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Autore: Kastel    05/06/2013    3 recensioni
-Come si sente oggi?-
[AkaKuro AU - Scene delicate]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Seijuro Akashi, Tetsuya Kuroko
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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-Come si sente oggi?-
Se potesse la domanda cadrebbe nel vuoto più totale. D'altro canto, però, se fosse libero di fare ciò che desidera non sarebbe di certo seduto su quella poltrona, osservando la scrivania vuota davanti a sé.
Prende quindi fiato, abbassandolo lo sguardo su quella nudità e tracciandoci con gli occhi dei percorsi immaginari, come se cercasse la strada per uscire da quella stanza.
-Esattamente come ieri. E come l'altro ieri. E come il giorno prima ancora.-
Il suo interlocutore lo ascolta silenziosamente, aspettando che voglia proseguire con il discorso di sua spontanea volontà. Non è di certo suo compito cavargli di bocca le parole. Anche perché sa perfettamente che è inutile: non porterebbe a nulla.
Quarantacinque minuti sono un tempo infinito, soprattutto se si sta nel silenzio più totale. Sembra quasi che stanno facendo il gioco del silenzio. Però non sono bambini. E, soprattutto, non sono due amici.
Solo quando l'orologio segna le undici si percepisce un sospiro, stanco e rassegnato.
-Dobbiamo fermarci.-
Sono le parole che stava aspettando. Non lo fa neanche finire: si alza e va verso la porta, pronto ad aspettare i comodi del suo accompagnatore.
-Ci vediamo domani.-
Un solo sguardo fa comprendere come il domani sarà uguale all'oggi. La notte non gli porterà consiglio e non gli farà cambiare idea sul suo modo di comportarsi.
Semplicemente, tutta la situazione lo lascia indifferente.
-A domani, dottore.-
Perché non è interessato a raccontare il proprio trascorso con uno che fa il suo stesso mestiere.

 

 

-Come si sente oggi?-
Il suo studio, il suo paziente, il suo ruolo di psicoterapeuta. Tutte cose che appartengono al passato e che solo i sogni possono mettere in scena.
Si rende conto solo ora di come questo suo paziente -il suo paziente- amava rispondere a quella domanda in maniera divertita, come se fosse una partita a shogi.
-E lei come si sente, oggi?-
Era una domanda che la prima volta l'aveva spiazzato, lasciandolo per almeno un minuto buono in silenzio. Non era abituato ad essere sfidato così apertamente dai suoi pazienti. Normalmente, a quella domanda, o non rispondevano proprio o tendevano a raccontargli tutti i loro problemi con tutti i dettagli del caso.
Ma quello che aveva davanti non era un paziente come gli altri. Non era stato obbligato da nessuno a venire né aveva scelto di sua spontanea volontà di presentarsi al suo cospetto.
Lui era parte della sua pena e il suo unico modo per evitare il carcere. Di conseguenza non sentiva il bisogno di parlare dei suoi problemi. Semplicemente lasciava che quelle sedute diventassero delle sfide. Oppure dei discorsi complessi su tutto quello che gli passava per la mente.
-Non siamo qui per parlare di me, lo sa benissimo.-
A quelle parole il suo paziente sorrise, fissandolo negli occhi. Non lo avrebbe mai ammesso né avrebbe abbassato lo sguardo, ma essere fissato così lo metteva a disagio. Erano soprattutto gli occhi -quegli occhi così diversi, uno dorato e uno rosso sangue- a farlo sentire così. Era come se avesse avuto davanti lo specchio delle contraddizioni umane nella semplice figura di quel ragazzo di vent'anni.
-Già. Presumo che ci sia già qualcuno che si prende cura di lei.-
E non sbagliava affatto. Ogni psicologo, soprattutto se lavorava con dei soggetti complessi, deve sottoporsi lui stesso a delle sedute terapeutiche, per poter affrontare meglio i problemi che vengono innestati dal dialogo con i propri pazienti. Traumi personali, dubbi e perplessità: è questo quello che si affronta parlando di psiche umana. E gli psicologi non fanno di certo eccezione.
-Esattamente. Visto che possiamo non preoccuparci per me possiamo farlo per lei.-
Tutto quello che ottenne fu un sorriso saccente, come se gli avesse appena detto una cavolata terribile.
-E' davvero così sicuro che sono io quello da curare?-
E nonostante sapesse che non doveva cadere in quella provocazione non riuscì a fare altro che restare in religioso silenzio.

 

 

-Perché non parliamo un po' di Seijuro Akashi?-
Quel nome ha il potere di fargli alzare lo sguardo dalle sue linee immaginarie e portarlo a fissarlo negli occhi.
-Perché? Tutte le sue informazioni sono nei miei quaderni. Non credo ci sia bisogno di ulteriori dettagli su di lui.-
Sa benissimo che li ha il dottore. Anche perché sennò non conoscerebbe il suo nome.
-Io voglio sapere da lei il rapporto che avevate. Non grazie alla parola scritta, ma dalla sua voce.-
Rimane in silenzio, osservando il medico con lo sguardo attento. Poi chiude gli occhi, prendendo fiato.
-Seijuro Akashi fu un mio paziente. Questo fino a cinque mesi fa. Me ne occupai io perché lavoravo presso il manicomio criminale oltre che nel mio studio.-
-E perché era in cura da lei?-
-Perché aveva spinto al suicidio una ragazza.-
-Come aveva fatto?-
-Le sembrerà incredibile, ma la convisse a farlo. Non la uccise lui personalmente, semplicemente... la convisse.-
-Come?-
A quella domanda non può fare altro che sorridere, in maniera triste.
-Se lo avessi compreso non sarei di certo qui.-

 

 

-Cosa ne pensa della vita? Tocca a lei.-
Non è semplice far parlare gli individui come Akashi. Fortunatamente esistono tanti sistemi per distrarre la mente delle persone e rilassarla in modo da poter discutere.
Fu per quello che nel piccolo studio messogli a disposizione dal manicomio era apparsa una scacchiera, dove medico e paziente si sfidavano a shogi. Era un mezzo usato nelle terapie per i bambini, quello di fornire loro dei giochi per farli sentire a loro agio e discutere delle loro problematiche.
Peccato che il ragazzo non fosse un bambino. E che per il medico ragionare sia su di lui che sul gioco complesso non fosse un lavoro facile. Ed Akashi lo sapeva benissimo.
Fortunatamente -ma in futuro sarebbe stata la sua rovina- le sedute erano registrate, in modo da facilitargli il lavoro successivamente.
-Uhm... un bene prezioso che bisogna cercare di conservare il più possibile.-
Mosse il suo pezzo, aspettando le reazioni del ragazzo. Che non tardarono ad arrivare con una mossa violenta e una risata che gli graffiò le orecchie.
-Peccato che Izumi non la pensasse così...-
Il medico staccò lo sguardo dalla scacchiera, fissando Akashi negli occhi.
-Credo che lei amasse la vita. E' stato lei a spingerla a fare quello che ha fatto.-
-Ne è davvero così sicuro, eh, dottor Kuroko? Chi le dice che non fosse lei già debole?-
-Non escludo tale possibilità, ovviamente, ma io non la conoscevo. Deve essere lei a descrivermela.-
-Una ragazza appiccicosa che pendeva dalle mie labbra. Ero il suo Dio, pratica.-
Rimase in silenzio, studiando la prossima mossa. Il dottore lo fissò, intuendo una realtà che non gli era di certo sfuggita.
-E la cosa non le dispiaceva affatto.-
Appoggiò l'ultimo pezzo sulla scacchiera, sorridendo.
-Ovviamente. Io SONO Dio, poiché io vinco sempre. Scacco matto.-

 

 

-Quindi il motivo per cui era in cura era un eccesso di egocentrismo?-
Kuroko sorride, trovando quasi tenera quella descrizione. Chissà che risate si sarebbe fatto Akashi, se solo avesse potuto
ascoltare!

-Aveva delle manie di grandezza. Era egocentrico e si considerava assoluto. Era sociopatico, in una parola.-
Apre una mano, osservando il palmo aperto, continuando a spiegarsi.
-Non capiva i sentimenti degli altri. Li usava come più preferiva. Eppure, ha sempre conservato quella facciata di gentilezza che gli permetteva di entrare nelle grazie di chiunque. Per lui tutto era una sfida, che portava ad un unico risultato: la sua vittoria.-
Il medico non dice una parola, riflettendo un poco su quello che gli ha detto.
-Quindi...-
-Esatto.-
Alza lo sguardo e lo fissa negli occhi, uno specchio impassibile del mondo intorno a lui.
-Per lui ero diventato una sfida.-
Chiude la mano, distogliendo lo sguardo.
-Sa benissimo che qui non esiste nulla di giusto o sbagliato. Può dire tutto quello che vuole. Non è compito mio giudicarla.-
Anche perché ci avevano già pensato, con tanto di giudice e caso mediatico. Quella è soltanto la sua confessione.
-Voleva fare in modo che mi innamorassi di lui. E, purtroppo, ci è riuscito alla perfezione.-

 

 

-Quali sono le regole che uno psicologo deve rispettare?-
Distolse lo sguardo dalla scacchiera, osservandolo perplesso.
-Che intende?-
-Che regole avete voi psicologi? Cosa non potete fare?-
Ci pensò su, tornando a studiare i pezzi per ideare la mossa successiva.
-Non giudicare il tuo paziente. Essere imparziali il più possibile. Non dire a nessuno cosa vi siete detti.-
-E ci si può innamorare tra medico e paziente?-
Sospirò, muovendo la pedina con la mano destra.
-E' soltanto una fase, quella che sta passando. Si chiama transfert: il paziente si crede innamorato del proprio terapeuta. Comunque sia, è un'ottima notizia. Significa che la terapia procede bene.-
Anche se aveva parecchi dubbi in proposito... del resto quello che facevano era solamente giocare a shogi.
Alzò lo sguardo dalla scacchiera, trovandosi davanti quello di Akashi. Deglutì un poco, sentendosi sempre più a disagio rispetto a quegli occhi. Soprattutto quando lo fissavano in quella maniera penetrante.
-Non è una fase. Io sono seriamente innamorato di lei.-
Nuovamente sospirò, chiudendo gli occhi e scuotendo la testa. Sapeva benissimo che era solo una fase. Non era amore vero: era solo il bisogno di sentirlo come oggetto di amore da parte del paziente, sia da donare che da ricevere.
-Non è...-
A differenza di tutti i suoi pazienti, però, Akashi non perse troppo tempo. E fu per questo che si buttò sulle sue labbra, baciandolo con foga.
-E' così.-
Per la prima volta nella sua vita Kuroko Tetsuya non seppe come reagire. Perché non era facile lottare contro l'impulso di dargli ragione.

 

 

-Perché è riuscito a conquistarla?-
Non è una domanda semplice, quella. E' uno psicologo lui stesso, sa benissimo come la natura umana sia complessa e piena di impulsi contrastanti. Vorrebbe solo che non avesse portato a tutto quello.
-Sinceramente non ne ho idea. Forse mi piaceva come mi trattava.-
Osserva la scrivania vuota, trovandola davvero desolante. Eppure sa benissimo che è fatto apposta: non toglie la concentrazione ai pazienti. Al massimo li fa vagare dentro i loro stessi pensieri.
-Akashi possedeva una capacità. Non solo era intelligente: sapeva comprendere alla perfezione la persona che aveva davanti. Per lui la natura umana non aveva misteri.-
Sospirò, continuando a tracciare linee immaginarie sul tavolo, cercando di proseguire quel discorso, anche se gli sembrava quasi impossibile.
-Il problema stava in una cosa sola: non gli interessava seriamente degli altri. Conosceva i sentimenti che animano una persona, ma non gli importa ferirli o usarli. Se questo avesse portato a una nuova sfida da vincere...-
-Si?-
-Allora non gli sarebbe neanche importato di uccidere.-

 

 

-Suvvia, qual è il problema? Non si tratta altro che di un cane.-
Come avesse fatto ad entrare quel povero bastardino nel manicomio era un mistero che non si sapeva spiegare. Era un misto tra un bassotto e un pincher, una strana accoppiata che lo stava fissando con la coda che andava a mulinello, come se fosse solamente felice di essere lì, tra quei due sconosciuti.
Di cui uno, quello che avrebbe dovuto tenere il controllo di tutta la situazione, aveva in mano una mazza. Ed era in procinto di spaccare la testa al cane.
-M-ma... non mi ha fatto niente! Non posso ucciderlo!-
Akashi rise, fissandolo con uno sguardo divertito e cattivo.
-Eppure quando mi hai detto che mi amavi hai promesso che avresti fatto qualsiasi cosa avessi chiesto.-
Non stava mentendo. Non era nella sua natura, anzi, era molto schietto, fin troppo. Diceva la verità: lo aveva completamente fatto innamorare di lui, proprio perché lo conosceva alla perfezione. Lo aveva incatenato approfittando delle sue debolezze e delle sue voglie. Gli aveva fatto scoprire una parte di se stesso di cui non era a conoscenza. Comprese solo una cosa, in tutto quello: che amava farsi dominare. Sia sessualmente sia nella vita.
E questo aveva portato a rendersi debole davanti ad Akashi. Non importava che sapesse benissimo che quella sarebbe stata la sua rovina.
Lo voleva, così tanto che stava diventando un'ossessione.
-Sbrigati, su. Se lo fai sai benissimo che non ti lascerò più.-
Era come firmare un patto con il diavolo. E l'inchiostro era il sangue di quel povero cagnolino.
Chiuse gli occhi per non vedere la stanza che da bianca diventava rossa. Ma non poté evitare di sentire il guaito dell'innocente.

 

 

-Era davvero... così forte?-
Kuroko vorrebbe rispondere che nella realtà Akashi non possedeva seriamente così tanto potere. Che era solo un pazzo squilibrato e che lui lo aveva assecondato per aiutarlo a superare il tutto.
Solo che non poteva mentire. Non su di lui.
Soprattutto su di lui.
-Forte? Era un fuoco puro. Era qualcosa che non si poteva domare, perché lo faceva lui con te. So che non sono delle belle parole ma... si poteva fermare solamente come ho fatto io.-
Il medico abbassa lo sguardo, fissando il tavolo vuoto davanti a sé.
-Ovvero?-
Kuroko sorride, mostrando per la prima volta i segni del motivo per cui era finito lì.
-Rendendolo solo mio.-

 

 

-Akashi?-
Lo chiamò più di una volta, scuotendo il suo corpo.
Era freddo, troppo freddo. E stava davvero perdendo troppo sangue!
Kuroko fissò il ragazzo immobile davanti a sé, stringendo i pugni con forza. Non era possibile.
NON ERA POSSIBILE.
-AKASHI! SVEGLIATI!-
Gli accarezzò il viso, iniziando a piangere disperato.
Lui... era morto. Morto. Non sarebbe tornato da lui. Mai più.
Ma se non sarebbe tornato da lui, allora non sarebbe neanche scappato via.
Strinse il corpo a sé, con l'unica mano libera. Iniziò a ridere, lasciando cadere il coltello a terra, nella pozza di sangue.
-Scacco matto.-
Lui aveva vinto la battaglia più difficile: rendere solo suo quel ragazzo che era la rappresentazione delle contraddizioni umane.
E ci era riuscito, anche se non nel sistema che aveva pensato.
Ma aveva imparato, oramai, che Akashi non sbagliava mai.
Neanche quella volta.

 

Sai, Tetsuya? Prima o poi mi ucciderai.”
Perché dici questo?”
Perché, secondo te, chi è il più malato tra noi due?”

 

 

 

 

 

 

Note.

Oddio, non ci credo. L'ho finita. FINITA!
Storia che nasce da un'immagine e che è poi diventata un casino pazzesco.
Spero di essere stata IC nei limiti del possibile e che vi piaccia. 

   
 
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