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Autore: Aniel_    06/06/2013    2 recensioni
Continuarono a mangiare in silenzio e Dean non poté fare a meno di notare quanto la presenza di quello strano tizio lo tranquillizzasse. Certo, c'era qualcosa nelle sue ambiguità che lo infastidiva, eppure aveva come l'impressione di aver già passato quella fase e di non aver motivo di restare sul "chi va là" ancora a lungo.
L'uomo pancake sembrava solo... un uomo pancake.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Fandom: Supernatural
Pairing/Personaggi: Dean/Castiel
Rating: SAFE
Genere: introspettivo, sentimentale
Warning: slash
Words: 4204 (fiumidiparole)
Disclaimer: nessun personaggio mi appartiene ecc ecc.

The Pancake Man
 

Dean si svegliò nel cuore della notte, madido di sudore.
Non accadeva da qualche settimana ma sembrava che quegli incubi avessero deciso di tornare. Il ragazzo sospirò, stringendo tra le dita le lenzuola sfatte e umide, aggrappandosi a qualcosa che, nella semicoscienza, gli assicurasse di essere sveglio e che quello che aveva visto non era altro che l'ennesimo incubo un po' troppo vivido.
Si calmò quasi immediatamente, assestando il proprio respiro, e sorrise perché era assurdo anche solo pensare che certe cose potessero essere reali.
Hai guardato troppa televisione, si autodiagnosticò, rotolando su un fianco e affondando la testa sul cuscino. Si inumidì le labbra e guardò un punto indistinto tra la porta e l'armadio prima di chiudere gli occhi.
Li riaprì quasi subito, allarmato.
Non c'era nessuno e forse le ombre e i riflessi gli avevano solo giocato un brutto tiro. O forse era affetto di una malattia, una di quelle poco conosciute, che si era addirittura preso la briga di inventare: la Castiellite.
A quanto sembrava vedere impermeabili color sabbia dappertutto era uno dei sintomi.
Gli incubi erano diminuiti da quando aveva conosciuto Castiel e ancora non era riuscito a spiegarsene la ragione.
Castiel era entrato nella sua vita in silenzio, facendosi alle volte piccolo e il meno invadente possibile. Era entrato nella sua vita come quelle persone che un giorno non ci sono, il giorno dopo arrivano e quello dopo ancora diventano indispensabili.
Castiel era arrivato così, con la fronte corrucciata davanti ad una tazza di caffè, e Dean ebbe la bizzarra sensazione di averlo già visto e probabilmente non era poi così bizzarra come immaginava.
Dean era convinto che le persone importanti, prima di farsi largo tra i tuoi casini e le tue lenzuola, si facciano vedere prima ancora di conoscerle: magari viaggi in metropolitana e inizi a fissare uno sconosciuto senza apparente interesse, oppure ascolti la discussione di un tizio in un bar, o semplicemente ci sbatti contro camminando sul marciapiede.
Dean sapeva che quando una persona importante è in procinto di entrare nella tua vita, il 90% delle volte quella persona l'hai già vista da qualche parte, quasi come se il destino scegliesse consapevolmente di rincarare la dose.
 
Castiel arrivò un martedì mattina qualsiasi, in una tavola calda qualsiasi.
Dean quasi non se ne rese conto, troppo attento a sfogliare il giornale alla ricerca di un lavoro che fosse nelle sue corde. Aveva un disperato bisogno di lavorare. La sua prima attività era andata male - sapeva di aver fallito- anche se, paradossalmente, quando cercava di pensarci qualcosa lo bloccava, lì tra i suoi pensieri, suggerendogli di tornare indietro.
Come una strada interrotta, una strada da "lavori in corso".
Dean sapeva solo di dover trovare un nuovo lavoro, fine della storia.
Sfogliò stancamente le pagine, alzando di tanto in tanto la tazza di caffè e riabbassandola puntualmente, senza berne neanche un sorso, per cogliere al meglio gli annunci di dimensione microscopica. Solo dopo l'ennesimo buco nell'acqua si accorse di non essere solo, o meglio, di essere il centro dell'attenzione di qualcuno che non sembrava affatto la cameriera tracagnotta con una sirena nuda tatuata sul braccio.
Inizialmente il ragazzo fece finta di niente, alzando appena lo sguardo e intercettando l'uomo alla destra del suo tavolo, intento a squadrare uno dei menù.
Va bene, forse il tizio strambo stava aspettando qualcuno, ma Dean non riuscì proprio a non domandarsi perché avesse puntato il menù stropicciato del suo tavolo: tutti i tavoli erano liberi, maledizione! Ma lo sconosciuto non si mosse, né diede l'impressione di essere consapevole della propria mancanza di tatto, e dopo minuti che sembrarono epoche intere, Dean posò il giornale e incrociò le braccia, scocciato.
«Hai bisogno di qualcosa?» scattò, attirando l'attenzione dell'altro che passò lo sguardo pigramente dal menù poggiato sul tavolo al suo viso.
«No, non direi.» gracchiò, schiarendosi poi la voce e ripetendo un «no» un po' più convinto.
Dean strizzò le palpebre e annuì, sinceramente confuso, aspettando che l'altro se ne andasse.
«Posso sedermi qui?» domandò l'estraneo, con un tono che voleva essere tutto fuorché remissivo, e il ragazzo si trovò a spalancare le braccia, come a voler abbracciare l'intero locale, per fargli notare che ehi! ci sono un sacco di posti liberi nel caso non te ne fossi accorto! ma l'altro aveva già preso posto di fronte a lui, prendendo finalmente il menù tra le mani, piacevolmente sollevato.
Dean si chiese che diavolo di problema avesse, anche perché non sembrava affatto che stesse leggendo qualcosa dato che i suoi occhi puntavano sulla stessa porzione di foglio da qualche minuto.
«Hai intenzione di fissarlo per tutto il giorno?» domandò - perché sì, aveva cercato di ignorarlo ma stava diventando quasi divertente- e l'altro alzò la testa e sorrise, riposando il menù al proprio posto.
«Ho già deciso.» rispose, guardando fuori dalla finestra.
Dean seguì il suo sguardo fino alla panchina dall'altra parte della strada, dove un ragazzone dallo sguardo stanco giocherellava con il cane di una donna.
«Lo conosci?» domandò l'altro uomo, facendolo sussultare.
Dean scosse il capo lentamente, poco convinto.
Vicolo cieco.
«Mai visto in vita mia.» replicò conciso, facendo cenno alla cameriera di avvicinarsi.
La donna li raggiunse quasi immediatamente, riservando loro il suo sorriso migliore. «Cosa vi porto, ragazzi?»
«Salsicce e bacon e... anche i pancake, tesoro.» ammiccò, senza tentennamenti.
«Sei a dieta, caro?» ironizzò la cameriera mentre annotava l'ordinazione, rivolgendo lo sguardo verso l'altro. Quest'ultimo strinse le labbra in una linea sottile prima di mormorare un «oh, sta aspettando la mia ordinazione, non è così? Allora salsicce, bacon e...»
«Pancake?» domandò Dean, confuso.
«Sì, e pancake.» concluse.
«Ma è quello che ho ordinato io!»
«E allora?»
«E allora niente, dico solo che... niente. Lascia perdere.» si arrese, guardando la cameriera allontanarsi e il suo nuovo stalker fissarlo con insistenza.
«Stai aspettando qualcuno?» gli chiese, più brusco di quanto intendesse.
«No. E tu?» domandò a sua volta l'uomo.
Dean si grattò la guancia, reprimendo l'istinto di alzarsi malamente e cambiare tavolo. «No, e doveva essere proprio questo il bello della mia colazione. Pace.» puntualizzò. «La buona notizia è che non c'è uno straccio di lavoro disponibile, come se questo non fosse ancora abbastanza per allietare la mia giornata.» aggiunse ironico, accartocciando il giornale e lanciandolo lontano.
«Non capisco la tua definizione di buona notizia.» commentò l'altro, inclinando appena il capo.
«Temiamo che possa aver lasciato una bomba da qualche parte. Quindi ti prego, dicci che hai buone notizie.» supplicò stancamente.
Bobby assunse un'espressione indecifrabile. «Chicago sta per essere spazzata via, la tempesta del millennio. È il primo anello di una serie di catastrofi naturali, tre milioni di persone moriranno.»
«Non capisco la tua definizione di buona notizia.» osservò una voce alle sue spalle.
Dean tremò, aspettando che quelle fitte dolorose e fastidiose che ogni tanto si divertivano a spaccargli la testa a metà scemassero da sole.
Una mano forte e calda si chiuse intorno al suo polso, facendolo scattare e indietreggiare.
«Sto bene!» disse, più a se stesso che all'altro. «Come hai detto che ti chiami?»
«A dire il vero non l'ho detto.»
Dean alzò gli occhi al cielo e cacciò fuori un sorriso. «Hai un atteggiamento familiare.»
Il viso dell'altro si illuminò per un frazione di secondo. «Castiel.» rispose. «Mi chiamo Castiel.»
Dean non gli strinse le mano, non mosse un solo muscolo, si limitò a fissarlo, cercando di capire dove avesse già sentito quel nome.
«Dean» si presentò, spostandosi appena e permettendo alla cameriera di porgere loro i piatti.
Castiel non aggiunse altro e si concentrò sul piatto dei pancake, infilzandone qualcuno con la forchetta, poco convinto.
«Devi mettere lo sciroppo prima» gli fece notare Dean, sputacchiando rimasugli di saliva e salsiccia.
L'altro aggrottò la fronte e Dean fu costretto ad inghiottire il boccone e afferrare la piccola bottiglia di sciroppo d'acero, versandone una dose generosa sui pancake di Castiel.
«Prova adesso» lo invitò, e Castiel se ne portò una piccola porzione alle labbra, sorridendo rilassato quando il sapore dolce dello sciroppo gli invase la bocca.
«È buono.» constatò felice, affogando letteralmente i restanti pancake nello sciroppo e facendo sorridere Dean.
«Andiamo, come se fosse la prima volta...» lo prese in giro, ma visto l'entusiasmo con cui continuava a mangiare, lasciò perdere.
Continuarono a mangiare in silenzio e Dean non poté fare a meno di notare quanto la presenza di quello strano tizio lo tranquillizzasse. Certo, c'era qualcosa nelle sue ambiguità che lo infastidiva, eppure aveva come l'impressione di aver già passato quella fase e di non aver motivo di restare sul "chi va là" ancora a lungo.
L'uomo pancake sembrava solo... un uomo pancake.
«Che tipo di lavoro stai cercando?» domandò Castiel, allontanando il piatto da sé.
«Non so. Qualsiasi cosa al momento andrebbe bene. Sono un tipo versatile, io.» ammiccò.
L'altro lo guardò, sinceramente contrito. «Non è un bella cosa, Dean.»
«Certo che lo è. Perché... perché non dovrebbe?»
«Vendere il tuo corpo non è una soluzione. Te lo sconsiglio fortemente.»
Lo stava prendendo in giro, vero? Perché Dean non trovò parole con cui ribattere. Aprì le labbra e le richiuse, confuso. «Scusami?»
«Cosa ne pensi delle macchine?» lo incalzò Castiel.
«Le macchine sono okay.»
«Sapresti ripararne una?»
«Immagino di sì... ma forse sarebbe meglio un meccanico più qualificato.» tentennò, ma l'altro rimase fermo nelle proprie convinzioni.
«Ho una macchina e vorrei che tu la riparassi. Puoi farlo?»
«Credo di sì.»
«Allora hai un lavoro, Dean Winchester.»
Dean accettò senza pensarci troppo e prima di dare anche solo un'occhiata alla famosa macchina da riparare, si ritrovò a fare colazione con quel Castiel ogni giorno, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
E tutte le mattine non faceva che pensare al loro primo incontro e, ehi!, era quasi certo di non avergli mai detto il suo cognome! Era strano ma non aveva mai avuto voglia di indagare oltre.
 
Castiel lo accompagnò nel suo garage solo una settimana più tardi, muovendosi al suo interno come se vi mettesse piede per la prima volta.
Dean non si lasciò stupire da quell'atteggiamento bizzarro - ormai era diventato quasi una piacevole abitudine!- e afferrò il telo che copriva la carrozzeria dell'auto che avrebbe dovuto riparare.
«Wow» commentò stupito, accarezzandone il metallo con la punta delle dite.
«Ti piace?» domandò Castiel, speranzoso, tenendosi a debita distanza.
«Scherzi, vero? È una...»
«Una Chevrolet Impala del '67, sì.» concluse l'altro, al suo posto.
Anche quella strana predisposizione di Castiel a completare le sue frasi era estremamente familiare, oltre che vagamente inquietante.
Dean fischiò di apprezzamento e accarezzò con gli occhi ogni dettaglio di quell'oggetto che gli piacque da subito, quasi come se fosse abituato ad amare quel genere di cose. Era senz'altro una bella sensazione.
Aprì il cofano per dare un'occhiata preliminare, tirandosi poi su le maniche della camicia. «Hai davvero buon gusto, Castiel.» commentò orgoglioso.
Castiel scrollò le spalle e guardò altrove, come faceva spesso in quei giorni. Non si trattava solo di voltarsi e guardare un punto lontano fuori dalla finestra; Castiel sembrava vedere un mondo intero, fatto di ricordi e promesse non mantenute, e Dean si era chiesto più volte come facesse ad intuirlo.
La verità era che quell'uomo aveva anni di sofferenza stampati in viso e lui non poteva proprio farci niente.
«È un bel complimento, ma no.» replicò mesto, e Dean dovette aggrapparsi forte alla macchina per non cadere a terra.
«Castiel, sei Dio?» domandò, alzandosi in piedi. Tutto il dolore, eccetto quello dell'anima, svanito nel nulla.
«È un bel complimento, ma no.»
«... appartiene ad un mio amico.» aggiunse, rivolgendogli nuovamente la propria attenzione. «Stai bene?»
Dean prese un respiro profondo e si sforzò di sorridere, naturale, afferrando uno strofinaccio, giusto per avere qualcosa da stringere tra le mani. «Fottute emicranie, dovrei farmi qualche controllo o stronzate simili. Ma sto bene, Cas. È stato solo un momento.»
Castiel chinò il capo, sospirando.
«Cosa?»
«Cas. Mi hai chiamato Cas.»
Dean si grattò una guancia, confuso. «Non ti piace? Scusami, non credevo che-»
«No, Cas è okay.» lo stroncò, veloce e conciso.
Il ragazzo non capì da dove venisse quell'insofferenza che a volte smuoveva l'altro. Aveva come l'impressione che Castiel stesse aspettando qualcosa che tardava ad arrivare, esasperandolo, e Dean non poté non addossarsene la colpa, in alcuni momenti.
In realtà, certe volte, gli era parso di infastidirlo con la sua presenza, specialmente quando rideva troppo forte o gli faceva notare una cazzata sul giornale.
In quelle occasioni Castiel si indisponeva e guardava altrove.
E Dean non riusciva a sopportarlo.
«Senti, credo che tornerò domani » - quando ti si saranno calmati i nervi!- «ho bisogno di qualche ora per... uhm... riprendermi. Il tuo amico ha qualche urgenza? Torna presto?»
Castiel deglutì. «No. Credo di no.» mormorò, prima di lasciarlo andare.
 
Dean pensava che ci fosse qualcosa di tremendamente sbagliato nel modo in cui Castiel aggrottava la fronte ogni qualvolta cercava di spiegargli qualcosa che avesse a che fare con l'Impala. Più di una volta si era chiesto perché si ostinasse a restare seduto lì, accanto a lui, per ore intere senza staccargli gli occhi di dosso.
Per la cronaca, si era anche chiesto perché la cosa non lo infastidisse come avrebbe dovuto.
Eppure Castiel non voleva saperne di lasciarlo andare, invadendo più di una volta il suo spazio personale come se fosse la cosa più naturale del mondo. Dean era strato costretto ad afferrarlo per quel trench troppo largo e spingerlo indietro con gentilezza... più o meno dieci volte nell'arco di un paio di giorni.
«Sai Cas, ti ho sognato stanotte» gli rivelò, pulendosi il grasso dalle mani.
Gli occhi dell'altro ebbero un guizzo appena percettibile. «Di cosa si trattava?»
«Qualcosa di assurdo, credimi.» ridacchiò. «Mi trovavo in un salotto con un vecchio ubriacone circondato dai libri. Poi arrivavi tu e iniziavi a raccontare di Dio, angeli e altre stronzate simili...»
E poi finivamo in una camera da letto a scopare, fu il dettaglio che preferì omettere. Ma quando Castiel lo guardò assorto, con quegli enormi occhi blu, sentì un brivido piacevole rotolargli lungo la schiena.
«Nient'altro?» domandò, come se sapesse.
«No.» mentì «poi mi sono svegliato. Un po' strano comunque, non trovi?»
Castiel esitò, prima di forzare un sorriso poco convincente. «Sì. Assurdo.»
 
«Andiamo Cas, rilassati. Così le farai scappare.» lo rimproverò Dean, a denti stretti, per poi spedire un sorriso alle biondine prosperose appostate due tavoli più in là.
«Perché dovrebbero?» domandò l'altro, voltandosi a fissare le ragazze.
«Ma no, non girarti. Se continui a fissarle penseranno di avere la situazione in pugno! È un errore da principianti.» sussurrò, bevendo un lungo sorso di birra prima di alzarsi. «Ora guarda come si fa.»
Dean tornò cinque minuti più tardi con due bicchierini tra le mani e un sorrisone stampato in volto.
«Allora?»
Castiel aggrottò la fronte, confuso. «Allora cosa?»
«Hai visto?»
«Sì.»
«È così che si fa.» sentenziò, buttando giù il primo shortino.
Castiel esitò, ma dopo qualche istante si ritrovò costretto a replicare. «Ma... non le hai avvicinate. Ti sei solo fermato qualche minuto al bancone, in disparte.» osservò, e fu allora che Dean scoppiò a ridere.
«Mi sono fatto ammirare. Non le ho minimamente calcolate e adesso sono inconsciamente diventato la loro preda perfetta. Per di più guardale, fanno finta di essere grandi amiche ma è chiaro che non vedono l'ora di tirarsi via quelle lunghe extension per avere un assaggio di tutto questo, se sai cosa intendo.» spiegò orgoglioso, porgendogli uno dei bicchieri.
Castiel parve soppesare la questione per poi limitarsi a scollare le spalle, poco convinto.
Dean aggrottò la fronte, perplesso, perché andiamo! tu vorresti fare il saputello? Con me?
«Che c'è?» gli domandò, impettito.
Castiel sorseggiò la sua birra, ignorando volutamente il piccolo bicchiere accanto alla bottiglia, e posò lo sguardo su di lui, in quella maniera che riusciva sempre a farlo sentire nudo e inerme. «Credo che, in queste situazioni, non puoi comportarti da preda.» mormorò.
«Senza offesa, Castiel ma non mi sembri un grande esperto in questo campo.» osservò Dean, vagamente divertito dall'atteggiamento dell'altro.
Castiel assunse un'aria tronfia. «Non mi conosci. Potrei esserlo.» obiettò, alzandosi e sfilandosi il trench, poggiandolo con cura sullo sgabello.
«E ora dove stai andando?»
«A dimostrarti che è meglio essere cacciatori piuttosto che prede.» rispose semplicemente.
Dean ghignò. «Cacciatore?»
«Cacciatore.» ripeté l'altro, voltandogli le spalle e dirigendosi verso le due ragazze.
Dean ordinò qualche bicchiere di troppo, ridendo di tanto in tanto mentre guardava Castiel all'opera.
Magari voleva spacciarsi per cacciatore, ma non lo era. Castiel era una preda.
Dean era un cacciatore.
E sono quelli come lui che cacciano le prede, no?
 
Dean si aggrappò forte all'impermeabile di Castiel mentre questi lo trascinava - senza troppi sforzi nonostante fosse più minuto di lui- lungo la rampa di scale che li separava dal proprio appartamento.
Perse l'equilibrio, poggiando un piede apparentemente nel vuoto, e si ritrovò schiacciato contro il petto dell'altro, inalando un odore che sapeva di tutte le cose buone della sua vita.
«Grazie» biascicò, per poi scoppiare a ridere.
Castiel riprese il controllo e poggiò una mano sul suo fianco, per sostenerlo al meglio. «Non dovresti bere così tanto, Dean.» lo rimproverò.
«Certo che dovrei. Altrimenti chi vuoi che dia del lavoro agli angioletti come te?» domandò, poggiando le labbra sulla porzione di collo esposta dell'altro.
Castiel si irrigidì, fermandosi sul posto, e Dean ne approfitto per sganciare il bottoncino superiore della sua camicia per avere più zone da esplorare.
Non era da lui, questo era certo, ma Castiel era lì e lui era ubriaco fradicio, e onestamente gli andava. Da quando lo aveva sognato non aveva potuto fare a meno di desiderare quelle gambe sottili attorno alla sua vita e quelle labbra - oddio, quelle labbra!- accarezzarlo dappertutto.
E poi non è che Castiel stesse facendo una strenua resistenza, sia chiaro.
Dean mordicchiò giocosamente la linea della mandibola e lo sentì fremere e deglutire, il pomo d'Adamo che si abbassava e alzava ritmicamente, invitante, ma il ragazzo rimase fermo lì, a pochi centimetri di distanza dalle sue labbra.
Portò la propria mano destra sul collo dell'altro, risalendo lentamente, fino ad incontrare il suo viso e voltarlo verso di lui. Poggiò la fronte sulla sua e quando guardò dentro i suoi occhi, colmi di rammarico ed esitazioni, sorrise in maniera rassicurante. «Va tutto bene, Cas. Lasciati andare...»
Castiel sospirò, non si mosse ma nemmeno lo allontanò da sé, permettendo a Dean di farsi un po' più vicino, poggiando le proprie labbra sulle sue, lentamente.
Erano morbide esattamente come le ricordava o credeva di ricordarle.
L'altro circondò la sua mano, ancora aggrappata al suo viso, con la propria e nessuno dei due ebbe la minima voglia di interrompere quel contatto, fino a quando Dean non si separò da lui e iniziò a salire gli ultimi gradini che li separavano dalla porta dell'appartamento. Traballò appena, le gambe molli come gelatina, e fece scattare la serratura. Castiel lo seguì in silenzio e, non appena furono dentro, se lo tirò contro, approfondendo quel bacio che si erano scambiati.
Castiel aveva uno strano modo di baciare, appurò Dean: indeciso se spingersi oltre o meno, non dava né più né meno di quanto ci si aspettasse. Dean ridisegnò con la lingua ogni piegolina di quelle labbra screpolate e quando finalmente incontrò la sua fu come tornare a casa.
Strattonò senza troppi complimenti il trench, spingendolo giù dalle sue spalle. Castiel intanto aveva afferrato la sua giacca di pelle, stringendola tra le dita, senza però tirarla via.
«Non lo vuoi davvero, Dean.» mormorò all'improvviso, come se quella semplice constatazione gli fosse costata una gran fatica.
Dean allontanò le labbra dal suo collo e lo guardò confuso. «Lascia che lo decida io.» commentò sornione, sbottonando i primi bottoni della camicia.
Castiel gli bloccò entrambi i polsi e chinò la testa. «Non mi conosci.»
«Sì che ti conosco.» replicò Dean, liberandosi dalla sua presa e incorniciandogli il viso tra le mani. «Fidati ti me, Cas. Sarà bello... te lo prometto, sarà bello.»
«Hai detto che sono un angelo.»
Dean ridacchiò. «È solo un modo di dire.»
Castiel sospirò e portò due dita sulla fronte di Dean e quando quest'ultimo riaprì gli occhi aveva vissuto l'ennesimo incubo. Non ricordava nemmeno di essersi addormentato.
 
Guardò ancora quel punto, insistentemente, fino a quando non fu certo di non essere solo. Non era un'allucinazione, Castiel era lì, ai piedi del letto: non era tornato a casa.
«Mi sono davvero addormentato?» domandò Dean, scostando le lenzuola e poggiando i piedi sul pavimento freddo. «Imbarazzante.»
Castiel fece pochi passi e lo raggiunse, sedendosi al suo fianco. «Dobbiamo parlare, Dean.»
«Senti, ero ubriaco e mi sono lasciato trasportare. Non succederà più se è questo quello che ti preoccupa.» sbottò, asciugandosi il sudore dalla fronte.
«Che cosa stavi sognando?»
Quando Dean riaprì gli occhi poteva ancora sentire addosso il calore e l'odore della pelle che bruciava, persino il sapore del sangue sulla punta della lingua...
«Ciao, Dean. Che cosa stavi sognando?»
Le braccia di Castiel gli circondarono le spalle: era crollato senza rendersene conto. Il sangue gli pulsava nelle orecchie e fu costretto a chiudere gli occhi e lasciarsi cullare dal dondolio dell'altro.
«Non capisco, Cas. Perché mi succedono queste cose?» domandò spaventato, perché non aveva più senso fare finta di nulla.
Stava accadendo qualcosa, qualcosa che non riusciva a capire e tutte le volte Castiel era lì, al suo fianco. Non poteva essere solo una coincidenza, no?
«Se ti dicessi che tutto quello che vedi, tutto quello che senti è reale, cosa risponderesti?»
Dean digrignò i denti, sforzandosi di ridere. «Che sei completamente pazzo.»
Castiel tremò e lo allontanò, sfilandogli la maglietta con un gesto fluido. «Woo tigre, ti sembra il momento?»
Ma l'altro gli afferrò il braccio, costringendolo a fissarlo e risalire lungo la spalla. «Questa.» indicò Castiel, esasperato. «Questa te la ricordi?» domandò, accarezzandogli la pelle.
Il ragazzo aggrottò la fronte, forse non era l'unico che aveva bevuto troppo.
«Questa cosa?»
«Sono stato io. Sono stato io a fartela, ricordi?»
Okay, ora la faccenda iniziava a farsi inquietante. «Cas, non c'è niente qui. Che cosa avresti fatto esattamente?» chiese, passandosi una mano sulla spalla.
«Non so come fare.» sussurrò l'altro, con un filo di voce. «Non so come farti ricordare. Ci ho provato ma... non è abbastanza.»
«Cas, mi stai spaventando...»
«Non ricordi! Non ricordi nulla! Non ricordi la caccia, l'Apocalisse, i Leviatani. Non ricordi tuo fratello! Come puoi... come posso... » balbettò, portandosi una mano sulla fronte.
«Un fratello?» commentò Dean, scettico. «Cas, forse mi stai scambiando con qualcun altro. Se avessi un fratello lo saprei, fidati. E non mi sembra che Sam abbia fatto chilometri per cercarmi.»
Castiel spalancò le palpebre e lo afferrò per le braccia. «Cosa hai detto?»
«Io non ho detto niente, lasciami.»
«Sam! Hai detto Sam... Dean, ascoltami bene. Puoi ricordare, c'è qualcosa che te lo impedisce ma tu sai che puoi farlo.» continuò febbrile.
Dean ebbe paura, non tanto per le assurdità che l'altro andava raccontando, quanto dalla familiarità del suo tono, e dei nomi, e delle vicende che aveva relegato in un angolino del suo cervello.
«Vorresti farmi credere che esistono mostri, demoni e altre stronzate simili? Ho solo sognato quelle cose, maledizione. Non sono reali. Dovresti saperlo, no?»
«Non ti sei mai chiesto nelle ultime settimane perché non riuscissi a ricordare niente di quello che è accaduto prima di incontrarti alla tavola calda?»
«Sì» sbottò, allontanandosi. «Sì, me lo sono chiesto, ma non mi convincerai che la mia vita è un fottuto film dell'orrore. Tutto quello non esiste. Fantasmi, licantropi, leviatani, e...» deglutì, guardando ancora. «...angeli.» concluse. «Non esistono gli angeli.»
Dean riuscì a vedere il cuore di Castiel spezzarsi attraverso i suoi occhi. Non seppe spiegarsi come, ma era successo. L'altro si lasciò cadere in ginocchio, senza dire una parola, e Dean lo raggiunse perché vederlo in quel modo, indifeso e a terra, gli fece più male di tutto il resto.
«Sono stato uno sciocco, Dean.» confessò «pensavo che sarebbe stato più semplice far ricordare te anziché Sam. Pensavo... anzi, mi illudevo di far riemergere qualcosa che forse non c'è più. Forse una vita così, senza angeli, senza mostri sarà una vita migliore ma...» si inumidì le labbra prima di proseguire «avrei voluto che ricordassi Sam. Non dovresti vivere questa vita da solo senza ricordare tuo fratello. Farò il possibile, vedrai.» sorrise. «È diventano un vizio, sai? Quello di afferrarti e salvarti dal tuo inferno personale.»
«Va tutto bene, piccolo. Va tutto bene. Gli angeli vegliano su di te.»
«E perché un angelo mi avrebbe salvato dall'inferno?»
«Okay, allora ammettiamo che esistano gli angeli. Quindi cosa? Esiste anche un Dio?»
«Io sono quello che ti ha afferrato e salvato dalla perdizione.»
«Dean!» urlò Castiel, così vicino al suo viso che sobbalzò per lo spavento. Strizzò le palpebre e aprì le labbra, senza dire una parola, tastandosi il petto e risalendo via via fino alla spalla, trovandovi quell'impronta rassicurante.
«Non riuscivo a vederla» gracchiò. «Perché non riuscivo a vederla?»
«Era nella tua testa. Vedevi solo quello che la strega voleva che vedessi.» rispose l'angelo, con il familiare tono monocorde seppure non riuscisse a mascherare al meglio il suo sollievo in quel preciso momento.
Dean indugiò ancora qualche secondo sul pavimento, circondato dalle braccia di Castiel, prima di scattare in avanti, preoccupato. «Sam? Lui...»
«A questo punto avrà riacquistato anche lui la sua memoria. Il patto era che riuscissi a ridestare i ricordi di almeno uno di voi e poi l'incantesimo si sarebbe spezzato.» spiegò, e Dean si accoccolò di nuovo su di lui.
Poteva prendersi qualche minuto in più dopo tutta quella storia.
«Sammy non la prenderà bene. Ricomincerà con la storia che sono il tuo preferito.» sbuffò, trattenendo una risata.
Castiel sorrise e gli accarezzò i capelli. «E chi dice che sei il mio preferito?» lo prese in giro, e Dean gli afferrò una mano e posò un bacio asciutto sul palmo. «Cosa ti ha fatto ricordare?» domandò ancora l'angelo.
«La tua naturale predisposizione a salvarmi il culo, ecco cosa.» rispose burbero, afferrandolo per la cravatta. «Grazie.»
Castiel si chinò a baciarlo, ma il cacciatore lo evitò prontamente. «Se trovo anche solo un graffio sulla mia piccola ti faccio vedere cos'è un vero inferno personale, siamo intesi?»
Il modo brusco con cui Castiel lo baciò lo fece preoccupare, ma avrebbe potuto pensare al resto più tardi.

FINE

 

   
 
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