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Autore: Fear    06/06/2013    4 recensioni
Cit/: In mezzo a tutto quell'odore di alcol, il suo era l'unico profumo. Muschio, constatai. Solo in quel momento alzai lo sguardo sul suo; ero più bassa di lui, il mio viso gli toccava il petto scolpito perfettamente, potevo sentirlo anche sotto la camicia scolastica.
Un magnete che mi attirò come un metallo: i suoi occhi.
I suoi occhi. I suoi occhi. I suoi occhi. I suoi occhi. Erano così profondi, il loro colore era così scuro, sembravano un cielo notturno senza stelle.
La sua mascella era serrata e i capelli contornavano il viso dai tratti marcati.
«Chi sei?» La mia voce si presentò con un tono basso, quasi fosse in un sussurro. Pensai che non l'avesse sentito dato che la musica non era ancora cessata, ma mi sbagliai e con una semplice parola premette le sue labbra morbide sulle mie, gelate.
«Shade».
[...]
[ Romantica, lime, hurt/comfort ― incentrata sulla coppia Rein/Shade ]
♣ Pelle di vetro, cuore di carta, labbra di ghiaccio
Genere: Erotico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rein, Shade
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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- Note autrice: buonasera miei carissimi tesori. Questa one shot doveva essere la famosa one shot a rating rosso, ma poi mi sono decisa a farla più leggera e di abbassare il rating ad arancione.
Non mi sembra di essere stata per niente volgare, l'amore di Rein e Shade è un amore così passionale, ogni volta che scrivo su di loro il mio cuore accelera.
Beh, ditemi che ne pensate di questa Rein, principessa dalle labbra di ghiaccio, che dopo che è stata rifiutata da Bright, si è ribellata alla vita incontrando però il suo vero amore, il ragazzo che è all'altra sponda del lungo filo rosso del destino. La dedico specialmente a quelle ragazze a cui piacciono le scene erotiche (io sono prima ad essere un'amante del "porno") e specialmente a Goccia e Serenity, grazie.
Ah! Cambierò anche il mio nickname in Fear, spero arrivi presto! Comunque per altre informazioni visitate la mia pagina
Un abbraccio da Rebecca Arya Baratheon
 

 

Pelle di vetro, cuore di carta, labbra di ghiaccio.




Chicago, 2007.
Giovedì, ore 18:30

Primo giorno, Quando un cuore si spezza.

Ricordo ancora quel giorno come se fosse ieri. Ricordo i nuvoloni neri che piano piano prendevano il sopravvento, l'aria che si faceva più fredda. Ma in quel momento non mi importava che tempo ci fosse, né se ci fosse o meno il sole. Ormai ero decisa, l'avrei fatto, glielo avrei detto. Gli avrei rivelato i miei sentimenti.
Gli avevo chiesto di aspettarmi proprio in centro, in piazza, la stessa piazza dove ci eravamo incontrati la prima volta. Ti ricordi, non è vero, vero amore?
Correvo come una matta, le mie scarpe da ginnastica si muovevano in sintonia con il mio corpo e i capelli fluttuavano con le foglie intorno a me, in balia del vento.
Eccolo.
Girasti la testa alla torre dell'orologio per poi riservarmi i tuoi occhi che erano l'unica luce che vedevo in quel cielo così grigio.
I tuoi capelli assomigliavano all'oro pregiato che la mamma non mi faceva mai toccare, ma per fortuna avevo te e non sai quanto la mia mano avrebbe voluto accarezzare il tuo viso così angelico.
Smisi di correre per venirti in contro, con le guance già infuocate.
Mi ricordo quando il tuo magnifico sorriso illuminò l'intera piazza, o almeno il mio cuore. Mi chiedesti perché ti avevo fatto venire ed io per un secondo abbassai gli occhi non sapendo da dove iniziare.
Sembravo proprio una bambina, all'età di 16 anni mi ero ritrovata con le guance rosse e il respiro mozzato dall'emozione. Dovevo solo dichiararmi. Ero stata ore davanti allo specchio a recitare la parte solo per te, ma in quel momento mi ero dimenticata tutto il discorso e come una sciocca, le mie labbra di ghiaccio pronunciarono le parole della mia rovina.
«Ti amo, Bright».
Una goccia d'acqua sporca bagnò la punta del mio naso, anch'esso arrossato.
La sua espressione fu sorpresa, ma non quel genere di sorpresa, non quel sentimento di felicità, gioia, talmente tanta gioia che non sai che cosa dire, lui non provava quello che provavo io.
In un secondo la pioggerellina leggera si trasformò in una tempesta di lacrime, le mie lacrime.
Ricordo il tuo viso voltarsi nella direzione opposta alla mia, il tuo sguardo che improvvisamente non era più quello di sempre, ma serio e privo di emozioni.
Le mie gambe che, tremolanti, non ressero molto e, all'improvviso, mi ritrovai inginocchiata a terra con le mani sul mio viso. Non riuscivo a respirare, la mia vista era appannata, non sbattei le palpebre neanche per un secondo. La gioia suonava così artificiale, la musica insulsa. La malinconia predominava.
Ricordo che neanche all'eco dei miei singhiozzi ti voltasti, nemmeno all'urlo silenzioso che lanciai al cielo. E come una fucilata in petto, un tuono squarciò il cielo facendo risuonare tutto il mio dolore. I profumi mi davano la nausea, la musica mi faceva venire il mal di testa. Tutte le lettere che pronunciasti quel giorno avevano orde dissonanti e appuntiti risvolti.
Ed è stato proprio in quel momento che la parte peggiore di tutte non fu perdere lui, ma perdere me stessa.
«Mi dispiace, Rein».




Mercoledì, ore 16:00
Secondo giorno, Quando l'acqua si trasforma in ghiaccio.

Da quel giorno non fui mai più la stessa. Non importava se c'era il sole o la pioggia, il mio umore si era solidificato, non era più cristallino e non mi importava. Ero sempre stata una ragazza diligente, ma c'erano delle giornate in cui desideravo solamente restare nel letto per sempre. Poi quel senso di ribellione alla vita. Incominciò dal leggero alzarsi della gonna dell'uniforme scolastica, alle serate in compagnia di gente ai miei occhi sconosciuta, sino all'alcol. Finita la scuola mi fermavo sempre in quel locale, la discoteca era aperta ventiquattro ore su ventiquattro e spesso ne approfittavo.
Mi fermavo al bancone a guardare la solita gente che si guardava intorno intontita, le note musicali che mi battevano nel petto, i ragazzi che mi lanciavano delle strane occhiate. Mi sentivo come una gazzella in gabbia, circondata da leoni affamati.
Era in quei momenti che mi ricordai di quei capelli d'oro, di quegli occhi color corallo. Ed era così che ogni volta lasciavo il mio bicchiere e mi dirigevo in pista iniziando a ballare. Non avevo nessuno, non avrei mai avuto nessuno, tutti i miei amici non erano mai stati dei veri amici, potevo benissimo fare a meno di loro. Sono stata così sciocca, fidarmi dell'amore falso di tutti quanti.
La fronte imperlata di sudore, le mie labbra di ghiaccio screpolate. Vidi un ragazzo farsi strada verso di me, ma questo non mi fermò. La scuola era finita e non importavo nessuno, nessuno voleva la compagnia di una persona noiosa come me. Monotona mi definivano. Non me l'avevano mai detto in faccia, per caso sentii la conversazione di quelle che dicevano di essere le mie migliori amiche. Ma adesso basta.
Persi l'equilibrio per pochi secondi e subito una presa stretta al braccio mi fermò. Mi girai e vidi lo stesso ragazzo di pochi minuti prima, indossava la mia stessa divisa.
«Sei troppo piccola per bere, non trovi?» Non mi aveva ancora lasciato il braccio ed io con una goffa mossa mi liberai dalla sua presa. Non feci in tempo ad andarmene che l'altra sua mano mi prese una spalla, attirandomi a sé.
In mezzo a tutto quell'odore di alcol, il suo era l'unico profumo. Muschio, constatai.
Solo in quel momento alzai lo sguardo sul suo, ero più bassa di lui, il mio viso gli toccava il petto scolpito perfettamente, potevo sentirlo anche sotto la camicia scolastica.
Un magnete che mi attirò come un metallo, i suoi occhi.
I suoi occhi. I suoi occhi. I suoi occhi. I suoi occhi. Erano così profondi, il loro colore era così scuro, sembravano un cielo notturno senza stelle.
La sua mascella era serrata e i capelli contornavano il viso dai tratti marcati.
«Chi sei?» La mia voce si presentò con un tono basso, quasi fosse in un sussurro. Pensai che non l'avesse sentito dato che la musica non era ancora cessata, ma mi sbagliai e con una semplice parola premette le sue labbra morbide sulle mie, gelate.
«Shade».




Venerdì, ore 21:40
Terzo giorno, Quando tutto cambia.

Il giorno dopo Shade non venne, e la tristezza prese ancora di più il sopravvento quando a scuola dovetti sorbirmi la sua risata in classe. Cambiai il posto. Cercavo sempre di avvicinarmi a lui nelle lezioni, ogni volta che c'era da lavorare in coppie io ero sempre in prima fila per stare insieme a lui. Solo pochi giorni fa iniziai a realizzare che per qualche strano motivo, ogni volta restavo a bocca asciutta. Non ero mai con Bright, probabilmente neanche il destino ci voleva insieme e solo in quei giorni stavo iniziando a farmene una ragione. Mia mamma aveva sempre detto che ogni essere umano era legato al suo vero amore con un filo rosso, legato proprio al mignolo della mano sinistra. Chissà se questo era vero. Io mi ero sempre sentita così vicina al mio vero amore, mi sembrava sempre così presente e persino dopo aver "litigato" con Bright lo sentivo accanto a me, come se fosse proprio dietro di me-
Qualcuno mi coprì gli occhi.
Presi le mani posate dolcemente sulle mie palpebre e le spostai dai miei occhi. Erano più grandi delle mie, morbide e affusolate. Inclinai la testa all'indietro e senza lasciare quelle due mani, rividi per la seconda volta i suoi occhi. Uno strano sorriso si era impossessato delle sue labbra, un sorriso completamente diverso da quello che aveva Bright, assomigliava di più ad un ghigno.
Inspiegabilmente mi ritrovai anche io a sorridere, un sorriso... che parola strana, sorridere... che verbo quasi ormai inesistente nel mio vocabolario.
«Ci si rivede» disse Shade mentre qualcuno dopo aver aperto la porta della discoteca fece entrare una folata di vento gelida che mi fece rabbrividire. Era notte.
Senza dire nient'altro, Shade, non mi lasciò neanche per un secondo la mano e mi trascinò con lui al centro della pista da ballo.
Ballammo per molto tempo, ma la sua gentilezza mi dava sempre di più la conferma che quello non era il suo vero intento.
Mi allontanai un secondo per prendere qualcosa di leggero da bere e un ragazzo della stessa età di Shade si presentò davanti a me.
«Ciao bellissima, io sono Light», era un ragazzo di un anno più grande di me, più alto di me, più forte di me. Gli occhi color ambra mi fissavano appassionatamente.
«Shade è il tuo ragazzo?» chiese poi facendo un cenno con la testa verso Shade che si era fermato a parlare con degli altri ragazzi.
Senza rendermene conto arrossii lievemente, ma scossi comunque la testa. Non appartenevo a nessuno.
Iniziai a cercare urgentemente gli occhi sicuri di Shade tra la folla di fronte a noi. Un sospiro affannato uscì dalle mie labbra quando una mano afferrò la mia coscia leggermente coperta da un vestito cobalto. Guardai in basso e vidi la mano di Light salire dolcemente.
«Allora questo rende il tutto più facile» sogghignò mentre io iniziai a tremare impaurita. Cercai di allontanarmi, ma lui fu più veloce di me e mi prese il polso. Strinse tanto da farmi male e iniziò a camminare lungo un corridoio poco illuminato. Io con gli occhi tremolanti non sapevo che cosa aspettarmi.




Venerdì, ore 00:10
Terzo giorno, Quando il sole tramonta lasciando posto alla notte.

Mi dimenai, cercando di liberarmi, ma ridacchiando, Light, mi disse di stare zitta.
La musica cominciava a diventare solo un lontano eco nell'aria. Light mi spinse violentemente contro il muro. Il suo tocco era rude, non come quello di Shade. Improvvisamente la sua mano incominciò a correre lungo il mio torace, dopo poco la sentii sotto la maglietta. Rabbrividii. Volevo solo urlare ed è quello che feci, la prima parola, il primo nome che mi venne in mente.
«SHADE!» gridai. La sua mano sudata si spostò velocemente sulla mia bocca, ma l'altra non si fermò. Premette sui miei fianchi, mi stava facendo male.
«Che diavolo stai facendo, Light?» La voce profonda di Shade ringhiò nel corridoio. Light si allontanò di scatto mentre io corsi verso Shade con le lacrime agli occhi, afferrai la sua maglietta e mi misi dietro di lui, cercando di riprendere il fiato che, senza accorgermene, avevo trattenuto.
«Ci stavamo solo divertendo un po', non è vero?» Quella domanda -che sembrava più un'affermazione- mi fece stringere ancora di più il lembo della maglietta di Shade. Alzai anche gli occhi su di lui e vidi la sua mascella tesa e i suoi occhi, che erano diventati quasi neri.
Con uno scatto fulmineo si allontanò da me e prese prepotentemente Light dal colletto della giacca. I suoi occhi erano accesi da una strana luce. Possesso... gelosia?
«Non con lei», Shade lo alzò da poco dal terreno per poi scaraventarlo a terra con una scintilla di disgusto. «Lei è mia».
Ed è così che quegli occhi color tramonto si trasformarono nella notte più scura.




Venerdì, ore 00:30
Terzo giorno, Non voglio fare sesso, voglio fare l'amore.

Light non ci mise troppo ad alzarsi e andarsene con la rabbia che lo mangiava dentro, ma sicuramente non avrebbe potuto fare molto: Shade era più forte di lui e una rissa sarebbe stata inutile.
Vidi Shade che continuava a fissare la figura del ragazzo fino a che non scomparve all'interno della discoteca.
Io ero ancora ferma, non sapevo che cosa dire. Probabilmente avrei dovuto dirgli grazie, ma le parole non mi uscivano. Così feci la stessa cosa che aveva fatto lui due giorni prima.
Le mie labbra premettero sulle sue molto delicatamente, ma lui non mi diede il tempo di staccarmi che fui spinta ancora una volta contro il muro, questa volta però c'erano delle mani dolci a cingermi la vita. Sentii il suo respiro farsi più pesante e la sua lingua cercò in tutti i modi di farsi spazio nella mia bocca. Non mi sottrassi a quell'invito e lo lascai fare.
Molte volte, quando fantasticavo sui ragazzi, mi veniva sempre in mente il baciare. Certe volte mi veniva il dubbio: so baciare? Questo non lo sapevo, ma è proprio quando baci una persona che ti accorgi che il modo in cui baci non è importante. In quel momento l'importante è che due persone siano insieme.


Mi portò a casa sua.
Non era lontana, il viaggio in taxi fu breve. Non ci rivolgemmo la parola, non sarebbe servito.

Quando sentii la porta di casa sua chiudersi alle nostre spalle, sentii il suo calore da dietro, non mi voltai. Ero avvolta dal suo abbraccio e arrossii vistosamente quando qualcosa di duro premette sul mio fondoschiena.
La sua erezione mi fece capire all'istante che quella notte sarebbe stata importante, magari, avevo veramente trovato la mia metà. Lo conoscevo da tre giorni, ma era come se ci fossimo già incontrati da qualche parte, magari in un'altra vita, quando il filo rosso del destino era visibile.
Ed era proprio in quel momento che potei percepire quanto mi voleva.

Mi portò con lui nella stanza da letto. Non era grande, ma il letto era matrimoniale, non riuscivo a vedere molto, doveva essere molto tardi.
Una mano scivolò sulla mia coscia e poi l'altra sull'altra gamba. Gemetti a quel tocco. Mi prese in braccio e insieme cademmo sul letto. Non voleva essere un peso su di me e posò le braccia appena in tempo sulle coperte immacolate, a pochi centimetri dal mio capo.
Mi sfilò il leggero vestito che avevo addosso, io non mi opposi e con il suo aiuto gli tolsi i pantaloni e lui si tolse la maglietta. In quel momento non mi dissi “È troppo presto, dovrei aspettare di conoscerlo meglio”, no, in quel momento la mia mente era vuota e c'eravamo solo io e lui. Rein e Shade.
In poco tempo rimanemmo nudi e innocenti. Io non sapevo che fare. Ma con un sorriso dolce, Shade, sfiorò il mio corpo e iniziò a spingere. Una spinta, un battito mancato. Una spinta, un momento di gioia.
Una spinta, la soddisfazione di far finalmente parte di qualcuno.
Gemetti mentre le sue mani vagavano sui miei seni, baciava e piano piano scendeva in basso, baciava e baciava. Le sue labbra si fecero rosse in poco tempo, bollenti. Per questo, con la mia bocca fredda come il ghiaccio, gli diedi un po' di sollievo.
In quel momento non stavamo facendo sesso, stavamo facendo l'amore.
Ed eravamo solo all'inizio.
   
 
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