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Autore: Feel Good Inc    06/06/2013    4 recensioni
{ Dedicata a Ray08 ♥ Buon compleanno, mogliaH }
«Non capisco» è costretta ad ammettere, interrompendolo prima di perdersi del tutto.
Di nuovo quel ricordo di sorriso. «Esistono molti mondi possibili. Esistono molte diverse Foreste Incantate nelle quali la tua strada si è intrecciata alla mia...» Finalmente si volta, ma quando riesce a guardarlo negli occhi, Emma rimpiange che l’abbia fatto. «Non l’hai mai voluto, ma è sempre successo. Qualche volta l’hai persino accettato.»

{ Gold/Emma, implicito Neal/Emma; post-2x22 + what if + crossover hints }
Genere: Angst, Fantasy, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Signor Gold/Tremotino
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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A Susy, en sus cumpleaños.

Tanti auguri alla mogliaH perfetta

 

 

 

 

Il cigno d’oro ~

the neverending always

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Would you know my name if I saw you in Heaven?

Would it be the same if I saw you in Heaven?

 

 

 

 

La nave scivola sulla Laguna delle Sirene, dritta verso la Roccia del Teschio, con gli occhi spalancati di Henry che fanno a brandelli ogni pezzo di cielo, di terra e di mare. Emma ci ha provato, per un po’, a consigliargli di non sporgersi troppo e magari anche di stare alla larga da Uncino – non si sa mai – ma prima di rendersene conto si è ritrovata da sola a guardare un orizzonte che, sacrosanta verità oggettiva, non dovrebbe esistere, perché quella è l’Isola Che Non C’è e anche solo la semplice idea di andarsene a spasso in un’isola che non c’è le appare tuttora come una pazzia; si è ritrovata da sola a riflettere su quanto possa essere strana la vita quando ti strattona da un luogo all’altro, a volte in fuga, a volte in cerca, e – ancora – prima di rendersene conto ha scoperto di non essere affatto sola su quel ponte di quella nave in quel mondo che non dovrebbe esistere.

Si ritrova a guardarlo e a chiedersi se in questo momento sia più uomo o più mostro, se sappia che lei in una notte di impotente frustrazione ha sviscerato la storia che parla di lui e ora sa che entrambi hanno visto precipitare la stessa persona al di là del tempo e dello spazio, vedendosi strappare un pezzo di sé, nella piena consapevolezza che ancor prima di chiedere scusa o di dichiarare amore era già troppo tardi.

Lui non le rivolge parola e lei non lo sopporta. Annaspa nella ricerca della prima stupidaggine da dire, solo per riuscire a toccarlo, per dimostrare che anche lui non è solo coi propri rimpianti.

«Non pensavo che sarei arrivata più in là della pianta di fagioli» sbotta, stringendosi le braccia attorno al corpo, perché l’Isola Che Non C’è è molto più fredda di quanto l’abbia mai immaginata.

Lo vede incurvare appena le labbra, nulla a che vedere con il caldo sorriso pieno con cui l’ha guidata nelle strade e nei segreti di Storybrooke, né con il ghigno bestiale dello stregone che in qualche modo ha imparato a figurarsi e persino a riconoscere: si rende conto allora che al suo fianco non c’è che un fantasma, un’ombra del padre, un eco dell’uomo.

«Temo che dovrai farci l’abitudine, mia cara. Dopotutto sei una prescelta.»

C’è qualcosa, in quel vecchio e familiare appellativo, che per un attimo lunghissimo riesce a scaldarla dentro – lui è ancora lì, da qualche parte, sotto il dolore e il rimorso e la rabbia che sono gli stessi che sente lei – ma poi arrivano delle parole nuove, completamente inaspettate, che per l’ennesima volta negli ultimi mesi le fanno credere di non aver mai davvero capito niente.

«Che buffo. Tu non puoi ricordarlo, ma è la stessa cosa che ti ho detto tutte le volte...»

 

 

 

 

La trovò là al suo posto, bellissima e sua, le piume inargentate di stelle, la piccola macchia d’oro tra i suoi occhi splendente come il sole, le ali chiuse. Il suo riflesso evanescente nell’acqua del lago era certo più libero di lei, ma non aveva la sua bellezza, non era altro che un’illusione – lei era reale e sua, prigioniera e sua, bellissima e sua.

La risata appuntita di lui la raggiunse prima della luna.

«Avete sentito la mia mancanza, cara?»

Lo sguardo di due occhi lucenti e terribilmente umani, il soffio di vento prima della magia, e il cigno tornò principessa.

Rumpelstiltskin la contemplò mentre usciva dall’acqua, la veste candida che aderiva perfettamente alle gambe nude, i capelli d’oro puro che erano ancora pieni di stelle – bellissima e sua – e quegli occhi ancor più terribilmente umani, ora, colmi di troppe cose per poterle distinguere, disprezzo orgoglio coraggio paura pietà e tutto ciò che gli riservava tutte le notti, tutte le volte che lui osava venire a guardarla sotto la luna.

«Perché mi fate domande alle quali non volete sentire risposta?»

Rumpelstiltskin rise ancora, affatto contrariato di concederle quella piccola vittoria. Quasi con noncuranza si slacciò il mantello, mostrandole macchie di sangue nuove sui propri stivali e sui propri vestiti, e continuò a sorridere nel vedere che la principessa rabbrividiva ma non distoglieva lo sguardo. Orgoglio e disprezzo. Paura e coraggio.

«Trovo curioso, invece, che voi non mi abbiate ancora posto la domanda che tenete in serbo per me...»

Lei, che si era voltata per raggiungere il cortile diroccato, che con ogni passo portava un po’ di luce nelle buie rovine attorno a sé – speranza; era quello il nome giusto – sedette sotto un arco antico e gli rivolse un sorriso disilluso. E allora per la prima volta, per la prima e sola volta da che aveva recitato l’incantesimo che l’aveva resa più bella e più sua, Rumpelstiltskin esitò – perché in qualche modo quel sorriso era sbagliato, e perché nessuna delle donne che erano state sue volenti o nolenti prigioniere gli aveva mai sorriso così. Nessuna aveva tutte quelle cose negli occhi.

«So che non me lo direte.»

«Mettetemi alla prova.»

Neanche il tempo di un respiro tra l’accusa e la provocazione. La principessa tacque, lo osservò a lungo, si mosse su quella panca di vecchio marmo incrinato senza sapere che con ogni gesto gli stringeva forte un indefinibile qualcosa da qualche parte tra il petto e lo stomaco, senza poter immaginare quanto fosse assuefacente il vederla e il saperla così potente e così importante e così bella e così sua, sua, sua.

«Che cosa volete da me?» si arrese, infine.

E Rumpelstilskin rise ancora, disperato, perché tutto cominciava adesso e perché presto negli occhi di Emma ci sarebbe stato spazio solo per la pietà.

 

 

 

 

«Che vuol dire?»

L’uomo sospira. «Il tempo» spiega, «è come una mappa che si avvolge e si svolge su se stessa, all’infinito. Immagina di piegarla in un modo sempre diverso. A un tratto la linea di un fiume combacerà con quella di un altro fiume, e non importerà sapere che i due corsi non coincidono davvero – agli occhi di chiunque guarderà la mappa quello sembrerà un solo stesso fiume. E saranno state le tue mani a determinare il percorso nuovo, inconsapevoli, eppure così definitive...» Solleva le sue, disegnando segni incomprensibili nell’aria di fronte a sé, come se il gesto potesse aiutarlo a spiegare qualcosa – ma Emma non capisce nulla se non che lui non l’ha mai guardata negli occhi, non soltanto adesso, ma fin da quando si sono imbarcati sulla Jolly Roger. «La vita nei diversi mondi segue le stesse leggi. Non è solo lo spazio a fare da confine tra questo mondo e il nostro» continua, e per qualche stupido motivo lei apprezza da morire quel nostro, davvero, da morire; «anche le nostre scelte fanno sì che la realtà, nella mappa del tempo, di volta in volta, cambi.»

«Non capisco» è costretta ad ammettere, interrompendolo prima di perdersi del tutto.

Di nuovo quel ricordo di sorriso. «Esistono molti mondi possibili. Esistono molte diverse Foreste Incantate nelle quali la tua strada si è intrecciata alla mia...» Finalmente si volta, ma quando riesce a guardarlo negli occhi, Emma rimpiange che l’abbia fatto. «Non l’hai mai voluto, ma è sempre successo. Qualche volta l’hai persino accettato.»

 

 

 

 

La ragazzina arrivava sempre col favore delle tenebre, quando nessuno avrebbe potuto sbarrarle la strada ricordandole quanto fosse indecoroso per lei scendere in quelle sporche e scure segrete. Aveva imparato a riconoscerne il passo, deciso e affrettato, così inadatto a una personcina del suo rango; alcune notti riusciva a distinguere il suo odore, qualcosa che gli ricordava la cannella. Questa volta il cesto che gli portava era enorme e lui non poté evitarsi una risatina: il suono si spezzò in mille echi sinistri tra le mura di roccia incantata, ma la ragazzina non ne ebbe paura, come del resto non ne aveva mai.

«Ne hai presa tantissima.» Spinse il volto tra le sbarre e seguì il suo avanzare picchierellando impaziente con le unghie sul metallo. «Hai distrutto uno dei fienili della nonna?»

Il fondo del cesto colpì il suolo con un tonfo e dal cappuccio emerse il faccino sorridente della principessa Emma. «Erano degli spaventapasseri, in verità. Non mi sono mai piaciuti.»

Rumpelstiltskin rise di gusto e afferrò la paglia che lei gli porgeva. «Non pensi che dopo questo ti caccerai nei guai?» si divertì a stuzzicarla, accostandosi all’arcolaio sapientemente nascosto in un’ampia nicchia della cella – anche quello era stato un regalo della sua piccola complice, il primo – e preparandosi a filare e, filando, dimenticare.

«Oh, la nonna può farne degli altri» disse lei con una scrollata di spalle, anche questa per niente regale. «E poi non ho mai visto un solo corvo attorno ai suoi campi... Penso che sentano Cappuccetto. È per lei che se ne stanno ben lontani.»

«Giustissima osservazione.» La ruota cominciò a girare, la paglia a diventare oro. S’impose di non lasciarsi andare a un sospiro liberatorio e preferì continuare a parlare con lei – era importante. «Ho conosciuto uno Spaventapasseri, una volta. Viaggiava da un mondo all’altro alla ricerca della donna che amava...»

Con la coda dell’occhio vide che la principessa si appoggiava molto poco elegantemente alle sbarre, in viso un’espressione incerta tra lo scetticismo e la meraviglia. «Ma gli spaventapasseri non possono amare! Non hanno un cuore.»

«Se per questo» gesticolò Rumpelstilskin, «non hanno neppure un cervello, eppure quello che è entrato in affari con me aveva un’intelligenza sopraffina.»

«Non so più se crederti...» sospirò lei, ostentando tragicità. Poi sollevò lo sguardo e, in tutto quel buio, gli occhi le brillavano. «Ma la storia dei mondi che sono tanti e tutti diversi mi piace. Pensi che un giorno viaggerò anch’io?»

Questa volta, per quanto in quelle parole si celasse già la sua vittoria – lei era sua – la risata non venne. Continuò a filare la paglia con lo sguardo basso, fisso sull’oro che si accumulava a poco a poco ai suoi piedi, mascherando la polvere e la dura roccia.

«Ti piacerebbe?» domandò dopo quella che gli sembrò una vita intera.

«A chi non piacerebbe?» ribatté lei con energia.

Rumpelstiltskin fermò la ruota. Si chinò a raccogliere alcuni di quei fili, forzò ancora un po’ le resistenze della cella alla magia – lei, Emma, non lo sapeva, ma era solo la sua presenza a consentirgli quei pochi semplici incantesimi, solo lei, niente sarebbe stato possibile senza lei – e li modellò perché assumessero una diversa forma e consistenza. Si voltò e porse alla ragazzina il risultato delle loro essenze mescolate, l’aura buona e la magia cattiva, incontratesi all’inizio di una lunga strada...

Gli occhi della principessa si fecero più grandi mentre ammirava il cigno d’oro nel suo palmo ruvido. «Per me?»

«Per suggellare il nostro patto: se mi aiuterai, ti prometto che viaggerai anche tu. Arriverai incredibilmente lontano, così tanto che potresti non voler tornare indietro.»

«E quando succederà?»

Rumpelstiltskin attese che quella piccola mano calda prendesse il cigno dalla sua, poi tornò alla paglia dei poveri spaventapasseri della nonna. «Presto.»

Cos’erano in fondo ventotto anni, quando la prescelta era già sua?

 

 

 

 

C’è Regina accanto a Henry, gli mormora qualcosa mentre lui si spenzola per vedere le sirene. Emma ha gli occhi fissi su di loro, ma non riesce a vederli: le parole  la trasportano in mille diversi altrove, mille diverse vite in cui, intuisce, quello che d’improvviso le sembra uno sconosciuto non lo è affatto, non lo è mai stato.

«Ci sono svolte del tempo che hanno impedito l’uso della maledizione. In una di queste realtà la stessa maledizione non è mai esistita: hai vissuto serenamente finché un giorno non sei scesa nei sotterranei del tuo castello, e lì hai provato pietà di un prigioniero. In un’altra, una diversa maledizione ha colpito te, te sola» – le sembra di percepire un’esitazione nella sua voce, come uno scrupolo, anche se ormai è sicura soltanto di non capirci più niente – «e ciò ha comunque determinato la nascita di un... accordo. In altre la tua vita è stata ancora diversa; sei stata rapita da Regina, sei fuggita dal tuo castello, sei stata salvata da un vecchio pazzo con una cabina blu.»

«E tu c’eri sempre.»

Una constatazione, non una domanda. Lui la conferma con il silenzio.

Emma scuote la testa, cerca di schiarirsi le idee. «Come... Come fai a esserne... consapevole? Come puoi ricordarti cose che in questa vita non sono mai successe?»

Lo sbircia e vede di nuovo quell’accenno amarissimo di sorriso, e allora si ricorda che lui è lo stesso che ha scritto il suo nome, e ancora, e ancora, e sente di aver fatto una domanda stupida e ne pesca subito un’altra.

«In tutti quei mondi... noi siamo sempre stati...?»

S’interrompe. Come dovrebbe proseguire? Alleati? Amici? Cos’è che sono, loro due? Non se l’è mai chiesto, non ha mai voluto saperlo e di certo non comincerà oggi, rimprovera a se stessa. Anche questa è la domanda sbagliata.

Guarda di nuovo Henry, vede che Regina gli sorride con tutto l’affetto del mondo. Quello è suo figlio, quella è la donna che le ha distrutto la vita una mezza dozzina di volte e da qualche parte su questa nave di questo mondo che non dovrebbe esistere – uno dei tanti – ci sono anche i suoi genitori. L’uomo che è al suo fianco, l’Oscuro, Rumpelstiltskin, il signor Gold, colui che in un punto imprecisabile dello spazio e del tempo l’ha scelta – in questo momento nessuno le è più vicino di lui, e forse è sempre stato così e forse sarà sempre così. Eppure manca ancora qualcosa. Qualcuno.

«Esiste anche una realtà in cui né tu né io l’abbiamo visto cadere?»

Si decide a guardarlo e vede che lui abbassa gli occhi. È la domanda giusta, ma ha una risposta sbagliata.

La nave scivola verso la Roccia del Teschio, lasciandosi alle spalle la Laguna delle Sirene, come sussurrando in silenzio che tutte le storie hanno un lato oscuro che presto o tardi va affrontato. E come in un sogno, come in un ricordo di un’altra vita, Emma si rende conto di aver visto una volta un piccolo cigno di coccio dorato nel negozio dei pegni del signor Gold.

Si chiede a quale vita appartenga.

 

 

 

 

I must be strong and carry on,

‘Cause I know I don’t belong here in Heaven.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio dell’autrice

 

Questa storia sintetizza tre dei miei headcanon: il what if in cui non c’è stata nessuna maledizione e la principessa Emma, conosciuta la storia personale di Rumpelstiltskin, ha deciso spontaneamente di aiutarlo; l’analogo what if che identifica il Rumpel/Emma con il Rothbart/Odette (vedi L’incantesimo del lago); non ultimo il what if crossover in cui la maledizione c’è stata, ma al posto dell’albero magico è intervenuta una cabina blu guidata da un vecchio pazzo (vedi Doctor Who). Ricompare anche il ninnolo-cigno che avevo piazzato alla fine di uno dei miei deliri precedenti e sul quale, vi dicevo, avevo molte idee inespresse. E naturalmente c’è un accenno allo Spaventapasseri/Dorothy (vedi Il meraviglioso Mago di Oz) perché, per quanto cerchi di mascherare i miei vaneggiamenti da più o meno grandi sforzi inventivi, io sono pur sempre una fangirl e una fangirl non si smentisce mai.

Susy, questa accozzaglia di cose che mi piace chiamare fanfic è tutta per te, per festeggiare il tuo compleanno, e so che non sarà mai abbastanza per dirti tutto ciò che vorrei dirti ma umilmente spero che tu capisca lo stesso.

Qualche presunta spiegazione: sì, adoro questa filosofia sempre più frequente dei “vari mondi possibili” – generati grazie a un dato gesto o a una data scelta: nel caso specifico, mi ritrovo spesso a favoleggiare su come Rumpelstiltskin sarebbe riuscito a ritrovare Bae senza Regina e la maledizione. Mi piace giocare su una realtà alternativa in cui Emma aiuta Rumpel per puro buon cuore (quella che qui lui chiama pietà), così come su un’altra in cui Rumpel “fallisce” con Regina e allora si fa aiutare proprio da Emma a raggiungere il nostro mondo, rapendola e trasformandola e ricattandola; parimenti muoio letteralmente sull’immagine del (decimo) Dottore che compare nella Foresta Incantata, salva Emma portandola sulla Terra e poi come da programma sbaglia le coordinate e va a riprenderla con ventotto anni di ritardo. Insomma, questa shot vorrebbe essere una lode alla possibilità. Forse anche alla possibilità di un Golden Swan canon, perché no.

La lyric in incipit e chiusura è tratta da Tears in Heaven di Eric Clapton. (E la presenza di Henry indica che ci troviamo in un momento successivo al suo salvataggio; non so perché non vi ho accennato, devo essere fusa.)

Moglia, ancora infiniti auguri. Ti voglio benissimo.

Aya ~

   
 
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