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Autore: _Graysoul    07/06/2013    11 recensioni
Larry // Fluff; angst.
“Ti amo anche io” e se lo riportò addosso, stringendolo forte, con il desiderio di non lasciarlo mai più. Un desiderio irrealizzabile.
Genere: Angst, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti, buonasera.Questa volta farà le note all'inizio perché devo chiarire un paio di cose e dirne altrettante.
Allora. Questa OS long molto long l'ho scritta nei giorni più di sclero della mia vita, tra studio e vari macelli in cui sono incappata. L'estate si sta avvicinando, yay, e molti di voi avranno già finito la scuola. Purtroppo (o per vostra fortuna?) io martedì parto per Santo Domingo per stare con i mei ziii e nonni e tornerò a metà agosto (si, potete odiarmi lol) quindi non scriverò per un bel pezzo. Mi dispiace çwç 
Poi. Passando alla storia. Questa OS molto ansgt la dedico a Vita, che ha sclerato ben bene con me, mi ha minacciata spronata a scriverla; la deidoc anche a Roberta, che mi ha dato una mano a plottarla e anche lei ha sopportato i miei scleri; a Ronnie che in questi giorni è stata la mia roccia e io la sua (mi mancherai bby e non sai quando *piange*); ad Elena, la mia dolce Elena che si rifiuta di leggere questa OS (come tutte le sopracitate) perché mi odia (come farò senza di te due mesi?)
Infine la dedico a tutto il Wanki, il mio gruppo di fan writers che tanto amo. Siete tutte meravigliose, vi adoro. Bene. Detto questo credo di aver finito. Spero che la storia vi piaccia e se ci sono errori grammaticali o sintattici me ne scuso e provvederò al più presto alla correzione! Vi auguro una buona lettura e spero passiate delle buona vacanze esive, che ci meritiamo tutti! *sparge amore*
Grazie ancora; a presto! 





Harry Styles era una persona annoiata. O meglio, era una persona innamorata della vita e di tutte le sue stranezze, delle novità, era curioso di scoprire il mondo, ma le cose lo annoiavano in fretta. Tutto ciò che toccava era entusiasmante ma dopo poco tempo – a volte minuti, altre volte mesi- si rivelava noioso, pacchiano, monotono. Si era già stufato di tutto quel freddo. Per Dio!, era giugno, aveva bisogno di sole, di caldo; ormai il freddo lo aveva trapassato da parte a parte, la sensazione di umido si era fatta costante e il fastidio aumentava di giorno in giorno verso tutto ciò che lo circondasse.  Si svegliava la mattina per andare a scuola chiedendosi quando quel supplizio sarebbe finito.
Chiariamo una cosa: Harry Styles amava imparare, adorava leggere, guardare documentari su qualsiasi cosa, ma la scuola lo aveva stufato, i professori svogliati lo demotivavano, i compagni di classe menefreghisti lo infastidivano. Ogni tanto lo prendevano in giro per le sue stravagante (insomma, Harry Styles  è uno che alla domanda “mezzo di trasporto?” ti risponde con “slitta trainata da cani”, e loro vivevano nella periferia di Londra), ma bastava alzarsi un momento e sovrastarli con la sua vertiginosa altezza per i suoi diciotto anni e tacevano. In più, si sentiva un inetto. Senza un posto preciso nel mondo, senza uno scopo. Amava leggere, sì, e faceva spesso arrossire le ragazze per la sua inconsapevole bellezza esagerata tra uno scaffale e l’altro della biblioteca; ma ad Harry Styles non interessava e non sapeva più che fare. Prima praticava nuoto ma si è stufato dopo tre anni. Era il più bravo del corso, con quelle gambe lunghe, quelle spalle larghe, quel fisico perfetto. Successivamente si è dato al canto e lì era davvero forte; stava per formare una band con dei suoi amici e magari avrebbero suonato in qualche locale non troppo orrendo, ma anche lì, dopo qualche tempo si è stufato e ha piantato tutto. Così ora passava le sue ore buche su Tumblr, invidiando le menti geniali di certe persone; scattava qualche foto a destra e sinistra, ma dopo averle trasferite sul computer, apparivano sempre meno belle di quanto si aspettasse. Quel giorno la storia non era poi così diversa. O almeno così sembrava.
 
Uscì da scuola strisciando i piedi per terra, allontanandosi il più in fretta possibile da quel luogo consumato e quelle persone anonime, troppo indaffarate nel parlare degli altri per occuparti di se stessi. Prese la solita strada per tornare a casa, poco distante, ma poi cambiò bruscamente direzione. No. Non aveva voglia di tornare a casa, salutare mamma e Gemma, mangiare e rifugiarsi in camera fino al mattino seguente. Prese la strada opposta, che aveva fatto sì e no tre volte in tutta la sua vita –nemmeno sapeva dove portava, e camminò senza meta per due canzoni (sì, Harry Styles misurava il tempo e la distanza in base alle canzoni), ma poi si stufò, lasciandosi poi cadere su una panchina deserta in una larga strada deserta. Fissò lo sguardo sull’edificio lì davanti. Era un edificio strano. Il piano terra era normale, poi dal primo piano in su era interamente fatto di vetro. E’ il classico edificio che nei film d’azione viene fatto esplodere da mostri mutanti in continuazione. Appoggiò la testa al muro, svaccandosi sulla panchina, ascoltando una canzone degli U2, l’ultimo brano della riproduzione, I still haven’t found what i’m looking for. Canticchiò la prima strofa fino a quando il pensiero di sua madre che lo avrebbe ucciso per aver fatto raffreddare il piatto non lo infastidì. Scrollò le spalle e terminò di ascoltare la canzone. Sospirò e stava per riaprire gli occhi pronto per tornare a casa quando un suono lo distrasse. No. Non un suono qualsiasi. Era un pianoforte. Strizzò gli occhi cercando di capire quando avesse scaricato brani di musica classica sull’iPod. Controllò lo schermo rigato: niente. Che diavolo..? Si tolse le cuffiette dalle orecchie ma la musica continuava. Tese un orecchio cercando di capire da dove provenisse. Rimase diversi secondi in ascolto ma riuscì solo a riconoscere il brano; era Moonlight Sonata, di Beethoven. La conosceva solo perché quando andava a canto una ragazza nella sala accanto alla sua la suonava tutti i mercoledì.
Guardò a destra e a sinistra (come se qualcuno potesse suonare un pianoforte in mezzo a una strada deserta, logico) per poi puntare lo sguardo sull’edificio davanti a lui, non riuscendo a vedere niente. Se solo ci fosse stato un po’ di sole… sospirò sconsolato e prese a sistemare la sua roba, cioè lo zaino mezzo vuoto, quando dal cielo coperto uscì un flebile raggio di sole.
“Finalmente” borbottò piccato. La musica intanto continuava, lenta. Gli sarebbe piaciuto restare lì ad ascoltarla. Lo rilassava, lo faceva sentire in pace, tranquillo. Pareva riuscisse ad alleggerire quel carico di sofferenza che si portava dietro da anni, ormai. Alzò un’ultima volta la testa, frugando con lo sguardo sull’edificio e poi lo vide. Il raggio di sole, l’unico e il primo della settimana (o dell’anno?) picchiava verso la parete-finestra del primo piano qualche passo più in là, illuminandola e permettendogli di vederci attraverso.
C’era un ragazzo che suonava il pianoforte. Mistero risolto.
Harry tornò a sedersi sulla panchina con la testa inclinata, preso ad osservare. Seduto davanti ad un grade pianoforte nero a coda c’era un ragazzo che avrà avuto la sua età, forse un paio d’anni in più. Teneva gli occhi chiusi, concentrato in ciò che stava suonando, con un’aria un po’ annoiata spalmata addosso. Ogni tanto muoveva la testa a ritmo. Aveva dei tratti gentili, delicati, quasi armoniosi; le labbra leggermente arricciate, il naso fine e le orecchie piccole. I capelli lisci erano un po’ disordinati ma gli stavano bene anche così. La cosa che però rapì maggiormente Harry erano le sue mani: viste la dì sembravano davvero piccine, un po’ inadatte pe un pianista. Correvano veloci sui tasti, sfiorandoli, accarezzandoli delicatamente; pareva li conoscesse a memoria.
Harry rimase lì a fissarlo ascoltando quegli accordi che lo avevano incantato, osservando la bellezza di quel ragazzo che appena terminato un brano ne iniziava un altro senza esitazioni, lasciandolo sempre più affascinato.
Poi accadde.
Il pianista aprì gli occhi all’improvviso e li piantò in quelli di Harry, come se avesse aspettato quel momento da tutta una vita. Erano di un azzurro.. no. Celeste. Erano due occhi celesti. Sembravano il cielo a giugno ma mano intenso, più leggero come il venticello a inizio maggio. Delicati come le prime margherite ma travolgenti come le onde dei mari più agitati. Non si fermò nemmeno di suonare e non sbagliava una singola nota. Harry sbatté le palpebre un paio di volte, incapace di muoversi.
Rimase lì, chissà quanto, a fissare quel ragazzo bellissimo che ricambiava il suo sguardo, ascoltando tutte quelle note intrecciate tra loro, perfette. Si sentì come se gli avessero preso i polmoni e glieli avessero completamente svuotati. Raddrizzò la testa. Cosa diavolo stava facendo? Ma non terminò il pensiero perché il cellulare prese a vibrargli in tasca. Non rispose subito, troppo preso ad affogare in quei due occhi incredibili che ora pareva gli stessero anche sorridendo, ma poi dovette arrendersi, premere verde e sorbirsi le urla di sua madre che lo invitava poco gentilmente a tornare a casa. Sbuffò, rificcò il cellulare in tasca e fece per andarsene, ma si voltò ancora una volta. Il ragazzo non lo guardava più, aveva richiuso gli occhi, preso dall’ennesimo brano. Lo scrutò ancora un momento, sospirando, e si incamminò verso casa.
Non si accorse che il pianista aveva riaperto un occhio e l’aveva osservato andare via.
 
 
Trascorsero due giorni completamente inutili e Harry stava di nuovo per tornare a casa, sta volta deserta, ma si fermò all’improvviso. Fece dietro front e tornò a sedersi sulla panchina di due giorni fa, quella Nella strada deserta. Regnava il silenzio.
 Puntò lo sguardo sull’edificio davanti, speranzoso di rincrociare quei bellissimi occhi celesti dell’altra volta, che non era riuscito a dimenticare, ma non vide niente. Il sole, che si era finalmente deciso ad uscire, illuminava tutte quelle stanze sempre piene di gente elegante schizzare a destra e sinistra con mille fogli in mano, ma del ragazzo al pianoforte, nessuna traccia. Perfino il piano era scomparso. Nulla. Cercò disperatamente anche nelle altre stanze, ma si vedevano solo scrivanie, persone, armadi, cassetti, fogli, persone. Nessun ragazzo bellissimo. Nessun pianoforte, tantomeno occhi celesti.
Sospirò sconsolato e si diresse verso casa strisciando i piedi e ascoltando una triste canzone dei Beatles.
Tre ore dopo Niall gli inviò un messaggio.
 
15:38, Nialler,  “Tra mezz’ora davanti al solito centro commerciale. Necessito una scorta di patatine di Burger King xx.”
 
Harry sorrise leggendo il messaggio dell’amico, si ravvivò i capelli e uscì di casa senza nemmeno guardarsi allo specchio. Arrivò con qualche minuto di anticipo e attese Niall appoggiandosi al muro, affianco all’entrata. Si mise ad osservare la gente che correva o girovagava davanti a lui: uomini con giacca e cravatta un po’ troppo stretti, donne con tailleur e tacchi un po’ troppo alti, bambini chiassosi che saltavano felici insieme ai loro genitori un po’ esasperati, ragazze con mille sacchetti di mille negozi diversi in mano. Gli sarebbe piaciuto imbottigliare tutte quelle parole, suoni e frasi e lasciar sospeso solo il suono di quel pianoforte di due giorni fa. Una pacca sulla spalla lo destò bruscamente dai suoi pensieri senza senso facendolo sobbalzare con tanto di mano sul cuore.
“Niall, dio santo! Mi hai fatto quasi morire di un colpo!” si lamentò, cercando di calmare i battiti.
“Scusa amico; in che profonda riflessione ti sei immerso stavolta?” gli chiese il biondo -che poi tanto biondo non era.
“Nulla di che” rispose, mentre si incamminavano all’interno del centro commerciale, diretti da Burger King “un paio di giorni fa ho visto un ragazzo bellissimo suonare il piano…”
“Oh oh oh, Harry Styles e la sua nuova preda” lo prese in girò, guadagnandosi un pugno amichevole sul braccio.
“L’ho solo visto, idiota. Però era davvero…  bellissimo” sospirò, sedendosi ad uno dei tavolini fuori dal fast food che ormai faceva da loro seconda casa. “Suonava un brano di Beethoven in un modo che.. non ti so spiegare..”
“Harry… l’hai solo visto.”
“E quindi?” chiese ingenuo, rubando qualche patatina all’amico che era già andato a comprarsi. “Per innamorarsi basta solo anche uno sguardo.”
Niall non rispose, limitandosi a sorridere. Conosceva bene il suo amico, fin dall’asilo. Sapeva che era di indole molto romantica, anche se lo dava raramente a vedere. Dava l’anima quando si innamorava, o anche solo quando faceva nuove amicizie. Si rendeva costantemente disponibile, faceva qualsiasi cosa per rendersi utile, per aiutare; asciugava tutte le lacrime che gli scivolavano addosso, regalava abbracci a chiunque ne avesse bisogno, faceva nascere sorrisi con niente. Non sempre però gli veniva ricambiato e Harry si ritrovava sempre più con il cuore spezzato. Niall, tutte queste cose le sapeva bene e ancora non capiva come quello scemo di Harry Styles non avesse ancora trovato un ragazzo pronto ad amarlo.
Intanto quello aveva continuato a farneticare sul tizio che suonava il piano, di quanto i suoi occhi celesti fossero celesti e cose del genere. Poi, ad un certo punto, si bloccò.
Niall non se ne accorse subito perché non è che lo stesse ascoltando attentamente, troppo preso dal cibo, ma quando alzò lo sguardo e vide i suoi occhi strabuzzati “Harry?” chiese.
Il riccio non rispose. Niall lo punzecchiò con un dito “Harry? Ci sei?” era abituato a queste sue reazioni strane ma a volte lo spaventavano ancora.
Poi Harry scattò in piedi, prendendo Niall per un braccio e trascinandolo come un pazzo per il centro commerciale. Sfrecciarono in mezzo alle persone che li guardavano straniti, Niall che seminava patatine fritte per la strada, fino a quando Harry non si bloccò di colpo, facendoli quasi cadere.
“Harry” l’amico con il fiatone “si può sapere che ti è preso?” chiese, sistemandosi la t shirt bianca ora sformata. L’altro si appoggiò un dito sulle labbra, l’altro a indicare l’altoparlante sopra le loro teste e “zitto. Ascolta.” Tacquero e ascoltarono. “Cosa senti?”
Cosa sentiva? Tacchi, risate di bambini, il parlare della gente, persone al telefono, la musica di sottofondo.
La musica di sottofondo.
Un pianoforte.
Niall alzò un sopracciglio “sì, mettono sempre la musica di sottofondo. Te ne accorgi adesso?” Harry scosse la testa, scompigliando i ricci. “Sì, ma questo è un pianoforte. E la musica che suonano è sempre dal vivo. Ti ricordi i tizi con la cornamusa della scorsa settimana?” Niall annuì. Eccome se li ricordava. “Quindi magari si tratta del ragazzo dagli occhi celesti! Andiamo a cercare.”
Il biondo sospirò per l’ennesimo piano malvagio del minore ma lo seguì come sempre senza battere ciglio. Salirono al secondo piano, dove di solito la gente vi suonava ma non trovarono niente. Riscesero al primo piano e lo ispezionarono in lungo e in largo. Nulla. Possibile? Harry iniziava a stancarsi e Niall era ormai esausto. Decisero di salire al terzo, quello più illuminato che a Harry non piaceva dato che aveva il pavimento semitrasparente e si sedettero ai bordi di una fontana. Il biondo riprese a mangiare le patatine rimaste, ormai fredde e Harry giocherellò un po’ con l’acqua. Gli sarebbe piaciuto rivedere quel ragazzo bellissimo. Eppure il suono, le note, la musica gli sembravano le stesse. Passò qualche istante quando “Harry?” lo richiamò l’amico.
“Sì?” rispose annoiato.
“Quel ragazzo con gli occhi celesti..”
“Mh.”
“Aveva i capelli lisci?”
“Sì”
“Lisci e castani?”
“Già”
“Suonava con gli occhi chiusi?”
“Sì, era bellissimo..”
“Aveva tipo la nostra età?”
“Ma prima mi stavi ascoltando sì o no?”
“Taci e girati.”
Harry si voltò e quasi non cadde in acqua. Il ragazzo dagli occhi celesti stava suonando dall’altra parte della fontana –ecco perché non l’aveva visto subito!-, stupendo e concentrato come la volta prima. Teneva gli occhi chiusi e le dita scivolavano rapide sui tasti del pianoforte nero a coda. Rimase incantato, di nuovo. Ascoltò per la seconda volta il suono di quelle note melodiose, lasciandosi un po’ cullare fino a quando il celeste non lo accecò. Eccoli di nuovo, quegli occhi indescrivibili, puntati nei suoi, calmi ma agitati, stavolta anche un po’ sorpresi. Piacevolmente sorpresi. Le labbra che ora Harry poteva descrivere come fini, si distesero in un piccolo sorriso. Senza accorgersene il riccio si alzò in piedi e gli si avvicinò, fermandosi quando lo ebbe a uno, massimo due metri di distanza. L’altro non aveva smesso di suonare, ma nemmeno di guardarlo. Sembravano due calamite, avvicinate per caso.
Qualche minuto di osservazione (o venerazione?) più tardi, il castano si fermò, si alzò dal suo posto, venne sostituito da una ragazza dai lunghi capelli castani e si piantò davanti ad Harry, che nel mentre non si era mosso.
“Ciao” gli disse allora il ragazzo.
Il riccio non seppe cosa dire. Ciao? Gli aveva detto ciao? Così, senza motivo. Ciao. L’aveva visto due volte e già gli aveva detto un ciao quando lui era solo rimasto a fissarlo.
“Ciao” che eloquenza, Harry, si maledisse. L’altro inarcò un sopracciglio, facendo rinascere quel sorriso che gli mozzò il fiato. Come poteva una persona essere così bella? “Ti.. ti ho sentito suonare l’altro giorno” un’uscita geniale, non c’è che dire.
“Beh, spero di non aver fatto troppo schifo” scherzò il castano, facendosi scappare una risatina. Oh, mio dio. E quella cos’era? Pensò Harry. No, perché non poteva essere una risata. Era troppo.. cristallina, bellissima, perfetta.
“Oh! No, no! Certo che no!” esclamò “anzi, sei stato.. davvero bravissimo” arrossì un poco dicendoglielo, ma quando vide il sorriso splendido dell’altro, non si pentì affatto.
“Grazie, mi fa davvero piacere sentirtelo dire… ti piace la musica classica?” chiese interessato, incrociando le braccia al petto. Ora che Harry notava, il ragazzo era davvero basso per avere la sua età, se non di più. Indossava un paio di jeans chiari con il risvolto alla fine, delle VANS e una t-shirt bianca abbastanza stretta, che lasciava in bella mostra i suoi diversi tatuaggi. Splendido.
“Io.. beh, ho fatto canto per un paio d’anni e la ragazza nella sala accanto alla mia suonava sempre cose di questo genere… Mozart, Beethoven, Bach..”
“Ed era brava?”
“Non quanto te” si lasciò scappare. Sorrise timidamente e il ragazzo gli rispose anche lui con un altro bellissimo sorriso. Lo stava accecando, santo cielo. Poi gli porse una mano.
“Comunque mi chiamo Louis”
“Louis” assaporò un momento quel nome che scivolò dolcemente tra le sue labbra. Strinse quella mano, incredibilmente fredda, nella sua, estremamente calda. “Io sono Harry” si presentò.
Rimasero un attimo così, occhi negli occhi, la stretta di mani salda, fermi.
Poi Niall sghiacciò il momento e i due si allontanarono bruscamente, come scottati “Harry, ehmm.. si è fatto tardi” disse lanciando un’occhiata furtiva al ragazzo dagli occhi celesti. Il riccio annuì, ripuntando lo sguardo su Louis. “Beh, allora ci si vede!”
L’altro sorrise, annuì e sussurrò “a presto Harry” e lo guardò allontanarsi insieme il suo amico.
Quando il giorno seguente Harry tornò al centro commerciale, diretto al terzo piano, il pianoforte e Louis erano di nuovo scomparsi, sostituiti da una violinista dai capelli lilla. Che storia era mai quella?
 
Una settimana più tardi Harry si stava preparando per una cena di famiglia: lui, mamma e Gemma. Ogni tanto le organizzavano, queste cenette, per trascorrere un po’ di tempo tutti insieme –come se non lo facessero ogni santissimo giorno, ma a Harry non dispiaceva affatto. Questa però era speciale. Quel giorno si festeggiava il compleanno della sua amata sorellona. Adorava le sue donne e amava ascoltarle parlare su qualsiasi cosa. Così una volta vestito, aspettò che le due fossero pronte e poi guidò fino al ristorante dove avevano prenotato. Era un posticino carino, molto tranquillo e chic; cucina italiana, una delle sue preferite.
Presero posto al loro tavolo, ordinarono e presero a chiacchierare delle solite sciocchezze. Intanto Harry si guardava intorno, il posto gli piaceva. Poi posò lo sguardo davanti a sé e vide un pianoforte. Un pianoforte nero a coda. Gli balzò il cuore in gola. Louis era lì? Stava suonando? Cercò freneticamente – un po’ troppo freneticamente- con lo sguardo, ma non lo trovò. Stava iniziando a fissarsi un po’ troppo.
“Harry? Caro, tutto bene?” Anne gli poggiò una mano sul braccio, fasciato da un’elegante giacca nera. Annuì convincente e cercò di interessarsi al discorso di Gemma. In fondo, non era l’unico pianoforte nero a coda esistente al mondo, no?
Poco dopo si alzò e si diresse in bagno, giusto per lavarsi le mani anche se non era strettamente necessario. Aprì il getto dell’acqua fredda e si sfregò un po’ le mani, richiuse il getto, si asciugò le mani con la carta lì vicino e si guardò un secondo allo specchio quando per poco non prese un infarto.
Sobbalzò e “dio mio” esclamò. Louis stava appoggiato braccia conserte dietro di lui, appoggiato alla parete del bagno. Gli sorrideva, divertito. Da quanto era lì? Come aveva fatto a non vederlo? Si guardarono per qualche secondo attraverso lo specchio quando Harry si voltò verso di lui e “mi hai fatto spaventare!” gli disse, sorridendo.
“Scusa” ridacchiò “non era mia intenzione Harry.” Cielo, si ricordava ancora il suo nome. Cercò di nascondere l’adorazione nei suoi occhi e si schiarì la voce.
“Come mai qui?” che domanda idiota.
“Suono” e fece finta di suonare un piano con le dita.
“Oh! Ecco di chi era il piano!”
“Già, mio” si sorrisero un momento. Anche Louis era vestito elegantemente, e i suoi occhi lo distrassero un momento. Erano così… belli. Sembravano scolpiti nello zaffiro e inzuppati nell’acqua di mare.
“E’ il tuo lavoro?”
“Mh?” anche Louis s era un momento perso in quei due occhi che gli ricordavano il vecchio prato di casa sua appena tagliato.
“Dico, suonare il piano. E’ il tuo lavoro?”
“Oh, si! Musica di sottofondo, roba classica. Nulla di speciale, ma a me piace, agli altri piace quindi okay” rispose semplicemente, con un’alzata di spalle.
“E ti pagano?” Louis rise senza motivo alcuno alla domanda e Harry ne fu estremamente felice.
“Certo che mi pagano! Nulla si fa per nulla!” e gli sorrise in quel modo che Harry faticava a descrivere. Ripresero a guardarsi qualche secondo quando il riccio si ricordò che sua madre e sua sorella lo stavano aspettando al tavolo. Uscì dal bagno seguito da Louis, lo salutò con un “ciao” con un che di adorante. Prese posto al suo tavolo e Louis prese posto davanti al pianoforte e iniziò a suonare. Harry si lasciò sfuggire un sospiro e riprese la conversazione con la sua famiglia.
Durante tutta la cena, Harry lanciò occhiatine a Louis da sopra il piatto o da un bicchiere di vino e lo stesso fece Louis, tra un brano e l’altro. Quando gli sguardi si incontravano e intrecciavano per sbaglio, un sorrisetto involontario si dipingeva sul volto di entrambi.
A fine cena, quando gli Styles stavano per uscire dal ristorante Harry si fermò di colpo e fece retromarcia. Camminò spedito verso il pianista che lo vide e prese a guardarlo fino a quando non furono uno davanti all’altro.
“Si?” gli chiese Louis, che come sempre non si era interrotto nel suonare.
“Sì, ehmm.. io.. io volevo…”
“Tu volevi..?” lo incoraggiò sorridente.
“Io volevo darti…”
“Il tuo numero di telefono?” suggerì il castano e Harry rimase un momento interdetto. Ciò che stava per dire era la buonanotte, ma l’uscita di Louis gli piaceva mille volte di più.
“Sì! Sì ecco, il tuo numero di telefono.” Completò, soddisfatto. A Louis si illuminarono gli occhi. Si fermò di suonare un attimo, attirando qualche sguardo curioso su di loro. Prese un fazzoletto dal tavolo lì vicino, una biro che aveva in tasca e ci scrisse sopra il suo numero. Lo porse a Harry, che se lo infilò in tasca contento, e riprese a suonare, senza distogliere lo sguardo da lui.
“Beh, allora ci.. ci sentiamo Louis!” si passò la punta della lingua sulle labbra asciutte.
“Ci conto!” ridacchiò l’altro. Si sorrisero un secondo poi Gemma richiamò il fratello. Si guardarono ancora un momento, poi si salutarono e non prima di essersi scambiati un ultimo sguardo, Harry uscì dal ristorante, sorridendo soddisfatto.
“E’ stata proprio una bella serata!”
“Già.. bella quasi quanto quel ragazzo al piano che non ti staccava gli occhi di dosso” lo prese in giro la sorella maggiore, mettendogli un braccio attorno alle spalle. Anne rise, d’accordo con la figlia, seguito poi da Harry.
 
 
0:47  Louis, sono Harry! Ho salvato il tuo numero (:  xx
 
0:51, Louis, Hey Harry! (: Anch’io ho salvato il tuo, adesso! Mi ha fatto piacere rivederti stasera xx
 
0:53  Anche a me :3 se ti va possiamo anche vederci altre volte..
 
0:53, Louis, Stavo per chiedertelo io haha! Senti, dopodomani finisco in un posto per le cinque, ti va di prendere un frappè con me?
 
0:56 Certo! Dove? (:
 
1:00, Louis, La gelateria davanti al centro commerciale dell’altro giorno?
 
1:01 va benissimo!
 
1:01, Louis, Bene, allora a sabato! (: vado a dormire che sono stanco, bye! Xx
 
Harry sospirò felice, gettandosi a peso morto sul letto e si addormentò con un sorriso sereno.
Sabato mattina si svegliò per le dieci, dato che la scuola era finalmente finita ed era passato senza debiti. Fece colazione stampando un bacio sulla guancia alle sue donne, mise in ordine camera sua e passò il resto della giornata a pensare cosa indossare per l’uscita –appuntamento gli sembrava un po’ troppo… troppo- con Louis. Alla fine optò per un paio di jeans neri stretti, davvero stretti, le solite converse bianche e una t-shirt dei Rolling Stones. Parlò al telefono con Niall per un po’, raccontandogli ogni singolo dettaglio e ogni sua ansia riguardo al ragazzo dagli occhi celesti (ormai l’avevano soprannominato così), lesse qualche capitolo di un libro trovato in giro per casa e poi uscì finalmente di casa, lindo e pinto.
Arrivò puntuale e Louis era già lì aspettarlo. Lo raggiunse con due falcate e si fermò solo quando ce lo ebbe davanti. “Aspetti da tanto?”
Louis indossava un bellissimo sorriso, una t-shirt nera, dei jeans chiari e un paio di Ray Ban. A Harry dispiacque non vedere i suoi occhi. L’altro scosse la testa “un paio di minuti, non ti preoccupare.” Si squadrarono un istante quando “allora, frappè?” aggiunse.
Il riccio annuì felice e si incamminarono verso la gelateria lì davanti. Louis ne prese uno alla fragola e Harry uno  al cioccolato. Si sedettero ai tavolini li fuori e cominciarono a conoscersi.
Meno di un’ora dopo, sapevano già una marea di cose l’uno dell’altro. Louis prima viveva a Doncaster ma poi si è trasferito a Londra, spiegandogli che aveva voglia di cambiare aria, nulla di più. Suonava il piano da quando aveva memoria, ora aveva vent’un anni, aveva studiato due anni all’Università d’arte ma poi aveva mollato e ora si dedicava solo e soltanto al pianoforte. Lo suonava in posti diversi ogni giorno: centri commerciali, ristoranti, matrimoni, eventi, uffici. Ovunque fosse richiesto e a lui faceva piacere; lo pagavano abbastanza per pagare l’affitto del suo appartamentino in High Street Kensington e i viveri. Amava l’arte in tutte le sue forme, gli sarebbe piaciuto viaggiare molto di più (“Beh, ne hai di tempo, no?” gli sorrise Harry. L’altro emise uno sbuffo divertito, appoggiandosi allo schienale della sedia e incrociando le braccia al petto “Sì… direi proprio di sì” aveva risposto). Gli piaceva la sua parlantina, il suo spiegare, gesticolare, ridere senza motivo. Quelle labbra fini che si muovevano rapide lo stavano ipnotizzando.
Louis d’altro canto aveva capito molte cose di Harry, ma una soprattutto: era un ragazzo strano. Harry Styles, diciannove anni, bello come il sole, accecante come la luce di prima mattina, piacevole come un bagno caldo in pieno inverno, travolgente come uno tsunami, era un ragazzo strano in senso buono.
Amava leggere qualsiasi tipo di libro e ascoltare qualsiasi tipo di musica; adorava i bambini, gli animali, tutte le stagioni; anche lui adorava viaggiare e non vedeva l’ora di vedere il mondo in lungo e in largo. Era di una bellezza mozzafiato, con quegli occhi verdi, vispi e curiosi, delicati come una bolla di sapone (“ragazze?” gli chiese sfacciato il maggiore. Harry fece una smorfia disgustata e a Louis si estese il sorriso).
Molte chiacchere e due ore dopo, Harry si stava lasciando andare in una storiella di famiglia che stava facendo sbellicare dalle risate Louis; questo si tolse gli occhiali da sole neri per asciugarsi una lacrima a forza di ridere ed Harry poté finalmente ammirare quegli occhi celesti bellissimi. Quando li incontrò, il mondo si fermò un secondo. Erano luminosi e allegri come sempre ma c’era… qualcosa. Sembravano così.. liquidi, come se tutto quel celeste potesse scivolare via dagli occhi e lasciare un’iride bianca al suo posto. Profondi, un po’ pesanti, stanchi. Inclinò la testa, scrutandoli sempre più nel profondo quando Louis abbassò lo sguardo, rimise gli occhiali e sfoggiò un sorriso. Si schiarì la voce e “beh? Dov’eravamo rimasti con la storia?” Harry si riscosse e riprese a raccontare, beandosi del suono di quella risata di cui già non poteva fare a meno.
 
Trascorsero due settimane piene di Louis. Ormai si incontravano ogni giorno. Harry lo andava a prendere in posti diversi, quando finiva di suonare e da lì andavano a prendere un gelato, un frappè, un po’ di sole al parco. Era come se si conoscessero da sempre. Nel giro di così poco tempo si era creata un’intimità e una complicità invidiabile. Non era però un rapporto di amicizia quello che certi sguardi e certi sorrisi portavano a intendere; nessuno però aveva ancora fatto un passo avanti, ma nemmeno un passo indietro.
Harry adorava la risata di Lou e proprio per questo cercava di farlo ridere il più spesso possibile, con qualsiasi tipo di storia o aneddoto, anche se la maggior parte delle volte gli bastava uscirsene con una frase alla Harry Styles e il maggiore si piegava in due dal ridere. Aveva imparato a memoria i suoi movimenti, il suo gesticolare e parlare a vanvera, ma la cosa che più aveva imparato a riconoscere erano i suoi occhi. Quegli occhi, che lo avevano colpito fin dal primo istante, per Harry erano un mistero. Erano sempre celesti e bellissimi, allegri e agitati, ma c’erano giorni in cui parevano vuoti. C’erano giorni in cui Louis era di una calma serafica, che non gli apparteneva, e gli occhi diventavano quasi grigi, si spegnevano; sembravano la superficie di un lago inglese. Vi aleggiava sopra uno strato di nebbia che sembrava invecchiarlo di anni. In quei giorni Louis portava sempre gli occhiali da sole e pareva giù di corda, a volte rasentava la depressione, ma cercava di darlo a vedere il meno possibile, specialmente ad Harry.
“Ti va di venire da me?”
Louis glielo chiese un pomeriggio. Erano sdraiati all’ombra di un albero al parco, le gambe a sfiorarsi, forse per caso, forse no, le mani impegnate a strappare fili d’erba per non andare a finire altrove.
Ad Harry saltò il cuore in gola; okay che si conoscevano ormai da quasi tre settimane e passavano praticamente ogni singolo giorno insieme ma.. casa di Louis? Era come entrare a far parte della sua vita un po’ più a fondo. Deglutì a vuoto e girò la testa verso di lui, occhi verdi specchiati in lenti nere di occhiali. Erano abbastanza vicini da poter sentire i loro respiri sulle loro pelli. Harry alzò un braccio e andò a posarlo sugli occhiali di Louis, sollevandoglielo fino a toglierli. Il maggiore chiuse gli occhi, riaprendoli poco dopo.
Erano quasi grigi. C’era qualcosa che non andava.
Louis gli sorrise dolcemente e “beh? Ti va, sì o no?”; il riccio annuì, continuando a guardarlo negli occhi. C’era qualcosa che lo tormentava e avrebbe voluto scoprire cosa.
Poi Louis si alzò lentamente, gli porse una mano aiutandolo ad alzarsi e si diressero verso casa sua.
 
Casa del castano era un semplice appartamentino al terzo piano senza ascensore, un po’ piccolo per due ma adatto a una persona sola. Il tutto era illuminato da una grande finestra sul soggiorno, l’arredamento un po’ spartano. Sarebbe apparso quasi disabitato se non fosse stato per un pacco di patatine aperto sul tavolo in cucina e un pianoforte nero a coda che occupava mezzo salotto. Harry girovagò un po’ per casa, osservandola; si fermò davanti al piano, accarezzandolo. Ispezionò il bagno, la sua camera da letto e la cucina, senza preoccuparsi di sembrare invadente e Louis lo seguì in silenzio. Quando poi ebbe finito il giro per la casa si sedette sul divano e “guardiamo un film?” chiese al maggiore, facendogli segno di sedersi accanto a lui. Louis scosse la testa, reprimendo una risata e gli si sedette affianco, accese la Tv e si misero a guardare il primo film trovato. Venti minuti dopo Harry si era addormentato con la testa sulla spalla del castano.
Gli guardò il viso, incorniciato da un delicato sorriso e i ricci un po’ scompigliati, come sempre. Alzò una mano, preso dall’istinto di accarezzargli una guancia ma poi si fermò. No. Non poteva. Sospirò, spense la Tv e rimase lì a guardare Harry dormire. Poco dopo lo sollevò leggermente, facendolo distendere sul divano e poggiandogli la testa sulle sue gambe. Non resistette alla tentazione in infilargli una mano tra i ricci, morbidi proprio come si aspettava. Sospirò ancora una volta, scuotendo la testa e appoggiandola sullo schienale del divano. Cosa diavolo stava facendo, santo cielo.
Mezz’ora dopo Harry si svegliò. Aprì gli occhi in quelli di Louis e “mi sono addormentato” constatò.
“A quanto pare” ridacchiò l’altro di rimando.
“Mi dispiace..”
“Tranquillo, ho dormito un po’ anch’io” mentì. Non aveva fatto altro che osservarlo mentre dormiva “però poi mi hai svegliato.. parlavi nel sonno..” buttò lì, casuale.
“E cos’ho detto?” chiese Harry, già più sveglio.
“Oh, nulla di che… dicevi il mio nome…” a quelle parole il riccio si tirò su di scatto, arrossendo violentemente.
“Cosa? Non è vero!” Louis scoppiò in una fragorosa risata e un paio di minuti dopo, quando si calmò “stupido!” gli disse “ti stavo pendendo in giro” cercando di riprendere ossigeno. Harry gli tirò un pugno sul braccio “brutto scemo!” lo insultò, ridendo. Poi si alzarono entrambi.
“Facciamo cena?” propose il castano, già in cucina. Il riccio si sedette a tavola e osservò Louis aprire tutte le ante degli armadietti. Tutti vuoti.
“Oh. Ehmm.. non ho fatto la spesa. Che ne dici di una pizza?” propose.
“Per me una margherita ma con tanto formaggio!” disse raggiante Harry mentre Louis gli sorrideva e recuperava il cellulare dalle pieghe del divano. Meno di venti minuti dopo avevano entrambi divorato le loro pizze e si stavano rimpinzando del gelato alla fragola che Louis aveva trovato nel freezer. Una volta terminato anche quello, tornarono a sedersi sul divano. I raggi del sole erano ormai scomparsi e avevano lasciato posto a una luce bluastra che riempiva la stanza. Attimi di silenzio, dove l’unico rumore udibile erano i respiri un po’ pesanti di Louis fino a quando Harry non si alzò, andandosi a sedere sulla panca davanti al piano. Alzò il coperchio e passò le dita su quei tasti bianchi e freddi. Ne schiacciò uno che emise un suono piuttosto basso e alzò lo sguardo, incrociando quello di Louis.
“Ho sempre voluto imparare a suonare il piano..” sorrise, un po’ malinconico ma dolce “mi insegneresti qualcosina?” domandò, ripuntando lo sguardo sul piano. Il maggiore, che lo aveva osservato attentamente, si alzò silenziosamente dal divano, affiancandolo sulla panca. Poggiò entrambe le mani su quelle di Harry, passandogli un braccio attorno alla vita.
Harry notò che erano vicini, molto vicini e le mani di Louis erano fredde quasi quanto i tasti del piano. Poi, sentì le sue dita spingergli le mani in direzioni opposte e fare una lieve pressione sui tasti giusti. Gli stava facendo suonare il piano. Una volta schiacciato un tasto bianco, Louis lo indirizzò verso un altro tasto bianco, poi uno nero e un altro bianco, fino a formare un motivetto che tutti i bambini conoscono.
Una volta finito, Harry si voltò con uno sguardo raggiante verso Louis; le loro labbra erano a pochissimi centimetri e riusciva a sentire il cuore del maggiore battere forte contro la sua spalla.
“Lou” sussurrò, avvicinandosi di qualche centimetro. Erano a un soffio.
“Harry..” disse Louis, le mani ancora poggiate sulle sue. Le labbra si sfioravano. “ti prego..” soffiò.
Il riccio colse quella supplica come un invito e poggiò le labbra sulle sue. Anche quelle erano fredde, ma si scaldarono subito. Il bacio, dapprima timido e delicato, si trasformò in qualcosa d’altro, troppo confuso per essere definito. Louis intrecciò le dita delle mani a quelle di Harry; anche il suo cuore batteva forte, e poteva sentirlo. Le loro lingue si incontrarono presto, calde, intrecciandosi e rincorrendosi freneticamente. Quando la mancanza d’aria si fece notare, si staccarono, con il fiato corto.
Harry appoggiò la sua fronte a quella dell’altro, fissandolo negli occhi. Ora parevano più celesti, ma forse era solo la luce.
“Lou” le labbra che si sfioravano ancora ad ogni lettera.
“Harry..” un sussurro carico di.. di cosa? Sembrava tristezza, stanchezza. “Resta.” Il riccio annuì e lo baciò ancora una volta, stavolta dolcemente. Quando si staccarono, di nuovo, Louis si alzò prendendogli una mano e lo portò in camera. Nessuno dei due voleva ancora fare niente, era troppo presto, ma il maggiore voleva solamente avercelo accanto, almeno quella notte. Si sdraiò sul letto, ancora vestito, facendogli segno di sdraiarsi accanto a lui; Harry lo raggiunse gattonando e gli posò ancora un rapido bacio a stampo sulle labbra prima di avvolgerlo con le sue lunghe braccia. Il maggiore nascose il viso nell’incavo del suo collo, solleticandolo con il respiro. Poco dopo sentì qualcosa bagnarli il petto e Louis venne scosso da un tremito.
“Lou?” ma l’altro non rispose. “Hey Lou” lo richiamò, scostandolo delicatamente. Ormai era buio e riusciva a distinguere poco niente, ma quelle erano sicuramente lacrime e si sentì sprofondare il cuore. Gliele asciugò con i pollici, accarezzandogli le guance. Non aveva idea di cosa stesse succedendo, ma non gli importava. In quel momento tutto era Louis e non gli importava d’altro.
Il castano parve piangere tutte le sue lacrime e quando si calmò sussurrò un “scusa” con la voce rotta. Harry scosse la testa, sorridendogli dolcemente. Asciugò gli ultimi resti di lacrime, gli baciò la tempia, il naso, la guancia per poi arrivare alla bocca, facendogli nascere uno sbuffo di risata.
“Smettila” lo riproverò scherzando “che mi fai il solletico!” cercò di allontanarlo, ottenendo il risultato inverso. Harry se lo portò addosso, facendolo ridere e il cuore gli si alleggerì. Era così bello quando rideva.
“Va meglio?” chiese realmente preoccupato. Louis annuì, ora con un sorriso un po’ storto ma sincero sul viso e si nascose di nuovo nel collo di Harry, che lo riavvolse con le sue braccia. Poco dopo si addormentarono entrambi.
Quando Louis si svegliò, si ritrovò da solo. Sbuffò, infastidito e fece per andarsi a preparare la colazione quando vide un foglietto appoggiato sul comodino lì affianco. Diceva:
 
Scusa ma sono dovuto schizzare via! Mia madre mi ha riempito di messaggi e chiamate.. mi ucciderà L chiamami quando ti svegli o mandami un messaggio, così poi ci vediamo! Sei bellissimo. Ciao,
Harry xx
Louis sorrise, cercò il telefono e compose il numero di Harry. Quando sentì la sua voce riempirgli le orecchie, pensò che la giornata era sicuramente iniziata bene.
Quel pomeriggio ovviamente si videro di nuovo. Nessuno fece parola del bacio ma qualcosa era cambiato. Le mani si intrecciarono quando si sdraiarono al parco e i sorrisi erano decisamente più ampi. Harry pensò diverse volte di chiedergli il perché di quel pianto improvviso della sera prima, ma alla fine lasciò perdere. Non si sentiva ancora di scavare così a fondo nella vita di Lou. Non ancora.
Ad un certo punto, mentre lui blaterava su come avrebbe voluto avere un cane, ma uno di quelli grossi e che amano giocare, Louis gli si avvicinò lentamente e gli stampò un bacio sulla guancia.
“E questo?” gli chiese arrossendo. Il maggiore non si mosse, il naso schiacciato sulla sua guancia. Alzò le spalle e “niente, eri bello” spiegò semplicemente. Harry sorrise e gli posò anche lui un bacio sulla guancia.
“E questo?” chiese retorico.
“Niente. Sono bello” rispose Harry, facendolo scoppiare a ridere, illuminandogli gli occhi e il viso. Scansò un pugno e lo seguì nelle risate. “Stupido Harry!” lo prese in giro.
Le giornate con Louis stavano diventando una più bella dell’altra. Sarebbe stata sicuramente un’estate da ricordare, per sempre.
 
 
Un paio di pomeriggi dopo Harry era di nuovo a casa di Louis. Mangiava tranquillo un pacchetto di patatine, cecando di fare meno rumore possibile dato che il maggiore si era messo a suonare il piano. Gliel’aveva chiesto lui stesso; adorava sentirlo suonare. Poteva passare ore ad osservare le sue mani correre veloci su quei tasti, l’espressione tranquilla ma concentrata. Mentre il maggiore suonava, Harry si chiese come tutto quello fosse possibile. Era già un mese che si conoscevano e ormai Louis era diventata una presenza fissa nella sua vita. Non passava attimo in cui non lo pensasse, non gli parlasse, non gli mandasse un messaggio. Era diventato come l’aria. Indispensabile. E questo da una parte lo faceva sentire a casa, sereno, un po’ più completo. Si sentiva come se avesse trovato finalmente il suo posto. Ma dall’altra parte lo terrorizzava a morte. Cosa sarebbe successo?
L’ultima nota si spense, disperdendosi nell’aria. Louis riaprì gli occhi, si alzò e si lasciò cadere sul divano accanto ad Harry che “chi ti ha dato il permesso di smettere, scusa?”. L’altro rise, schiaffeggiandolo scherzosamente. Poi, di colpo, gli rubò le patatine di mano, gettando il pacchetto sul tavolino lì davanti. Il riccio fece per protestare (“hey! Le stavo..”) ma le labbra di Louis sulle sue gli impedirono di continuare. Dopo un momento di sorpresa, ricambiò il bacio, portandogli le braccia attorno alla vita; il maggiore si sdraiò su di lui, braccia attorno al collo, labbra impegnate ad amare Harry. Perché si, santo cielo, se ne stava innamorando e non poteva farci niente. Leccò via il sale delle patatine dalle sue labbra, facendo rincontrare le loro lingue calde, mordicchiandogli il labbro inferiore, facendolo gemere dal piacere.
Quando si staccarono, ansanti, Harry lo abbracciò stretto e Louis si scusò con un “mi dispiace, ma erano giorni che volevo farlo” sussurrato. L’altro ridacchiò e “figurati, puoi farlo ogni volta che ti va” lasciandogli un casto bacio sulle labbra, ancora umide.
Si spostarono poi sul letto, sdraiandosi vicini, occhi negli occhi (e questa volta Harry avvertì sua madre che non sarebbe tornato). Una mano di Louis era intrecciata a quella del riccio e l’altra gli stava accarezzando la guancia liscia e morbida, picchiettando dolcemente con la punta dell’indice sulle sue fossette.
In quel momento il mondo esterno non esisteva. C’erano solo loro due, che si guardavano negli occhi con un’intensità micidiale. Il silenzio li avvolgeva, cullati dai loro respiri. Poi Louis parlò. Un semplice sussurro, ma Harry lo udì benissimo.
“Non innamorarti di me..” sembrava quasi una supplica.
Harry non seppe cosa rispondere. Gli si fermò il cuore. Cosa significava? Perché glielo stava dicendo ora?
“Louis.. credo sia già successo..” glielo confidò come se fosse il più grande dei segreti, mentre il cuore riprese a battergli furiosamente. Louis scosse la testa, continuando ad accarezzarlo con le punte delle dita, solleticandolo un poco.
“Harry” lasciò scivolare il suo nome tra le sue labbra “Harry, Harry, Harry..” le dita scesero sulla bocca, accarezzandola, per poi posarsi dietro la nuca; lo spinse verso di lui e lo baciò, ancora, ancora e ancora fino a quando non si addormentarono entrambi, le mani ancora intrecciate.
 
 
Dopo quella sera Harry non vide Louis per cinque giorni. Nessuna chiamata, nessun messaggio, nessuna uscita. Niente di niente. Furono cinque giorni pieni d’ansia. Non riusciva a fare niente. Louis gli intasava la mente. Non rispondeva al telefono. Aveva pure provato a bussare alla porta di casa sua ma nessuno gli aveva aperto. Nulla più totale. Aveva detto qualcosa di sbagliato? Sì. Forse sì. Anzi, sicuramente l’aveva fatto. Gliel’aveva detto troppo presto, che si era innamorato di lui. Aveva fatto la figura dello stupido. Avrebbe dovuto aspettare! Forse Louis non aveva più voglia di stare con lui. Si era stufato. Molto probabile.
O forse..
Ma non terminò l’ennesimo pensiero ansioso che il trillo del cellulare lo distrasse. Ci si fiondò sopra e finalmente lo vide. Un messaggio di Louis. Lo aprì subito, imprecando contro la lentezza del suo cellulare che tra poco avrebbe festeggiato il suo centesimo compleanno. Quando il messaggio finalmente si aprì Harry rimase un po’ deluso, ma cos’altro poteva aspettarsi?
 
18:58, Louis, Vieni a prendermi alla chiesa dietro casa mia. Ho appena finito di suonare a un matrimonio; ti devo parlare, xx.
 
 Quel “ti devo parlare” gli raggelò il sangue. E’ una frase che aveva sentito dire in troppi film e letto in troppi libri e non aveva mai portato a nulla di buono; questa, si disse, non sarebbe stata l’eccezione.
Andò in camera sua, infilò una camicia a quadri pulita e schizzò fuori dicendo a sua madre che sarebbe tornato tardi. Si diresse a passo di marcia verso la chiesa dieto casa di Lou e quando la raggiuse si sentì un attimo spaesato. C’era molta gente lì. Erano tutti vestiti elegantemente ma senza esagerazioni. Vestitini colorati e allegri, sobri ed eleganti. Volti felici, sorrisi smaglianti affatto falsi o ipocriti. Se non fosse per il messaggio di Louis che gli rimbombava in testa avrebbe sorriso anche lui.
Poi lo vide. Era vestito molto elegante anche lui e, santo cielo, quello smoking lo rendeva tremendamente sexy. Stava parlando con un signore che ora gli stringeva la mano, probabilmente ringraziandolo per aver suonato il piano al matrimonio. Quando si salutarono, Louis si guardò intorno, probabilmente alla sua ricerca. Quando lo trovò si incamminò verso di lui e fu in quel momento che Harry lo vide davvero.
Louis era magro, molto più magro di come lo ricordava e.. era sempre stato così pallido? Quando gli si parò davanti salutandolo con un semplice ciao e un sorriso un po’ tirato, Harry poté notare anche gli occhi e capì che c’era decisamente qualcosa che non andava. Gli occhi sembravano quasi trasparenti di quanto chiari. Rispecchiavano un mare di stanchezza, quasi agonia e il riccio si sentì quasi mancare. Non li aveva mai visti così. Cosa stava succedendo?
“Lou?” lo richiamò, dato che il maggiore non accennava a parlare. “Cosa mi devi dire?” dritto al punto.
Louis sospirò, passandosi una mano tra i capelli, scompigliandoseli ulteriormente e alzando un ciuffo in una maniera che in un’altra occasione avrebbe fatto ridere il riccio. Automaticamente alzò una mano per sistemarglielo e Louis socchiuse gli occhi a quel semplice gesto. Poi Harry gli accarezzò una guancia, facendoglieli chiudere definitivamente, e quando li riaprì apparvero un po’ meno trasparenti e un po’ più liquidi. Gli faceva male vederlo così, per quanto stupido potesse essere, e gli sarebbe piaciuto allievare un po’ di quell’inspiegabile dolore.
Louis sospirò e “andiamo a casa mia” disse; l’altro annuì e lo seguì come un cane fedele. Quando il castano intrecciò le loro mani Harry si sentì un po’ più leggero ma comunque invaso da un senso di ansia e preoccupazione. Continuava ad esserci qualcosa di sbagliato.
 
Arrivarono a casa ed Harry si sedette sul divano, in attesa che gli venisse spiegato qualcosa. Louis intanto continuava a camminare avanti e indietro per il salotto, facendolo innervosire. Si era tolto la giacca, troppo calda per la stagione, e Harry aveva potuto notare la sua fragilità. Era davvero dimagrito tanto. Com’era possibile? Era trascorsa solo una settimana. Intanto continuava a fare avanti e indietro per la stanza, occhi persi, denti a torturarsi il labbro. Si può sapere che diavolo stava succedendo?
“Lou..” lo richiamò. Niente. “Louis? Mi senti?” ma pareva che l’altro avesse le orecchie tappate. Sbuffò spazientito, prese un respiro profondo, si alzò in piedi davanti a lui e “senti” cominciò “non so cosa tu mi voglia dire ma se ho fatto qualcosa di sbagliato, scusami. Non era mia intenzione. Tu.. tu mi piaci, Lou, lo sai. Ma non so cosa tu provi per me.. e vorrei davvero saperlo perché insomma, tu mi piaci davvero e non voglio lasciarti, non ora che iniziava ad esserci qualcosa. Mi rendo conto di sembrare un po’ troppo affrettato ma..”
“Harry..” lo interruppe l’altro, tremando leggermente. Ma stavolta era Harry a non sentir parola.
“..io ci tengo davvero a te, ai tuoi occhi bellissimi, alla tua risata, al modo in cui suoni il piano e vorrei davvero poter trascorrere il mio tempo con te perché..”
“Harry, davvero, io..” ma il riccio continuò a blaterare fino a quando “ho la leucemia” disse.
Harry si bloccò di colpo e il respiro gli si mozzò in gola. Eh? “Cosa?” chiese, con la gola secca. Aveva capito bene? Leucemia? Louis aveva detto..? Cosa?
Il castano, che ora tremava visibilmente e non per il freddo, gli prese le mani. Le une gelate, le altre bollenti, “ho la leucemia Harry.” Se in quel momento gli avessero chiesto il momento più brutto della sua vita, sarebbe stato indeciso se rispondere quello o quando gli diagnosticarono la malattia.
Harry ancora non aveva capito. O meglio, cercava di non capire. Non voleva capire. Non ci riusciva.
Quello che venne dopo, era tutto un vago ricordo offuscato. Ricadde sul divano a peso morto, le mani ancora strette in quelle di Louis, ormai fredde anche le sue. Seguirono immensi minuti di silenzio. Un silenzio pesante, opprimente dove vi aleggiavano solo i rumori della strada, che in quel momento apparivano lontani mille miglia. Intanto cercava di assimilare quante più informazioni possibili sulla leucemia. Purtroppo sapeva benissimo in cosa consisteva e a cosa portava. In alcune casi si poteva anche guarire. In altri la morte arrivava nel giro di un mese, a volte in una settimana. Solo che non riusciva a collegare quella parola a Louis. Alzò lo sguardo e incontrò il suo. Grigio, opaco, tremante.
“Sto morendo, Harry.” Un sussurro. Era davvero stato un sussurro? A Harry era parso un urlo. Un urlo atroce che squarciò la terra sotto i suoi piedi, inghiottendogli il respiro, l’anima, la forza di reagire. Quelle parole non potevano appartenergli. Parole nere, infette, sporche. Si stavano insinuando con atroce lentezza nelle sue orecchie, fino ad arrivare al cuore, ai polmoni, avvelenandolo. Non sapeva cosa pensare, cosa fare. Non riusciva a muoversi. Si sentiva i muscoli ghiacciati, la mente in tilt. Vuoto totale.
Ancora silenzio. Solo silenzio. Sembrava avessero smesso di respirare.
“Harry?” niente “Harry, rispondimi.”
“Cosa ti devo rispondere, Lou..” chiese retorico con un filo di voce, quasi inudibile.
Già. Cos’avrebbe potuto rispondergli? Non esistevano parole adatte a quella situazione. Era inconcepibile solo pensarla una cosa del genere. Cosa diavolo avrebbe dovuto dirgli. Louis chinò la testa, lasciandogli le mani. Sparì un attimo in camera e tornò con mille scartoffie. Le porse a Harry che “cosa sono” chiese, atono. L’altro non rispose.
Harry le prese in mano, iniziando a leggerle. Spostava freneticamente lo sguardo da un foglio all’altro. Visite mediche, analisi, risultati, ricette, medicinali, altre analisi, altre visite, altri risultati, sempre peggiori. Nonostante avesse sempre avuto una certa attitudine per la medicina in quel momento non ci capiva niente. Si passava tra le mani quei fogli maledetti. Poi li gettò a terra, frustrato.
“Cosa vuol dire. Cosa diavolo vuol dire, Louis.” Il tono sembrava tagliente, acido, ma nessuno dei due ci credeva. Era solo un’ondata di disperazione, ansia, shock. Distruzione, stanchezza. Dolore. Amore.
Harry non ci stava capendo davvero più niente. Le parole di Louis gli sembravano troppo lontane. Tutto ciò che gli stava dicendo, lo stava colpendo in pieno petto e poi gli scivolava addosso. Quelle parole lo ferivano profondamente e poi ricadevano a terra, esauste. Non poteva sentire Louis parlare di quella malattia che lo stava uccidendo lentamente da troppi mesi, ormai. Non poteva sentire Louis parlare di come non ci fosse più nulla da fare, di come fosse scomparsa anche la speranza più vaga. Stava morendo.
Quando però Louis disse “5 mesi” Harry si destò da quello stato di trance. Cinque mesi? Cinque mesi che cosa? Cinque mesi che.. oh. Oh, no. Oh, santo cielo, no. Da lì, il caos.
“Stai scherzando” gli venne quasi da ridere per l’assurdità. “Louis, cazzo, dimmi che stai scherzando!” ormai stava urlando. I muscoli si erano sghiacciati, diventando però di ferro. La voce incrinata. “Non puoi dirmi una cosa del genere! Tu non.. leucemia, cristo santo!”
“Lo so, Harry, lo so.” Rispose pacato. Sapeva che quella reazione sarebbe presto arrivata e voleva lasciarlo sfogare.
“Tu.. come.. da quanto.. stai morendo! Dio, dimmi che non è vero, Louis. Tu non puoi... lasciarmi. Non puoi andartene. Non ora. Non… no! Mai. Io non posso pensare di non averti qui.. la tua risata, i tuoi occhi, il tuo sorriso… Louis, ti prego no..” gli stava venendo la nausea e aveva preso a camminare e gesticolare come un pazzo, quasi urlando “cinque mesi! Cinque fottuti mesi! Hai da vivere solo cinque schifo di mesi! Perché.. dio, perché..” le lacrime avevano iniziato a rigargli le guance, bollenti. Erano lacrime di rabbia, per l’ingiustizia di questo mondo. Perché Louis? Perché una delle persone più belle e dolci di questo mondo? Cosa avevano fatto quegli occhi celesti, quei modi gentili, quel sorriso aperto a tutti per meritarsi questo? Ma specialmente lacrime di dolore. Non poteva andarsene. Non poteva lasciarlo. Non riusciva neanche a formulare il pensiero.
Poi crollò. I singhiozzi gli impedirono di continuare a parlare e si accasciò ai piedi del divano, proprio davanti a Louis. Si nascose il viso tra le mani, lasciandosi andare in mille lacrime salate. Avevano un sapore amaro, sembravano veleno. Non riusciva nemmeno più a respirare.
Louis, nel silenzio, si chinò davanti a lui. Gli prese delicatamente i polsi, allontanandogli le mani dal viso. Aspettò che i singhiozzi si calmassero da soli e gli appoggiò poi le dita sotto il mento, alzandogli il viso. I loro occhi si incontrarono, straziati, stanchi, ormai innamorati. Poi poggiò le sue labbra di quelle di Harry. Rimasero così per qualche attimo, fermi. Labbra su labbra. Quando iniziarono a baciarsi sul serio, le mani si fecero frenetiche. Correvano ovunque, sul collo, sulla schiena, sulle guance, sulle gambe. Si alzarono entrambi e si diressero in camera da letto, senza smettere un momento di baciarsi. Louis iniziò a spogliare Harry, sbottonandogli la camicia e gettandola in un angolo, slacciandogli i pantaloni e gettando via anche quelli. Gli accarezzò il petto e la schiena con quelle mani troppo piccole per appartenere ad un pianista e Harry sospirò di piacere, facendosi scappare un gemito. Sfilò poi la camicia elegante di Louis, che lo spinse sul letto e si sdraiò su di lui e ripresero a baciarsi. Avevano in disperato bisogno di appartenersi. Subito, in quel momento. Avevano bisogno di sentirsi vicini, meno soli, amati.
Louis aveva bisogno di Harry e Harry di Louis.
Quando anche i pantaloni del maggiore vennero gettati per terra e la stanza era ormai piena di sospiri e respiri affannosi, i due, rimasti solo in intimo, rallentarono un po’ fino a fermarsi. Louis aveva una mano tra i ricci di Harry e l’altra dietro la nuca; Harry, sotto di lui, aveva entrambe le mani sulla sua schiena nuda e liscia. Occhi negli occhi, le fronti appoggiate, le labbra a sfiorarsi.
“Ne sei sicuro?” gli chiese sottovoce Harry. Louis annuì, posandogli baci umidi sul collo. “E’ che non voglio.. insomma, non voglio farti del male.. sei fragile e io..”
“Shh, zitto” lo interruppe l’altro, con un bacio. “Io ho bisogno di te, Harry” continuò quando si staccarono “ho bisogno di te, ora più che mai. Ho bisogno di sentirti con me, dentro di me perché dopo tutti questi giorni insieme, dopo tutte queste settimane mi sono risentito vivo, umano, felice, completo. Sei capitato per caso quando io ormai non avevo più voglia di vivere. Mi hai ridato speranza, verde come i tuoi occhi, ogni giorno. Mi stai dando speranza con ogni sorriso, ogni lacrima, ogni bacio e carezza..”
“Speranza per cosa, Lou?” gli chiese, baciandogli la guancia, il mento, lo zigomo.
“Per essere felice ancora una volta, Harry. Per te, con te.”
Così ripresero ad amarsi, meno frenetici, più lentamente, assaporando ogni movimento, ogni gesto, ogni carezza. Si amarono con ogni fibra del loro corpo, donandosi l’uno all’altro come non avevano mai fatto con nessun’altro prima d’ora. I loro nomi sussurrati ripetutamente, i gemiti, gli ansiti, gli schiocchi dei baci riempivano l’aria, scaldandola del loro amore. Quando vennero entrambi, esausti, Louis si lasciò cadere su Harry, che lo avvolse ancora una volta tra le sue braccia, coprendolo fino alla schiena con il lenzuolo bianco tutto ingarbugliato. Lasciarono che i loro respiri tornassero alla normalità e che i loro cuori si calmassero, battendo poi all’unisono.
Louis era così piccolo, leggerlo, fragile e Harry lo aveva amato con tutta la delicatezza di questo mondo. Lo strinse ancora un po’, come a imprimerselo addosso, e Louis si nascose nell’incavo del suo collo, che ormai conosceva bene.
“Harry?” lo richiamò.
“Mh?” rispose, mentre disegnava ghirigori sulla sua schiena. Louis si sollevò abbastanza da poterlo guardare negli occhi, quei due smeraldi che lo avevano fatto innamorare inconsapevolmente dal primo momento in cui li aveva incrociati.
“Io ti amo.”
Silenzio.
I battiti dei loro cuori.
I loro occhi, liquidi e incatenati.
Harry gli prese il viso tra le mani, accarezzandolo con i pollici. Gli posò un bacio leggerissimo sulle labbra.
“Ti amo anche io” e se lo riportò addosso, stringendolo forte, con il desiderio di non lasciarlo mai più.
Un desiderio irrealizzabile.
 
 
Trascorsero le settimane e i due non si staccarono un attimo. Passavano ogni singolo momento della giornata insieme. Non volevano sprecare nemmeno un secondo, ma ad Harry quel pensiero faceva davvero male. Louis procedeva uguale, con poco appetito, con gli occhi spenti ma sempre con un sorriso stampato in faccia perché Harry era lì, accanto a lui, e andava tutto bene.
Quel pomeriggio decisero di andare a farsi un giro all’acquario, dato che per Lou fuori faceva davvero troppo caldo.
Harry osservava gli squali, i palmi delle mani e il naso schiacciati contro il vetro, gli occhi spalancati; a Louis venne da ridere nel vederlo così perché sembrava un bambino durante la sua prima gita allo zoo. Gli si avvicinò, stampandogli un bacio sulla guancia. L’altro si voltò verso di lui, sorridendogli e lo baciò, un misto tra passione e amore. Tanto a quell’ora non c’era nessuno, e poterono baciarsi tranquillamente, lontani da sguardi indiscreti. Quando si staccarono, si sedettero sulla panchina davanti agli squali; Harry appoggiò la testa sulla spalla di Lou, ispirando il suo profumo e il castano prese ad accarezzarlo tra i ricci.
“Me ne sono andato di casa” disse poi Louis. Harry non replicò e non si mosse e l’altro continuò. “Neanche tanto tempo fa.. quattro o cinque mesi. E’ stato poco dopo aver scoperto di avere la leucemia, sai” si passò una mano tra i capelli, ricordando quella serie di eventi indelebili nella sua mente. “Dopo le analisi, dopo la scoperta della malattia, lacrime a non finire. Mamma e Lottie, la maggiore tra le mie sorelle, non smettevano più di piangere, erano disperate… le gemelle, le più piccole, non capivano bene cosa stesse succedendo ma intuivano che qualcosa non andava.. insomma, piangevamo un po’ tutti.. un miracolo che non abbiamo allagato la casa” lo sbuffo di una triste risata. Harry si strinse un po’ più a lui.
“Seguirono giorni di silenzio, di altre lacrime. Nessuno sapeva cosa dire, cosa fare.. e avevano iniziato a trattarmi tutti con i guanti come se.. potessi rompermi in mille pezzi da un momento all’altro. Poi ho mollato gli studi perché, tanto, non mi sarebbero serviti a molto.. l’unica cosa che mi limitavo a fare era suonare il piano. In continuazione, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto possibile. Ormai non ne poteva più nessuno di quel piano, ma nessuno me lo diceva… in fondo, mi rimaneva solo quello. Così me ne sono andato. Non potevo sopportare la vista delle mie sorelle piangere, di mia madre piangere… troppa disperazione. Le ho salutate tutte e me ne sono andato, lavorando come pianista, cercando di arrivare a fine giornata, aspettare che..” ma non completò la frase. Harry non glielo permise.
“Lou, sono qui” lo sussurrò, perché era una cosa solo tra loro due. “Qui accanto a te. Non ti lascio.”
Louis annuì, asciugandosi velocemente una lacrima e sorridendo a quell’angelo che era Harry Styles.
Harry, d’altro canto, cercava di essere forte, di sostenere entrambi. Doveva essere forte per Louis.
 
 
Una sera di metà settembre.
Avevano appena finito di mangiare un film e Louis aveva già sonno, si sentiva stanco. A Harry sprofondò un po’ il cuore quando glielo disse, ma annuì semplicemente e lo seguì in camera.
Il castano si addormentò poco dopo, cullato dal parlare di Harry. Il riccio, che non riusciva a prendere sonno, andò in cucina a farsi un tè, ma nemmeno quello riuscì a calmarlo.
Era agitato, nervoso. Era già agosto. A Louis restavano solo… no. Quel pensiero lo congelò. Tre mesi. Si sentì mancare. Non poteva lasciarlo.
Si sentiva dannatamente egoista a pensarlo perché lui se ne stava andando (e il solo formulare una frase del genere lo uccideva) e lui a cosa pensava? A quanto sarebbe stata difficile la sua vita senza Louis. Ma cosa poteva farci? Ormai lo amava, troppo, con ogni fibra del suo corpo. Se avesse potuto, avrebbe dato anni della sua vita solo per darli in dono a quegli occhi celesti perfetti. Avrebbe regalato ogni cosa, ogni singola cosa per lui; avrebbe spezzato a metà la sua vita per poterla condividere con quelle labbra fini, quella risata cristallina, quelle piccole mani delicate. Non si accorse di essersi lasciato scivolare lungo la parete. Dio, Louis stava morendo! Non sarebbe mai più tornato da lui, non gli avrebbe mai più sorriso, non avrebbe mai più sentito il suo accento che tanto amava. Avrebbe infranto la sua promessa di stargli accanto. Quando una lacrima gli scivolò lungo la guancia, correndo ad asciugarla rapidamente (“no, non devo. Per Louis. Devo essere forte. Sii forte Harry”) capì che non sarebbe riuscito a fermare tutte le altre lacrime che si stavano formando, impedendogli la vista. Così si lasciò andare in un pianto liberatorio.
Nemmeno si accorse di Louis che gli stava davanti fino a quando non sentì le sue mani tra i ricci. Alzò la testa di scatto, asciugandosi le lacrime con l’avambraccio.
“Harry..” sussurrò Louis, con un sorriso storto.
“Lou, scusami” singhiozzò, irrefrenabile “io non.. non volevo.. m-mi dispiace Lou.. sto b-bene..” e gli sembrava anche un po’ assurdo dover essere consolato da Louis, ma non voleva mostrarsi debole o piangere davanti a lui. Lui doveva essere forte, doveva sostenere entrambi, non poteva permettersi crolli.
“Shhh, Haz, shhh” gli raccolse tutte le lacrime, sorridendo quando si calmava e accarezzandolo quando riscoppiava in un nuovo fiotto di lacrime. Quando Harry parve calmarsi definitivamente si alzarono entrambi e si accoccolarono sul divano. La guancia ancora umida di Harry poggiata sul petto di Louis, l’orecchio sul cuore. Ne ascoltava i battiti. Lo rassicurava.
“Harry..” lo richiamò Louis. Harry non rispose e al maggiore venne un po’ da ridere. Si sentiva un padre che doveva riprendere il figlio che aveva combinato un guaio, solo che il bimbo era scoppiato a piangere ancora prima della ramanzina, intenerendo il genitore. “Stupido di un Harry… non puoi essere forte per entrambi. E’ troppo grande, troppo forte. E’ una cosa troppo cattiva, e tu sei così bello, così dolce, così.. puro, con i tuoi sorrisi” gli accarezzò una guancia, sbuffando alla vista dell’ennesima lacrima. Da quando il suo Harry crollava così? Gli faceva male, gli si stringeva il cuore. Non poteva vederlo così.
“Harry ascoltami” tirandosi su “Non fa niente, okay? Io sono qui, proprio affianco a te. Non sto andando da nessuna parte” Harry fece per ribattere ma “no. No. Sono qua, con te. Puoi piangere. Tu sei forte, lo so. Lo vedo ogni giorno. Sei una persona meravigliosa e lo vedo come cerchi di fare di tutto per.. per aiutarmi, per dimostrarti forte, per sostenere entrambi.”
Harry lo baciò, perché lo amava più della sua stessa vita.
“Ti amo”
“Ti amo anch’io”.
 
 
Un ventoso pomeriggio di novembre Louis era avvolto in una morbida copertina di pail azzurra con un berretto di lana in testa e Harry era raggomitolato al suo fianco, con sopra una copertina di pail rosa.
“Sono stanco” sospira Louis. Harry sa che a questa frase sono legate tante cose ma decide di non scavare a fondo. “Questa fottuta chemioterapia mi fa a pezzi..”
“E’ per il tuo bene, LouLou”
“Per quel che vale..” sospirò, rassegnato.
“Per me vale.”
Louis si voltò a guardarlo, ed ogni volta che lo faceva tutto andava meglio. Quegli occhi, che erano i suoi pilastri, lo facevano sentire a casa.
“Harry…”
“No.” La fermezza nel suo tono di voce lo distrasse da quei pensieri. Gli sorrise, accarezzandogli il dorso della mano e Harry gli regalò un dolce bacio sulle labbra. Rimasero così per un po’, abbracciati sotto le loro coperte. Harry aveva sospeso la scuola per Louis, suscitando numerose proteste generali tra madre e Louis stesso, ma voleva davvero trascorrere tutto il tempo con il suo ragazzo. Lo guardò e anche con quella stanchezza addosso, nonostante il viso fosse un po’ più smagrito, lo trovava bello comunque. Poi si accorse dove puntasse il suo sguardo. Osservava il pianoforte. Era già tanto che non lo suonava.
“Lou?”
“Mh?”
“Vuoi suonare?”
“No.. no, sono troppo stanco”
Harry annuì ma non si diede per vinto; infatti poco dopo Harry si districa dall’abbraccio sotto lo sguardo interrogativo del castano, si toglie di dosso la copertina e prese in braccio Louis, con la massima delicatezza “Harry, cosa stai facendo?” chiese ridendo. Dio, la sua risata. Il riccio sorrise e lo portò in braccio fino al pianoforte. Si sedette sulla panca e se lo posò in braccio.
“Mi insegni qualcosa?” chiese, proprio come diversi mesi fa. Louis, con un tuffo al cuore, sbuffò divertito; poggiò le sue mani su quelle di Harry, guidandolo verso i tasti giusti e facendo pressione affinché il minore li suoni. Il minore ogni tanto sbagliava di proposito guadagnandosi qualche “Harry!” o “ma no!” indignato di Lou che li facevano scoppiare a ridere entrambi, senza un motivo preciso. Passarono un’oretta così, schiacciando tasti a caso quando poi Harry ritrasse le mani, intrecciandole intorno alla sua vita, lasciando solo quelle di Louis sulla tastiera. Si girò a guardarlo e il riccio gli sorrise incoraggiante; allora il maggiore si stiracchiò un po’ le dita e dopo qualche attimo iniziò a suonare Moonlight Sonata di Beethoven.
Chiuse gli occhi e si ricordò dell’oblio in cui era precipitato diversi mesi prima; giornate buie, grigie, inutili che lo portavano allo sfinimento più totale, uccidendolo più di quanto la malattia non stesse già facendo. Poi un pomeriggio si era ritrovato a suonare in un qualsiasi ufficio quel brano e li aveva visti. Due occhi verdi che lo stavano guardando dalla strada; erano forse la cosa più bella mai vista prima e per un attimo, mentre affogava in quei due occhi, ingoiando acqua a non finire, parve dimenticarsi di tutto. C’erano solo quei due bellissimi occhi verdi che gli avevano fatto battere forte il cuore, che sembrava ormai spento. Quando li aveva rivisti si era sentito vivo; era come se dopo mesi di gelo un raggio di sole si fosse posato su di lui, sciogliendo la neve, facendo nascere un fiore. Un fiore destinato ad essere strappato via, aggressivamente; stava appassendo e mancava ormai poco. I petali stavano cadendo, il ghiaccio stava di nuovo tornando, ma questa volta il raggio di sole sarebbe rimasto fino alla fine.
Riaprì gli occhi a brano finito, posando le mani su quelle di Harry, intrecciandole. Una piccola lacrima bagnò le loro mani e Harry gli regalò un leggero bacio dietro l’orecchio “sono qui LouLou, sono qui e ti amo.”
 
 
Il compleanno di Louis era arrivato e Harry, dopo giorni e giorni di idee, ipotesi e scervellamenti, aveva trovato il regalo perfetto. Pomeriggio inoltrato e fuori nevicava come non succedeva da anni. Tutti erano fuori per fare gli ultimi acquisti di Natale.
Harry rientrò in casa, sfregandosi le mani. Salutò Lou con un “sono tornato!”, si tolse guanti, sciarpa, cappellino e giacca, e schizzò rapidamente in cucina. Estrasse dal sacchetto che teneva in mano un cupcacke con sopra una candelina che per fortuna non si era ancora spezzata, la accese con un accendino trovato per casa. Si ricordò del regalo, dimenticato nella tasca della giacca e, una volta recuperato, si diresse verso Louis.
Se ne stava seduto sulla poltrona davanti alla grande finestra della sala, che dava sulla strada ad osservare le persone passare, il tempo cambiare. Ogni tanto scattava qualche foto, a tutto e a niente, e quando la stanchezza non glielo impediva leggeva qualche libro che gli portava Harry. Libri sul mondo, sui viaggi, su novi posti da visitare, nuove culture. Vide le luce della sala spegnersi e farsi tutto buio di colpo.
“Harry?” chiese, voltandosi per controllare cosa fosse successo “non dirmi che è di nuovo saltala la lu-“ ma non terminò perché un Harry con un po’ di neve incastrata tra i ricci e un pasticcino tra le mani con una candelina sopra gli stava venendo incontro canticchiando “tanti auguri a te”.
Gli si inginocchiò davanti porgendogli il pasticcino. Louis chiuse gli occhi, formulò un desiderio e soffiò sulla candelina. Poi prese il dolcetto dalle mani di Harry, gettò la candelina a terra senza troppe cerimonie e lo divise a metà. Una metà la mangiò lui, e l’altra la imboccò a Harry che la divorò in un solo boccone, sporcandosi pure il naso di glassa. Louis rise e si sporse per baciargli il naso, leccando via la glassa e Harry fece lo stesso ma sulle sue labbra. Quando si staccarono Louis prese per mano Harry, invitandolo a sedersi affianco a lui ma il riccio lo fermò.
“Aspetta, devi aprire il tuo regalo di compleanno.”
Louis strabuzzò gli occhi, stupido “regalo? Harry! Mi avevi promesso che non mi avresti regalato niente!”
“No. Io ho promesso che non ti avrei regalato niente per Natale. Questo è il tuo regalo di compleanno” preciso con quell’espressione furbetta che faceva impazzire il maggiore.
Harry, ancora inginocchiato ai suoi piedi, tirò fuori dalla tasca una piccola scatoletta; a Louis saltò il cuore in gola. “Harry?” lo richiamò con voce tremante; il riccio lo fece tacere con un sorriso mozzafiato e “Louis William Tomlinson” e dio, lo stava facendo davvero. Aprì il piccolo cofanetto rivelando una fedina da uomo in argento “vuoi essere il mio fidanzato?” e glielo chiese così, fossette in bella vista, occhioni lucidi.
Louis non sapeva cosa dire. Cioè, certo che sapeva cosa dire, ma non riusciva a dirlo.
Harry Styles, il ragazzo che più aveva amato in tutta la sua vita gli stava chiedendo di diventare ufficialmente il suo fidanzato con tanto di fedina (e oh mio dio, chissà quanto gli era costata).
“Sei incredibile” soffiò.
“E’ un sì?”
“Dio, certo che è un si! Sì, sì, sì! Mille volte sì!” trovò la forza di alzarsi, gettandogli le braccia al collo, riempendolo di baci sul collo, sulla bocca, sulle guance, sul naso. Dovette poi risedersi per lo sforzo e per il dolore al fianco sinistro mentre Harry “hey, calma tigre” lo prendeva in giro. Poi, una volta seduto accanto a lui, riprese la scatolina che Louis aveva fatto cadere per terra nella foga e gli infilò l’anello nell’anulare sinistro. Il castano girò e rigirò la mano per vedere come quell’anello gli stesse perfetto; poi posò lo sguardo su Harry che gli sorrideva estasiato e lo baciò con foga e passione. Lo amava, dio se lo amava!
Il pensiero che tra non molto lo avrebbe lasciato per sempre si insinuò, perfido nella sua mente, ma lo scacciò via. Non voleva rovinare quel momento perfetto. Harry lo prese in braccio, poggiandolo poi sul loro letto, portandoselo addosso. Lo cinse come ormai era automatico fare con le sue braccia.
Gli occhi di Louis erano di nuovo celesti.
Poco dopo si addormentarono entrambi, cullati dai loro respiri e stretti in un abbraccio che non avrebbero mai voluto sciogliere.
 
 
Era già gennaio e Louis non si sarebbe mai aspettato di vedere l’inizio di un nuovo anno. Continuò a giocherellare con i ricci del suo ragazzo, beatamente addormentato accanto a lui. Adorava guardarlo dormire, lo riempiva di serenità. Accarezzò quelle morbide guance che a volte si divertiva a torturare tra morsi e pizzicotti, suscitando sempre lamentele da parte del più piccolo (“Lou smettila! Non ho cinque anni” anche se il tono di voce non lo dava a vedere affatto).
“Me ne sto andando Harry..” sussurrò, come se avesse potuto sentirlo “sto per lasciarti.”
Sospirò, affranto.
“Ti amo così tanto..” disse, cadendo anche lui in un sonno profondo.
Non si accorse però che Harry era già sveglio da un po’.
 
 
Metà gennaio, più verso la fine che altro. Quel mese sembrava non finire più.
Quando Harry quel giorno era tornato a casa, ghiacciato fin sotto le ossa, una sensazione strana lo aveva accolto. Aveva cercato Louis e lo aveva trovato addormentato sul divano. Profondamente addormentato. Gli si era avvicinato toccandogli la fronte. Era un po’ caldo, la febbre gli si era alzata di qualche linea. Gli aveva posato addosso un’altra coperta e gli si era sdraiato accanto, cercando di non svegliarlo, ma quei due occhi grigi si aprirono comunque.
“Scusa, non volevo svegliarti Lou”
Il castano aveva lievemente la testa, sorridendo mesto. “Ti ho sognato” aveva aggiunto poi.
“Assì? E cosa facevo?” carezzandogli i capelli lisci.
“Suonavi il mio pianoforte, nient’altro. Non ricordo nemmeno cosa..”
“Ed ero bravo?”
“Non quanto me” lo avevo preso in giro, strappando ai due una risata. Quei giorni erano stati un continuo ripetersi di ti amo. La paura di non poterseli dire più li sovrastava entrambi.
“Dormi ancora, Lou” gli aveva detto, posandogli un bacio sulla tempia. Il maggiore aveva scosso la testa. “mi trovi qui, amore. Non me ne vado. Quando ti sveglierai mi troverai qui affianco a te, promesso”. Louis lo aveva guardato, poco convinto, ma poi aveva chiuso gli occhi, raggomitolandoglisi contro.
“Grazie” gli aveva soffiato contro la spalla.
“Di cosa?” aveva ridacchiato Harry. Louis aveva semplicemente scosso lievemente la testa e prima di ricadere nel sonno “ti amo” gli aveva detto.
“Ti amo anch’io.”
Poco dopo Harry, incapace di addormentarsi, era andato in sala e aveva provato a leggere un po’, senza successo. Si era spostato sui libri di scuola, ma la concentrazione pareva scomparsa. Così circa un’ora dopo si era diretto in cucina e aveva preparato il tè, il suo preferito. Aveva aspettato che l’acqua bollisse fissandola (e aveva constatato che se aspetti una cosa questa ci mette il triplo del tempo da arrivare) e poi l’aveva servita nelle loro tazze. Si era poi diretto in camera, pronto a servire il tè caldo a Louis.
“Lou” l’aveva richiamato, cercando di non farlo svegliare bruscamente “è pronto il tè.”
Louis dormiva sereno, con un sorriso stampato in faccia. Harry si chiese cosa questa volta stesse sognando. “Dormiglione, svegliati” aveva detto più ad alta voce. Ma Louis non si svegliava. Sembrava quasi che non… non respirasse nemmeno.
Poi le tazze si sfracellarono a terra, distruggendosi in mille cocci, allagando per terra di tè. Harry si era avvicinato tremando sul suo fidanzato, poggiandogli le mani calde sul viso freddo. Troppo freddo.
“Lou.” Lo aveva richiamato con fermezza. “Louis svegliati.” Ma Louis non accennava a risvegliarsi dal suo sonno. Stava dormendo troppo profondamente. Dormiva. E’ questo che stava facendo. Dormiva e basta.
Le mani di Harry avevano preso a tremare, il cuore gli si era fermato e al tempo stesso gli stava schizzando via dal petto, il sangue si era gelato. Poi si fece tutto confuso.
Urla, lacrime. Ricorda ancora di essere caduto a terra, tagliandosi con tutti i vetri, bagnando anche di sangue il pavimento. Sangue. Sangue che non scorreva più dentro il corpo di Louis. Si era alzato, barcollante, le mani gocciolanti di rosso, le guance bagnate di lacrime, le ginocchia bagnate e scottate dal tè bollente. Si era gettato sul pianoforte, gridando e tirandoci pugni sopra, macchiando di rosso tutti quei tasti bianchi. Louis se n’era andato. Lo aveva lasciato da solo.
Mille immagini gli avevano riempito la mente: Louis che rideva, i suoi occhi celesti la prima volta che li vide, il centro commerciale dove avevano parlato per la prima volta, le loro mani intrecciate al parco. Gli risuonavano ancora mille promesse che entrambi sapevano che non sarebbero mai riusciti a mantenere ma che avevano fatto lo stesso, per puro divertimento, per pura illusione.
Non seppe quanto tempo passò prima che le lacrime, il sangue, la rabbia, si fermassero; in quell’attimo, in quell’attimo in cui davvero si era sentito solo, perso, vuoto, Harry Styles aveva promesso che avrebbe imparato a suonare il piano. Per Louis.
 
 
Quell’estate aveva fatto un caldo micidiale.
L’Italia ad Harry non aveva mai attirato particolarmente, ma poi, di punto in bianco, aveva preso una decisone ed era salito sul primo aereo diretto a Milano Malpensa.
Dopo otto anni ancora non sapeva fare un discorso grammaticalmente corretto in italiano ma a lui non importava gran che. Ispirò a fondo l’aria calda ma non troppo pesante di ormai fine agosto.
Era diventato un pianista. Era successo abbastanza per caso; un giorno una ragazza dai capelli corti e per metà biondi e per metà rosa gli aveva detto, senza nemmeno un ciao o un hey, che aveva delle mani perfette per suonare il piano. Lui aveva sorriso mestamente, travolto un attimo dai ricordi e aveva iniziato a parlare con la ragazza. Dopo otto anni si era ritrovato a suonare il piano davanti a una moltitudine di persone all’Arena di Verona.
Sorrise mentre pensava a quanto il destino a volte si mettesse di impegno per stravolgere e cambiare le vite delle persone. Nel giro di otto anni erano cambiate molte cose e molte altre erano rimaste uguali. La mania per le patatine di Burger King di Niall, per esempio, era rimasta uguale; proprio come le stranezze di Harry Styles.
Durante il suo ultimo brano, Moonlight Sonata, Harry aprì gli occhi. Davanti a lui centinaia e centinaia di persone perse tra le sue note; si poteva persino vedere nei loro occhi i ricordi più remoti e stravaganti.
Harry puntò lo sguardo al cielo grigio e sorrise.
“Ciao Louis” sussurrò “credi ancora di essere migliore di me, a suonare il piano?” il sorriso storto dipinto sulla faccia. Richiuse gli occhi e terminò il brano, lasciando che le ultime note rimbombassero  e si spegnessero. Si alzò, inchinandosi, stretto nel suo completo elegante e ringraziò il caloroso pubblico italiano. Salutò tutti e uscì di scena, pronto ad andare da qualche altra parte, lui e quel pianoforte nero a coda. Forse, alla fine, il suo posto nel mondo lo aveva trovato.
 
Celeste. Il cielo ora era celeste.





 

*cerca di schivare pomodoti e coltelli*
Oh dio, siete arrivati fin qua?
Io non volevo, lo giuro çwç 
Boh, non so che dire. Spero davvero che vi sia piaciuta e come sempre attendo i vostri commenti che davvero, mi riempiono di gioia.
Niall, il capitano della nostra ship, regna sempre su tutto.
Okay. Ho finito.
Grazie ancora e ci vediamo ad agosto! Clara vi ama *scompare in una nuvola di fumo*
-Claire


 

 



  
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