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Autore: ScandalousLaRabiosa    04/06/2013    2 recensioni
Sono passati ormai molti anni dall'ultimo grande scontro contro la Brotherhood of Evil e molte cose sono cambiate per tutti i Titans: c'è chi si è sposato, chi è tornato al suo pianeta d'origine, chi ha abbandonato la carriera di super eroe e chi, invece, continua a praticarla, nonostante la nuova generazione di eroi.
Kureha, Reila, Kayla ed Angel sono quattro ragazzine di Jump City che vanno a scuola, sognano ad occhi aperti, escono insieme e molto differenti sotto molti aspetti tra loro. Ma una cosa in particolare le accomuna: sono tutte figlie di almeno uno dei Titans e posseggono grandi poteri da controllare.
Il loro sogno è quello di seguire le orme dei genitori e di poter combattere il male. L'arrivo di una misteriosa ragazza dallo spazio che del suo passato ricorda poco, sconvolge a pieno la loro vita, dando loro una possibilità.
Tra guerre, vecchi nemici, nuovi avversari e alleati, segreti sepolti, luci e ombre del passato, inizia la loro avventura da Titans Girls.
(RobinxRaven)
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Raven, Robin, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo.

Fuggi! Fuggi lontano finché non sarai al sicuro! E non tornare più indietro!

Le parole di sua madre continuavano a conficcarsi nel suo cuore come schegge.

Voleva tornare indietro. Doveva tornare indietro.

Ma non poteva.

L'attacco notturno a sorpresa li aveva costretti ad armarsi troppo velocemente, per essere davvero preparati.

Bambini e anziani rinchiusi al riparo alla bella e meglio nei sotterranei di tutta la struttura del reame. Donne e uomini pronti a fronteggiare la minaccia che incombeva su di loro da qualche mese.

Anche lei sarebbe dovuta essere li in mezzo, a difendere il suo regno e la sua gente con le unghie e con i denti, finché i suoi nemici non sarebbero stati costretti a staccarle la testa per poter raggiungere la vittoria.

Ma non aveva potuto. No, non le era stato permesso.

L'ultimo scontro aveva indebolito di molto le loro difese e i loro armamenti, mentre il nemico sembrava sempre più forte e pieno di reclute. E l'epidemia di quella malattia mortale e sconosciuta che li aveva presi alla sprovvista prima che tutta quella storia iniziasse aveva già dimezzato i loro uomini.

Per questo la loro ultima speranza era stata quella di metterla in salvo, così che magari un giorno avrebbe vendicato la sua gente.

Perché ormai era chiaro il fatto che sua madre l'avesse caricata su una navicella d'emergenza proprio per quel momento. Perché anche lei dubitava fortemente della loro vittoria. E voleva che almeno sua figlia fosse al sicuro.

Tutto il popolo lo voleva.

E ciò la faceva sentire inutile e impotente.

Una codarda.

Mentre tutti rischiavano la vita e combattevano per la libertà, lei era li, al sicuro e al caldo sul comodo sedile della sua navicella.

Una lacrima le rigò una guancia e le nocche le diventarono perlacee, a forza di stringersi intorno al volante per la rabbia.

Respirò profondamente.

No. Non era quello che stava facendo.

Non stava scappando.

Stava andando a cercare aiuto.

Perché era quello ciò che serviva loro più che in qualunque altra situazione.

La loro unica speranza era che lei trovasse qualcuno in grado di ribaltare le situazioni della guerra. Qualcuno che li avrebbe tratti tutti in salvo.

E quel qualcuno lei sapeva dove trovarlo.

Le storie che le aveva raccontato sua madre erano impresse a fuoco nella sua mente.

Le sue avventure e i suoi viaggi quando era una ragazza, il pianeta azzurro che aveva tanto amato, quei compagni forti e gentili al tempo stesso, quella strana lingua che adorava tanto al punto di avergliela insegnata anche a lei... Li avrebbe trovato l'aiuto necessario, ne era certa.

La luce elettrica di colpo si tinse di colore rossastri a intermittenza, mentre un rumore stridente iniziò a rimbalzare tra le pareti con tanta forza da farla sussultare: pericolo.

La stavano raggiungendo, avevano capito che una navicella aveva abbandonato l'atmosfera del campo di battaglia.

Lo schermo con su rappresentata l'area in cui si spostava la nave indicava che tre navicelle nemiche la stavano seguendo.

Oh no....

Si morse il labbro inferiore a sangue, invasa dalla collera.

Sforzi vani quelli di sua madre, se si sarebbe arresa in quel momento, o se si sarebbe lasciata catturare senza combattere.

Virò ad est, azionando la super velocità, diretta verso l'area costellata di asteroidi, ai limiti della galassia Mondret.

Non sapeva quanto quegli esseri fossero abili alla guida di astronavi, ma nessuna poteva batterla nello schivare asteroidi. E se fossero stati degli Holdaik inferiori sarebbe stato tutto ancora più semplice.

Passò a zig zag, ad avvitamento, a slalom il più velocemente possibile e con una precisione invidiabile.

Le navi faticarono a starle dietro, ma se la cavarono. Le serviva una tattica più elaborata per scappar dai suoi inseguitori o abbatterli.

Si sorprese nello scoprire che i suoi avversari avessero già messo in atto una tattica piuttosto efficace contro di lei, ancora prima che potesse ragionare.

La stavano inseguendo da tre lati differenti: uno a destra, uno a sinistra e uno dietro, fino ad accerchiarla, nel modo meno complesso possibile, là in mezzo.

Si stavano avvicinando veloci, doveva subito trovare una soluzione.

Peccato che non siano tanto svegli: una tattica tanto rischiosa in mezzo ad un'area costellata di asteroidi. Ad un tratto seppe cosa fare.

Spinse sull'acceleratore, costringendo i suoi nemici a venirle dietro più velocemente.

Le erano quasi addosso.

Ancora pochi metri e si sarebbe schiantata contro un asteroide delle dimensioni di un albero millenario.

Tenne i nervi saldi e si preparò al momento giusto.

Ancora un po', ancora un po'...

L'astronave che le stava dietro rallentò, ma non ci fece troppo caso, concentrata com'era a non perdere velocità e seguire il suo istinto di sopravvivenza.

Mancava quasi meno di un metro all'impatto con il meteorite, e altrettanto ci avrebbero messo i suoi avversari a finirle addosso.

Tirò con più forza che poté la leva per attivare i razzi inferiori, quelli di emergenza, facendo balzare la navicella in alto.

Le due navi nemiche si schiantarono contro l'asteroide, creando un'esplosione ed un boato da torcere le viscere, dandole ancora più spinta, facendola uscire dall'area di meteoriti.

Si prese un secondo per riprendere fiato e per farsi passare la pelle d'oca.

Uno scossone e l'accensione di una spia fecero passare rapidi quel momento, riportandola alla realtà: uno dei suoi inseguitori era ancora vivo, aveva capito prima la sua idea e si era fermato.

E ora l'aveva colpita.

Non aveva preso un punto essenziale, ma il non ripararlo al più presto avrebbe probabilmente peggiorato il danno. E se tirata fuori tutta la potenza della navicella, non ci avrebbe messo ancora molto a raggiungere il Pianeta Azzurro.

Doveva solo scrollarsi di dosso il suo inseguitore.

Spinse a tutta velocità, in modo di ridurre le distanze tra lei e la sua destinazione, sempre inseguita.

Più veloce andava, più accorciava la strada, più il danno si espandeva.

Il suo nemico sparò altri colpi e altri due andarono a segno.

Quando fu entrata nella Via Lattea, un altro colpo aveva colpito il serbatoio e una parete tanto vicina alla sala comandi da farla quasi cadere dal sedile.

In poco tempo un punto in fondo alla sala prese fuoco.

Iniziò a tossire per il fumo che pian piano le consumava l'aria dei polmoni.

Non poteva arrendersi così, non poteva mollare proprio in quel momento lasciare anche solo che quello tornasse indietro a riferire ai piani superiori che fosse riuscita a scappare...

Con una mano si parò le vie respiratorie e con l'altra premette il pulsante per l'apertura dello sportello.

Sua madre non aveva mai voluto che lo facesse, non aveva mai voluto che la sua innocenza venisse macchiata, specialmente alla tenera età di quattordici anni.

Ma aveva passato gli ultimi mesi dentro una guerra, in molti avevano tentato di ucciderla.

In una guerra, o mangi o vieni mangiato.

Questo era stato il modo più rapido per spiegarle in cosa consisteva una guerra, quando lo aveva chiesto a suo padre quando era ancora in tenera età.

E quelle parole non l'avevano mai abbandonata, specialmente nell'ultimo periodo.

Si lanciò fuori dallo sportello, assaporando l'aria irrespirabile per quasi qualsiasi altro essere che non fosse stato della sua razza, quando per lei non rappresentava affatto una minaccia.

Sentì la collera montarle, facendole ribollire il sangue in tutto il corpo, quando vide la nave simile ad un aereoplanino di carta dai riflessi bluastri su superficie nera di grandi dimensioni.

Gli occhi le bruciarono e sapeva che da fuori dovevano essere diventati della tonalità verde smeraldo quasi luminoso.

Si schiantò contro la facciata con tutta la sua forza e tirò un pugno ben assestato, finchè non sentì tutti i circuiti, i fili, i bulloni attorcigliarsi intorno alle dita.

Li afferrò tutto insieme, li strinse nel pugno e tirò con tutta la forza che la collera e la disperazione potevano offrirle.

Con essi venne via anche uno strano componente che, viste le dimensioni e il numero di cavi a cui era collegato, doveva essere parecchio importante.

Quella parte esplose con un boato sinistro e abbastanza soddisfacente. L'ira la stava pervadendo e corrodendo come una droga. E ciò le piaceva.

Niente morte. Troppo rapido. Deve sputare tutta la verità e le informazioni sull'esercito. Tutto quanto. Numero dell'esercito, armi, chi comanda le file...

Sul dorso vi era un vetro circolare, dove vi era la sala comandi.

Lo sfondò con un pugno, mandandolo in frantumi.

La creatura inferiore, che di umano aveva ben poco le saltò addosso con un balzo così veloce che la prese alla sprovvista.

Una mano artigliata le prese in una morsa d'acciaio la spalla destra.

Una fitta di dolore lancinante le mozzò il respiro, propagandosi per tutto il braccio.

Subito dopo, con l'altra mano le colpì il lato sinistro del viso. L'orecchio prese a fischiarle, la tempia e lo zigomo a sanguinare e macchie nere iniziarono a offuscarle la vista.

Non doveva svenire, sennò sarebbe stata la fine di tutte le sue speranze.

L'essere si riabbattè su di lei, tentando di colpirla di nuovo con la mano.

Precedette la mossa e afferrò il braccio peloso del suo avversario con tanta forza da sentire l'osso sotto scricchiolare.

Hanno ucciso gran parte della tua gente, hanno mandato in guerra il tuo regno pieno di pace, ora tua madre potrebbe morire alle prime luci dell'alba. Non merita la pietà. Non la merita. Ma può ancora tornarti utile... continuava a ripeterle la voce dell'ira nella sua testa.

Il suo nemico lanciò un urlo tanto acuto e graffiante da farla rabbrividire, mentre gli rompeva l'osso.

Prima di iniziare a rompergli ogni singolo osso con tutta la sadicità possibile, trovò un barlume di ragione che la costrinse a lasciarlo in vita, facendolo solo svenire con un colpo ben assestato alla nuca, eseguibile anche da un infante. Se avesse usato i dardi, probabilmente sarebbe morto sul colpo.

Lanciò il corpo privo di sensi senza troppe cerimonie dentro la sua navicella, quasi divorata dalle fiamme.

Devo arrivare su quel pianeta a qualunque costo.

Entrò anche lei, rimettendosi ai comandi, combattendo contro il dolore paralizzante alla spalla, i giramenti di testa e la mancanza d'aria dovuta dal troppo fumo.

Sarebbe bastato poco per farla svenire.

La nave rispose ai suoi comandi fino all'atmosfera terrestre, dove iniziò a perdere potenza e anche il controllo.

Tossì un paio di volte, cercando in tutti i modi di far atterrare la navicella, senza che il pannello di controllo, i pulsanti e ogni più insignificante bullone facesse i capricci perchè quasi fusi dal fuoco o carbonizzati dai colpi nemici.

Cercò di non perdere la calma, di impostare le coordinate per l'atterraggio nella città di Jump City senza troppe difficoltà e soprattutto senza perdere i sensi. Aveva perso troppo sangue.

Miracolosamente, le coordinate furono impostate, ma il far partire la navicella da dove aveva sostato non fu possibile. I danni si erano estesi troppo.

Prese respiri più profondi che i suoi polmoni riuscivano ad accogliere, asciugandosi il sangue dalla fronte che si stava coagulando.

Se non sarebbe morta per le ferite, ci avrebbe pensato l'intossicazione per mancanza d'aria.

E forse fu proprio ciò che fece, quando iniziò a sentire le palpebre pesanti e le membra sempre più intorpidite. La sua volontà si spense poco a poco.

Ad occhi chiusi il cadere dal sedile le sembrò essere inchiodata per terra da una montagna, mentre un nuovo dolore secco le rimbombava a partire dalla nuca su per tutta la scatola cranica.

Solo due cose le furono chiare: la nave sarebbe precipitata di li a poco e probabilmente non sarebbe più tornata trionfante sul suo pianete.

Il resto, poi, venne avvolto dalle tenebre più buie.

  
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