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Autore: kaos3003    23/12/2007    4 recensioni
[…]”Il signor Gazza cercava qualcuno che riordinasse questi vecchi archivi” continuò Piton, soave. “Sono i registri di altri malfattori di Hogwarts e delle loro punizioni. Dove l’inchiostro è sbiadito, o le schede sono state danneggiate dai topi, vorremmo che ricopiasse i misfatti e le punizioni e, assicurandosi che siano in ordine alfabetico, rimettesse le scatole nei contenitori. Non deve usare la magia.”[…]
Harry Potter e il principe Mezzosangue, “Sectumsempra” cap.24
Una piccola digressione del sesto libro di J.K. Rowling: e se Harry, tra tutte le vecchie punizioni, trovasse veramente dei nomi noti, sarebbero solo quelli del padre e di Sirius Black?
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Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Potter, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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AN UNPERFECT CIRCLE


Promt: 44-cerchio

Sommario:[…]"Il signor Gazza cercava qualcuno che riordinasse questi vecchi archivi" continuò Piton, soave. "Sono i registri di altri malfattori di Hogwarts e delle loro punizioni. Dove l’inchiostro è sbiadito, o le schede sono state danneggiate dai topi, vorremmo che ricopiasse i misfatti e le punizioni e, assicurandosi che siano in ordine alfabetico, rimettesse le scatole nei contenitori. Non deve usare la magia."[…]

Harry Potter e il principe Mezzosangue, “Sectumsempra” cap.24

Una piccola digressione del sesto libro di J.K. Rowling: e se Harry, tra tutte le vecchie punizioni, trovasse veramente dei nomi noti, sarebbero solo quelli del padre e di Sirius Black?

Rating: PG 13

Pairing: Harry/Severus

Personaggi: Harry Potter, Severus Snape

Genere: nessuno

Avvertimenti: pre-slash, relazione adulto/minore

Conteggio parole (M. word): 6265

Note dell’autore

Voglio solo premettere una piccolissima nota: so benissimo che la filosofia di Nietzsche non è così semplice e che il concetto di ciclicità della storia di questo filosofo ha tenuto impegnati molti studiosi per innumerevoli tomi, ma, sinceramente, questa mi sembra la spiegazione migliore per una persona che di filosofia non sa assolutamente nulla.

Poi, e questo lo devo veramente confessare, ho sempre immaginato Piton come un uomo dalla profonda cultura, quindi non mi sembra strano fargli parlare di un filosofo importante come questo.

Un ultimo avvertimento: questa storia non tiene conto degli ultimi eventi del sesto libro, né del settimo episodio della saga.

Declaimer: i personaggi e i luoghi qui descritti non mi appartengono, poiché sono di proprietà di J.K. Rowling. Sappiate, inoltre, che nessuno di questi ha un collegamento con la realtà e che ogni riferimento a fatti o persone reali è considerarsi puramente non intenzionale.

Questa storia non è stata scritta con scopo di lucro, ma solo per divertimento.


Harry sedette davanti alle scatole e, presane una, cominciò quello che si prospettava come un lavoro inutile e noioso, e non serviva certo l’intuito di Hermione per capirlo.

Per diverso tempo lesse vecchie schede , compilandole nelle parti mancanti e sistemandole in ordine alfabetico in un monotono susseguirsi di gesti meccanici, interrotto solo da sporadiche morse allo stomaco quando comparivano i nomi di suo padre e di Sirius, spesso in coppia nelle malefatte, più raramente accompagnati da quelli di Remus e Peter.

Piton, intanto, era rimasto immobile, dietro di lui, ad osservarlo; visto di spalle e con quella camicia troppo grande, Harry sembrava veramente James Potter: stessa statura, identica massa di capelli disordinati e neri, perfino la corporatura sembrava uguale.

Si diresse verso la scrivania e prese posto, senza riuscire a staccare gli occhi dalla schiena del ragazzo; se avesse dato ascolto al proprio senso del dovere avrebbe cominciato correggere i compiti del primo anno, preparare quelli del secondo e del quarto, avrebbe controllato lo stato degli ingredienti e del materiale per le diverse pozioni e assolto i vari doveri che la sua carica d’insegnante gli imponeva… ma tutti quei doveri potevano aspettare.

Vedere quel ragazzino insolente costretto a chinarsi su delle vecchie scatole coperte di polvere gli dava uno strano senso di gioia, per non parlare dei lievi sussulti che Potter si lasciava sfuggire, e che da soli bastavano a riempirlo di un totale appagamento, in parte dovuto anche al tendersi del cotone della camicia sulle spalle.

Si accomodò sulla sedia, appoggiandosi allo schienale di legno e spingendo a lato i numerosi fogli, imbrattati dalle scritture adolescenziali, per godersi meglio la sottile vittoria che quella punizione gli regalava.

Il ragazzo aveva conosciuto il padre solo attraverso i racconti entusiasti di Black e degli altri sciocchi che in James vedevano un eroe; per anni quel fanciullo era cresciuto nell’illusione che l’uomo, al quale doveva la vita, fosse una brava persona ed un modello da seguire. Fortunatamente era arrivato lui che, prendendo a cuore la causa dell’insegnamento e il bene dei propri studenti, l'aveva preso per mano e accompagnato nel lungo viaggio verso la verità.

Più volte nel corso degli anni aveva lanciato segnali e, in diversi momenti, aveva rivelato episodi che potevano sì risultare scomodi, ma che erano assolutamente autentici. Purtroppo queste voci erano rimaste ignorate, surclassate dalle falsità perbeniste degli amici.

Poi il fato aveva deciso di imporre una svolta decisiva, servendosi di un comune pensatoio e della naturale curiosità degli adolescenti; Potter aveva potuto vedere con i propri occhi le eroiche gesta del padre, impegnato a tormentare un ‘cattivo e spregevole’ Serpeverde senza alcuno scopo utile. E lui aveva rischiato di rovinare ogni cosa.

Certo, un momento di rabbia cieca sarebbe stato giustificabile per un qualsiasi Grifondoro, impegnati come sono ad esibire il proprio cuore sul bavero, ma non certo per Piton. Più volte si era rimproverato per non aver conservato la freddezza e la prontezza dei Serpeverde, ma fortunatamente questa sua sbandata era durata solo pochi mesi, esaurendosi prima che vi fossero danni seri, prima che Potter si rendesse conto del suo errore.

Aveva iniziato allora ad osservarlo: quell’anno sapere che Harry James Potter non osava guardarlo in faccia, che si vergognava del genitore, era diventata la sua principale fonte d’estasi. Vederlo spaesato e senza riferimenti faceva quasi sembrare che ogni giorno fosse Natale.

Ora era suo preciso obbligo portare a termine quel processo che avrebbe cambiato il ragazzo nel profondo; ancora poche spinte e Potter sarebbe precipitato nel baratro, e per lui non ci sarebbe stato, oltre al professore, altro appiglio ugualmente raggiungibile e sicuro.

Regalò al giovane un’ultima occhiata interessata, prima di prendere un foglio dalla pila alla sua sinistra e cominciare a scorrerne il mediocre contenuto.

Per diversi minuti gli unici rumori in quella stanza furono il frusciare delle pergamene spostate ed i graffiare delle piume che correvano veloci sui fogli.

Quando sentì lo sguardo dell’uomo abbandonarlo Harry liberò un sospiro di sollievo, concedendosi una fugace occhiata al grande orologio dello studio.

Le lancette segnavano le dieci e mezza, a quel ora i compagni dovevano aver raggiunto lo stadio e la partita doveva essere già iniziata, sicuramente erano stati già segnati i primi punti.

Si chiese come se la stessero cavado Ron e Ginny; era già la seconda volta che il suo migliore amico si trovava a dover giocare senza di lui, se non altro dall’ufficio della Umbridge era riuscito a gettare delle rapide occhiate al campo, non che fosse riuscito a distinguere i giocatori, ma almeno aveva avuto una possibilità.

Come se non bastasse Ginny avrebbe giocato come cercatrice contro Cho e, per quanto la rossa fosse abile e veloce, la Corvonero aveva dalla sua un’esperienza maggiore. Non sarebbe stata una partita facile per Grifondoro.

Infastidito da questi pensieri tirò un’altra scatola verso di sé, lanciando, mentalmente, degli epiteti decisamente volgari verso Piton… e sperando che questi non decidesse di passare il tempo dedicandosi ad una nuova lezione sull’Occlumazia.

Era appena ad un quarto della seconda scatola e il nome di suo padre e quello di Sirius erano comparsi diverse volte, e mai con una ragione valida.

Dopo la fattura illegale contro Bertram Aubrey suo padre si era distinto in più campi, come la trasfigurazione di Lavena Misher in un' inutile, se pur graziosa, teiera, e Gazza aveva ritenuto giusto precisare si trattasse di una teiera rosa.

Inutile ricordare che le scuse dell’esercitazione e della scarsa mira non erano bastate ad evitargli la pulizia della sala dei trofei.

Purtroppo Sirius non si era lasciato battere, e lo stesso giorno era stato punito per il lancio di Caccabombe sulla squadra di Quiddich Serpeverde, impegnata, stando alla nota, in un allenamento; anche per lui il supplizio era stato inevitabile: un’intera serata passata a curare i vermicoli. Si chiese se fosse un caso che i primi anni avessero avuto sempre bisogno di vermicoli.

Sicuro che esistesse una spiegazione, sfogliò febbrilmente le schede precedenti, convinto di aver già visto una punizione a nome Bertram. Scorse perfino quelle ancora nella scatola, ma sembrava che quel ragazzo non avesse attaccato per primo, e nemmeno che si fosse vendicato, ma la cosa poteva avere un senso. Sicuramente lui e Lavena dovevano aver fatto qualcosa molto tempo prima, e sicuramente erano stati abbastanza furbi da non farsi cogliere sul fatto. Remus e Sirius avevano sempre detto che suo padre era una brava persona.

Improvvisamente la scena del pensatoio e la voce di suo padre gli tornarono in mente; “E’ più il fatto che esiste, se capisci quello che voglio dire”. Facevano male. Ormai sapeva che James aggrediva Piton senza un motivo valido, unicamente per un suo gusto perverso, ma non pensava che la cosa potesse estendersi ad altri casi, e questo rendeva difficile il convincersi che Piton meritasse, in qualche modo, quel trattamento.

Doveva ammettere che, in fondo, comprendeva il risentimento dell’uomo: un gruppo di ragazzini arroganti aveva contribuito a rovinargli la vita e aveva rischiato di morire per uno dei loro scherzi.

Sapeva che Sirius avrebbe meritato l’espulsione, ma Silente non era stato dello stesso avviso: il padrino se l’era cavata con una misera punizione, mentre Severus era stato ammonito dal parlare della faccenda. Immaginava quanto dovevano aver riso i Malandrini dopo quel fatto.

Anni dopo il destino aveva deciso di giocare l’ennesimo tiro mancino a Mocciosus, che si era trovato a dover proteggere ed insegnare a lui, il figlio dell’uomo che più detestava.

C’era di che maledire il mondo, a ben vedere.

Sospirando prese l’ennesimo rapporto, documento che i topi dovevano aver usato in un banchetto, a giudicare dai morsi. Scoraggiato sfilò dal mucchio appoggiato alla sua destra una pergamena nuova, intinse la piuma nel calamaio e cominciò a trascrivere.

Severus Piton. Sorpreso a lanciare pericolosi anatemi contro Remus Lupin. Punizione consigliata…

Harry non sentì il bisogno di sapere com’era stato punito, troppo preso dall’accusa fattagli.

Il professore aveva lanciato una maledizione contro Lupin, e questa era stata giudicata pericolosa. Normalmente questo sarebbe bastato per essere espulsi dall’istituto, invece Piton non solo era rimasto, ma era riuscito perfino a diventare professore.

Un’altra cosa, comunque, non tornava; perché Lupin? Avrebbe potuto capire se avesse maledetto Sirius o suo padre... non lo avrebbe apprezzato e l'avrebbe criticato duramente, ma avrebbe potuto capirlo.

“Trovato qualcosa d’interessante, Potter?”.

Il tono ironico dell’uomo lo raggiunse veloce come una stilettata, riportandolo bruscamente alla realtà. Era rimasto immobile troppo a lungo e questo doveva aver attirato l’attenzione del professore.

“Nulla, signore”, rispose, calcando il tono sul titolo e infilando velocemente la scheda nella scatola senza curarsi di disporla in ordine, consapevole di spostare l’attenzione del mago proprio su quell' oggetto ma incapace di organizzare un piano migliore.

Tutto quello che il suo cervello riusciva a pensare era perché Hermione non fosse con lui quando aveva più bisogno del suo aiuto.

Piton fissò lo sguardo negli occhi verdi del ragazzo, ed Harry fu sicuro che il suo insegnate non avesse bisogno delle Legilimanzia per accorgersi che mentiva.

“Potter, oltre che un pessimo Occlumante è anche un pessimo bugiardo”.

Si alzò ed oltrepassò la scrivania per avvicinarsi al ragazzo seduto a terra, arrivandogli alle spalle.

“Affascinato dalle prodezze di papà? O da quelle di Black? Di quale divertente scherzo sarà spettatore indiretto, questa volta?”.

Gli passò accanto, strappò la pergamena dal mucchio prima che Harry potesse reagire e le diede una scorsa veloce; dopo pochi secondi Harry poté dirsi certo di aver intravisto alcune vene del volto da quanto era diventato pallido.

“Credo che per oggi sia sufficiente, Potter. Torni sabato prossimo alle dieci per… continuare la sua punizione”.

Harry fissò l’orologio, erano appena le undici, se avesse corso sarebbe potuto arrivare al campo per vedere la fine della partita. Velocemente raccolse le proprie cose e si avviò verso la porta, ancora incredulo per l’inaspettata fortuna.

Aveva già varcato la soglia, quando un rumore lo spinse a voltarsi; sul pavimento, ai piedi del professore, si stagliavano lucidi i frammenti di uno dei numerosi vasi di vetro che riempivano gli scaffali di quel sotterraneo.

Una macchia verde si allargava sul pavimento, saturando l’aria col proprio fetore, mentre al centro era ripiegato su sé stesso il macabro contenuto.

“Professore?”, sussurrò, avvicinandosi. “Professore, tutto bene?”.

“Potter… avevo detto che poteva andarsene…”.

Harry si avvicinò ulteriormente, sconcertato dal tono spento, abituato com’era alle frecciatine e ai commenti malevoli.

“Professore, cosa…”.

“POTTER, LE HO DETTO DI ANDARSENE!”.

Il ragazzo rimase immobile, mentre l’eco dell’urlo riempiva tutta la stanza, penetrando nelle ossa e nel cervello come lame affilate.

Qualcosa stonava in quella scena; la McGrannit era solita alzare la voce, la Sprite urlava, ma Piton ...lui insultava, mortificava, avviliva, ma non gridava, non mostrava mai la propria collera, non esibiva le proprie emozioni.

Era compito degli stupidi Grifondoro come lui esibire il proprio cuore sul bavero come fosse un trofeo, i Serpeverde lo nascondevano per decoro ed eleganza.

Peccato che tutti sembrassero voler ignorare questa regola; pochi giorni prima aveva sorpreso Malfoy nel bagno mentre piangeva e ora Piton perdeva il controllo davanti a lui, come se gli anni da spia e doppiogiochista non fossero che una semplice trovata favolistica.

Abbassò lo sguardo, quasi imbarazzato per aver assistito ad un momento tanto privato, e solo in quel momento si accorse della macchia rossa che andava allargandosi al centro della pozza maleodorante, esattamente accanto del serpente. Velocemente guardò le mani dell’uomo, notando i numerosi tagli che ne costellavano il dorso e le schegge di vetro che penetravano nella carne.

“Professore…”, disse, avvicinandosi e prendendo una mano dell’uomo, “dovrebbe farsi curare, vado a chiamare Madama Chips?”.

“Non sarà necessario”, sussurrò Severus, estraendo la bacchetta e recitando un semplice incantesimo di guarigione.

“Se lei non fosse così ignorante avrebbe saputo praticarlo”, continuò atono e mosse ancora la bacchetta per riparare il vaso e riportarlo sulla mensola, “ma immagino di chiedere troppo”.

Si spostò verso la scrivania per ricominciare a correggere i temi, deciso ad ignorare il giovane e, soprattutto, il silenzio creatosi fra loro. Aveva quasi terminato quello di un Tassorosso del secondo anno, quando Potter sbattè le mani sulla sua scrivania, rompendo il precario equilibrio della pila di fogli e facendoli precipitare a terra.

Seccato dell’interruzione risollevò lo sguardo. Le mani di Potter erano ferme, immobili, delle pallide suppellettili sul mogano del tavolo, ma il resto di lui tremava per quella che poteva essere rabbia, indignazione o paura.

Le ultime due opzioni avevano un fascino decisamente particolare, almeno dal suo punto di vista.

“Potter, mi sembrava di averle ordinato di uscire…”.

“Perché Lupin?”, chiese in tono flebile. “Avrei capito se avesse attaccato mio padre o Sirius, ma perché Lupin?”

“Vero, avrei dovuto maledire quei due, ma anche Lupin aveva, ed ha, le proprie colpe”, rispose con il tono di voce di chi non ammette repliche, chinandosi per raccogliere i fogli sparsi a terra. “Ora, signor Potter, farebbe bene ad andarsene”.

“Non capisco”.

“Non è necessario che lei capisca”, sospirò, mentre posava i compiti sulla propria scrivania, avvicinandosi al ragazzo. “Ho avuto i miei motivi, questo è tutto ciò che deve sapere”.

Harry pensò che quella fosse esattamente la prova che cercava; Piton era un infido bugiardo, un traditore di cui non ci si poteva fidare, se aveva colpito una persona corretta come Remus. Sarebbe dovuto correre da Silente e raccontargli tutto, avrebbe dovuto dare ascolto a Sirius e stare lontano da quel viscido essere… ma era difficile non cambiare idea, mentre la mano dell’uomo gli risaliva lentamente la guancia fino ad accarezzargli i capelli.

“Ha ragione, dovrebbe correre al tuo dormitorio, dovrebbe allontanarsi da me”.

Piton continuava a passargli le dita fra le ciocche scure, scostandone alcune dalla fronte e portandole dietro l’orecchio con calma, senza fretta di arrivare ad un qualsiasi punto successivo, e per Harry tutto diventava sempre più insolito, non spiacevole, solo strano e curioso… come trovarsi in un mondo parallelo e non voler tornare a casa.

Poteva sentire chiaramente la voce disgustata di Ron criticarlo e suggerirgli di andarsene velocemente da quella stanza. Anche Felpato, con voce cupa e lamentosa, tipica di chi ormai è passato all'oltretomba, gli intimava di allontanarsi, rammentava che Piton lo odiava… Piton odiava suo padre… Piton lo odiava dal primo giorno di scuola, non lo conosceva e già lo odiava…

Anche suo padre, con la voce che ricordava solo grazie ai Dissentori, lo implorava di andarsene, di non credere a quell’uomo. Sua madre non parlava, limitandosi unicamente a sospirare.

Harry li mise velocemente a tacere, sarebbe stato scortese allontanarsi ora; voleva sapere di più su quella vecchia nota, doveva saperne di più, ed andarsene avrebbe fatto male in un punto imprecisato tra lo stomaco e il cuore.

Chiuse gli occhi senza capirne il perché, cercando di godersi quella distratta ed inattesa attenzione, ignorando quasi totalmente l’intrusione nella sua mente; non credeva che la Legilimanzia potesse essere tanto delicata e discreta da non essere percepita, abituato com’era ad attacchi violenti e scomodi. Forse il trucco stava nel non cercare pensieri profondi, ricordi distanti e privati, ma solo sensazioni superficiali e momentanee, di quelle che rimangono pochi istanti sulla corteccia celebrale.

Avvertì Piton avvicinarsi, non tanto da sfiorarlo ma abbastanza da poter percepire la stoffa della veste muoversi.

“Non dovrebbe leggere nella mia mente, professore. Non è…”.

“Educato?”.

“Corretto. Ha usato l’incantesimo Sectusempra quella volta… vero?”.

Improvvisamente le dita dell’uomo abbandonarono la loro attività e il ragazzo sentì l’aria infiltrarsi tra loro.

Lentamente aprì gli occhi.

Il professore era davanti alla libreria, apparentemente impegnato a scorrere i titoli dei diversi volumi disposti ordinatamente sugli scaffali di legno scuro. Harry era sicuro che i testi di pozioni e di arti oscure si equivalessero sia in numero, sia in valore.

“Sì, ho usato quella maledizione ed ho contribuito ad arricchire la collezione di cicatrici del lupo”, disse, prendendo uno dei tanti volumi dall’aspetto antico, la copertina verde bosco, un colore parecchio usato nell’editoria dell’epoca. “La cosa la stupisce, Potter? O la sorprende di più il fatto che abbia evitato un’espulsione?”.

“Perché ?”.

L’uomo chiuse il libro violentemente e fissò nuovamente il proprio sguardo in quello del giovane.

Le iridi verdi non esprimevano odio, e neppure disgusto, solo un’innocente e comprensibile voglia di capire.

“Voglio darle una necessaria e basilare lezione di galateo, signor Potter. Sappia che è maleducazione rispondere ad una domanda con un’altra domanda”, disse, tornando alla scrivania. “Inoltre, la informo che considero un comportamento maleducato, oltre che sfacciato, insistere su un argomento su cui ho detto di non volermi esprimere, ma dubito che questo la fermerà dal chiedermelo ancora, quindi le farò io una domanda: cosa l'ha spinta ad attaccare il signor Malfoy?”.

“Aveva detto che rispondere ad una domanda con un’altra domanda è segno di maleducazione…”.

“Vero, e non ritiro, ma vede”, rispose, appoggiandosi allo schienale in legno e facendo cenno al ragazzo di accomodarsi sulla sedia di fronte a lui, “la mia era solamente una domanda retorica, indispensabile per quello che potremmo indicare come l’inizio di un dialogo chiarificatore. Allora, cosa l’ha spinta ad attaccare il signor Malfoy? Forse il fatto che fosse un Serpeverde, e lei un Grifondoro?”.

Severus parlò ostentando una calma e una comprensione del tutto credibili. Agli occhi di un estraneo sarebbero potuti sembrare un alunno discolo ed un insegnate preoccupato del futuro, intenti a discutere di una marachella.

Harry pensò distrattamente alle facce stupite che avrebbero avuto i Grifondoro di fronte a quella scena; per loro Piton era semplicemente la vecchia serpe che, perso il veleno della giovinezza, si limitava a morsi dolorosi ma innocui, utili solo a distrarti mentre cercava di stritolarti fra le spire.

“Ne dubito, non c’era nulla ad impedirvi un duello alla babbana o l’uso di maledizioni notevolmente infantili. Le aveva fatto un torto tanto grave? Non credo siate andati oltre le solite offese”.

Mentre continuava a dipingere scenari sempre più improbabili, che in alcuni casi sfioravano il ridicolo o l’assurdo, Piton rivolse numerosi sguardi al ragazzo sedutogli di fronte. Harry teneva il capo basso, non sapeva se per vergogna o, semplicemente, per non dargli la soddisfazione di vederlo in difficoltà.

“Voleva usare la maledizione Cruciatus… dovevo difendermi…”.

“Certo Potter, ma non sarebbe stato più semplice disarmarlo? Conosce l’incantesimo dal… secondo anno, se non sbaglio, e indubbiamente i suoi riflessi sono superiori a quelli del signor Malfoy. Davvero l’ha fatto per difendersi?”.

Severus attese per alcuni minuti la risposta del ragazzo, godendosi quegli attimi di silenzio.

Poche spinte e Potter sarebbe caduto, ad attenderlo sul fondo ci sarebbe stato solo lui. Stavolta non sarebbe esistita la possibilità di una scelta per il ragazzo che tutti consideravano l’eguale del Signore Oscuro.

“Ricorda? Expelliarmus”, sussurrò, sventolando la bacchetta in una grottesca imitazione dell’incantesimo. “Vuole sapere la verità? Lei voleva fare del male al giovane Malfoy”.

A quelle parole Harry alzò velocemente la testa, fissandolo inorridito.

“Non sapevo cosa avrebbe provocato quell’incantesimo. Ho fatto la prima cosa che mi è venuta in mente…”.

Severus rise, il ragazzo era riuscito solamente a balbettare una scusa patetica e a torcersi le mani in scatti nervosi, agitandosi sulla sedia come fosse seduto su delle spine. Mancava veramente poco al baratro.

“Vede, Potter, purtroppo per lei sono dotato di una buona memoria, e ricordo esattamente cosa scrissi sotto quella formula: contro i nemici. Era per caso un suo nemico quel ragazzino spaventato che piangeva in un bagno, consolato solo dalla deprimente presenza di un fantasma?”.

Ed eccoli al traguardo, dopo tanto penare erano finalmente giunti faccia a faccia con il vuoto.

Severus rise tra sé, non avrebbe potuto immaginare una lotta così semplice e una vittoria tanto scontata nemmeno nei suoi sogni più rosei; era un peccato vedere un ragazzo tanto promettente lasciarsi rammollire da quegli inutili discorsi sull’amore e sulla grandezza d’animo degli eroi, con cui Silente lo aveva amorevolmente imboccato.

La verità era tutt’altra: l’amore è solo egoismo, un volere ostentare un attimo di felicità di fronte a chi sembra non averlo mai avuto o chi l'ha appena perso, e gli eroi non sono dei modelli, sono solo ipocriti egoisti che muoiono e abbandonano famiglia e amici in nome di un’illusione o della gloria.

“Allora Potter, era un suo nemico? Temeva veramente per la tua vita? Secondo lei Malfoy sarebbe stato tanto sciocco e avventato da lanciarle una Cruciatus all’interno della scuola?”.

“Io…”.

Eccolo, spalle al muro e davanti solo il nulla.

Prima di entrare in quell’ufficio tutto era chiaro: Harry James Potter aveva agito per legittima difesa, esagerando, certo, ma sempre e solo per difendersi.

Lui non poteva desiderare il male o la morte di qualcuno. Sempre escludendo Voldemort… e Bellatrix, ovviamente.

“Legga questo, sono sicuro che potra trarne numerosi spunti”.

Harry sobbalzò sulla sedia.

Alzando il capo col cuore in gola, si trovò a fronteggiare lo sguardo tranquillo del professore, mentre questi gli porgeva un vecchio tomo. Impegnato com’era a giustificarsi non aveva visto l’uomo alzarsi ed avvicinarsi alla libreria.

Imbarazzato per la reazione eccessiva strappò il libro di mano a Piton.

Ad una prima occhiata sembrava un libro comune, la copertina di pelle aveva un aspetto logoro, le pagine erano ingiallite ed il bordo consumato, ma nonostante l’aria sfatta sembrava che la polvere non fosse riuscita a conquistarne la superficie, segno delle frequenti letture.

“La prego, lo apra al segno e legga”.

La voce del professore era stranamente carezzevole, quasi ipnotica. Era la stessa voce che Harry sentiva quando pensava al Coniglio Bianco di Lewis Carroll: un tono sommesso che ad un primo ascolto poteva sembrare esitante o rassegnato, ma che entrava nel cervello manipolando gli impulsi elettrici, deviandoli fino ad ottenere il risultato voluto; il tono che, secondo Harry, avrebbe dovuto avere ogni vero mago nel pronunciare incantesimi di confusione o, perché no, la maledizione Imperius.

Non trovando la forza per opporsi, cercò la pagina ed iniziò a declamare la parte segnata a lato con voce chiara, cercando di scandire le parole.

Non riusciva a capirne il motivo, ma aveva immaginato che il professore volesse sentirlo leggere.

"Alt, nano! dissi. O io! O tu! Ma di noi due il più forte sono io -: tu non conosci il mio pensiero abissale!
Questo - tu non potresti sopportarlo!". -
Qui avvenne qualcosa che mi rese più leggero: il nano infatti mi saltò giù dalle spalle, incuriosito! Si accoccolò davanti a me, su di un sasso. Ma, proprio dove ci eravamo fermati, era una porta carraia.
"Guarda questa porta carraia! Nano! continuai: essa ha due volti. Due sentieri convengono qui: nessuno li ha mai percorsi fino alla fine.
Questa lunga via fino alla porta e all'indietro: dura un'eternità. E quella lunga via fuori della porta e avanti - è un'altra eternità.
Si contraddicono a vicenda, questi sentieri; sbattono la testa l'un contro l'altro: e qui, a questa porta carraia, essi convengono. In alto sta scritto il nome della porta: "attimo".
Ma, chi ne percorresse uno dei due - sempre più avanti e sempre più lontano: credi tu, nano, che questi sentieri si contraddicano in eterno?". -
"Tutte le cose diritte mentono, borbottò sprezzante il nano. Ogni verità è ricurva, il tempo stesso è un circolo".
"Tu, spirito di gravità! dissi lo incollerito non prendere la cosa troppo alla leggera! O ti lascio accovacciato dove ti trovi, sciancato - e sono io che ti ho portato in alto!
Guarda, continuai, questo attimo! Da questa porta carraia che si chiama attimo, comincia all'indietro una via lunga, eterna: dietro di noi è un'eternità.
Ognuna delle cose che possono camminare, non dovrà forse avere già percorso una volta questa via? Non dovrà ognuna delle cose che possono accadere, già essere accaduta, fatta, trascorsa una volta?
E se tutto è già esistito: che pensi, o nano, di questo attimo? Non deve anche questa porta carraia - esserci già stata?
E tutte le cose non sono forse annodate saldamente l'una all'altra, in modo tale che questo attimo trae dietro di sé tutte le cose avvenire? Dunque - anche se stesso?
Infatti, ognuna delle cose che possono camminare: anche in questa lunga via al di fuori - deve camminare ancora una volta!
E questo ragno che indugia strisciando al chiaro di luna, e persino questo chiaro di luna e io e tu bisbiglianti a questa porta, di cose eterne bisbiglianti - non dobbiamo tutti esserci stati un'altra volta? - e ritornare a camminare in quell'altra via al di fuori, davanti a noi, in questa lunga orrida via - non dobbiamo ritornare in eterno?".-
Così parlavo, sempre più flebile: perché avevo paura dei miei stessi pensieri e dei miei pensieri reconditi. E improvvisamente, ecco, udii un cane ululare.
Non avevo già udito una volta un cane ululare così? Il mio pensiero corse all'indietro. Sì! Quand'ero bambino, in infanzia remota: - allora udii un cane ululare così. E lo vidi anche, il pelo irto, la testa all'insù, tremebondo, nel più fondo silenzio di mezzanotte, quando anche i cani credono agli spettri:
- tanto che ne ebbi pietà. Proprio allora la luna piena, in un silenzio di morte, saliva sulla casa, proprio allora si era fermata, una sfera incandescente, - tacita, sul tetto piatto, come su roba altrui:-
ciò aveva inorridito il cane: perché i cani credono ai ladri e agli spettri. E ora, sentendo di nuovo ululare a quel modo, fui ancora una volta preso da pietà.
Ma dov'era il nano? E la porta? E il ragno? E tutto quel bisbigliare? Stavo sognando? Mi ero svegliato? D'un tratto mi trovai in mezzo a orridi macigni, solo, desolato, al più desolato dei chiari di luna.
Ma qui giaceva un uomo! E - proprio qui! - il cane, che saltava, col pelo irto, guaiolante, - adesso mi vide accorrere - e allora ululò di nuovo, urlò: - avevo mai sentito prima un cane urlare aiuto a quel modo?
E, davvero, ciò che vidi, non l'avevo mai visto. Vidi un giovane pastore rotolarsi, soffocato, convulso, stravolto in viso, cui un greve serpente nero penzolava dalla bocca.
Avevo mai visto tanto schifo e livido raccapriccio dipinto su di un volto? Forse, mentre dormiva, il serpente gli era strisciato dentro le fauci e - lì si era abbarbicato mordendo.
La mia mano tirò con forza il serpente, tirava e tirava - invano! non riusciva a strappare il serpente dalle fauci. Allora un grido mi sfuggì dalla bocca: "Mordi! Mordi! Staccagli il capo! Mordi!", così gridò da dentro di me: il mio orrore, il mio odio, il mio schifo, la mia pietà, tutto quanto in me - buono o cattivo - gridava da dentro di me, fuso in un sol grido.-
Voi, uomini arditi che mi circondate! Voi, dediti alla ricerca e al tentativo, e chiunque tra di voi si sia mai imbarcato con vele ingegnose per mari inesplorati! Voi che amate gli enigmi!
Sciogliete dunque l'enigma che io allora contemplai, interpretatemi la visione del più solitario tra gli uomini!
Giacché era una visione e una previsione: - che cosa vidi allora per similitudine? E chi è colui che un giorno non potrà non venire?
Chi è il pastore, cui il serpente strisciò in tal modo entro le fauci? Chi è l'uomo, cui le più grevi e le più nere fra le cose strisceranno nelle fauci?
- Il pastore, poi, morse così come gli consigliava il mio grido: e morse bene! Lontano da sé sputò la testa del serpente -; e balzò in piedi.-
Non più pastore, non più uomo, - un trasformato, un circonfuso di luce, che rideva! Mai prima al mondo aveva riso un uomo, come lui rise!
Oh, fratelli, udii un riso che non era di uomo, - e ora mi consuma una sete, un desiderio nostalgico, che mai si placa.
La nostalgia di questo riso mi consuma: come sopporto di vivere ancora! Come sopporterei di morire ora! –

Harry provò a girare pagina, ma ciò che c'era scritto non doveva essere importante, dal momento che non vi erano segni distintivi; richiuse il libro con un tonfo ovattato.

“Non perderò tempo a chiederle se è riuscito a capire quello che ha appena letto”, cominciò Piton, che sembrava aver approfittato di quei minuti per sedersi nuovamente dietro la sua scrivania “e nemmeno mi aspetto possa comprendere una spiegazione dettagliata ed approfondita della cosa. Le basti sapere che in quel passo l’autore sostiene, come già fatto da molti suoi predecessori , la ciclicità della storia”.

Anche se non lo stava osservando, sapeva che il ragazzo era attento a cogliere ogni singola parola del suo discorso, aspettando il momento chiarificatore. E lo avrebbe avuto, solo bisognava vedere come ne sarebbe uscito.

“Vede, signor Potter, ogni singolo istante si è già verificato e, nello stesso modo, è destinato a ripetersi. Seguendo questa logica si può desumere che noi due abbiamo già avuto questo dialogo in un qualche punto della storia, ma si potrebbe anche pensare che lei abbia già avuto questo tipo di dialogo, o perché no, che io ne abbia avuto esperienza”.

“In effetti, avevo la strana sensazione di parlare con il professor Silente…”.

“Non c’è bisogno di essere offensivi, signor Potter”, sibilò, gli occhi fissi in quelli del giovane.

“Dicevamo? Ah, sì. Ogni singolo istante della nostra vita è già stato visto e tornerà. Questo ci riporta alla nostra vecchia discussione; perché ha attaccato il signor Malfoy?”.

Harry si chiese se non avessero già chiarito questo punto. Piton aveva escluso la legittima difesa, e lui non era più sicuro del reale motivo.

Ricordava la testa biondo platino china sul lavabo e le mani artigliate al bordo, il corpo, sempre più magro dal primo settembre, scosso dai singhiozzi. Quando aveva visto il suo riflesso nello specchio Malfoy si era voltato ed aveva estratto la bacchetta pronto a combattere. A quel punto tutto era stato semplicemente troppo veloce: la maledizione che lo mancava di poco e i frammenti della lampada che gli ricadevano sulle spalle, il suo Levicorpus respinto, Mirtilla Malcontenta che urlava per fermarli, un’esplosione e il secchio alle sue spalle che finiva in mille pezzi, lui che distruggeva lo sciacquone dietro Malfoy.

Cos’era successo dopo? C’era acqua ovunque, e lui doveva essere scivolato; Draco Malfoy lo sovrastava, la bacchetta alzata, pronta a colpire.poi quel grido: “Cruci-“.

“Stava per maledirmi avrebbe usato la Cruciatus. Aveva quasi terminato di recitare l’incantesimo…”.

“Deduco che quello che le ha detto Bellatrix Lestrange nell’atrio del Ministero non significhi nulla per lei”, lo interruppe Piton, sporgendosi sulla scrivania per avvicinare i loro volti. “Mi permetta di rammentarle: per lanciare una Maledizione Senza Perdono bisogna volerlo, si deve godere del dolore”.

Il tono del professore era tornato lieve e carezzevole, Harry non avrebbe saputo dire se fosse una cosa buona o meno. Non sapeva se lo stordimento che sentiva fosse dovuto solo alla voce di Piton o se l’odore d’alcol del suo respiro, ormai troppo vicino al viso, centrasse qualcosa.

Considerò distrattamente che non era l’odore di Sherry scadente che la Cooman aveva sempre addosso. Quello del professore di Pozioni era più raffinato, sembrava quasi caldo e morbido.

“Conosco Draco Malfoy da diverso tempo, signor Potter, e le posso assicurare che il ragazzo non ha ereditato nessun talento particolare per le arti oscure. So di cosa si vanta, ma so anche che non potrebbe mai fare del male, ha troppa paura delle conseguenze”.

Il discorso sembrava non fare una piega: Malfoy, in fondo, si era sempre rivelato un arrogante, codardo figlio di papà. Quindi perché l'aveva attaccato? Se veramente era quel tipo di persona allora aveva ragione Piton, la sua maledizione non gli avrebbe fatto nulla, e molto probabilmente i professori o il Ministero lo avrebbero punito.

Il profumo dell’alcol sembrava essere sempre più vicino ed Harry avrebbe voluto che Hermione fosse lì con lui. Lei avrebbe sicuramente saputo come rispondere a tono e tirarlo fuori dai guai, perché non era come lui e non sarebbe rimasta zitta e immobile, sperando di sentire quel sapore di liquore direttamente in bocca.

“Se vuole le spiego il perché”, gli sussurrò Piton all’orecchio, mentre le mani si stendevano sui braccioli a circondarlo. Messo in trappola, come un qualsiasi ragazzino.

Non aveva prestato attenzione ai movimenti dell’uomo e quando si era reso conto delle sue intenzioni era troppo tardi, se avesse tentato la fuga il professore avrebbe solo dovuto stendere di poco il braccio per riportarlo al suo posto; se le avesse spostate solo di pochi centimetri le avrebbe sentite addosso.

“Se vuole le spiego il perché. Lei detesta suo padre, odia Bellatrix per quello che ha fatto al suo padrino, così come odia il Lord Oscuro per la sua vita, e odia me, ma non odia Draco”, mormorò al suo orecchio, come se gli stesse confidando un segreto. “Lei non odia Draco Malfoy, ma non le riesce di vederlo così arrendevole. Si è veramente arrabbiato solo quando l'ha visto inerme, succube di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato e di suo padre”.

Severus poteva vedere i muscoli del collo del ragazzo tendersi, solleticati dal suo respiro, lo sguardo basso e la respirazione che accelerava.

Quell’incarico si stava rivelando più piacevole del previsto.

“Lei odiava sapere che quel ragazzo aveva la possibilità di ribellarsi e non la sfruttava. Le faceva rabbia, detestava vedere qualcuno che sprecava una così ghiotta occasione, non voleva dover combattere anche contro di lui”.

Colpito ed affondato; Piton si rese conto di aver vinto nello stesso istante in cui vide le spalle del ragazzo abbassarsi mestamente; la vittoria aveva decisamente un sapore dolce.

Mancava solo il colpo di grazia; con una mano andò ad accarezzare il suo braccio, risalendo fino alla spalla e lungo il collo.

“Non la biasimo per questo. Come le ho già spiegato, la storia è ciclica, signor Potter, e altri prima di lei hanno fatto lo stesso”, disse avvicinandosi di più al suo orecchio, mentre la mano arrivava alla guancia. “Fu per lo stesso motivo che ferii Lupin. Lui poteva ribellarsi ai suoi amici, aveva l’autorità per fermarli, ma non lo fece. Non le sembra una colpa ben più grave di quella di suo padre?”.

“Sì... e Silente l’aveva capito”.

La frase era uscita in un semplice sussurro, il ragazzo si era completamente arreso.

Quando arrivò a sfiorare lo zigomo lo sentì rabbrividire sotto il suo tocco e decise, quasi a ricompensarlo, di concedergli un’ulteriore carezza.

“Non so dirle se il preside avesse capito o se cercasse solo di tenermi buono, non dimentichi che avevo scoperto il piccolo segreto del lupo”, mormorò suadente, togliendo la mano dal volto del ragazzo. “Ma ora, Potter, dovrebbe terminare il suo lavoro. Sembra che lei abbia perso parecchio tempo”.

Il ragazzo annuì, ma Piton non poteva dirsi certo che avesse compreso appieno le sue parole, visto il passo malfermo che sfoggiava. Soddisfatto dell’esito riprese posto alla scrivania, sempre tenendo gli occhi incollati sulla schiena del ragazzo, china sulla scatola aperta.

Gli lanciò un’ultima occhiata, mentre si occupava di una vecchia pergamena, poi si dedicò ai compiti dei Tassorosso.

Continuarono a lavorare in silenzio, interrotti solo in un’occasione dal brontolio dello stomaco del ragazzo, ma solo all’una e dieci Piton alzò la testa dalle pergamene, gli studenti stavano rientrando al castello e i loro passi si sentivano charamente oltre la porta.

“Penso possa bastare”, disse freddamente. “Segni il punto dove è arrivato. Continuerà il prossimo sabato alle dieci”.

“Si, signore”.

Harry infilò a caso nella scatola la scheda che aveva appena piegato e si precipitò fuori dalla porta prima che Piton cambiasse idea. L’uomo, nel frattempo, lo seguiva con lo sguardo.

“Non capisco a cosa sia servito tutto questo”.

Severus distolse lo sguardo dalla porta. Dove fino a pochi minuti prima c’era solo un vecchio calderone dal fondo bucato, ora si stagliava la figura di un uomo.

“Non mi aspetto tu capisca Lucius. Conosco Potter da sei anni e conoscevo suo padre, non puoi andare da loro e pretendere di sconvolgere il loro mondo con poche frasi. No, sono i classici Grifondoro testardi e orgogliosi. Si deve iniziare a minare le cose in cui credono nelle più piccole basi e con pazienza, e saranno loro stessi, alla fine, a farle crollare”.

Ed era dannatamente appagante, pensò Severus, mentre riponeva il vecchio libro sullo scaffale e prendendo nota di riordinare i numerosi tomi del suo ufficio.

“Come hai visto, è bastato creare una vecchia scheda e sfruttare gli avvenimenti, per insidiare il dubbio nella mente del ragazzo. Quando tornerà qui per continuare a scontare la sua punizione porterò avanti il progetto”, spiegò esasperato.

Aveva percepito la delusione di Lucius per quell’incarico, del tutto marginale e superfluo, già nel salone del vecchio maniero presso il quale erano stati convocati dal Lord. In fondo un Malfoy vorrebbe essere superiore a chiunque, persino dopo un fallimento contro sei ragazzini non ancora diplomati.

La pozione Antilupo cominciò a ribollire e Severus si distrasse un attimo per controllarla, consapevole dell’attesa dell’altro uomo.

“Se tutto procede secondo i piani, dovrei riuscire ad entrare nelle sue grazie entro la fine dell’anno”.

“E anche nei suoi pantaloni, a quanto sembra. Ho visto come lo guardavi”.

Severus si voltò nuovamente verso la porta in noce; non aveva dubbi che Potter sarebbe stato estremamente guardabile contro quel tipo di legno.

“Dovesse capitare, non mi tirerei indietro. Puoi riferire che il piano procede e che non ho bisogno di un guardiano. Credo di riuscire a gestire un ragazzino senza una decina di Mangiamorte a guardarmi le spalle, io”.

Colpito e affondato. Lucius Malfoy si diresse al camino e scomparve in un turbine di fiamme verdi.



Note finali:

Spero si sia capito che la parte in corsivo non è una mia creazione.

Se ne avete la possibilità, leggete “Così parlò Zarathustra” di Nietzche, libro da cui ho tratto la citazione. L’autore è complesso, ma la sua filosofia è affascinante. Io qui mi sono limitata a riportare il passo più famoso per la ciclicità della storia, e la cosa avrebbe bisogno sicuramente di maggiori approfondimenti, ma io non sono un’insegnante di filosofia, e questo testo non prevede d’essere una saggio filosofico.

Giuro, la storia non si prospettava tanto lunga nel mio inconscio, ma devo aver perduto il dono della sintesi.

Come si dice a questo punto… Ah sì, that’s all folks!


   
 
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