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Autore: Axia    24/12/2007    29 recensioni
Spin off derivante dai bei tempi de La Scommessa, di Kysa: la nascita di un'amicizia indissolubile, i motivi che hanno spinto Hermione Granger ad aprire il famoso Trio Miracoli verso un "qualcuno" a cui lei sarà fatalmente legata per il resto della vita. Storia di amicizia vera, senza le complicazioni portate da quell'altalenante sentimento che è l'amore, esplicativa per l'Alchimia del Sangue.
Genere: Triste, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Draco Malfoy, Harry Potter, Hermione Granger
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“A Gio, grande amico che capirà questa fic meglio di tanti altri...e anche i motivi per cui all’amicizia, titoli e prefazioni non servono.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SINE TITULO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Guardava attraverso la grande finestra alta fino al soffitto come tante, nella biblioteca di Hogwarts.

La brina aveva cristallizzato i vetri, la fine di febbraio si avvicinava e fuori una piccola tempesta di neve pareva voler rallegrare i giochi spensierati degli studenti più giovani.

Lei però, la studentessa più brillante di Hogwarts, non aveva tempo per i giochi.

Non al suo ultimo e decisivo anno in quella scuola.

Ed Hermione Jane Granger aveva già moltissimi grattacapi.

Primo: salvare il Bambino Sopravvissuto per la settima volta in sette anni.

Perché i Mangiamorte avrebbero dovuto rovinare la tradizione proprio quella volta?

No, non scherziamo, Hermione ne era più che convinta.

I Mangiamorte erano idioti e solo gli idioti perseveravano.

E non solo loro.

Secondo: salvare Ron Weasley dalla bocciatura.

Perché aiutare un’ameba nello studio e farlo veleggiare verso un maledetto Accettabile era la missione di ogni migliore amica che si rispetti.

E terzo, ma non meno importante...la sua vita sociale e sessuale, che poteva essere riassunta con un semplice nome.

Draco Lucius Malfoy.

Maledetto il giorno in cui il suo orgoglio da Gryffindor le aveva imposto di accettare scommesse sacrileghe con quel promiscuo Principe di Slytherin.

No, basta!

Lei doveva studiare.

Cosa avrebbero dovuto fare anche Harry e Ron, che invece erano chissà dove a progettare chissà che retata ai danni dei Mangiamorte. E avrebbe dovuto studiare anche Draco, che invece era sicuramente chiuso in bagno a fumare illegalmente insieme al suo degno compare Blaise Zabini.

 

A volte si chiedeva come aveva potuto farsi incastrare da leghe così basse del genere maschile.

Lei, una persona tanto precisa, quadrata...noiosa, anche.

Ok, forse erano proprio i suoi ragazzi a dare colore alla sua vita.

Ma che male c’era se anche loro, per una volta, avessero imparato a cavarsela da soli?

 

Un gradevole profumo di caffè la fece improvvisamente rizzare a sedere, quando qualcuno le posò di fronte una tazza di fumante e calda bevanda.

Allibita, fece per protestare.

La mano che le aveva posato la tazza di fronte era affusolata, adornata da un anello sottile e argenteo, con una pietra quadrata, un lapislazzulo che Hermione non riusciva a immaginare meno brillante, ma di cui anche non poteva inorridire, pensandone l’immenso valore.

Non era Draco.

Gesti plateali di quel genere fra loro non erano ammessi, a meno che non avesse tentato pubblicamente di avvelenarla.

No, una tale gentilezza non arrivava neanche da Ron.

Perché sprecarsi in smancerie?

E Harry non avrebbe mai avuto l’idea di portarle delle bevande in biblioteca, per poi beccarsi le urla della Pince.

 

No, era stato qualcun altro.

Qualcuno che dopo essere rimasto in piedi, sopra di lei con un fare quasi innocentemente minaccioso, emise un risolino e andò a sedersi dall’altro capo della tavola da studio vuota, anche se ingombra di libri.

Sospirando, Hermione Granger si guardò attorno, intimorita dall’ennesima strigliata della Pince.

- Non sono ammessi cibi e bevande in biblioteca Edward.- borbottò impaziente, scoccando uno sguardo severo al ragazzo del settimo anno che le si era seduto di fronte.

- Mi viene bene fare gli occhioni dolci.-

Le iridi d’oro della Granger sprizzarono scintille.

- Le regole ci sono per un motivo.-

- Si per essere infrante, si potrebbe dire, ma temo che risulterei banale. Ci sono farci assaporare meglio la vita.-

- Se la vedi in questo modo.-

 

Era una strana creatura. O almeno era questo che Hermione si era sempre detta.

Edward Deverall Dalton.

Un Ravenclaw.

Un Purosangue doc, avrebbero detto a Slytherin.

Era tutto quello che lei non era.

Era come Draco Malfoy.

Primogenito e figlio unico.

Figlio di una delle famiglie di maghi più famose e antiche della Gran Bretagna.

Da alcuni pettegolezzi sentiti al Club dei Duellanti, lui e Draco avevano in comune un fatto che, volente o nolente, alcune volte di notte la faceva mortificare di gelosia.

Si, Edward Dalton era come Draco Malfoy.

I maghi col sangue più puro della Gran Bretagna e di quella intera scuola.

Però...però era anche vero che Edward non era proprio come Draco.

 

Scrutò quel ragazzo, dal celebre lignaggio e dal volto affascinante, sensuale e bellissimo.

Alto e dal fisico scolpito, come il viso che presentava ormai pochissimi dettagli dell’adolescenza che stava per passare.

La mascella forte, il naso dritto, una bocca che ogni ragazza presente in quella scuola avrebbe giudicato unicamente adatta a baciare, dalle linee morbide e dolci. Una bocca che però lei personalmente aveva sentito sortire discorsi brillanti, quasi inquieti, come le stesse parole di quel Ravenclaw...a ogni test, Edward spesso riusciva a raggiungerla.

Altre volte quella bocca restava chiusa.

Muta, immobile.

Come in quel momento.

Gli occhi di Edward, celesti come il lapislazzulo di famiglia che portava al dito, si erano posati sul cielo.

Cupo e ombroso.

Un tempo come tanti, lì fra quelle colline.

Dal Lago Nero si alzava alta la nebbia, intensa come nubi velenose.

Spesso taceva, quel ragazzo. Si chiudeva in se stesso.

Hermione si appoggiò sui gomiti, studiandolo. Lui, sempre così ricettivo, non sembrava accorgersi di lei.

Chissà a che pensava.

 

Le piacevano quegli occhi.

Il contorno della pupilla era ancora più chiaro del resto dell’iride.

Un contrasto perfetto coi suoi capelli scuri.

Le tornò in mente quando al quarto anno una sua compagna glieli aveva tinti di biondo.

Aveva dato scandalo, ma lui se n’era andato a spasso per il castello col suo solito fare baldanzoso.

Baldanza. Già.

E arroganza.

Si chiese come sarebbe stato vederlo coi colori di Slytherin quando il blu e l’argento del Ravenclaw parevano renderlo inavvicinabile. Ci pensava lui a sfatare quell’impressione, sorridendo a qualunque ragazza con fare troppo candido perché avesse unicamente buone intenzioni.

Non avesse tentato più e più volte di provarci spudoratamente e non si fosse preso a pugni con Harry e Draco, lei stessa dubitava che il Bambino Sopravvissuto avrebbe resistito alla tentazione di farselo amico.

Per Dalton, le regole come lui stesso avevo detto, erano fatte per dare sapore alla vita.

Per Harry Potter invece, le regole non erano scritte sulla pietra. Forse neanche sulla sabbia.

 

Ecco, in momenti come quello riusciva a guardare oltre ciò che lui voleva mostrare.

Secondo Ron, Edward era solo un pallone gonfiato. Un montato pieno di soldi e boria la cui incommensurabile libidine lo rendeva più apprezzato alla fauna femminile del castello e la cui intelligenza che spuntava solo ogni tanto lo rendevano apprezzato dai professori...certo, quando non ribaltava i banchi e se ne andava dalle classi sbattendo le porte, beccandosi note di demerito che avrebbero fatto impallidire anche i capelli rossi di Weasley.

Si, non era particolarmente affidabile.

A parte la faccenda dei capelli biondi tinti, ricordava quando al sesto anno si era presentato il classe con un gigantesco anellino d’argento al sopracciglio. O quando, alla scorsa festa di Halloween, si era praticamente fatto beccare con una delle sue tante ragazze, mezzo nudo, appiccicato a una colonna del secondo piano.

Non era certo il classico fidanzato premuroso.

Attorno a lui gravitavano ragazze di ogni tipo. Dalle pupattole dei primi anni alle più anziane, che agognavano solo di ricevere un suo sorriso, cosa che puntualmente accadeva, seguita poi in rapida successione da una sveltina che in lui non lasciava alcun segno.

 

- Sono bello, vero?-

Hermione si scrollò, lasciandolo a ridere della sua stessa arguzia.

Mettersi a scalfire le barriere altrui non faceva per lei. Aveva già problemi a sufficienza con Draco, cercare di farsi strada nel diabolico cervello di quel Ravenclaw non era nei suoi programmi.

Aveva troppo da fare. Così si alzò e ben attenta a prendersi la tazza, andò a infilarsi fra gli scaffali di Aritmanzia.

Ciò che non ipotizzava era il fatto che lui l’avrebbe seguita, pacifico, con le mani in tasca.

- Posso farti una domanda Herm?-

- Non chiamarmi Herm.- replicò lei, sfiorando i tomi sul terzo scaffale, alzandosi sulle punte.

- Potrei chiamarti amore, ma poi mi verrebbero i brividi.-

- Come ti pare.- rispose, già infiacchita – Vedi il testo di Gruber?-

- Quarto scaffale.- le indicò – L’ho preso ieri notte, non ci troverai nulla per la ricerca, prova con le tesi di Petra Tremaine. Comunque, mi chiedevo...- si appoggiò con la spalla alla libreria, con aria maliziosa -...che diavolo ci trovi in quel maniaco di Malfoy, eh?-

- A volte me lo chiedo anche io.- ansimò la strega, saltellando per arrivare alla sua preda cartacea – Che ci facevi qua ieri notte?-

- Non c’è un’anima alle due, è perfetto per studiare.-

Hermione smise di agitarsi, si girò. La sua espressione, come quella di Edward, non credeva a una sola parola di ciò che quel bugiardo le aveva raccontato.

- Ok, è perfetto per fare anche altro mentre studi.-

- La capacità di concentrazione di certa gente non fa che stupirmi.- rispose sarcastica – Se usassi un minimo delle tue energie per avere un andamento scolastico meno altalenante saresti il secondo miglior studente della scuola.-

Ciò che la stupiva di lui, in quei casi, era che a differenza dei suoi amici del Gryffindor o degli altri idioti della scuola, non l’aveva mai presa in giro per la sua fissa culturale, per così dire.

 

Eppure all’inizio, quando aveva messo gli occhi su di lei, stupendola non poco, l’aveva trattata in modo indegno.

Harry la usava all’inizio dell’anno per allisciarselo sugli schemi della squadra di quidditch e se dopo mesi lei aveva capito che Edward lo sapeva perfettamente bene, non si era mai capacitata di come potesse essere stato tanto stupido ai loro primi incontri: un vero idiota cafone, che non aveva parlato altro che di scope, soldi, possedimenti e quantaltro.

Essendo poi quel genere di ragazzo, chiedersi che avesse trovato in lei era stato facile.

Herm aveva sempre pensato a buon diritto che Dalton volesse tuttora portarsela a letto, però il suo comportamento si era modificato. E molto.

Vuoi per la rissa scoppiata dopo Natale con Harry e Draco, vuoi per altro, Dalton si era fatto decisamente più “umano”. Probabilmente aveva capito che quei discorsi con lei non attaccavano. Forse aveva solo cambiato tecnica.

Però...

A lei era piaciuto tanto quel ragazzino con gli occhioni azzurri, che nei primi anni di scuola era stato l’unico a non prenderla mai in giro per i dentoni. Così tranquillo i primi due anni...

E poi...

Quel giorno di vento, di marzo, Edward era stato chiamato fuori dall’aula di Pozioni dalla professoressa McGranitt.

E niente più era stato lo stesso.

 

Come aveva fatto a dimenticarselo?, si chiese la strega, sfiorando con la punta delle dita il librone della Tremaine.

Il cambiamento...era avvenuto dopo quel giorno.

Senza fatica, una mano superò la sua e arrivò agilmente, senza alcun problema, a prenderle il libro che voleva.

Si volse, trovandosi Edward dietro la schiena. Il ragazzo le porse il libro, sfoderando un sorrisetto bieco.

- Che mi dai in cambio?-

Lei sospirò, ringraziandolo.

- Non mi hai detto come va con Malfoy.- continuò Dalton, tornando ad appoggiarsi con la spalla alla libreria – Di recente vi vedo litigare meno. Hai scoperto come tappargli la bocca, presumo.-

La Granger ebbe la bontà di arrossire.

Non parlava mai di Draco con Harry e Ron.

A dire il vero, anche con Ginny si guardava bene dal divulgare particolari sulla sua storia con Malfoy. Dubitava che la sua migliore amica fosse interessata al figlio del peggior nemico di suo padre e degli Auror.

No, Ginny non capiva.

Lavanda e Calì poi, neanche a parlarne, si rifiutavano categoricamente di crederla capace di andare a letto con un essere maschile, figurarsi che ancora la pensavano vergine dopo la sua storia con Harry.

Era così scontata e prevedibile?

Draco non le aveva mai mosso critiche. Ma lei non parlava mai con nessuno di lui e aveva mille dubbi.

Studiando Edward, si chiese se fosse possibile avere una conversazione civile. Pareva disposto ad ascoltarla, anche se il tarlo del dubbio che lo facesse solo per avvicinarla e poi baciarla a sorpresa non svaniva certo per i suoi modi piuttosto gentili.

Quando osò aprire bocca però, fu costretta a richiuderla di scatto e a serrare le labbra.

Contare fino a mille sarebbe servito a non scagliare addosso a quel figliò di papà una corposa fattura Orcovolante.

Edward poco prima doveva aver visto qualcosa di mortalmente pauroso, perché era sbiancato, si era abbassato sulle ginocchia repentinamente e le si era schiacciato addosso, affondandole la faccia nel ventre, poco sotto il seno.

La Gryffindor si posò il libro su un fianco, schioccando la lingua.

- Che diavolo stai facendo?- chiese con tono di voce volutamente calmo.

Lui si rannicchiò tutto – C’è Miria.-

Si, Miria.

La famosa Miria, alias la ex ragazza più asfissiante del pianeta Terra.

Hermione buttò uno sguardo indietro: alta, con fulvi capelli gonfi e pettinati alla perfezione, curve da brivido e un visetto da bambola. Che aveva che non andava, a parte succhiarti via la vita?

Ma si, in fondo un po’ lo capiva.

- La smettessi di andarci insieme magari ti lascerebbe in pace, sai?- gli disse, con vocetta stucchevole.

Edward non osò muoversi, anche se mise il broncio – Mi attira con le sue arti amatorie.-

- Come no, ti ucciderà a forza di sesso. E adesso staccati, avanti, se n’è andata.-

In effetti la bella Ravenclaw era sparita, ancheggiando e salutando Madama Pince con vocetta stridula. Hermione la vide sparire oltre le colonne dell’ingresso, ringraziando che non li avesse beccati.

Quella era famosa per le sue piazzate. Non aveva voglia di farsi cavare gli occhi da quella belva scatenata e gelosa per colpa che non aveva commesso, senza contare che ne aveva già abbastanza di rivali.

 

Aveva una presa forte, ma molto gentile.

Ben diversa da quella di Draco.

Hermione lo lasciò alzare, lo lasciò ringraziarla, sfiancarsi in atteggiamenti e moine inutili.

 

Perché faceva sempre così con lei?

Perché si...sforzava?

Le altre le usava, poi le buttava via.

Perché con lei invece...tentava in ogni modo di tenersela vicina?

Lo metteva a disagio forse?

 

Non le dava l’impressione di essere innamorato di lei.

Non aveva quello sguardo...lucido, brillante.

Ma come esserne certa?

 

Aveva visto una sola volta un uomo innamorato e quei tempi con Harry erano passati. Un capitolo chiuso.

Draco evitava i suoi occhi in certi attimi tanto preziosi, che non sarebbero più tornati.

Ron addirittura celava i sentimenti, vergognoso come un bambino recalcitrante.

 

E allora perché quel ragazzo, un tempo tanto diverso e ora così spaccone, non faceva che sforzarsi di starle vicino, attirare la sua attenzione, parlarle, tentare ogni approccio?

Edward la confondeva.

 

- Non hai risposto alla mia domanda di prima.-

- Edward non dovresti immischiarti negli affari privati della gente.-

- Questa scuola è piena di teste vuote, almeno con te si può parlare anche se...-

Lei alzò la mano e subito Dalton ridacchiò – Così mi tarpi le ali. Malfoy non fa battute oscene?-

- Malfoy lasciamolo fuori dai nostri discorsi.- sentenziò la strega, tornando al suo tavolo dove notò, piuttosto compiaciuta, che il Ravenclaw non le aveva raccontato una balla. Quel testo era decisamente migliore di quello di Gruber.

 

- Almeno ti tratta bene?-

 

Stupita, sinceramente stupita, sollevò lentamente il capo.

Non era possibile che a Edward Dalton importasse davvero di lei.

No. Era troppo superficiale, troppo esagerato, troppo...tutto.

Nei brillanti occhi dorati della strega zampillava il sospetto. Il dubbio.

Un dubbio che fece ritrarre Edward, tanto da costringerlo ad alzarsi in piedi.

Era andato oltre.

 

- Bhè, ora vado. Ho un appuntamento con una bella Slytherin del quinto anno. Ci vediamo Hermione.-

 

Ecco, la situazione si ripeteva.

Parlavano, lui cercava di avanzare, si sforzava, poi si ritraeva.

Voleva qualcosa...

Ma non si trattava di un che di comune.

Non si trattava di portarla a letto, carpirle dei favori, sfruttare la situazione a suo vantaggio.

 

Quel ragazzo voleva qualcosa che non si poteva ottenere facilmente.

 

Cercava qualcosa che gli occhi non potevano vedere.

 

Qualcosa che le mani non potevano toccare, afferrare.

 

Ma cosa?

 

Hermione Granger rimase a fissare la tazza di caffè, ormai raffreddatosi.

Un po’ di luce stava schiarendole i pensieri.

 

Lui appariva in momenti del tutto particolari.

Quando era sola. Quando potevano parlare.

In luoghi come la biblioteca.

Mai alle feste.

 

La cercava, si interessava a lei.

Ma non era amore.

Ne era certa.

 

Ma cosa voleva Edward Dalton da lei?

 

Seguire un ragazzo per i corridoi di Hogwarts con aria mezza disperata e mezza ansiosa non le era mai parso un atteggiamento decoroso. No, mai. Per questo il suo orgoglio negli anni le aveva impedito di fare subito pace con Harry e Ron durante eventuali litigi, mettendo a nudo la sua dignità davanti a tutta la scuola.

Stavolta però, qualcosa mosse le sue gambe e la sua stessa nervosa dignità verso l’uscita della biblioteca.

Doveva trovarlo.

Poco importava se stava facendo la classica figura da ragazzina idiota che segue come un cagnolino fedele il ragazzo di cui è innamorata.

 

Lei non amava Edward.

E lui non amava lei.

Era proprio questo il punto.

 

Lui voleva qualcosa di diverso.

 

- Edward!- lo chiamò, arrivandogli a un metro – Edward, aspetta un attimo!-

 

Voltandosi, parve assolutamente sbigottito.

Già, come gli altri studenti, i pochi, che bazzicavano i dintorni della biblioteca a quell’ora.

Cercando d’ignorare un leggero rossore che sentiva salirle alle gote, Hermione deglutì un paio di volte.

Accidenti.

Non si era mai sentita così in imbarazzo neanche dopo la sua prima volta con Draco Malfoy.

E lì si che ci sarebbe stato da sprofondare.

Edward sbatteva le ciglia, fissandola con espressione interrogativa.

- Si? Cosa c’è?-

 

Prendergli la mano fu una mossa sbagliata.

E prendergliela con l’aria addolorata che sicuramente lei gli stava mostrando, fu l’errore più grande.

 

Non lo sentiva a suo agio, probabilmente avrebbe accettato un bacio appassionato privo di qualsiasi sentimento piuttosto che una simile stretta di mano...fatta con le più nobili intenzioni.

Sentì la sua mano tremare, più grande fra le sue, appena tiepida.

Dalla pelle un po’ screpolata, del classico ragazzo che esce con freddo e neve e non si cura delle conseguenze.

 

In quel momento però, era lei a non curarsi di ciò che avrebbe potuto dirgli.

Incurante...di ferirlo.

- Edward...- alzò gli occhi, deboli fiammelle dorate così prepotenti – Edward, mi dispiace che tu sia diventato...così...e mi dispiace per tua madre.-

 

 

 

 

 

 

 

 

Bam.

 

Vide l’oceano svuotarsi, aprirsi il cielo, l’acqua gelare.

Cristallizzarsi nei suoi occhi.

 

Con uno scatto repentino, quasi arrabbiato, fin troppo ferito, lui tolse la mano dalle sue.

Si era bruciato.

Era andato troppo vicino alla fiamma, come una sciocca falena.

 

Fu qualcosa impossibile da descrivere.

 

Lei, per la prima volta, sentì quasi le palme macchiate di sangue.

Aprire bocca, impossibile.

Che spiegazione dargli?

Che spiegazione avrebbe mai accettato?

Gli aveva portato via il suo scudo.

 

Arida la gola, insensibile la pelle.

C’era il veleno, ora, negli occhi di quel bambino che si ritrovava di fronte.

 

- Edward...-

 

 

Non una risposta.

Nessun fiato.

Niente.

 

Come un amante tradito le girò le spalle, distogliendo da lei il viso trasfigurato.

 

Traditrice.

 

 

 

 

Era andato via.

Quasi dubitava che sarebbe mai riuscita a parlargli di nuovo.

Come scusarsi d’altronde. Lei non era brava in quelle cose.

Ma perché non era riuscita a chiedersi la bocca?

Perché aveva dovuto riaprire quella dannata ferita, perché?

 

Un improvviso gelo al suo fianco, una presenza che ancora lei con i suoi rigidi parametri di futura Auror non riusciva a disporre, le fu più vicino di quanto avesse mai immaginato.

Alto e longilineo, Draco Lucius Malfoy stava guardando ciò che lei fissava ostinatamente.

Un puntino lontano.

 

- Perché stavi con quello?-

- Credo di aver fatto un guaio, Malfoy.-

 

Il biondo Principe di tutta Slytherin non mostrò alcun sentimento. Il liscio volto cui ogni linea era stata designata per lignaggio e grazia, restava immobile, assolutamente indifferente.

Alla vita, alla gente.

 

- Non mi va che parli con Dalton, è pericoloso.-

Hermione, a quella frase, sorrise mestamente – Stavolta credo che sia stato il contrario.-

- Ha la scorza dura, non stare a preoccuparti, qualunque insulto tu gli abbia rivolto.-

- E’ questo il problema. Non l’ho insultato.-

 

 

Mi sono solo spinta troppo oltre.

 

- Andiamo.-

Li lasciò afferrare per il braccio, stringere con più forza di quanto fosse stato necessario.

- Mezzosangue, certa gente l’aiuto degli altri non lo vuole. E’ una lezione che devi metterti bene in testa.-

- Qui si sta parlando di Edward, non di te.-

- Cambia lo scenario ma non la sostanza. Non a tutti serve un eroe.-

 

Un eroe.

No, Edward non aveva cercato un dannato eroe.

Non aveva bisogno di una paladina con spada e scudo.

 

Edward Dalton, in lei, aveva cercato una figura molto diversa.

E lei l’aveva respinto.

Solo ora lo capiva.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lei.

Un incubo.

Un’ossessione.

 

Edward, mi dispiace che tu sia diventato...così...e mi dispiace per tua madre.

 

Così gli aveva detto.

Con pena.

Pietà, ecco cos’aveva suscitato.

 

L’aveva osservata con interesse, per la prima volta, dopo un anno di conoscenza.

Da principio l’aveva trovata antipatica, supponente, saccente, irritante, priva di qualunque inventiva.

A undici anni poi, un ragazzino è piuttosto selettivo sulle proprie amicizie.

Lei per tanto tempo era stata solo l’amichetta saccente del famoso Harry Potter, un bimbetto come tanti altri, con una leggenda alle spalle che a lui era parsa solo una tristissima storia.

Tutto si era scatenato al secondo anno.

Frotte di storie sui mezzosangue e purosangue e lui, discendente di una delle famiglie più sacre, in certi campi.

Campi che a quanto pareva interessavano a molti, moltissimi.

Non si era mai fatto un’idea al riguardo. Maghi come i Dalton vivevano un’esistenza talmente separata dal mondo Babbano che per lui, i Non Maghi, erano semplicemente creature di un’altra razza, come i folletti o i vampiri, ma non necessariamente una razza inferiore alla loro.

 

La prima volta che aveva sentito la parola “mezzosangue” era stato un pomeriggio. La parola era uscita dalla bocca di Draco Malfoy. A Edward, Draco Malfoy non era mai stato né antipatico né simpatico.

A suo padre i Malfoy non piacevano.

A sua madre invece parevano non dispiacere.

Ma Edward aveva sempre pensato a sua madre come una donna troppo buona per provare odio o disappunto verso qualcuno.

Comunque, aveva scoperto che un mezzosangue era un mago da compatire, per il suo sangue misto.

A lui invece, la teoria che la magia potesse nascere anche nel figlio di due Babbani, era parsa magnifica. Insomma, secondo il suo modesto parere di dodicenne, se dal niente nasceva un mago, voleva dire che la sua magia doveva essere davvero...forte!

Così aveva iniziato a spiare Hermione Granger.

Era sempre supponente e saccente, ma se non si trattava di scopiazzare compiti o infrangere le regole, poteva essere una buona compagna di conversazione. Sapeva però, in cuor suo, di non poter dire ai suoi genitori di quella bislacca e silenziosa simpatia che aveva coltivato misteriosamente dentro di sé.

George Dalton aveva molto lavoro e molti ideali.

Caroline Kessel Dalton...era la vita di Edward.

Il mondo iniziava e finiva con sua madre.

Però...però...una frase, che lui non poteva scordare, gli rimbombava in testa nei momenti più impensati.

 

 

 

 

“Blood Never Lies.”

 

 

 

 

Il saluto funebre della loro famiglia.

E non solo.

Il sangue non mente mai.

 

Quella frase doveva essere importante.

Sua madre non aveva fatto che ripetergliela negli ultimi giorni della sua vita.

 

Si, perché il mondo aveva smesso di girare un ventoso pomeriggio di fine marzo.

Edward era stato chiamato dal professor Vitius verso il giardino di Hogwarts.

Ad aspettarlo c’era suo padre, insieme al professor Silente.

Quel suo volto cinereo come quello di un cadavere avrebbe dovuto indicargli la via di fuga più vicina a quella sua nuova orrida verità.

 

Una nuova vita.

Senza sua madre.

 

 

Caroline Alexia Kessel in Dalton era morta, annegata, al Lago di Lochness.

Le acque non avevano restituito il corpo.

Via le lacrime, via le fiaccole, via la bara d’ebano colma di vuoto.

Fiori e drappi neri, donne coi volti coperti di garze, compagni, amici, parenti.

L’odore dell’incenso e dell’erba bagnata.

 

Poi, l’ultimo dolore.

Insieme a sua madre, anche suo padre se n’era andato via.

Ed era rimasto solo.

 

Solo, con un padre che fissava un lontano orizzonte, lasciando indietro un figlio dodicenne che non si sarebbe mai più ripreso.

 

Aveva scoperto il sesso una sera a Capodanno.

Verso i quindici anni. Una ragazza, una più grande di lui, invitata a una dei tanti party dell’alta società dei maghi, l’aveva trascinato in uno degli armadi dopo aver flirtato con lui per tutta la durata della festa.

A malapena ricordava il suo nome.

A malapena si era sentito ancora se stesso, dopo quel piacere devastante...e poi il lancinante dolore, in seguito, nel ritrovarsi abbracciato a una ragazza per cui non provava neanche un lieve trasporto.

Lo stordimento però...oh, non l’aveva più scordato.

Come quell’attimo, quella breve illusione durante l’orgasmo, di essere ancora amato.

Come un tempo.

Il tempo in cui tutto era stato perfetto.

 

A cinque anni di distanza, non era cambiato pressoché nulla.

A parte il ricordo di sua madre.

Ci si era aggrappato con tutte le forze, inutilmente.

L’aveva dimenticata.

Il suo viso, la sua voce, il modo in cui gli raccontava storie di maghi, i suoi gesti del thè pomeridiano.

Il suo pettinarsi i capelli la sera, prima di andare a letto.

 

Cinque anni di ossessivo controllo del padre.

Si era sforzato dannatamente, ogni giorno, fino a stremarsi, di tenerlo ancora alla realtà.

Risse, bullismo, capelli tinti, orecchini, sbronze, sesso...

Le aveva provate tutte.

Quante volte suo padre era esploso, quante volte era venuto a parlare coi professori.

Pazienza se ora lo riteneva un figlio degenere, una pecora nera.

Almeno nei suoi occhi vedeva ancora interesse per lui, per la vita.

Non era importante vivere, se suo padre si scordava che lui esisteva.

Doveva sforzarsi, sforzarsi e ancora sforzarsi.

Ma era così stanco...

 

Tanto stanco...

 

Varcò la torre del Ravenclaw e quel suo ritorno al dormitorio fu come un ritorno da sconfitto.

Ecco che aveva ottenuto.

La pietà.

Niente di più.

Aveva cercato di avvicinarsi a quell’unica persona che in tanto tempo avesse destato in lui un minimo d’interesse. E aveva rovinato tutto, facendosi scoprire. All’inizio, nel vederle crescere e diventare una donna, si era vergognato del sentimento che cercava in lei, perciò aveva tentato di farlo mutare in desiderio fisico.

Questo, a suo modo, l’avrebbe reso forse più normale...

Ma non era servito.

L’aveva seguita negli anni, l’aveva vista proteggere i suoi affetti, vegliare sui suoi amici.

L’aveva vista innamorarsi di un eroe, poi tentare di nascondere l’amore vero verso Draco Malfoy.

Quando la storia fra loro due era iniziata, si era sentito sciocco nello scoprirsi apprensivo.

E se Malfoy l’avesse ferita, usata, si fosse preso gioco di lei per poi gettarla via?

A distanza di mesi, assisteva agli aventi con l’anima in subbuglio.

Oh, aveva capito di non avere speranze. Se Harry Potter non era riuscito a staccarla da Malfoy, nessuno ce l’avrebbe fatta. Tantomeno lui, che non provava l’amore che invece Hermione Granger agognava a possedere.

 

Quel giorno aveva toccato il fondo.

Era diventato così affamato d’affetto da andare a raccoglierne le briciole da quella che in fondo era una perfetta estranea, sulla cui figura lui aveva costruito castelli e fantasie.

 

Percorse i corridoi, chi lo chiamava restava a bocca aperta.

Era insolito non trovarlo di buon umore per due chiacchiere. Stavolta i suoi compagni sarebbero rimasti delusi.

Aveva tutta l’intenzione di chiudersi nella stanza del Capo Scuola, Terry Steeval era suo amico, non se la sarebbe presa troppo, e restarci dentro come minimo per due giorni.

All’inferno gli amici, Miria, le ragazze, suo padre e anche...Hermione Granger.

Le sue palpebre si erano fatte pesanti ancor prima di lasciarsi cadere sul letto di Steeval.

Chiuse la porta, la serrò magicamente con tutte le residue forze che gli restavano e si lasciò cullare.

Da voci, ricordi, brevi momenti passati.

Perché si era fissato tanto?

Perché ancora adesso, a distanza di cinque anni, tentava con tutte le sue forze di essere diverso da quello che era?

Era così convinto di dover proteggere di altri dal dolore che alla fine era annegato nel suo.

 

Tentò di passare una notte più serena possibile.

Ignorò i richiami dalla porta, le civettuole compagne che gli promettevano inviti privi di attrattiva, gli spettri che si lagnavano, anche gli aiuti degli amici.

A cosa sarebbe servito parlare con loro, se lui per primo rifiutava da anni una bella chiacchierata con se stesso?

Analizzarsi allo specchio gli avrebbe fatto più male che bene...ma ora come ora, non vedeva vie d’uscite.

Le sue fantasie su Hermione Granger gli erano state di conforto.

Le poche volte in cui era riuscito a convincerla a studiare insieme, erano state anche le serate che ricordava con maggior piacere. Adesso non ne avrebbe più avute. Più nessuna occasione di...averla vicina.

Di essere l’amico che ci prova scherzando, di corteggiarla e mentire nel farlo.

 

Non le interessava quel genere di emozione da lui.

Lui stesso non l’amava com’era possibile che invece Malfoy facesse.

Dunque, perché ostinarsi a...essere diverso da quello che era?

 

La verità pura e semplice sarebbe stata tanto tragica?

Lui voleva solo...avere quello che Harry Potter e Ron Weasley avevano.

Una sorta di figura materna che ogni tanto li proteggeva dalle intemperie della vita.

Ma lei...l’avrebbe capito?

 

Hermione Granger l’avrebbe accettato anche così?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tre giorni.

 

Erano passati tre giorni e non l’aveva più visto.

In Sala Grande, Hermione Granger non era riuscita a negare neanche a se stessa di aver cercato ossessivamente per tre lunghe giornate il ragazzo che aveva ferito.

Edward non si era più visto.

Il suo posto di privilegio al tavolo del Ravenclaw era rimasto vuoto.

Il suo banco in fondo, nell’aula di Trasfigurazione, era rimasto miseramente occupato solo da Terry Steeval.

Nessuna ragazza aveva camminato al suo fianco nei corridoi.

Nessun professore aveva avuto modo di lamentarsi della sua condotta.

Non si era più fatto vivo.

Semplicemente, aveva preferito evitarla a tal punto da non mostrarsi neanche nei luoghi frequentati da lei.

Era buffo, ma per la prima volta dopo tanto tempo, si chiedeva con ansietà quando e se avrebbe potuto risanare la situazione. Ne avrebbe avuto la possibilità?

Edward Dalton l’avrebbe perdonata?

Adesso riusciva quasi anche a sentirne l’assenza e quindi la mancanza.

Era assurdo capirlo quando ormai la situazione era degenerata a tal punto, eppure adesso...rimpiangeva di non vederlo più comparire. Sembrava essere diventato solo un fantasma del passato, un sorriso sfocato, un flash che appariva e si dileguava.

Si era infiltrato a tal punto nella sua quotidianità da farglielo rimpiangere.

 

Camminava a testa bassa lungo il sentiero, verso il campo da quidditch.

Draco finiva gli allenamenti. Harry e i ragazzi li iniziavano.

Ottima scusa, quella di interrompere un’eventuale rissa, per vedere Malfoy.

Una scusa che il suo orgoglio accettava, in un certo modo.

Alzò il viso al cielo, vedendolo terso, spazzato da un vento impetuoso che le sollevava i capelli in un ventaglio. Lo stesso anche fra le torri e le tribune del campo.

Si sedette nella panchina del Gryffindor, aspettando come ogni dannato mercoledì pomeriggio che Harry e Draco la smettessero d’insultarsi da un capo all’altro del campo, come due capi mafiosi attorniati da un buon gruppetto di boss minori.

Alzò la mano, facendo appena un breve cenno a Draco. Un cenno invisibile agli occhi di tutti.

Sorrise e ricominciò a salire la scala della tribuna. Restare in panchina insieme alle riserve non avrebbe fatto altro che portarle via del tempo e almeno, studiando, avrebbe impegnato la mente.

Per tenerla lontana da tragici errori commessi.

 

Le scope sfrecciavano alte, lasciando scie fischiettanti cavalcando alte onde di vento.

Era passata un’ora...e lei non era riuscita ad andare oltre la terza riga della pagina.

Di questo passo, il suo rendimento scolastico ne avrebbe risentito.

Non aveva perso il sonno nei primi tempi della sua scommessa con Draco...e adesso perdeva sonni e pensieri dietro a un ragazzo che non amava, che a malapena conosceva.

Iniziando a spazientirsi, chiuse di botto il testo e lo gettò nella borsa a tracolla, stanca e provata.

 

Il vento iniziò a soffiarle addosso, colpendola di schiena.

E sotto di lui, un gradevole odore di caffè le arrivò a inondarle i polmoni.

Prima che riuscisse anche solo a girarsi, qualcuno che posò una tazza di caffè di fronte, sul bordo della balaustra.

 

 

 

- Edward...-

 

 

Tre giorni senza vederla e aveva subito ceduto.

Ma che razza di uomo era?

Non faceva che chiederselo, specialmente perché da quella mattina non aveva fatto altro che pedinarla.

L’unico ad accorgersene era stato Potter e poco c’era mancato che lo Schiantasse al muro come uno stolto sfuggito da un gruppetto di Mangiamorte. Si era dato di nuovo alla fuga, fino a che aveva deciso di smetterla di protrarre la sua agonia. In fondo, cos’avrebbe potuto dirgli Hermione Granger di tanto orribile?

Un no.

Certo, ne avrebbe sofferto da morire, ma non ne sarebbe morto.

Così aveva fatto come tutte le volte.

Le aveva portato un caffè, come ogni volta, e come ogni volta le sorrise non appena lei alzò il volto.

Ma stavolta non riuscì a sorridere.

A malapena riuscì a stirare le labbra in una smorfia.

Lei invece lo chiamò per nome, sbalordita dalla sua apparizione...si era forse accorta della sua assenza in quei giorni?

 

- Dove sei stato?-

 

Si, se n’era accorta.

Che poteva dirle? Scusa ma non sei nessuno per farmi questa domanda?

Dannazione.

 

- Edward, io ti devo delle scuse.-

 

Pure.

Stupito, levò lo sguardo non più imbarazzato, non più confuso, non più desolato.

Lei gli stava facendo delle scuse.

Lei...si stava prendendo delle colpe che non erano sue.

 

- Bevi il caffè.- sussurrò, prendendo la tazza dalla balaustra e mettendogliela fra le mani – Si raffredda.-

Lei fissò la ceramica rossa, passando il dito sul bordo in modo circolare.

 

Non voleva parlare di ciò che era stato.

Ebbene, di cosa voleva parlare allora?, si chiese la strega.

Forse...di qualcos’altro.

Deglutì e sorseggiò il delizioso caffè macchiato, per prendere tempo.

Ma lui era tornato. Le aveva riportato il caffè e sebbene non fosse riuscito a sorriderle, era tornato.

Accettando un fatto.

Accettando che tutto era cambiato adesso.

 

Inspirò forte e rizzandosi a sedere, Hermione tornò ad essere Hermione Granger.

- Allora...- bofonchiò, assumendo la sua classica espressione – Hai fatto la ricerca di Pozioni per domani o no? Se aspetti che ti passi gli appunti per farti copiare ti sbagli di grosso.-

Sbalordimento, un rapido accenno di pace e infine...un sogghigno.

Edward Deverall Dalton si girò, restando di profilo, un profilo su cui compariva uno splendido ghigno.

Che fosse stato di soddisfazione o di quiete, lei non poteva saperlo.

Ma era bello vederlo ghignare come una volta.

 

- Ho fatto tutto da solo, tranquilla. Tu mi servi per qualcos’altro.-

- Che cosa?- sussurrò, senza distogliere lo sguardo.

- Non so bene...però ti starò addosso.- la sfidò, con aria non belligerante – Tanto addosso fino a che ci arriverò. Prima o poi capirò che cavolo mi hai fatto.-

- Qualcuno potrebbe non essere d’accordo.-

- Non dirlo a Malfoy...fa finta che sia una specie di amante segreto, anche se non facciamo sesso.-

- Wow...è la prima volta che parli chiaro.-

- Già, è quasi terapeutico.-

- Che ne dici di dirmi sempre la verità, d’ora in avanti?-

- Non lo so...-

- Io pretendo quella dai miei amici.-

- Vedrò di fare il possibile allora. Per essere un amico.-

- Davvero?- Hermione si scostò i capelli dal viso, portandosi una ciocca dietro la conchiglia dell’orecchio – Vuoi farlo sul serio?-

- Entrare nella squadra...hm...- Edward emise un basso gemito, facendo quasi le fusa e stiracchiandosi – Non ci avevo mai pensato. Entrare nella squadra-famiglia del Bambino Sopravvissuto...devo fargli avere le mie referenze?-

 

 

 

Le referenze.

Bella cosa.

 

 

Il vento tornò a soffiare più forte di prima.

 

 

 

 

Hermione Granger ed Edward Dalton stavano seduti in tribuna, più vicini di prima.

Le scope continuavano a volare.

Il Bambino Sopravvissuto cavalcava il suo manico anche contro corrente, con la frangia corvina scossa dagli sbalzi e l’eroica cicatrice che spiccava sulla sua fronte.

La sua compagna di tante avventure invece, seduta a vegliare su di lui, stava pensando che le referenze, per il Purosangue Edward, avrebbe potuto fornirgliele lei stessa.

Niente di meglio che un nuovo amico per terminare la scuola...e concludere un’importante battaglia.

 

La vita riservava molte sorprese, pensò, finendo il suo caffè.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Edward Deverall Dalton ne era la prova vivente.

 

 

 

 

 

 

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