A Susy, en
sus cumpleaños.
Tanti auguri alla mogliaH perfetta ♥
Il
cigno d’oro ~
the
neverending
always
Would you know my name if I saw you in Heaven?
Would it be the same if I saw you in Heaven?
La
nave scivola sulla Laguna delle Sirene, dritta verso la Roccia del Teschio, con
gli occhi spalancati di Henry che fanno a brandelli ogni pezzo di cielo, di
terra e di mare. Emma ci ha provato, per un po’, a consigliargli di non sporgersi
troppo e magari anche di stare alla larga da Uncino – non si sa mai – ma prima
di rendersene conto si è ritrovata da sola a guardare un orizzonte che,
sacrosanta verità oggettiva, non dovrebbe
esistere, perché quella è l’Isola Che Non C’è e anche solo la semplice idea
di andarsene a spasso in un’isola che non
c’è le appare tuttora come una pazzia; si è ritrovata da sola a riflettere
su quanto possa essere strana la vita quando ti strattona da un luogo all’altro,
a volte in fuga, a volte in cerca, e – ancora – prima di rendersene conto ha
scoperto di non essere affatto sola su quel ponte di quella nave in quel mondo
che non dovrebbe esistere.
Si ritrova a guardarlo e a chiedersi se in
questo momento sia più uomo o più mostro, se sappia che lei in una notte di
impotente frustrazione ha sviscerato la storia che parla di lui e ora sa che entrambi hanno visto precipitare
la stessa persona al di là del tempo e dello spazio, vedendosi strappare un pezzo
di sé, nella piena consapevolezza che ancor prima di chiedere scusa o di
dichiarare amore era già troppo tardi.
Lui non le rivolge parola e lei non lo sopporta.
Annaspa nella ricerca della prima stupidaggine da dire, solo per riuscire a toccarlo, per dimostrare che anche lui
non è solo coi propri rimpianti.
«Non pensavo che sarei arrivata più in là della
pianta di fagioli» sbotta, stringendosi le braccia attorno al corpo, perché l’Isola
Che Non C’è è molto più fredda di quanto l’abbia mai immaginata.
Lo vede incurvare appena le labbra, nulla a che
vedere con il caldo sorriso pieno con cui l’ha guidata nelle strade e nei
segreti di Storybrooke, né con il ghigno bestiale
dello stregone che in qualche modo ha imparato a figurarsi e persino a
riconoscere: si rende conto allora che al suo fianco non c’è che un fantasma,
un’ombra del padre, un eco dell’uomo.
«Temo che dovrai farci l’abitudine, mia cara. Dopotutto
sei una prescelta.»
C’è qualcosa, in quel vecchio e familiare
appellativo, che per un attimo lunghissimo riesce a scaldarla dentro – lui è ancora
lì, da qualche parte, sotto il dolore e il rimorso e la rabbia che sono gli
stessi che sente lei – ma poi arrivano delle parole nuove, completamente
inaspettate, che per l’ennesima volta negli ultimi mesi le fanno credere di non
aver mai davvero capito niente.
«Che buffo. Tu non puoi ricordarlo, ma è la
stessa cosa che ti ho detto tutte le volte...»
La trovò là al suo posto, bellissima e sua, le piume
inargentate di stelle, la piccola macchia d’oro tra i suoi occhi splendente
come il sole, le ali chiuse. Il suo
riflesso evanescente nell’acqua del lago era certo più libero di lei, ma non
aveva la sua bellezza, non era altro che un’illusione – lei era reale e sua, prigioniera e sua, bellissima e sua.
La risata appuntita di lui la
raggiunse prima della luna.
«Avete sentito la mia mancanza,
cara?»
Lo sguardo di due occhi lucenti e
terribilmente umani, il soffio di vento prima della magia, e il cigno tornò
principessa.
Rumpelstiltskin la
contemplò mentre usciva dall’acqua, la veste candida che aderiva perfettamente
alle gambe nude, i capelli d’oro puro che erano ancora pieni di stelle – bellissima e sua – e quegli occhi ancor più terribilmente umani, ora, colmi di
troppe cose per poterle distinguere, disprezzo
orgoglio coraggio paura pietà e tutto ciò che gli riservava tutte le notti,
tutte le volte che lui osava venire a guardarla sotto la luna.
«Perché mi fate domande alle
quali non volete sentire risposta?»
Rumpelstiltskin rise
ancora, affatto contrariato di concederle quella piccola vittoria. Quasi con
noncuranza si slacciò il mantello, mostrandole macchie di sangue nuove sui
propri stivali e sui propri vestiti, e continuò a sorridere nel vedere che la
principessa rabbrividiva ma non distoglieva lo sguardo. Orgoglio e disprezzo.
Paura e coraggio.
«Trovo curioso, invece, che voi
non mi abbiate ancora posto la domanda che tenete in serbo per me...»
Lei, che si era voltata per
raggiungere il cortile diroccato, che con ogni passo portava un po’ di luce
nelle buie rovine attorno a sé – speranza; era quello il nome giusto – sedette
sotto un arco antico e gli rivolse un sorriso disilluso. E allora per la prima
volta, per la prima e sola volta da che aveva recitato l’incantesimo che
l’aveva resa più bella e più sua, Rumpelstiltskin esitò – perché in qualche modo quel sorriso
era sbagliato, e perché nessuna delle
donne che erano state sue volenti o nolenti prigioniere
gli aveva mai sorriso così. Nessuna aveva tutte
quelle cose negli occhi.
«So che non me lo direte.»
«Mettetemi alla prova.»
Neanche il tempo di un respiro
tra l’accusa e la provocazione. La principessa tacque, lo osservò a lungo, si
mosse su quella panca di vecchio marmo incrinato senza sapere che con ogni
gesto gli stringeva forte un indefinibile qualcosa da qualche parte tra il
petto e lo stomaco, senza poter immaginare quanto fosse assuefacente il vederla e il saperla così potente e così importante
e così bella e così sua, sua, sua.
«Che cosa volete da me?» si
arrese, infine.
E Rumpelstilskin
rise ancora, disperato, perché tutto
cominciava adesso e perché presto negli occhi di Emma ci sarebbe stato spazio
solo per la pietà.
«Che
vuol dire?»
L’uomo sospira. «Il tempo» spiega, «è come una
mappa che si avvolge e si svolge su se stessa, all’infinito. Immagina di
piegarla in un modo sempre diverso. A un tratto la linea di un fiume combacerà
con quella di un altro fiume, e non importerà sapere che i due corsi non
coincidono davvero – agli occhi di chiunque guarderà la mappa quello sembrerà un
solo stesso fiume. E saranno state le tue mani a determinare il percorso nuovo,
inconsapevoli, eppure così definitive...» Solleva le sue, disegnando segni
incomprensibili nell’aria di fronte a sé, come se il gesto potesse aiutarlo a
spiegare qualcosa – ma Emma non capisce nulla se non che lui non l’ha mai
guardata negli occhi, non soltanto adesso, ma fin da quando si sono imbarcati
sulla Jolly Roger. «La vita nei diversi mondi segue le stesse leggi. Non è solo
lo spazio a fare da confine tra questo mondo e il nostro» continua, e per
qualche stupido motivo lei apprezza da morire quel nostro, davvero, da morire;
«anche le nostre scelte fanno sì che la realtà, nella mappa del tempo, di volta
in volta, cambi.»
«Non capisco» è costretta ad ammettere,
interrompendolo prima di perdersi del tutto.
Di nuovo quel ricordo di sorriso. «Esistono
molti mondi possibili. Esistono molte diverse Foreste Incantate nelle quali la
tua strada si è intrecciata alla mia...» Finalmente si volta, ma quando riesce
a guardarlo negli occhi, Emma rimpiange che l’abbia fatto. «Non l’hai mai
voluto, ma è sempre successo. Qualche volta l’hai persino accettato.»
La ragazzina arrivava sempre col favore delle
tenebre, quando nessuno avrebbe potuto sbarrarle la strada ricordandole quanto
fosse indecoroso per lei scendere in quelle sporche e scure segrete. Aveva imparato
a riconoscerne il passo, deciso e affrettato, così inadatto a una personcina
del suo rango; alcune notti riusciva a distinguere il suo odore, qualcosa che
gli ricordava la cannella. Questa volta il cesto che gli portava era enorme e
lui non poté evitarsi una risatina: il suono si spezzò in mille echi sinistri
tra le mura di roccia incantata, ma la ragazzina non ne ebbe paura, come del
resto non ne aveva mai.
«Ne hai presa tantissima.» Spinse il volto tra le
sbarre e seguì il suo avanzare picchierellando impaziente con le unghie sul
metallo. «Hai distrutto uno dei fienili della nonna?»
Il fondo del cesto colpì il suolo
con un tonfo e dal cappuccio emerse il faccino sorridente della principessa
Emma. «Erano degli spaventapasseri, in verità. Non mi sono mai piaciuti.»
Rumpelstiltskin rise
di gusto e afferrò la paglia che lei gli porgeva. «Non pensi che dopo questo ti
caccerai nei guai?» si divertì a stuzzicarla, accostandosi all’arcolaio sapientemente
nascosto in un’ampia nicchia della cella – anche quello era stato un regalo
della sua piccola complice, il primo – e preparandosi a filare e, filando,
dimenticare.
«Oh, la nonna può farne degli
altri» disse lei con una scrollata di spalle, anche questa per niente regale. «E
poi non ho mai visto un solo corvo attorno ai suoi campi... Penso che sentano Cappuccetto. È per lei che se ne
stanno ben lontani.»
«Giustissima osservazione.» La
ruota cominciò a girare, la paglia a diventare oro. S’impose di non lasciarsi
andare a un sospiro liberatorio e preferì continuare a parlare con lei – era importante.
«Ho conosciuto uno Spaventapasseri, una volta. Viaggiava da un mondo all’altro
alla ricerca della donna che amava...»
Con la coda dell’occhio vide che
la principessa si appoggiava molto poco elegantemente alle sbarre, in viso un’espressione
incerta tra lo scetticismo e la meraviglia. «Ma gli spaventapasseri non possono amare! Non hanno un cuore.»
«Se per questo» gesticolò Rumpelstilskin, «non hanno neppure un cervello, eppure
quello che è entrato in affari con me aveva un’intelligenza sopraffina.»
«Non so più se crederti...» sospirò
lei, ostentando tragicità. Poi sollevò lo sguardo e, in tutto quel buio, gli
occhi le brillavano. «Ma la storia dei mondi che sono tanti e tutti diversi mi
piace. Pensi che un giorno viaggerò anch’io?»
Questa volta, per quanto in
quelle parole si celasse già la sua vittoria – lei era sua – la risata non venne. Continuò a filare la paglia con
lo sguardo basso, fisso sull’oro che si accumulava a poco a poco ai suoi piedi,
mascherando la polvere e la dura roccia.
«Ti piacerebbe?» domandò dopo
quella che gli sembrò una vita intera.
«A chi non piacerebbe?» ribatté
lei con energia.
Rumpelstiltskin fermò
la ruota. Si chinò a raccogliere alcuni di quei fili, forzò ancora un po’ le
resistenze della cella alla magia – lei, Emma, non lo sapeva, ma era solo la sua
presenza a consentirgli quei pochi semplici incantesimi, solo lei, niente sarebbe stato possibile senza lei
– e li modellò perché assumessero una diversa forma e consistenza. Si voltò e
porse alla ragazzina il risultato delle loro essenze mescolate, l’aura buona e
la magia cattiva, incontratesi all’inizio di una lunga strada...
Gli occhi della principessa si
fecero più grandi mentre ammirava il cigno d’oro nel suo palmo ruvido. «Per me?»
«Per suggellare il nostro patto:
se mi aiuterai, ti prometto che viaggerai anche tu. Arriverai incredibilmente
lontano, così tanto che potresti non voler tornare indietro.»
«E quando succederà?»
Rumpelstiltskin attese
che quella piccola mano calda prendesse il cigno dalla sua, poi tornò alla paglia
dei poveri spaventapasseri della nonna. «Presto.»
Cos’erano in fondo ventotto anni,
quando la prescelta era già sua?
C’è
Regina accanto a Henry, gli mormora qualcosa mentre lui si spenzola per vedere
le sirene. Emma ha gli occhi fissi su di loro, ma non riesce a vederli: le
parole la trasportano in mille diversi
altrove, mille diverse vite in cui, intuisce, quello che d’improvviso le sembra
uno sconosciuto non lo è affatto, non lo è mai stato.
«Ci sono svolte del tempo che hanno impedito l’uso
della maledizione. In una di queste realtà la stessa maledizione non è mai
esistita: hai vissuto serenamente finché un giorno non sei scesa nei
sotterranei del tuo castello, e lì hai provato pietà di un prigioniero. In un’altra,
una diversa maledizione ha colpito te, te sola» – le sembra di percepire un’esitazione
nella sua voce, come uno scrupolo,
anche se ormai è sicura soltanto di non capirci più niente – «e ciò ha comunque
determinato la nascita di un... accordo. In altre la tua vita è stata ancora
diversa; sei stata rapita da Regina, sei fuggita dal tuo castello, sei stata
salvata da un vecchio pazzo con una cabina blu.»
«E tu c’eri sempre.»
Una constatazione, non una domanda. Lui la
conferma con il silenzio.
Emma scuote la testa, cerca di schiarirsi le
idee. «Come... Come fai a esserne... consapevole?
Come puoi ricordarti cose che in questa vita non sono mai successe?»
Lo sbircia e vede di nuovo quell’accenno
amarissimo di sorriso, e allora si ricorda che lui è lo stesso che ha scritto
il suo nome, e ancora, e ancora, e sente di aver fatto una domanda stupida e ne
pesca subito un’altra.
«In tutti quei mondi... noi siamo sempre stati...?»
S’interrompe. Come dovrebbe proseguire? Alleati? Amici? Cos’è che sono, loro due? Non se l’è mai chiesto, non ha mai
voluto saperlo e di certo non
comincerà oggi, rimprovera a se stessa. Anche questa è la domanda sbagliata.
Guarda di nuovo Henry, vede che Regina gli sorride
con tutto l’affetto del mondo. Quello è suo figlio, quella è la donna che le ha
distrutto la vita una mezza dozzina di volte e da qualche parte su questa nave
di questo mondo che non dovrebbe esistere – uno
dei tanti – ci sono anche i suoi genitori. L’uomo che è al suo fianco, l’Oscuro,
Rumpelstiltskin, il signor Gold, colui che in un punto
imprecisabile dello spazio e del tempo l’ha scelta – in questo momento nessuno
le è più vicino di lui, e forse è sempre stato così e forse sarà sempre così. Eppure
manca ancora qualcosa. Qualcuno.
«Esiste anche una realtà in cui né tu né io l’abbiamo
visto cadere?»
Si decide a guardarlo e vede che lui abbassa gli
occhi. È la domanda giusta, ma ha una risposta sbagliata.
La nave scivola verso la Roccia del Teschio,
lasciandosi alle spalle la Laguna delle Sirene, come sussurrando in silenzio
che tutte le storie hanno un lato oscuro che presto o tardi va affrontato. E
come in un sogno, come in un ricordo di un’altra vita, Emma si rende conto di
aver visto una volta un piccolo cigno di coccio dorato nel negozio dei pegni del signor
Gold.
Si chiede a quale
vita appartenga.
I must be strong and carry on,
‘Cause I know I don’t belong here in Heaven.
Spazio dell’autrice
Questa
storia sintetizza tre dei miei headcanon: il what if in cui non c’è stata
nessuna maledizione e la principessa Emma, conosciuta la storia personale di Rumpelstiltskin, ha deciso spontaneamente di aiutarlo; l’analogo
what if che identifica il Rumpel/Emma con il Rothbart/Odette (vedi L’incantesimo
del lago); non ultimo il what if
crossover in cui la maledizione c’è stata, ma al posto dell’albero magico è
intervenuta una cabina blu guidata da un vecchio pazzo (vedi Doctor Who). Ricompare
anche il ninnolo-cigno che avevo piazzato alla fine di uno dei miei deliri
precedenti e sul quale, vi dicevo, avevo molte idee inespresse. E naturalmente
c’è un accenno allo Spaventapasseri/Dorothy (vedi Il meraviglioso Mago di Oz) perché, per
quanto cerchi di mascherare i miei vaneggiamenti da più o meno grandi sforzi
inventivi, io sono pur sempre una fangirl e una fangirl non si smentisce mai.
Susy,
questa accozzaglia di cose che mi piace chiamare fanfic
è tutta per te, per festeggiare il tuo compleanno, e so che non sarà mai
abbastanza per dirti tutto ciò che vorrei dirti ma umilmente spero che tu
capisca lo stesso. ♥
Qualche
presunta spiegazione: sì, adoro questa filosofia sempre più frequente dei “vari
mondi possibili” – generati grazie a un dato gesto o a una data scelta: nel
caso specifico, mi ritrovo spesso a favoleggiare su come Rumpelstiltskin
sarebbe riuscito a ritrovare Bae senza Regina e la maledizione. Mi piace giocare su una realtà
alternativa in cui Emma aiuta Rumpel per puro buon
cuore (quella che qui lui chiama pietà),
così come su un’altra in cui Rumpel “fallisce” con
Regina e allora si fa aiutare proprio da Emma a raggiungere il nostro mondo,
rapendola e trasformandola e ricattandola; parimenti muoio letteralmente sull’immagine
del (decimo) Dottore che compare nella Foresta Incantata, salva Emma portandola
sulla Terra e poi come da programma sbaglia le coordinate e va a riprenderla
con ventotto anni di ritardo. Insomma, questa shot
vorrebbe essere una lode alla possibilità.
Forse anche alla possibilità di un Golden Swan canon, perché no.
La
lyric in incipit e chiusura è tratta da Tears in Heaven di
Eric Clapton. (E la presenza di Henry indica che ci troviamo in un momento successivo al suo salvataggio; non so perché non vi ho accennato, devo essere fusa.)
Moglia,
ancora infiniti auguri. Ti voglio benissimo. ♥
Aya ~