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Autore: beatricecuddle    05/06/2013    0 recensioni
La lacrime avevano iniziato già da tempo a scorrermi giù dagli occhi senza che nemmeno provassi a fermarle. Le parole che per mesi, giorni mi ero preparata a dire in una evenienza del genere erano solamente un lontano ricordo. «Io non ho smesso...» sussurrai impercettibilmente, quasi senza sentirmi io stessa.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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«Si, quindi devi stare tranquilla, la maturità è una passeggiata, poi tu hai una media alta, che ti frega?!»
Il cuore mi martellava nel petto in maniera insistente, sentivo un nodo alla gola e un vuoto enorme tra i polmoni. Annuii in maniera distratta, nello sforzo di non sprofondare in una pozzanghera e di non inciampare su un sampietrino. Pioveva a dirotto, e Padova era affollatissima a quell’ora, fortunatamente il palazzo del Bo non era poi così lontano. Jacopo era così gentile, mi teneva l’ombrello e con il suo fare eccentrico sgomitava tra i passanti dicendo: «Scusate, un’auditrice, ho un’auditrice!»
Come se avessi avuto bisogno di attrarre ulteriormente l’attenzione su di me.

Arrivati al maestoso portone, seppur dell’entrata secondaria, sentivo il petto scoppiarmi e faticavo a deglutire. Varcai la soglia e lui fu la prima cosa che vidi, appoggiato al muro, le cuffie in mano, sorridente, impegnato in un’animata conversazione con un amico. Un’occhiata rapita, scambio di sguardi sfuggenti, l’incredulità nei suoi occhi... «Ciao, Bea!» mi girai di scatto. «Ciao, Chiara – sorrisi, era una ragazza del mio paese ormai al terzo anno – come stai?» «Bene, grazie! Cosa ci fai qui?» «Orientamento universitario – risi, sperando che lui fosse attirato anche solo per un attimo dalla mia risata squillante – sono venuta a sentire una lezione di Privato...» «Bravissssima! Attenta che però il dottor Maggiolo me lo sono già prenotata io... Vedrai che pezzo di uomo...»
Non feci in tempo a risponderle che venni trascinata dall’orda di studenti di giurisprudenza dentro l’aula. Presi posto vicino a Jacopo ma tenni d’occhio Riccardo. Fece attenzione a mettersi esattamente di fronte a me, sfruttando la disposizione a ferro di cavallo dei posti a sedere, e prese a guardarsi attorno.
Cosa c’è, Riccardo, non mi vuoi nemmeno vedere?
La lezione iniziò, e il professore, la cui bellezza in casi normali mi avrebbe decisamente distratta, prese a spiegare qualcosa sulla clausola penale, alla quale io non sarei mai riuscita a prestare attenzione, nemmeno con tutta la buona volontà del mondo.
Ogni volta che spostavo gli occhi nella sua direzione lo sorprendevo a guardarmi e i nostri sguardi si incrociavano per un attimo, e ogni volta il mio cuore faceva un balzo. Chissà cosa stava pensando in questo momento... Era passato lo stupore? Stava ripensando tutto quello che avevamo vissuto, alle sue lacrime e alle mie nel lasciarci? Ricordava di avermi detto: «Sarà bellissimo quando verremo tutti e due qui all’università!»?
Pausa. Uscii dall’aula, che stava diventando più che mai soffocante. Pregavo dentro di me che mi seguisse, rimasi fuori dalla porta ad attendere rosicchiandomi anche l’ultima pellicina rimasta attorno al pollice, fumando nervosamente una sigaretta che non avrei nemmeno dovuto avere dato che mi ero ripromessa di smettere ormai troppe volte, ma niente. Non arrivò.
Ritornai al mio posto a testa bassa ma col cuore sempre più impazzito. Non lo guardai più, se non una sola volta, e non potei impedirmi di sorridere. Occhi bassi, ancora.
La campana suonò, Jacopo era uscito qualche minuto prima per prendere il treno in tempo, io sistemai le mie cose con calma, riposi sconsolata in borsa il mio foglio degli appunti che recava scritto soltanto l’argomento della lezione e l’articolo del codice penale a cui si riferiva e mi infilai la giacca.
Con un respiro profondo seguii la massa di persone verso l’esterno, non vidi Riccardo, pensai che se ne fosse già andato e il nodo alla gola tornò più forte di prima.
«Bea?!» sentii che mi afferravano il braccio, mi voltai di scatto e il fiato mi mancò per secondi interminabili.
«Ciao...» «Ciao.»
«Come stai?» «Bene! – mentii, tirando fuori il sorriso più falso che avevo – e tu?»
«Ti va se facciamo due passi? – rispose indicando una laterale – siamo un po’ in mezzo...»
Il fiato tornò a mancarmi. Abbassai la testa, poi mi guardai attorno per evitare che i miei occhi incrociassero i suoi. Respiro profondo. Mi arresi e rialzai lo sguardo. Dovevo proprio avere un’espressione implorante, mentre la sua era indecifrabile. «Uhm, ok...»
Sorrise, pochi passi, ci incamminammo e io mi misi a fissarmi intensamente i piedi, in silenzio.
«Stai bene?»
«Me l’hai già chiesto, sì...» risposi.
«E l’anno prossimo?»
«Verrò qui quasi sicuramente...»
Omisi il fatto che se non fosse stato per la passione che ho per il diritto e per il fatto che Padova era il meglio per questa materia me ne sarei andata altrove per evitare lo strazio di doverlo vedere ogni giorno.
Odiavo questi momenti in cui le parole mi mancavano e sembrava non fosse rimasto più nulla da dirsi.
«Sono uno stronzo.»
Il mio cuore ebbe un sussulto, sì, un altro. Sgranai gli occhi ma poi mi ricomposi e mi limitai a un secco «Sì, lo sei.»
Poi sorrisi.
Aveva la testa bassa anche lui e tormentava l’orlo della sua maglia, conoscevo benissimo quell’atteggiamento, stava cercando le parole giuste per dirmi... Dirmi cosa?
«E questa, uhm, rivelazione da dove ti viene?»
«Te lo devo proprio dire?»
«Cosa, Riccardo?! Cioè, mi esci con queste frasi e poi non mi spieghi?»
«Ma si, lo sai come sono io... – si fermò e fece un respiro un po’ più evidente – è che mi manchi.»
«E cosa pensi di fare a riguardo?» «Ah, non lo so, dimmi tu...»
Sbattei il pugno sul palmo della mia mano, scuotendo la testa. «Non cambi mai...»
Mi afferrò le mani, stringendo forse troppo, e mi piantò gli occhi addosso, nel bel mezzo del marciapiede. «Te lo chiedo perché se io fossi in te non vorrei neanche più guardarmi in faccia e invece tu sei ancora qui!»
«Nemmeno io cambio mai, insomma...»
«Ho sbagliato tutto e mi manchi da morire, sempre, sei in ogni cosa che vedo o faccio e io non ci vivo più e mi sento una merda per quello che ti ho fatto perché nonostante tutto tu mi hai amato incondizionatamente e io non sono mai stato in grado di meritarmelo. Ok?»
La lacrime avevano iniziato già da tempo a scorrermi giù dagli occhi senza che nemmeno provassi a fermarle. Le parole che per mesi, giorni mi ero preparata a dire in una evenienza del genere erano solamente un lontano ricordo. «Io non ho smesso...» sussurrai impercettibilmente, quasi senza sentirmi io stessa.
«Cosa?»
Feci segno di no con la testa, piangendo ormai pesantemente. «Non ho mai smesso di volerti con me...». Riuscii per un pelo a pronunciare queste parole prima di emettere un singhiozzo rumoroso e nascondermi il viso tra le mani.
E poi il tempo si fermò.
Lì, in un anonimo viale padovano che portava dalla stazione al centro il tempo smise di scorrere.
Le sue braccia mi cinsero e le lacrime aumentarono, mi abbandonai sul suo petto e dimenticai il treno, la maturità, i pianti, la mia camicia bianca e gli occhi sporchi di nero.
«Sono qui, non piangere...»
Non me l’aveva mai detto in otto mesi in cui eravamo stati insieme, mai una volta e fu in quel momento che capii che sarebbe stato diverso da qualsiasi cosa avessimo avuto in precedenza.
Alzai lo sguardo e mi lasciai asciugare le lacrime, sorrisi e mi concessi, per la prima volta in quella giornata, di perdermi nei lineamenti marcati ma dolci del suo viso, nei suoi occhi azzurri quasi come il cielo che ci stava sopra, senza una nuvola, sulla sua bocca sottile, leggermente screpolata e affondai le mani nei suoi capelli morbidi, biondi... Non avevamo perso nessuna delle nostre abitudini: le mie mani nei suoi capelli e i suoi occhi sulle mie labbra.
Appoggiò la fronte alla mia. Poi, timidamente, sfiorò le mie labbra con le sue. Mi morse, anche questo era rimasto. Risi, eravamo sempre noi due... Sempre, lo stesso sapore di buono della sua bocca, il suo modo di baciare così strano, lento, preciso, lunghissimo, alienante. Mi strinse ancora di più. Le mie gambe tremavano, un applauso scoppiò poco lontano da noi, due signore anziane avevano evidentemente seguito la scena, ci voltammo verso di loro e risi ancora.
Solo allora vidi che anche lui era in preda alle lacrime. Piangeva come solo lui sapeva fare, silenziosamente, impercettibilmente, quasi tenendosi tutto dentro. Mi prese per mano e ci avviammo verso la stazione.
Tutto era ricominciato esattamente come era finito. Piangendo insieme ma in modi opposti, io come un fiume in piena e lui composto, trattenuto... Poche lacrime ma tutta la vita che gli usciva dagli occhi.
Lo guardai sorridere. Magari non sarebbe durata per sempre nemmeno questa volta, ma le sue dita, in quel momento, erano intrecciate alle mie ed era una delle uniche consapevolezze che avevo.
Ci aspettavano pomeriggi, giornate di chiacchierate, confronti su questa situazione e solo a pensarci mi tornava la voglia di vivere.

 
 
 
 
 
 
 
 
  
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