BTW, le note sono all'inizio per consigliarvi di ascoltare a ripetizione If My Heart Was a House degli Owl City mentre leggete, perché è stata la canzone che mi ha accompagnata durante tutta la stesura della storia.
L'altra cosa che volevo dirvi è che a un certo punto troverete un riferimento a Titanic. Sì, ce l'ho ancora con Rose per la storia della porta XD
E... il titolo è semplicemente ripreso da quello della famosa pièce teatrale di Shakespeare, non c'è alcun riferimento ai suoi contenuti.
Era
una serata pacifica a Sorry-in-the-Vale, come non se ne
vedevano da tempo. Con tutto quello che era successo nei mesi
precedenti – il
ritorno dei Lynburn, Jared che era un ragazzo in carne ed ossa, gli
strani
eventi che erano culminati con l’omicidio di Nicola, la
scoperta che la magia
esisteva e il suo prezzo era il sangue e il sacrificio che aveva
compiuto per
poter salvare i suoi amici – Kami pensava che non sarebbe mai
più riuscita a
trascorrere un pomeriggio in pace con se stessa.
Sedeva
sul divano, di fronte al caminetto acceso, con il
computer sulle gambe e un pacco di patatine formato famiglia aperto
appoggiato
alla coscia dal quale traeva consolazione ogni volta in cui non
riusciva a
trovare la parola giusta per sintetizzare l’elaborato
pensiero del pezzo che
stava scrivendo, quando sentì il familiare borbottio del
motore dell’auto della
Mamma.
Si
alzò dal divano, attenta almeno a non rovesciare il
contenuto del sacchetto sui cuscini, e si diresse verso
l’ingresso quando sentì
la porta che si apriva per ritardare il momento della discussione il
più
possibile.
Davanti
a lei stava Jared, la solita giacca di pelle marrone
sbiadita e logora che si sarebbe dovuto decidere a buttare via, la
solita
t-shirt di cotone a maniche lunghe, nonostante ormai fosse pieno
inverno,
i soliti jeans sbiaditi. Il
solito Jared, a
cui non riusciva a staccare gli occhi di dosso. I suoi occhi
incontrarono
quelli di Jared e si rese conto che anche lui la stava fissando.
Sostenne il
suo sguardo e il tempo parve fermarsi. Non pensava che lei, Kami Glass,
aspirante giornalista d’inchiesta, avrebbe mai usato quella
terminologia da
romanzetto rosa di serie C.
«
Kami, non potevi accompagnare Jared in cucina a posare gli
scatoloni? È
stato così gentile da accompagnarmi a casa, visto che era
già buio e
la strada passa vicino al bosco, e tu l’hai fatto stare qui
in piedi in mezzo
all’ingresso con le scatole in mano. Potevi almeno offrirti
di dividere il peso
con lui! Devo proprio insegnarti tutto! »
cinguettò, mentre si incamminava
verso la suddetta cucina. Kami e Jared la seguirono.
Il primo fulmine colpì nel
momento stesso in cui entrarono in cucina. È arrabbiato,
pensò Kami. Non sarebbe
mai più riuscita a guardare un temporale con gli stessi
occhi, senza pensare
che ogni volta che un fulmine colpiva, da qualche parte doveva esserci
uno
stregone arrabbiato, e che in quel momento lo stregone era proprio
vicino a lei.
Kami fece un passo indietro,
sgranò gli occhi per la sorpresa – non si
aspettava che la Mamma, conoscendo la situazione alla perfezione,
chiedesse a
Jared una cosa del genere – e scosse la testa in modo che
fosse sicura che la
Mamma recepisse il messaggio chiaro e forte. La Mamma la
ignorò, e sorrise a
Jared per incoraggiarlo ad accettare.
« E non credere che non abbia
visto il pacchetto di patatine sul
divano, Kami Glass, » la rimproverò la Mamma,
prima che riuscisse a pensare qualsiasi
cosa che non fosse: quanto
ancora dovrà
durare questa punizione che mi sta infliggendo Jared?
Dopo cena, lei e Jared aiutarono la Mamma a
sistemare la cucina, prima
di andare nel soggiorno. La Mamma era andata in camera, adducendo come
scusa la
stanchezza, non prima di aver sconsigliato – laddove la
parola “sconsigliato”
andava percepita e sostituita con l’improprio sinonimo
“ordinato” – a Jared di
lasciare la villetta se prima non avesse smesso di piovere.
La tempesta – quella roba durava
ormai da più di un’ora, con lampi e
tuoni che si ripetevano così velocemente da rendere la valle
quasi
continuamente illuminata a giorno, e non poteva essere definita
semplicemente
“temporale” – non dava segno di volersi
placare. Jared si era seduto al posto
preferito da Ten e guardava lo spettacolo fuori dalla finestra. Kami
pensò che
fosse un modo per non doverle rivolgere la parola.
Jared si voltò verso di lei e
sollevò un sopracciglio, come a
chiederle che cosa intendesse. Kami lo prese come un buon segno, ma non
fidandosi della propria voce e di quello che sarebbe potuto uscirle
dalla bocca
– una volta con la vocetta stridula bastava e avanzava per
vergognarsi per il
resto della sua vita – si limitò a puntare un dito
verso la finestra.
« Come fai ad esserne certo?
» gli chiese allora, incuriosita
dall’improvvisa eloquenza di Jared, che fino a quel momento
aveva evitato di
guardarla, figuriamoci di parlarle. Ad essere sinceri, le mancava
sentire la
sua voce, le mancava quell’accento americano strascicato, le
mancava saperlo
sempre con lei. Oh, al diavolo i giri di parole, le mancava lui.
Kami rimase interdetta per qualche istante,
spiazzata dalla risposta e
incapace di ribattere. Non era facile toglierle le parole di bocca, non
era per
niente facile ridurla al silenzio, era in grado di costruire un
dibattito
partendo dal nulla, e quando aveva qualcosa di cui discutere era
davvero
impossibile fermarla – c’erano volte in cui Angela
doveva metterle una mano
sulla bocca per costringerla a fermarsi – ma
quell’improvviso riferimento alla
sera in cui Kami aveva deciso di mettere fine al legame che li aveva
uniti per
diciassette anni quando tra di loro c’era un oceano
– l’Atlantico, per dovizia
di particolari, di cui doveva essere sempre ricca la cronaca
– le aveva fatto
l’effetto di una doccia gelata. O di una secchiata di neve. O
di un bagno nelle
Pozze delle Lacrime il primo gennaio. O… ok, il concetto era
chiaro.
Esausta, crollò a sedere sul
divano, mentre Jared tornava a rivolgere
la sua attenzione a quello che succedeva fuori dalla finestra.
Notò solo in
quel momento gli album fotografici sul tavolinetto da caffè.
Aveva passato il
pomeriggio in quella stessa posizione e non aveva degnato di uno
sguardo i
libroni di cuoio che qualcuno – con molta
probabilità Papà – aveva tolto dalla
libreria. Ne prese uno e se lo poggiò sulle ginocchia, lo
aprì ed iniziò a
sfogliarlo distrattamente.
« E così questa
è Sobo. »
« Le somigli molto, »
disse, e Kami si rese conto che Jared si era
avvicinato ancora. Il fiato che si liberava dalle sue labbra con quelle
parole
le aveva solleticato il collo. Le sue dita si aggrapparono
all’album
fotografico e se avesse guardato le sue mani, con molta
probabilità avrebbe
visto le sue nocche diventare bianche per lo sforzo. Ma
continuò a stare
immobile, perché neanche un solo capello scivolasse in una
posizione diversa da
quella che aveva in quel momento.
Si interruppe nel momento stesso in cui si
rese conto di aver voltato
il viso in modo da vedere quello di Jared, che le rivolgeva il suo
solito
sorriso sarcastico, quello che gli induriva il viso rendendolo tanto
bello da
star male. Tanto bello che gli sarebbe dovuto essere vietato andare in
giro per
la città con quel sorriso. Strinse più forte
l’album tra le dita fino a quando
non sentì i tendini tirare sulle ossa e probabilmente anche
qualche sinistro
scricchiolio che proveniva dalle sue povere articolazioni che
protestavano
vivamente per il trattamento. Non importava che probabilmente le sue
dita si
sarebbero spezzate e lei non avrebbe potuto scrivere fino a quando non
fossero
guarite. Non importava perché non poteva permettere loro di
fare quello che
desideravano fare, quello che lei moriva dalla voglia di fare. Moriva
dalla
voglia di sfiorare la cicatrice di Jared, sentire la pelle calda del
suo viso
sotto la punta delle dita. Moriva dalla voglia di sentire
l’effetto che faceva
il respiro di Jared sulla pelle del suo polso.
I suoi occhi si persero dentro quelli grigio
tempesta – tanto per
rimanere in tema – di Jared. Non era mai stata
così vicina a lui da riuscire a
leggere le emozioni dentro i suoi occhi. In quel momento vi scorse la
paura,
una paura che era uguale e contraria alla sua. E vi vide anche
tantissime altre
emozioni che non riusciva a decifrare e che non la aiutavano a prendere
una
decisione. Kami era una creatura razionale, non avrebbe mai preso una
decisione
senza sapere quali erano tutte le possibili conseguenze.
E
ora? pensò Kami.
« Non ricordavo che i tuoni ti
spaventassero così tanto, » le disse,
prima di allungare un braccio lungo lo schienale e appoggiare la
schiena al
cuscino.
Eppure, qualche minuto – e molti
tuoni – dopo, Kami si trovava con la
testa poggiata al petto di Jared e le sue mani stringevano
convulsamente il
cotone della maglietta di lui, come se avessero saputo che dovevano
assolutamente tenerlo fermo accanto a lei, perché ne andava
della sua stessa
vita. Ma la cosa strana non era tanto lei, abbarbicata a lui come a una
porta
di legno dopo il naufragio di un transatlantico – di nuovo,
perché le venivano
in mente film romantici di dubbio gusto in cui l’eroe moriva
per salvare la sua
amata? – la cosa davvero strana era lui, che con un braccio
le cingeva la
schiena e che con una mano – quella attaccata al suddetto
braccio, per essere
chiari – le sfiorava la pelle nuda del fianco su cui era
risalita la maglietta.
« Jared, mi - »
Kami sollevò il viso, esponendolo
all’aria fredda della stanza per
poter guardare Jared in faccia, e si rese conto che anche lui la stava
guardando e che in quel momento i loro volti erano davvero vicini.
Vicini come
non erano mai stati prima. E continuavano ad avvicinarsi.
Jared sussultò sorpreso, e si
sarebbe tirato indietro se Kami non
avesse preso la precauzione di aggrapparsi a lui come un koala.
Rimasero per un
attimo in stallo, come se Jared stesse valutando cosa fosse meglio
fare. E il
momento in cui anche lui cedette all’istinto fu chiaro dal
modo in cui le sue
braccia trovarono la vita di Kami e scesero fino al suo sedere. Kami
resistette
all’impulso di sorridere come una scema e riprese la sua
esplorazione delle
labbra di Jared, o forse faceva entrambe le cose contemporaneamente, e
quando
lui lasciò andare un respiro attraverso le labbra colse
l’occasione di
approfondire il bacio. E Jared poteva anche non aver mai baciato, ma se
non
l’avesse saputo non se ne sarebbe mai accorta,
perché la risposta entusiasta
che ebbe dalla lingua di lui, che accarezzava la sua e gentilmente la
spingeva
dentro la sua bocca, prima di iniziare a prenderne possesso, era degna
di un
vero esperto del bacio.
Jared le sorrise, dandole un leggero
buffetto sulla guancia con il
naso, e Kami si rese conto che era la prima volta che lo vedeva
sorridere per
davvero.
« Pensavo non fossi in grado di
controllare i fenomeni atmosferici,
non più almeno, » si lamentò, come si
sarebbe lamentata una bimbetta di cinque
anni in vena di capricci.