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Autore: Daisy Potter    22/12/2007    2 recensioni
“Stridio di gomme sull’asfalto, fumo, grida, scommesse. […] Il lato oscuro di Tokyo … i drifters. […] Un ragazzo occidentale, avvolto in larghissimi indumenti hip-hop, fissava intensamente le belle giapponesi che sfilavano accanto alla sua auto […] «Ti sfido.» […] «Ci sto.» […] ” Tra corse clandestine e gare di velocità, due fratelli portano le loro divergenze sulla strada: chi vince, deve lasciare la città. Difficoltà, affetto, odio, un legame spezzato che vuole soltanto ricostruirsi … Detto ciò, leggete e commentate! XD
Genere: Triste, Drammatico, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 8

 

Capitolo 8.

 

Due auto sfrecciavano a tutta velocità per le strade deserte di Tokyo. Una Ford Mustang dalla carrozzeria rosso fuoco e una Mitsubishi Lancer Evolution bianca e azzurrra. Si contendevano il primo posto in una gara all’ultimo secondo.

I piloti mettevano in pratica tutti i trucchi sul drift appresi nella loro vita. Sterzavano, controsterzavano, sfruttavano il freno a mano, facevano slittare le gomme sull’asfalto, lasciavano il segno del loro passaggio ad ogni sgommata.

Passarono a tutta velocità un grande centro commerciale, svoltando bruscamente all’angolo del corso, imbucando una stretta via che li avrebbe portati ad un parco. Lo attraversarono, uscendo di strada, percorrendo i piccoli sentieri sterrati come se fossero le loro autostrade, uscendone all’altra estremità, prima di dirigersi verso il tunnel pochi chilometri più avanti, lottando con l’acceleratore per riuscire ad imboccarlo per primi.

A diversi isolati di distanza, quattro giovani attendevano il vincitore con ansia. Un ambiguo ragazzo dalla capigliatura trasgressiva e avvolto in abiti scuri stava appoggiato in disparte alla sua auto nera, lo sguardo abbassato a terra, nascosto da un paio di lenti scure, le braccia incrociate sul petto. Poco più distante, un rastaro vestito in stile hip-hop aveva assunto la stessa posa contro una vettura verde smeraldo, le mani però cacciate a fondo nelle tasche dei pantaloni extra-large.

Due ragazzi diversi, invece, uno molto alto, biondo ossigenato, e l’altro più basso, dai lineamenti pieni e gentili, conversavano a bassa voce tra di loro, riservando ogni tanto qualche fugace occhiata ai due fratelli poco più in là.

Dopo un paio di minuti, Tom decise di allontanarsi dalla sua auto e di avvicinarsi al gemello. Scalciò un sassolino lungo il tragitto, che finì proprio tra i piedi di Bill. Questi alzò lo sguardo e si trovò a pochi centimetri da quello quasi speculare del ragazzo. Abbandonò le braccia lungo i fianchi e si staccò dalla sua auto, ergendosi in tutta la sua altezza, preparandosi ad affrontare il fratello.

Non era preparato, però, per le parole che questi gli rivolse, né soprattutto al suo tono pieno di preoccupazione e amarezza:

«Come ti senti?»

Si ricordò immediatamente del fatto che, a quanto pareva, Tom era corso da lui e aveva trascorso tutta la notte al suo fianco non appena aveva saputo che era stato male. Sentì il proprio cuore stringersi a quella consapevolezza, ma si costrinse a mantenersi freddo.

«Meglio.» fu la sua unica risposta.

«Non parlavo di ciò che ti è successo qualche giorno fa.» fu la replica del tutto inaspettata di Tom.

Rimase a fissare il suo sguardo penetrante senza parlare per diversi istanti, rapito dalla sua intensità, dalle parole che aveva pronunciato, dalla sua tangibile preoccupazione … dal suo affetto, che si sprigionava da ogni parola che gli rivolgeva.

Dio, si sentiva uno schifo, in realtà …

Si limitò a scrollare le spalle, sperando che Tom la accettasse come risposta; in quel preciso istante sentiva che la sua voce era fuggita da qualche parte lontano dalla sua gola, e che non avrebbe nemmeno saputo che parole usare, comunque.

«Mi sei mancato.»

Un’altra pugnalata. Come se non lo sapesse! Come se, alla fin fine, anche a lui non fosse mancato! Ma non era così!!! Chi voleva prendere in giro? Aveva indossato una maschera di fronte a tutto il mondo, l’aveva sempre fatto, vergognoso della propria fragilità, voglioso di dare un’immagine inflessibile di sé, ma ultimamente mentiva anche a se stesso, e troppe volte.

Questa volta annuì, ma ancora non disse nulla. L’unica cosa che sfuggì alle sue labbra fu il sussulto sorpreso quando suo fratello scattò improvvisamente verso di lui, afferrando il suo impermeabile e spingendosi fino ad un soffio dal suo viso, le guance paonazze per la rabbia e la frustrazione, gridando:

«Dannazione, smettila! Reagisci!! Dimmi qualcosa! Dimmi che mi odi, dimmi che mi detesti, che mi vuoi morto. Picchiami. Qualsiasi cosa, ma fallo, maledizione! Fammi vedere che riesci ancora a provare un sentimento verso di me, qualunque esso sia!»

Bill rimase immobile. Sentiva il respiro di Tom infrangersi contro il suo viso, vedeva le sue iridi ardere, percepiva il suo desiderio di una risposta.

Alzò una mano e scostò bruscamente quelle del fratello, facendo in modo che lo liberasse dalla sua presa, poi se la portò al viso e abbassò lentamente gli occhiali, fino a levarli del tutto. Fissò il suo sguardo in quello del gemello, e finalmente Tom fu in grado di leggere in quello specchio la sua anima. Riusciva a scorgere nella loro profondità, a interpretare ogni venatura, ogni sfumatura dell’iride. Leggeva tutti i sentimenti che si agitavano in Bill. E sotto la freddezza, il distacco, l’isolamento, la falsa impassibilità, la rabbia, là riusciva a vedere il dolore, la solitudine, l’abbandono … e in fondo, proprio nel suo cuore, radicato lì ad alimentare il suo corpo e il suo spirito, riusciva ancora a vedere l’affetto che li univa. Quel legame fraterno che per lui era sempre stato tutto non si era spezzato. Era stato sepolto sotto altri sentimenti, era stato annebbiato, forse, dagli ultimi avvenimenti … ma non era mai scomparso.

E questo bastò perché Tom si avvicinasse nuovamente al fratello, e lo circondasse questa volta con le braccia, stringendolo in un goffo abbraccio dal quale Bill non trovò la forza di districarsi. Lo strinse sempre più forte man mano che passavano i secondi, e con il viso affondato nel suo collo pronunciò un soffocato: «Ti voglio bene.» che sciolse il cuore del ragazzo.

Eppure ancora non riusciva a rispondergli. Ricordava ancora il maledetto giorno in cui uno dei suoi migliori amici aveva perso la vita, e quella memoria lo tormentava, impedendo alle parole di formarsi nella sua gola.

E infine furono interrotti dal rombo di motori che si avvicinava. Tutte le teste scattarono verso l’inizio della via, in attesa di scorgere il vincitore della gara. Si sentiva la tensione nell’aria, la densità del momento.

E poi, eccole: due luci. I fari dell’auto che avrebbe tagliato il traguardo per prima. Ancora non si riusciva a distinguere chi fosse, era troppo lontana. Ma subito era apparso alle sue spalle un altro paio di fanali: i due sfidanti si inseguivano a un soffio l’uno dall’altro.

I gemelli, così come Andreas e Gustav, avevano portato tutta la loro attenzione su di essi, e tendevano il collo, strizzando gli occhi per cercare di capire chi fosse il vincitore.

E infine, in pochi secondi, le auto sfrecciarono loro accanto, inchiodando a diversi metri di distanza. Passarono in una macchia indistinta, un confuso misto di bianco azzurro che precedeva una scia rossa.

Tom abbassò lo sguardo, allontanandosi definitivamente dal fratello.

Georg scese dall’auto, sbattendo la portiera dietro di sé.

«Maledizione! C’ero quasi!» esclamò, colpendo la carrozzeria con un pugno. «Mi dispiace, Tom … ho perso all’ultima curva, non sono più riuscito a recuperare, io-»

«Tranquillo» lo interruppe Tom, ancora a capo chino. «Hai fatto del tuo meglio, e hai corso davvero bene.» lo rassicurò. Georg annuì debolmente, mentre anche Gustav si avvicinava a complimentarsi.

Il ragazzo si voltò infine verso Bill, mostrandogli gli occhi che il moro si sorprese a trovare umidi. Aprì la bocca, cercò di dire qualcosa, ma non riuscì ad emettere alcun suono. Abbassò nuovamente il capo, nascondendosi dietro la visiera del cappellino, rilassando le spalle. Si sentiva svuotato. Quell’accenno di speranza che lo aveva illuminato il giorno precedente si era spento all’improvviso, il senso di perdita lo stava divorando. Risentiva all’infinito nella sua mente le stesse parole di suo fratello di tempo prima: “Hai perso”.

Sì, aveva perso. Aveva perso la speranza, aveva perso lui. Definitivamente. E il senso di colpa che aveva provato per mesi fino a quel giorno, ora era quasi insignificante rispetto al senso di abbandono che lo stava facendo sprofondare nel buio.

Ma poi, accadde qualcosa.

Qualcosa di improvviso, e totalmente inaspettato.

Un abbraccio.

Stretto, d’impeto, caloroso, sincero. Una massa di capelli corvini che gli solleticavano il viso e il collo, due braccia esili che si aggrappavano alla sua felpa, un corpo fragile che premeva contro il suo.

E un sussurro tremulo al suo orecchio:

«Non voglio che te ne vada di nuovo.»

La maschera era crollata del tutto. Il vero Bill era riemerso, insieme alle sue paure, la sua debolezza, il suo bisogno del fratello maggiore su cui contare.

Tom lo sentì tremare tra le sue braccia, mentre veniva travolto dalle emozioni che aveva trattenuto per mesi. Non sapeva cosa fare. Non sapeva se stava sognando, non sapeva se suo fratello era solo crollato per un istante, e una volta ripresosi lo avrebbe allontanato nuovamente. Sapeva solo che voleva ricambiare l’abbraccio, avvolgerlo e non lasciarlo più andare. Lasciarlo sfogare, ma non permettergli di allontanarsi mai più.

E così fece.

Strinse le sue braccia attorno a quel corpo esile e fragile, tremante, e lo premette contro di sé, respirandone il profumo e mormorando soltanto il suo nome.

E questo sembrò scatenare qualcosa, perché improvvisamente le parole iniziarono ad uscire dalla bocca del gemello, si riversarono in un torrente in piena che investì Tom con potenza, lasciandolo leggermente stordito:

«Mi dispiace! Io- io non voglio stare senza di te. Non lo volevo neanche prima! Questi mesi … sono stati un inferno! Io ti voglio bene, ho bisogno di te. Non avrei mai dovuto allontanarti, non avrei dovuto comportarmi così, non avrei dovuto reagire in quel modo. Ma- quando- quando ho visto Kyle … dio, è stato così improvviso! E tragico! E io non sapevo cosa fare! Lui era- gli volevo bene, era il mio migliore amico, facevamo ogni cosa insieme, eravamo cresciuti nel mondo delle corse insieme … e un attimo dopo non c’era più, se n’era andato per sempre, e io mi sono sentito improvvisamente solo, e-»

Tom poteva sentire i singhiozzi scuotere improvvisamente il gemello, e il pizzicore delle sue stesse lacrime bruciargli gli occhi.

«È stata colpa mia.» lo interruppe, la voce rotta. «Sono stato uno stupido, tu ci avevi avvertiti, ma io no!, io dovevo per forza fare quella corsa! Se non-»

«No!» riprese parola Bill, divincolandosi dalla sua presa quel poco che bastava per poterlo guardare in viso. «Non è stata colpa di nessuno. Ora l’ho capito. In realtà l’ho sempre saputo, ma ero troppo … arrabbiato, sconvolto, non lo so! Volevo solo qualcuno da incolpare, quando in realtà avrei dovuto prendermela solo con il destino. È successo, basta. E tu alla fine sei quello che ha sofferto più di tutti, e questo solo per colpa mia. Mi dispiace davvero, Tomi.»

Il ragazzo si limitò a riattirarlo di nuovo a sé, senza replicare. Sentiva che ormai le parole non servivano più. Si erano chiariti, il passato poteva essere archiviato, e nel futuro poteva di nuovo vedere loro due insieme. Null’altro gli sembrava più importante, tranne che trovarne conferma nell’abbraccio di suo fratello. Tutto il resto del mondo poteva andarsene al diavolo, per quel che gliene importava quella notte …

 

NdA.

Ma ciao, ragazze! Contente?? Abbiamo finito! E i gemellini si sono chiariti e riappacificati. <3

Se qualcuno non se ne fosse accorto, l’ultima frase è palesemente scopiazzata dalla loro canzone “Final Day” (the whole world can just go to hell, for what I care tonight…), quindi, tutti i diritti per quella ai mitici Tokio Hotel! ^.^

E ricordiamo anche che né Bill, né Tom, né Georg, Andreas e Gustav o qualsiasi altra persona citata in questa storia realmente esistente sono di mia proprietà e che da questa storiella non ricavo euro, dollaro o yen che sia! (ma tantissima soddisfazione, grazie soprattutto a voi che avete continuato a recensire! Quindi grazie a Quoqquoriquo, Lidiuz93, _PuCiA_ e SweetPissy per i commenti al capitolo precedente!)

Bene. Detto questo, vi lascio con la promessa di tornare tra qualche giorno (spero…XD) postandovi l’epilogo, perché mica lascio finire la fic così! Non sarà niente di impegnativo o eccessivamente lungo, ma ci sarà. (se dovessi postarlo in ritardo, chiedo già perdono, ma nonostante siano iniziate le vacanze sono piuttosto impegnata con un altro progetto riguardante una fic…)

1bacione a tutti, e Buone Feste! J

Fedy

  
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