suo corpo inerme e tremendamente bianco. Respirava a fatica, anzi Twiggy non fu nemmeno certo che respirasse. Le mani tremavano con movimenti convulsivi e il sangue era rappreso sul palmo di ognuna. Il suo torso era invisibile, completamente coperto da tagli, bruciature, sangue ed ematomi. Le gambe assurdamente magre erano coperte dai jeans di pelle attillati, caratteristici di Marilyn Manson. Non portava altro addosso. Le sue ferite erano i suoi abiti.
-Chiamate l’ambulanza- gridò Twiggy precipitandosi sul corpo freddo dell’amico.  
-Di nuovo?- fu questa la risposta che gli diedero gli altri alla sua disgraziata richiesta di aiuto. E’ vero, Manson aveva già rischiato di morire altre volte, forse una o due, ma non era mai stato ridotto in quello stato, questa volta lo voleva e Twiggy lo sapeva. Iniziò a temere di esserne la causa.
L’ambulanza li raggiunse dopo una decina di minuti. Manson aveva smesso di tremare, il suo sguardo vitreo continuava a restare fisso verso l’alto, forse aspirava, come ogni essere umano, al Paradiso?
Due paramedici lo caricarono sulla vettura, dopo averlo strappato dalle braccia dell’amico, in lacrime, che rimase immobile per qualche secondo a guardarlo allontanare.
Jeordie giunse in ospedale. Brian era in sala operatoria, ci restò per più di sei ore, sei ore in cui Twiggy rimase in sala d’aspetto, in attesa di avere sue notizie. Le sirene dell’ambulanza che gli rimbombavano nelle tempie gli avevano causato una forte emicrania. Continuava a tartassarsi le unghie, le mani e ogni lembo della maglietta, in un’atmosfera ricca d’ansia e angoscia. Un forte odore di medicine e disinfettante aleggiava intorno a lui, rendendo l’attesa ancora più insopportabile.
Finalmente un medico uscì dalla sala operatoria e si diresse verso di lui. 
-Signor White? -
Cosa gli avrebbe detto? Era la fine di Marilyn Manson e di Brian Warner? Chiuse gli occhi in attesa di notizie sul suo migliore amico. Vide solo buio, nient’altro, non provò più nulla.
  
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