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Autore: Hylia93    05/06/2013    1 recensioni
Collegata a "Mai giudicare un libro dalla copertina", una One-shot per chi volesse sapere che fine ha fatto Theodore Nott :)
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass, Theodore Nott
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da V libro alternativo
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Well, Some nights, I wish that this all would end
Cause I could use some friends for a change
And some nights, I’m scared you’ll forget me again
Some nights, I always win, I always win…
 

Seconde possibilità


La stanza era immersa nel silenzio più cupo e soltanto un flebile respiro riusciva ad infrangere quella calma innaturale. Il petto di Theodore Nott si alzava ed abbassava regolarmente e le bende che lo fasciavano seguivano docilmente i suoi movimenti. Ciuffi di capelli castano scuro erano sparsi sul cuscino bianco, mentre altri accarezzavano piano la sua fronte imperlata di sudore. La coperta alla sua destra, candida come la sua pelle, si sottometteva alla ferrea presa del suo pugno, accartocciandosi tra le sue dita. 

Astoria fece scorrere il suo sguardo su quella mano, ricacciando indietro il desiderio di sfiorarla con la sua. Sospirò e tornò a sedersi sulla sedia di legno posta accanto al letto, ormai quasi da un'ora unica testimone della sua attesa. Un'attesa che, in realtà, durava da due anni ormai e che probabilmente non sarebbe finita tanto presto. Prese il libro di Incantesimi dal comodino e cominciò a leggere, sperando che qualche nozione, per una volta, riuscisse ad entrarle in testa. In caso contrario, Vitious avrebbe dato di matto di nuovo e lei si sarebbe ritrovata di nuovo al centro dell'attenzione.

In realtà, ad Astoria, Hogwarts non piaceva. 

Non che non le piacesse la magia, tutt'altro, ma in quella scuola c'era troppa gente, troppa ipocrisia e troppa falsità per i suoi gusti. Lei era sempre stata una ragazza piuttosto solitaria, che amava circondarsi di silenzi e di pensieri piuttosto che di persone. Sua madre e suo padre non avevano mai approvato questo lato del suo carattere ma lei non aveva alcuna intenzione di cambiare, stava bene così. Di conseguenza, preferiva limitarsi ad interagire il meno possibile con gli altri, fatto che gli aveva fruttato ben poche amicizie. 

Nessuna, in realtà. 

L'unica persona che le era sempre stata accanto e a cui non avrebbe mai rinunciato era sua sorella. Non che fossero particolarmente affettuose tra loro, ma si capivano senza troppe parole, sapevano stare insieme senza scambiarsi inutili convenevoli e sapevano aiutarsi quando una delle due ne aveva bisogno. Sapevano volersi bene, a modo loro. 

Daphne era molto diversa da lei, più espansiva e decisamente più apprezzata da quel mondo, ma quando si trovavano insieme quello stesso mondo semplicemente perdeva di importanza. 

Era stata sua sorella a presentarle Theodore Nott, durante il suo primo anno. 

Era appena una bambina, guance rosee e soffici boccoli biondi che le incorniciavano due occhi azzurri come il mare, eppure stringendo quella mano, sfiorando quelle dita sottili, aveva sentito un brivido correrle lungo la schiena. A quel tempo non aveva capito cosa ci fosse realmente dietro, ovviamente, ma gli anni erano passati veloci e ora non faceva altro che maledire quel giorno e tutto ciò che esso aveva comportato; guardarlo da lontano, rivolgersi sporadicamente a lui con qualsiasi scusa pur di sentire la sua voce e il suo odore, cercare di incrociarlo per i corridoi o all'uscita della Sala Grande: questo era Hogwarts, per Astoria. E lei odiava essere così tremendamente innamorata, così irrimediabilmente idiota, privata di ogni orgoglio da quel ragazzo appena più grande di lei che sembrava così lontano dalla sua vita.

Un gemito di dolore di Theodore la riscosse dai suoi pensieri. Chiuse piano gli occhi, ricacciando indietro le lacrime, e chiuse anche il libro, ormai dimenticato sulle sue ginocchia. Si alzò in piedi e controllò la fasciatura per poi passare con delicatezza un panno sulla sua fronte. 

- Astoria. - 

Fu appena un sussurro, quasi un lamento, ma nel silenzio più assoluto della stanza rimbombò come un grido. La ragazza sussultò, spalancando gli occhi e posandoli su Theodore. 

- Si. - disse, sorridendo. 

Lui non ricambiò e richiuse lentamente gli occhi. 

- Cosa ci fai qui? - domandò, dopo alcuni lunghissimi secondi. 

Astoria posò il panno nella bacinella accanto al letto, cercando di ritrovare la calma necessaria per rispondergli. Prese un profondo respiro e incrociò le braccia al petto in un'involontaria posizione di chiusura.

- Nulla, mi accerto che tu non muoia. - mormorò, osservando con attenzione il lato della sua bocca distendersi in una smorfia. Distolse lo sguardo, turbata, e si passò una mano tra i capelli, biondi come quando era piccola ma più corti. Aveva deciso di tagliarli all'inizio del nuovo anno scolastico perché si diceva che un cambiamento del genere avrebbe significato una sorta di "rinascita". Tutte balle, aveva scoperto, era rimasto tutto esattamente come prima. 

- E perché proprio tu? - chiese Theodore, facendo pressione sul materasso per tentare di alzarsi a sedere. Una smorfia di dolore si fece strada sul suo viso, prontamente colta da Astoria che con una mano decisa sul petto lo spinse a rimettersi giù. 

- Non puoi alzarti, ancora. - disse, la voce appena tremante per quel tocco. Non rispose alla domanda, non poteva permetterselo, non senza rischiare una replica che non avrebbe voluto ascoltare. Lui assottigliò appena gli occhi, offeso da quella presa di posizione, ma non protestò oltre. 

- Non hai risposto. - sussurrò però, alzando gli occhi su di lei. 

Astoria prese il libro dal comodino, con estrema calma, e lo ripose dentro la borsa che mise in spalla. Poi si passò una mano tra i capelli in un gesto divenuto ormai abituale, si girò verso di lui e sbuffò. 

- Se non ti va bene che io venga qui, basta dirlo. Posso andare a cena ora, o vuoi farmi l'interrogatorio? - sbottò, roteando gli occhi. 

Incredibile come le risposte acide le salissero alle labbra ogni volta che si trattava di lui. Si diede mentalmente dell'imbecille, consapevole che in questo modo non sarebbe arrivata da nessuna parte, e distolse lo sguardo dalla sua espressione stupita. Poi, appena mosso il primo passo verso la porta, lui scoppiò a ridere.

Astoria spalancò gli occhi, disorientata, ma subito dopo decise che sarebbe stato meglio mantenere il punto, così mise su un perfetto broncio da bambina di due anni a cui è stato tolto un giocattolo. 

- Non vedo cosa ci sia da ridere. E, comunque, così finirai per far riaprire la ferita. - disse con una voce così acuta che di riflesso si portò una mano alla bocca, inorridita. Dato che lui non accennava a smettere, gli rivolse uno sguardo truce, girò di nuovo i tacchi e uscì dalla porta della Torre Ovest. 

 

Non tornare mai più, Astoria, mai più

Una promessa come tante altre che non era stata mantenuta. Eppure ci aveva provato, aveva tentato di tenersi occupata il più possibile per evitare di pensarci seguendo lezioni supplementari per recuperare insufficienze, studiando più del dovuto ed evitando di saltare i pasti nonostante non avesse mai veramente fame. Nulla da fare, però: il suo volto riaffiorava ogni qualvolta chiudeva gli occhi. Si ritrovò a pensare - o forse sperare - di essere vittima di un qualche filtro d'amore, o di un incantesimo che non conosceva, qualsiasi cosa pur di trovare una qualche giustificazione per quella che ormai tendeva a chiamare ossessione. 

- Sei sempre così pensierosa, Astoria. - sospirò Theodore, girandosi verso la figura seduta sulla sedia accanto al suo letto. Faceva un freddo cane in quella dannata Torre, così ora se ne stava infagottata in un maglione di lana grigio troppo grande a stringersi le ginocchia al petto. Davanti a lui, per altro. Non che si fosse mai fatta troppi problemi riguardo il suo aspetto, sapeva di essere oggettivamente bella, ma ora come ora rischiava di sembrare esageratamente piccola, e quello poteva essere un problema. 

- Forse è perché tu non sei particolarmente loquace. - rispose, guardando distrattamente fuori dall'unica finestra della torre. Un sottile strato di nebbia nascondeva la vallata dietro il castello di Hogwarts e parte del bosco, entrambi coperti da un sottile strato di neve. 

- Può darsi, ma tu non rispondi alle mie domande quindi io evito di farne. - mormorò lui, accennando un sorriso. Astoria arrossì impercettibilmente e alitò sulle mani, strofinandole tra loro per farle scaldare. 

- Non è proprio così. Non rispondo a tutte le tue domande. - precisò Astoria, rispondendo con malizia al sorriso del moro.

- Quand'è che sei cresciuta così tanto? Mi sembra ieri che stringevo la tua manina minuscola in Sala Grande sotto gli occhi vigili di tua sorella. - esordì Theodore dopo qualche minuto di silenzio, un silenzio carico di risposte non date e segreti non detti. Astoria spostò lentamente lo sguardo su di lui, assottigliando gli occhi azzurri. Non si aspettava una domanda del genere e non credeva che lui ricordasse quel momento che tanto l'aveva segnata. Era un segno positivo?

- Mentre tu eri occupato a vegliare su ogni passo di Hermione Granger, suppongo. - sputò fuori con rabbia. Non era stata capace di trattenersi, nonostante sapesse che non era affatto una buona mossa ricordargli lei.  

Theodore spalancò gli occhi, sorpreso, e prima che riuscisse a distogliere lo sguardo, Astoria notò chiaramente un lampo di sofferenza attraversarli. 

- Scusa. - si affrettò a sussurrare, alzandosi dalla sedia ed avvicinandosi a lui. 

- No, hai ragione. - sussurrò con voce rotta, - Sono stato un idiota a pensare di avere qualche possibilità con lei ma questo ormai non importa, non più. Ha rischiato la vita per colpa mia, è riuscita a farcela solo grazie alla sua intelligenza e, nonostante io abbia messo in pericolo lei, il suo migliore amico e il ragazzo di cui è innamorata, ha salvato anche me. - continuò, fissando assente le sue mani poggiate in grembo. 

- Se non lo avessi fatto, ti avrebbero ucciso. - ringhiò Astoria, - Non avevi altra scelta. - Ne aveva abbastanza di sentire elogi diretti a quei patetici Grifondoro, gente senza cervello pronta a dare la propria vita per quella altrui senza un briciolo di amor proprio. Lei non era pronta a morire, lei voleva vivere e chissene importa se non sarebbe mai stata annoverata tra gli eroi:  si sarebbe ritagliata il suo angolo di serenità senza rischiare la pelle per persone sconosciute che non avrebbero mai ricambiato. 

- Si, mi avrebbero ucciso e forse sarebbe stato meglio così. - riprese Theodore, un sorriso malinconico stampato sul suo viso. Sarebbe finito tutto con una tale velocità da non dargli il tempo di pensare a ciò che era giusto o ciò che era sbagliato, avrebbe semplicemente lasciato Hermione e Draco al proprio destino e non avrebbe avuto un uomo sulla coscienza. Suonava piuttosto allettante come prospettiva, ma era troppo tardi ormai. 

- Non fare l'idiota, sei un Serpeverde Theodore Nott, hai fatto ciò che dovevi per te stesso e hai anche fatto molto di più aiutandoli a scappare. - disse Astoria, la voce ferma e decisa, allungando una mano per stringere la sua. Non sapeva da dove venisse tutto quel coraggio, quello che le era mancato per anni e che tanto avrebbe desiderato possedere, ma nel momento in cui sentì le dita di lui intrecciarsi alle sue e i suoi occhi alzarsi verso di lei, lo ringraziò tacitamente. 

 

I suoi occhi, prima stretti in due fessure per la concentrazione, si dilatarono sempre di più, sempre di più, fino ad apparire innaturali. L'ultima scintilla di vita che li animava scomparve in un istante, come a volerci ricordare la velocità con cui ciò che abbiamo ci può essere tolto. La mano perde quella che era una presa ferrea sulla bacchetta di mogano, lasciandola cadere a terra, mentre le ginocchia cedono ad un peso che non devono più sostenere. Dolohov finisce riverso sul pavimento, morto. 

- Theodore! Svegliati! - un urlo, la voce intrisa di panico, paura e preoccupazione. 

Il moro aprì gli occhi, di scatto, e il viso di Astoria, incorniciato dai corti capelli biondi, fu la prima cosa che vide. Ancora una volta, da una settimana a quella parte, lei era lì, a svegliarlo quando gli incubi lo coglievano, a tergergli la fronte dal sudore freddo, a rimboccargli le coperte quando di notte le scalciava, a medicargli le ferite e, soprattutto, a leggergli libri. Astoria Greengrass ha sempre avuto una bellissima voce, musicale, armoniosa, né troppo acuta né troppo bassa ma estremamente dolce, ed ascoltarla era un piacere per l'animo di Theodore Nott. 

La ragazza continuò ad osservarlo, cercando di capire se il pericolo fosse passato o meno. Gli passò piano un panno sulla fronte e gli sorrise appena, cercando di infondergli un po' di tranquillità. 

- Va tutto bene. - continuò a sussurrare lei, fino a che Theodore non richiuse gli occhi e rilassò le spalle, appoggiando la testa sul cuscino bianco. Non la ringraziò e non rispose neppure al suo sorriso, ma non appena il suo respiro si fece più regolare le cercò la mano, stringendola con una necessità che fece sospirare Astoria. Era una settimana che si occupava di lui, e non ricordava di aver vissuto settimana più bella. Non che fosse successo qualcosa in particolare, ma non l'aveva mai sentito così vicino e, probabilmente, una volta guarito sarebbe tornato tutto come prima. Perciò, nel frattempo, si godeva la sensazione delle sue dita sottili tra le sue, la sua espressione pacata quando gli leggeva qualcosa e il suo sorriso quando chiacchieravano di qualcosa di frivolo, senza pensare troppo al dopo per quanto fosse irrimediabilmente vicino. 

- La ferita sta guarendo. - osservò Astoria, scostando le bende con la mano libera. Il taglio era molto profondo e occupava tutta la lunghezza del petto dalla spalla sinistra al fianco destro. Fortunatamente gli intrugli di Madama Chips avevano ancora una volta fatto la loro parte e ora era quasi totalmente rimarginato, sebbene la cicatrice sarebbe rimasta sempre a ricordargli che cosa avesse fatto. Theodore aprì gli occhi e, senza lasciare la mano di lei, si alzò a sedere, poggiando la schiena sulla testiera del letto. Osservò per qualche secondo le dita della ragazza scorrere con delicatezza sulla ferita e poi sospirò. 

- Cosa farò, quando potrò uscire da qui? - domandò, forse più a se stesso che a lei. Silente era venuto a trovarlo, qualche giorno prima, e gli aveva assicurato che non sarebbe stato sottoposto a processo, ma sarebbe stato tenuto sotto controllo. "Hermione e Harry hanno messo una buona parola per te", gli aveva riferito, sperando in una reazione positiva che non era arrivata. Una buona azione in più da aggiungere al loro curriculum di eroi e un debito in più da pagare, gratitudine aggiuntiva da mettere in conto. Non sarebbe più riuscito a guardare in faccia i suoi amici, Draco e Blaise, e tantomeno Harry o Hermione, come avrebbe fatto a tornare alla vita di tutti i giorni? L'unica con cui si sentiva a suo agio era Astoria, e sentiva di approfittare di lei ma non riusciva a farne a meno. Sapeva che lei aveva sempre avuto una cotta per lui, lo sapeva da anni, ma lui aveva sempre e solo avuto occhi per Hermione Granger, la leonessa Grifondoro, e non sarebbe riuscita a dimenticarla tanto presto. 

- Farai quello che hai sempre fatto, Theodore, andrai avanti. Seguirai le lezioni, leggerai molto, studierai, passerai gli esami. - disse, districando la mano da quella di lui, - Non ti dirò che prima o poi starai bene, perché non credo che sarà così. Ma posso assicurarti che starai meglio. - aggiunse, sedendosi sulla sedia accanto al letto. Theodore annuì, consapevole della verità di cui le sue parole erano intrise. Una verità un po' amara ma che conteneva, nonostante tutto, la speranza. 

- E tu sarai con me? - non poté esimersi dal chiederle, senza però riuscire a guardarla negli occhi. Sapeva di risultare estremamente egoista, ma non riusciva a pensare ad un dopo senza di lei, non poteva ritornare alla vita senza le sue cure, la sua voce, le sue risposte acide e le sue verità. La vide sussultare appena e passarsi una mano tra i capelli, un movimento che ormai aveva imparato ad associare ad una necessità di coprire, almeno per qualche secondo, le sue emozioni. Ed era un peccato, perché il suo viso, zigomi alti e dolci, occhi azzurri come il cielo, labbra rosee e sguardo vivace, risultava ancora più bello quando delle emozioni forti ne interessavano i tratti. 

- Se è quello che vuoi. - disse, dopo qualche secondo. 

- E' quello che voglio. - sottolineò lui, sorridendole apertamente forse per la prima volta da quando si era risvegliato in quel letto. 

Forse non era tutto perduto, forse sarebbe riuscito a ritrovare un po' di serenità grazie a lei. Forse, alla fine, sarebbe riuscito a dimenticare la luce negli occhi della Granger per apprezzare la malinconia in quelli di Astoria. 

Forse non era tutto perduto, forse sarebbe riuscita a ritrovare un po' di serenità, grazie a lui. Forse, alla fine, sarebbe riuscita a fargli dimenticare la luce negli occhi della Granger e avrebbe visto la sua di immagine riflettersi negli occhi di Theodore.

   
 
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