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Autore: nals    06/06/2013    1 recensioni
Una carcassa asmatica vegeta sulla sua schiena. Gli artigli ficcati nello spazio tra le costole, il fiato sul collo; lei cerca di riprendersi la vita macchiando di tempera le pareti.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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uhm.
 

Spazio















“Vattene via. Vattene via. Che non so dove metterti.”
 
Il rosso è caldo, il sole, invece, non ci riesce più, a bruciare come si deve.
Andrea ci immerge i polpastrelli freddi e spinge, spinge, spinge.
Di che colore è la felicità?
Una carcassa asmatica vegeta sulla sua schiena. Gli artigli ficcati nello spazio tra le costole, il fiato sul collo; lei cerca di riprendersi la vita macchiando di tempera le pareti.
Una carcassa asmatica vegata sulla sua schiena, ancora e ancora e ancora.
Pensa ai pesci che boccheggiano nell’acquario di sua nonna.
Ci vedono grossi il triplo anche loro?
Altre mani, e altri occhi, le hanno rubato un pezzo di qualcosa e non sa se riuscirà mai ad averlo indietro.
Come tutte – tutte quante – le volte in cui non è bastata.
 
 
 
 
Due giorni fa s’è svegliata con la voglia di prendersela tutta – ficcarsela in borsa; quella di pezza colorata che non usa mai – e berla d’un fiato, la sua vita.
S’è tirata su i capelli, ha colorato di nero le ciglia folte e suonato la sua musica, che non è così bella, ma sa di qualcosa.
Quella, nell’angolo all’ombra, chiedeva “respirami”;
(quella conta sette respiri –  due lettere, il resto cifre –  e fissa, fissa, fissa.)
Andrea ha soffocato i polmoni con le dita e ha scelto l’apnea.
Brucia, ma ci si salva dalle esalazioni in barattolo, marcate R68.
Che son persone, o nuvole, o canzoni.
 
 
“Voglio buttarti fuori. Non ho spazio. Non ne ho più.”
 
 
 
“Facciamola finita,” sussurra Andrea.
“Facciamola finita”.
E “soffiami via i capelli dalla faccia, con le dita.”
“La conosci una cura al miasma? Io no. E ci provo e ci provo e ci provo. A tirarmi su e tirare te, strapparti via da me.
Ho le ossa fragili.
Ma.
Ho le ossa fragili.”
 
 
Spirerà fra un po’, Andrea, dopo averti respirato a lungo. Ma poi son stronzate, come allora,  perché “a lungo” fila via dalle labbra in tre sillabe veloci.
A te è bastato, a lei no.
Non riesce a non dirli i suoi “forse”, non ci riesce mai. E se non dice “forse” dice niente. Niente proprio.
Sorride e non guarda, o guarda e arrossice e le lentiggini del cazzo non son belle perché non servono... a un cazzo.
Ha mal di testa, da un po’. E poche favole da disegnarti. Vi rivede ovunque. Lei e te. Poi le si snodano le ciglia e si scopre... lei. E basta.
Ha srotolato lo spago della vita vissuta due ore fa, non riusciva a tenerlo in mano.
Era così sottile da non farcela, a stringelo per bene. Filava via  come “ a lungo”, o come sei filato via te.
Tu che continuavi a salutarla da lontano e lei... lei non si riconosceva.
 
Non si riconosceva. Non si riconosceva. Non si riconosceva. Non si riconosceva. Non si riconosceva. Non si riconosceva. Non si riconosceva. Non si riconosceva.
Più.
Artigli nella schiena.
 
 
Di che colore è la felicità?
Di che colore è la felicità?
 


Cosa vuoi che dica?
Ho poco spazio.

   
 
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