Premessa: I personaggi di FMA non mi
appartengono di certo, perché se fossi stata l’Arakawa a quest’ora non stavo a
scrivere ‘sta roba. Comunque questo è un Universo alternativo per cui, anche se
spero di aver mantenuto il carattere di ogni personaggio, ho fatto anche
qualche modifica:
- Il luogo in cui si
svolge la storia è lo stesso del manga, ma non si parla affatto di
alchimia e la nostra tecnologia troneggia indisturbata.
- Non ci sono auto-mail
e Alphonse non è un’armatura: è il bel ragazzo con il biondi capelli
corti che ho intravisto nel film (purtroppo non sono riuscita a vederlo,
sob…)
- Le età dei personaggi
sono un po’ adattate all’esigenza: quella di Mustang e Riza più o meno
rimane invariata (in fondo a un volume mi pare di aver letto che lui ha
circa trent’anni) Edward e Winry invece sono più grandi, hanno sui
diciannove anni, e ovviamente Al ne ha uno in meno di loro.
Ah! Dimenticavo che il discorso del Rally me lo
sono un po’ riadattato e Winry e Ed non sono amici d’infanzia.
Per chi fosse interessato soprattutto agli
intrecci sentimentali posso anticipare che ci saranno coppie più scontate come
WINRY-ED, ROY-RIZA, ma altre assolutamente (credo) inaspettate, come HAVOC-?,
AL-? E soprattutto quello che m’inventerò sul momento.
Questo è il mio regalo di
Natale per Faith e Diablo: vi devo un grosso “grazie”, ragazzi, perché siete
riusciti a illuminare il mio “Periodo Buio”; questa storia è dedicata a voi,
perché avete creduto in me fin dall’inizio e continuate a farlo tutt’ora.
E
con questo, concludo dicendo: BUON NATALE A TUTTI!!!!
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Fullmetal Racing
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3,2,1… Via!
La linea di arrivo
era vicina… Vicina come l’acqua di una sorgente per un assetato che ha appena
attraversato il deserto a piedi.
Sarebbero bastate
solo due curve per avere in mano la vittoria.
«Forza, Al! Dai, che stavolta lo battiamo
quel pallone gonfiato!>>
«Attento, all’ultima curva è parecchio
instabile, c’è molta ghiaia, la macchina ha poco grip!>>
Edward mostrò il
suo tipico ghigno da sbruffone, e alzò gli occhi al cielo prima parlare,
proprio come se quello che doveva dire fosse la cosa più ovvia del mondo: «Tranquillo
fratellino! Non a caso mi chiamano il “Pilota D’Acciaio”!>>
Il maggiore dei
fratelli Elric sterzò bruscamente a destra in una piena curva a sinistra,
avvicinandosi pericolosamente ad un baratro. Il co-pilota seduto al suo fianco
non fece neanche un fiato, si limitò a piegare la cartina con la mano sinistra
e a sorreggersi alla maniglia laterale con la destra. La macchina perse
aderenza sulle ruote posteriori e fece un mezzo testacoda, lasciando che la
vettura prendesse esattamente la direzione della curva.
Ed sorrise, con
l’aria di chi la sa lunga: «Questo è correre! Vai piccola, portaci fino
alla vittoria!»
Fece pressione sul
gas con violenza non appena la strada raggiunse il rettilineo finale, ma il
giovane ragazzo che aveva accanto non sembrava così convinto come il pilota: «Attento
fratellone! Non forzare così il motore!»
«Eddai Al! Mancano solo cinquecento metri,
cosa vuoi che succeda?»
Edward guardò lo
specchietto retrovisore e notò un’auto blu spuntare dall’ultima curva: «Deve
mangiare la polvere, quello spaccone da strapazzo!» e detto questo, mostrò
fuori dal finestrino il suo dito medio con un ghigno.
Al si limitò a
scuotere la testa con aria rassegnata.
Mancava pochissimo,
solo un paio di metri e la vittoria sarebbe stata loro.
«Dai, rallenta! Hanno già perso un bel po’
con l’ultima curva, nessuno sa impostarle come te!»
«Stà zitto Al! Deve andarsene con la coda tra
le gambe quel dannato Mustang! Pilota di Fuoco? Tks! Ma fammi il piacere!»
Ed era sempre più
esaltato mentre la linea del traguardo si mostrava davanti ai loro occhi: piena
di adrenalina, sogni e compiacimento.
«Sììì!!>> gridò col fervore di uno
appena uscito dal manicomio.
Ma all’improvviso
tutto si bloccò: le grida della folla, il rombo del motore, il sobbalzare della vettura.
«... Eh??»
Prima che
potessero capire quello che stava accadendo, Ed e Al videro un intenso fumo
bianco fuoriuscire dal cofano dell’auto… e Roy Mustang, che li superava con un
sorriso sensuale, andando a tagliare il traguardo per primo.
Edward non si
accorse nemmeno del fratello sceso velocemente nel tentativo di arrestare
l’arretramento della vettura in salita. Era rimasto lì, attonito, a fissare
immobile il traguardo che avrebbero dovuto varcare per primi.
Poi esplose.
«MALEDIZIONE!!» prese a pugni il volante con
una forza tale da farsi male alle mani.
«Dannazione! Dannazione! DANNAZIONE!»
«Fratellone, dai, muoviti! Sono già passati
in otto sulla linea del traguardo, se non ci sbrighiamo non arriviamo neanche a
punti! Metti in folle e spingiamo!!>>
Quell’amara
constatazione sembrò risvegliare Ed dal suo stato di pazzo omicida. Mise la
folle e scese di macchina sbattendo malamente la portiera.
Il nono
classificato stava arrivando a tutta velocità: non ce l’avrebbero mai fatta a
rientrare fra i primi dieci.
«MALEDIZIONE!>> sbraitò il ragazzo,
assestando un calcio al paraurti già malmesso dell’auto con tutta la rabbia e
la violenza che aveva in corpo.
«Fratellone! Dai, spingi!!>>
Digrignando i
denti, il maggiore degli Elric iniziò a scaricare i nervi spingendo a più non
posso: Al aveva ragione, se stava ancora a perdere tempo non ce l’avrebbero
fatta. I futuri decimi classificati erano alle loro spalle, il motore rombava
in maniera terrificante e fastidiosa, ma a loro mancava solo qualche
centimetro… solo un’altra spinta…
Con un ringhio
disperato, i due fratelli accompaganrono la vettura oltre la linea di arrivo,
un secondo prima che piloti alle loro spalle sfrecciassero a rubargli l’unico
punto che i decimi classificati potevano guadagnare.
Flash di fotografi
li catturarono da ogni angolazione, mentre le grida della folla e dei motori
tornavano a vorticare in maniera irritante nelle loro teste. Le ultime vetture
in gara li sorpassarono e volarono verso le loro squadre o a godersi il giro
d’onore e fu solo allora che i tre tecnici della squadra Elric accorsero a
sostenere la macchina in discesa.
Ed e Al si
lasciarono scivolare lungo il paraurti e caddero a terra, stremati per lo
sforzo e l’improvvisa mancanza di adrenalina.
Rimasero lì, la
delusione dipinta sui volti fin troppo giovani per quell’ambiente e con il
sapore amaro di una vittoria quasi sfiorata. Fu Ed il primo a rialzarsi: si spolverò
i pantaloni con la sua ritrovata aria spavalda e tese una mano al fratello per
aiutarlo a mettersi in piedi.
«Muoviti. Ci hanno scattato fin troppe foto
in queste condizioni, si sta radunando più gente del dovuto qua attorno».
Al
annuì con aria seria e s’incamminò verso la postazione della loro squadra,
lasciando i meccanici ad occuparsi del “ferrovecchio”, tanto per citare le
parole di suo fratello.
Se
la situazione non avesse influito così pesantemente sull’esito finale del
campionato, la scena dei tre collaboratori poteva perfino risultare comica: il
signor Garfiel stava in disparte, come una vera e propria Star e non si
risparmiava nel dare ordini a quei due poveri disgraziati che lavoravano sotto le
sue direttive.
«E che diavolo, Garfiel! Vieni almeno a
darci una mano!>>
«State scherzando?>> replicò l’altro
come se avesse appena udito una fesseria di dimensioni esagerate. «Ho
appena fatto la manicure! Mi rovinerei le unghie! Non avrei dovuto rimettere un
dito su quest’auto fino alla fine del Week-end e invece quel tap…»
«A-ehm».
I
meccanici sbiancarono, non appena videro Edward fermarsi alle spalle del
capo-meccanico con il pugno minacciosamente levato in aria, mentre il diretto
interessato, intuito il pericolo, si astenne dal dire la fatale parola.
«Certo che Edward ha fatto proprio una bella
corsa oggi… peccato che il motore non sia stato grintoso quanto lui!>>
«Proprio vero, capo!>> si affrettarono
a replicare gli altri con un risolino forzato.
«Forza! C’è da soccorrere un’auto! Datevi da
fare!» disse Garfiel, intuito lo scampato pericolo e riprendendo a gesticolare
animatamente, «fatemi vedere tutti quei bei muscoli…»
aggiunse con aria ammiccante.
Mentre
si allontanava, Ed percepì i borbottii e i sommessi ruggiti degli altri, ma poi
la sua attenzione fu attirata da ben altro: per la prima volta dalla sconfitta,
il suo morale si risollevò scorgendo il fun-club degli Elric.
Rgazzine
petulanti ed esaltate si sporgevano verso di lui come in adorazione, strillando
parole che non riusciva a comprendere ma che ormai aveva imparato a conoscere
bene. Il suo sorriso si allargò, mentre salutava verso di loro con la mano
constatando che c’erano molte più ragazze per lui che per Al… e un istante dopo,
il sorriso gli crollò dalle labbra notando l’enorme numero di donne, bambine,
adolescenti, ragazze, vecchiette e top-model che strillavano come possedute,
allungandosi verso il sorriso seducente di Roy Mustang e della sua bellissima e
sempre composta co-pilota Riza Hawkeye.
Maledizione:
due a zero per lui.
I
giornalisti iniziarono a infiltrarsi fra le transenne e le guardie come uno
sciame di api verso il miele:
«E così Roy Mustang taglia per primo il
traguardo per l’ennesima volta in questa stagione, arrivata ormai ben oltre la
sua metà.
L’appellativo
col quale è conosciuto in tutto il mondo del Rally gli calza a pennello, visto
che il suo nome regna incontrastato sulla vetta dei primi tre posti del
campionato: “Pilota di Fuoco”, e si dice non solo per la sua bravura sulla
pista, ma soprattutto per la grande abilità nel conquistare il regno femminile…
sarà per questo che ha la fortuna di avere la corteggiatissima Riza Hawkeye al
suo fianco. La rigida compostezza e serietà che sfodera nei momenti di
preparazione e durante la gara sono state più di una volta la salvezza per il
Pilota di Fuoco e non sembrano aver intaccato minimamente la sua bellezza, così
impetuosa nella semplicità di quegli occhi scuri… Ma ecco che passano i
fratelli Elric!» cambiò improvvisamente argomento il cronista, «Edward,
il più basso, è altrimenti detto il Pilota d’Acciaio per la caparbietà con la
quale insiste nel mantenere i rapporti con la squadra di Maes Huges e le
ferraglie che l’uomo gli fornisce. Pilota d’Acciaio, perché nonostante tutto,
porta sempre la sua auto tra i primi dieci: è il più giovane e abile pilota
della storia del Rally, che non ha ancora ceduto alle proposte di Rose, la
proprietaria di una delle scuderie più ricche e vincenti. Piccolo di età e di
fatto, Edward ci ha sempre abituato ad un atteggiamento del tutto opposto a
quello del fratello minore: la sua irruenza e il suo orgoglio non l’hanno
aiutato a diventare il pilota della stagione… suo padre è rimasto nella storia,
ma…»
Un
brusco strattone alla telecamera, fece ondeggiare pericolosamente l’immagine
trasmessa e troncò l’inarrestabile soliloquio del giornalista.
«Ehi! Falla finita di parlare come se non
fossi qui davanti! E poi chi sarebbe il piccoletto? Razza di micro-nano col
microfono? Eh? EH?!? Allora??»
«Fr-fratellone, per favore, da casa ci
stanno guardando!»
Ed
si voltò bruscamente verso il compagno di squadra, gli occhi ridotti a fessure
per la rabbia: «Non me ne frega un accidente! La gente ha
visto chi è stato davanti tutta la corsa, di certo quel Finocchio di Fuoco non
ha vinto così facilmente!»
Al
sgranò gli occhi per l’imbarazzo e diede una fugace occhiata verso la
telecamera che li stava ancora riprendendo: «Ma cosa dici, Ed!»
«Mi hai sentito!» continuò a sputar fuoco
l’altro, fregandosene altamente delle telecamere e dei curiosi, «che
bisogno c’era di salutare con la mano mostrando quanto è bianca la sua
dentatura? Quel cavolo di Musta--»
Ma
la frase non fu terminata, perché Al arrivò alla conclusione che la cosa
migliore da fare era sbarazzarsi di lui. Gli tirò un calcio e lo spedì lontano
fino a farlo sparire, poi riprese la sua solita compostezza ed esibì alle
telecamere il dolce sorriso imbarazzato che ammaliava ogni fan: «Scusate,
sapete com’è fatto» disse, scompigliandosi i corti capelli color oro con un
gesto impacciato, «aver rotto all’ultima curva stavolta l’ha
fatto proprio imbestialire!»
Il
giornalista rise divertito e scosse la testa nell’osservare il buffo quadretto
familiare dei due fratelli: «Eheh! Ormai siamo tutti abituati all’impeto
di Edward!»
«È per questo che la gente lo ama» asserì Al
con semplicità.
L’altro
rise, stavolta in maniera più maligna: Alphonse era così diverso da suo
fratello, non ci voleva niente per metterlo in imbarazzo. La timidezza che lo
contraddistingueva era nota a tutti, ma allo stesso tempo, lo era anche la ferocia
distruttiva che tirava fuori se qualcuno minacciava le persone a lui care.
«Ma anche tu hai un bello stuolo di fan e
ragazzine che ti seguono ovunque, vero Al? La tua dolcezza completa in pieno il
carattere di tuo fratello» insinuò maliziosamente il giornalista.
Il
ragazzo diventò completamente rosso, ma riuscì a deviare abilmente il discorso:
«Beh,
non so… comunque non prendete troppo sul serio mio fratello, in realtà è molto
più onesto e buono di quello che lascia vedere. Lui non lo ammetterebbe mai, ma
Ed e Roy Mustang sono davvero ottimi amici» e detto questo, allungò una mano ad
indicare il fratello.
La
telecamera riprese l’immagine di un ragazzo con la tuta da pilota nera e rossa,
con i capelli biondo oro legati in una breve treccia intento a stringere la
mano dell’acerrimo avversario. I corti capelli neri di Roy spiccavano, in
contrasto con la tuta blu scuro che indossava e i suoi leggendari occhi d’ebano
andarono a posarsi sul ragazzo, sorridendo complici ma allo stesso tempo
canzonatori.
«Te la sei cavata bene oggi, Acciaio» disse
Mustang, ricambiando la stretta di mano.
«Ma fammi il piacere» replicò spiccio
l’altro, «non ho certo intenzione di farmi prendere
ancora in giro da te. Goditi la vittoria, perché sarà l’ultima» aggiunse con la
stessa complicità del “nemico” e mostrando un ghigno di sfida.
L’altro
annuì, divertito dal solito scambio di battute e lasciò la mano di Ed facendogli
capire che non gli avrebbe permesso di vincere così facilmente.
«Edward».
Il
giovane pilota si volse in direzione della voce femminile al fianco di Roy: «Oh,
Riza! Sono venuto per stringervi la mano… a dire il vero non era che ci tenessi
poi tanto a stringere quella di Mustang».
«Bada a come parli, piccoletto» minacciò il
preso in causa.
Riza
si mise in mezzo tra i due prima che Ed iniziasse a sbraitare in ogni lingua
per l’allusione alla sua altezza: «i complimenti te li dobbiamo noi… sei stato
davvero bravo nell’ultima curva».
«Beh… in effetti è vero» decretò alla fine
il biondo, non riuscendo a mantenere la sua finta aria modesta, poi si rivolse
all’altro pilota, indicando la donna: «tienitela stretta, senza di lei non faresti
neanche un metro».
«È quello che le ripeto ogni giorno…»
rispose Roy, sorridendo con malizia al suo co-pilota.
La
donna però non si lasciò abbindolare e lo prese per un braccio spingendolo
verso i giornalisti: «Sì, certo, come se non lo avessi sentito
ripetere fino alla nausea a tutte le tue donne… muoviti, devi rilasciare le tue
dichiarazioni».
Edward
rise nel vedere quella scena: Riza ara proprio quello che ci voleva per
rimettere in carreggiata il Pilota di Fuoco, solo lei era in grado di farlo
ragionare quando metteva la testa avanti.
Perso
nei suoi pensieri, il ragazzo non si accorse di essere stato afferrato
sinuosamente per un braccio, ma il profumo che gli inondò le narici e la
percezione di “lei” che gli si strusciava addosso lo riportarono velocemente al
Presente.
«E così ce l’hai fatta per un soffio anche
oggi, eh?»
Ed
chiuse gli occhi, in piena esasperazione: per l’ennesima volta contò fino a tre
per ritrovare la diplomazia necessaria a non liquidare malamente una delle
donne più ricche del suo paese. Si voltò in direzione della voce e si trovò ad
osservare i familiari capelli castano scuro che lottavano con i ciuffi della
frangia colorati di rosa.
«Eh, sì, anche per stavolta mi è andata
bene» rispose, guardando il viso abbronzato di Rose e abbozzandole un sorriso.
La
ragazza levò una mano a sfiorargli la guancia con un gesto che poteva sembrare
materno, ma che invece nascondeva ben altro: «con tutto il tuo
talento potresti arrivare molto più lontano…»
«Per favore, non ricominciare» la fermò Ed,
liberandosi dalla sua presa e scostandosi da lei. Prese a camminare,
indirizzandosi verso il camper e il tir che trasportava la propria auto. Per
fortuna quella volta erano riusciti ad affittare un garage non lontano dalla
pista.
«Dai, Ed, non fare lo scontroso! Dico solo
che se decidessi di firmare il contratto per noi non avresti più nessun rivale…
noi due saremmo una squadra perfetta» ammiccò Rose con fare sensuale.
«Me lo ripeti dallo scorso anno, ma ormai
dovresti già sapere qual è la mia risposta» replicò l’altro con durezza. «Maes
Huges ci ha dato fiducia quando nessun altro avrebbe mai scommesso un soldo su
di noi. Non possiamo abbandonarlo».
«Quanto mi piace il tuo spirito di lealtà…»
cinguettò la ragazza con aria sognante, poi però gli si parò davanti e lo fissò
dritto negli occhi: «ma in questo mondo non si sopravvive con
tali ideali. Devi crescere, Ed».
Il
pilota ricambiò lo sguardo, fissandola coi suoi scintillanti e furbi occhi
dorati: «allora quando sarò cresciuto continueremo questa
conversazione».
Rose
rimase ferma in mezzo al trambusto di fine gara, fissando le spalle di Ed che
si allontanavano sicure. Un sorriso maligno le si aprì sul volto: quel ragazzo
doveva essere suo.
*** *** ***
Dopo
un breve tragitto in auto, Ed e Al arrivarono al grande garage che Huges aveva
affittato per loro: c’era radunata la squadra al completo. Il signor Garfiel
era chinato ad accarezzare il paraurti ammaccato che Edward aveva preso a
calci, gli altri due meccanici fissavano il motore con aria rassegnata, mentre
Maes Huges era a telefono con sua moglie e diffondeva cuoricini nell’aria,
sorridendo come un beota.
«No, cara, non abbiamo vinto, ma la mia piccola
Elicia si è tanto divertita a vedere Edward e Alphonse che spingevano la
macchina!»
Una
bambina di circa tre anni, aggrappata ai pantaloni del padre iniziò a
saltellare battendo le mani.
«Adesso te la passo, biscottino mio!»
continuò Huges rivolgendosi alla moglie e passando il telefono alla piccina.
Ed
non attese un secondo nel far esplodere la rabbia che gli era salita nell’udire
la conversazione del loro capo: «No, cara, non abbiamo vinto, ma la mia
piccola Elicia si è tanto divertita a vedere Edward e Alphonse che spingevano
la macchina!»
Il
maggiore degli Elric avanzò a grandi falcate verso Huges e Al gli corse dietro
velocemente, intuendo aria di tempesta.
«Ma che razza di uomo sei!>> iniziò a
sbraitare il piccoletto, posizionandosi sotto lo sguardo perplesso del padrone
della squadra. «Non ti rendi conto che potevamo vincere? Ma
tu preferisci spendere i tuoi soldi in inutili regali per tua moglie e tua
figlia e non te ne frega un accidente se i tuoi meccanici sono degli
incompetenti e la macchina un completo disastro! Sai una cosa? Avrei dovuto
mollarvi molto tempo fa!»
I
due meccanici fissarono Ed con aria estremamente infuriata e disgustata: «Ah,
sì? Allora se sei tanto bravo, riparalo tu questo ferrovecchio!» disse uno dei
due.
«Di sicuro farei un lavoro migliore del
vostro!» replicò con furia il pilota.
«Stavolta ne abbiamo abbastanza!» dissero
entrambi, sbattendo a terra lo straccio unto che usavano per pulirsi le mani e
avviandosi pieni di collera verso l’uscita. «Questa è una squadra
piena solo di pazzi e squilibrati, e il primo sei tu, piccoletto!»
«No, ragazzi! Ed non aveva intenzione di
offendervi, per favore tornate qui!» cercò di salvare la situazione Al,
volgendo lo sguardo tra loro e il Signor Garfiel, che era rimasto immobile al
suo posto guardando Ed con aria dispiaciuta.
«Piccoletto a chi?! Razza di pulce
bisunta!!» sbraitò Edward verso i due uomini che ormai erano usciti.
«Ed! Datti una calmata!» lo rimproverò Al, «loro
non c’entrano niente! Chiedi subito scusa al signor Garfiel!» lo ammonì il
fratello minore.
Edward
si voltò verso l’ex-capo meccanico e rimase colpito nel vedere la sua
espressione triste, rendendosi conto che stava attaccando gli altri perché si
sentiva in colpa all’dea di poter accettare la proposta di Rose.
«Mi dispiace, Garfiel… è vero, non ce
l’avevo con voi» disse, calmandosi d’un tratto. Ma la cosa durò ben poco,
perché l’impeto gli tornò nuovamente in corpo, non appena si volse verso Huges,
che stava salutando la moglie al telefono e si stava infilando velocemente il
cellulare in tasca tentando di non essere visto. «Ma ciò non toglie che
non possiamo continuare così! Siamo una squadra di perdenti e tu devi muoverti
per fare qualcosa!»
Maes
non riuscì nemmeno ad aprir bocca, perché due secondi dopo Ed non era in grado
di comprenderlo: un pugno arrivato da dietro l’aveva spedito spiaccicato a faccia
in giù sul pavimento, proprio davanti all’espressione impaurita e sottomessa di
Al.
Una
donna troneggiava ai piedi del più giovane pilota di Rally, steso sul
pavimento. Una donna dall’aspetto fiero e indomabile il cui sguardo era quello
di una combattente letale e sensuale come quello di un’amazzone, stava tenendo
sotto il piede la schiena del povero Ed e nel contempo, i lunghi e neri capelli
rasta che le avvolgevano il corpo come una carezza, lasciarono intravedere uno
sguardo letale indirizzato direttamente ad Al.
Il
ragazzo indietreggiò con l’aria di chi è pronto a darsela a gambe: «Maestra…»
«Maestra un corno! Voi due siete proprio dei
cretini!» li sgridò, mettendo le mani sui fianchi.
«Suvvia, Izumi, non c’è bisogno di essere
così severi!>>
«Stà zitto, Huges!»
«Sissignora!» scattò l’altro sull’attenti,
mentre Elicia si nascondeva dietro di lui.
Izumi
Curtis. La bella e letale Izumi Curtis.
La
donna che aveva passato tutta la sua esperienza di pilota ai piccolissimi
fratelli Elric e che dopo era diventata anche il loro manager. C’era lei adesso
in quella stanza, e come ogni volta che questo accadeva, nessuno si sognava di
aprir bocca o di contrastarla.
Edward
si rialzò a fatica e si premette sul naso sanguinante il fazzoletto rosa che
gli porgeva Garfiel.
«Tu!» disse la donna, puntando
minacciosamente il dito contro di lui, «sei un completo imbecille!».
Nessuno
dei due fratelli osò replicare.
«E tu!» continuò l’altra assestando un pugno
in testa ad Al, «sei ancora più stupido di quel moccioso di
tuo fratello se continui a dargli retta e ad assecondare ogni sua idiozia!»
«Mi dispiace maestra…» sussurrò Alphonse.
«È il minimo che tu possa fare» rispose lei, dura.
«Edward! Ma che ti è saltato in testa di sforzare
così il motore? Sei forse un poppante alla sua prima gara?»
«No, maestra»
rispose il ragazzo, con lo sguardo basso e un tono di voce che conteneva a
malapena la rabbia che provava verso sé stesso.
«Beh, io non ne sarei tanto sicura! Sei
stato un avventato! Un moccioso che crede di poter afferrare l’oro solo perché
lo vede luccicare! Ti sei giocato quasi un’intera stagione, per cui, se ti
azzardi nuovamente a sfoderare un comportamento come oggi, il massimo che ti ritroverai
a guidare sarà il triciclo di Elicia! E questo vale anche per te, Al! Sono
stata chiara?»
«Sì, Maestra…» mormorarono entrambi.
«Papà, io non voglio dare il mio triciclo a
Ed!» protestò una vocetta candida, mentre due biondissime codine uscivano allo
scoperto da dietro i pantaloni del padre.
Maes
si chinò per guardare la figlia negli occhi: «Stà tranquilla,
pulcino mio, nessuno guiderà il tuo triciclo!» poi si alzò nuovamente in piedi,
sfoderando la sua tipica e inusuale espressione seria, che non portava mai
niente di buono. Guardò quel che rimaneva della propria squadra e disse: «ma
se non troviamo al più presto dei nuovi meccanici, qui nessuno guiderà più
niente… la prossima gara è solo fra due settimane, il signor Garfiel non potrà
mai farcela da solo».
Quella
constatazione calò in mezzo al buio garage come un coltello affondato nel
petto. Ci fu un intenso silenzio in cui ognuno si trovò ad affrontare a proprio
modo la paura di quello che sarebbe potuto succedere.
Poi,
come un lampo nella nera tempesta notturna, dei passi leggeri e veloci
varcarono la soglia d’ingresso del garage e una voce fresca e delicatamente
determinata spaccò quei secondi di opprimente silenzio: «Beh, allora
iniziate a ringraziare tutti i santi che conoscete, perché è appena arrivata la
cavalleria!»
Ed
si concentrò sulla persona che avanzava in mezzo al garage così spigliata e
sicura di sé. Man mano che la figura si faceva avanti, il buio della stanza le
si allontanava, come una coperta di seta nera che scivola a terra. Sinuosi tratti
femminili andarono a scolpire il profilo di una ragazza: lunghi capelli biondi
come il sole e uno sguardo azzurro come il cielo, la illuminarono nella stessa
maniera della quiete dopo la tempesta. Ed pensò che fosse un peccato che
tenesse i capelli legati in una coda alta facendo scappare solo qualche lungo
ciuffo ribelle, ma dovette ricredersi: il suo sguardo cadde sul collo lungo e
delicato come quello di una ballerina e poi si abbassò ulteriormente per finire
di osservare l’inaspettato - ma non sgradito – ospite.
La
ragazza indossava scarpe da ginnastica e jeans larghi che le nascondevano le
gambe, ma non per questo non le calzavano a pennello; la corta maglietta nera
le lasciava scoperti i fianchi e la pelle chiara della pancia.
Ed
si voltò verso Al e notò che il fratello, non aveva staccato lo sguardo azzurro
da quello di lei, contemplandola come una rosa in mezzo a tante erbacce. Per
qualche strano motivo, provò un senso di fastidio: «E
tu? Chi cavolo sei?» le chiese con il suo solito pratico modo di fare. Intanto,
notò che Izumi non le aveva staccato gli occhi di dosso: la stava studiando con
aria insospettita e interessata.
«Mi chiamo Winry Rockbell…» si guardò
intorno. Per un attimo i suoi occhi incatenarono quelli di Ed, poi andarono a
posarsi sul telaio rosso dell’auto alle sue spalle: «a
quanto pare sono arrivata giusto in tempo».
«Rockbell?>> chiese Izumi «non
sarai per caso parente di…»
«Pinako Rockbell? È mia nonna» rispose
velocemente lei, senza spostare lo sguardo dall’auto sporca e malmessa.
«Quella
Pinako Rockbell??» chiese
esaltato Huges.
Winry
si voltò verso di lui e per la prima volta sorrise dolcemente, rivolta alla
bambina che Maes teneva in braccio: «Sì, quella
Pinako Rockbell. Beh, per caso ho sentito che siete a corto di meccanici e
così… vincere partendo da condizioni estreme come questa mi ha sempre
esaltato!»
Per
la prima volta, il signor Garfiel si fece avanti, contemplandola come un pezzo
rarissimo da museo: «sarà un piacere lavorare con te!!>>
«Ehi! Ehi! Fermate i motori!» disse Ed
entrando nel mezzo al cerchio di gente agitando le mani. Ma nessuno parve
considerarlo: Izumi confabulava con Huges, Garfiel tempestava la ragazza di
domande su Pinako Rockbell e Al… beh, Al era ancora imbambolato ad osservarla.
«Sarò io quella che farà la differenza!»
gridò Winry con fervore.
Ed
la guardò di sottecchi: «Ma chi è quest’invasata?»
La
ragazza fece un passo avanti e fissò Ed, dritto negli occhi: «Tu».
Il
giovane pilota ebbe come l’impulso di indietreggiare, ma si costrinse a
rimanere dov’era: «…Io, cosa?» chiese, tra l’ironico e
l’intimorito.
«Sei tu il pilota, no? Beh, con me in
squadra avrai la vittoria assicurata» sentenziò lei.
Edward
la guardò di traverso, per niente rassicurato dalle sue parole: «ma
tu, sei una… femmina!!»
Una
chiave inglese andò a segno nel pieno centro della fronte di Ed: «anche tu sei
un nano, ma non l’ho certo rimarcato
con tanta delicatezza!!» s’infervorò Winry guardandolo con gli occhi ridotti a
fessure.
Ed le si parò davanti con la sua stessa
espressione e un bernoccolo in più: «Brutta strega!
Sono solo due centimetri più basso di Al! Ma sentila questa invasata! Hai già
perso in partenza, carina: SEI LICENZIATA!!» le sbraitò.
La meccanica lo guardò storto: «ma se non mi hai nemmeno assunta!» lo rimbeccò con
tono di superiorità.
Il pilota ruggì di rabbia, senza smettere di
fissare quegli occhi incantatori: «Beh, allora ti
assumo e poi ti licenzio!»
Per la seconda volta nel giro di mezz’ora, Edward
Elric di trovò sbattuto a faccia in giù sul pavimento da un pugno sferrato da
Izumi: «E chiudi quella ciabatta per una
buona volta, non hai idea della fortuna che abbiamo avuto! Spero che tu sia in
gamba come tua nonna, ragazzina».
Winry osservò la manager per la prima volta e
sorrise, intuendo che quella donna era decisamente un asso nella manica per la
squadra: «Per chi mi hai
preso… sono anche meglio di lei».
«Maestra non
vorrai sul serio permetterle…» iniziò Ed, mettendosi faticosamente a sedere.
«Ed, lascia fare
a lei» gli disse il fratello con aria seria. Il maggiore lo fissò con un punto
interrogativo al posto della faccia, ma l’espressione di Al non ammetteva
repliche: «adesso ho
capito chi è, il nome mi suonava decisamente familiare, ma non riuscivo ad
associare il suo aspetto… lei è la nipote di Pinako Rockbell, la grande
meccanica che non ha mai fatto perdere una corsa a nostro padre».
«Hoheneim?»
chiese l’altro, stupito.
«Esatto»
confermò Winry. «Mia nonna e
vostro padre erano grandi amici, insieme non avevano rivali sulla pista».
Edward si rabbuiò: non voleva avere in squadra
gente che aveva avuto a che fare con suo padre. Lui lo odiava. Se n’era andato
quando erano ancora piccoli solo per inseguire il suo egoistico sogno di
vittoria. La loro madre però non faceva altro che seguirlo in tv e gioire e
soffrire con lui per ogni gara. Hoheneim però non si era mai più fatto vivo e
così Al e Ed avevano iniziato ad appassionarsi al Rally, anche perché ciò
rendeva felice la loro madre, cullata da un dolce ricordo. Trisha diceva che
quando fosse tornato a casa, il padre sarebbe stato orgoglioso di loro, ma i
campionati iniziarono a susseguirsi, uno dopo l’altro, e lui non si fece più
vivo, nemmeno quando lei morì.
Era una soleggiata giornata di novembre quando Ed,
con Alphonse sempre al suo fianco, fece un solenne giuramento: loro sarebbero
diventati i migliori piloti di Rally del mondo. Per farla contenta e onorare la
sua memoria, anche se Edward lo faceva anche per vendetta nei confronti di suo
padre… un giorno ci sarebbe stato il suo
nome scritto negli annali e Hoheneim sarebbe stato solo un ricordo.
«Non abbiamo
bisogno di lei» rispose Ed con eccessiva crudezza.
Maes gli poggiò una mano sulla spalla: «Edward, non farne una questione personale».
«Sono io che ne faccio una questione
personale» replicò Winry con arroganza. «Il nome delle
Rockbell è sempre stato legato a quello di tuo padre e ora al tuo. Non posso
vedere affondare così i figli di Hoheneim, ne va di mezzo anche il nostro buon
nome. È per questo che sono venuta qui».
Gli occhi dorati di Edward si scontrarono con
quelli della ragazza per un lungo secondo.
«Fratellone, per
favore, cerca di ragionare, il nome di Pinako Rockbell è rimasto nella storia
della meccanica, non possiamo perdere quest’occasione. Ricordati la nostra
promessa…» disse Al, aiutando Ed a rialzarsi.
«Ma avevamo
anche promesso che non saremmo scesi a compromessi con nessuno. Dobbiamo
farcela solo con le nostre forze» rispose l’altro con tono serio.
Alphonse sorrise dolcemente, i suoi occhi si
velarono di nostalgia mentre guardava il fratello: «io non credo che a mamma sarebbe dispiaciuto
averla in squadra…»
Winry fissò confusa i due fratelli, liberandosi
per la prima volta della sua sicurezza. Vide Ed alzare lo sguardo su di lei:
«Va bene.
Facciamo un tentativo. Ma ti avverto: farai meglio ad essere così brava come
pensi, altrimenti la nostra collaborazione durerà molto poco».
«Fantastico!»
saltò in mezzo Huges. «Allora sei
assunta! Chiedi pure tutto quello che ti serve; può anche non sembrare, ma qui
dentro siamo più che una squadra: siamo una famiglia».
Winry mostrò un sorriso divertito: «Beh, a dire il vero ho notato che manca un
collaudatore… ma per fortuna ho le giuste conoscenze» e così dicendo si portò
le dita alle labbra e fischiò prepotentemente.
Le facce perplesse di tutto il Team Huges lo
diventarono ancora di più, non appena udirono il rombo di un motore e poi un
faro accecante che entrava impennando dalle porte del garage, spezzando
l’immagine del crepuscolo all’esterno.
Una Kawasaki ninja verde come la più selvaggia
delle foreste entrò in mezzo alla stanza, fermandosi a pochi centimetri da loro
con una sgommata. Il pilota, nascosto da un casco con visiera nera spense il
motore e rimase a cavallo di quel gioiello.
Le labbra di Winry si allargarono in un sorriso
furbo: «Ecco il nostro collaudatore».
Il centauro si sfilò il casco, rivelando due fieri
occhi scuri e dei capelli mori chiusi in una piccola coda bassa. Tutti rimasero
confusi nel vedere la pelle abbronzata ricalcare dei dolci lineamenti
femminili.
«Ragazzi»
sentenziò Winry, «vi presento
Paninya».
CONTINUA…
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Ci sono
riuscita! Ho scritto il primo capitolo! Vi avevo avvertito che la storia
sarebbe stata schizzata come la mente di chi l’ha ideata, ma spero che vi sia
piaciuta.
Fatemi un bel
regalo di Natale: lasciate una recensione, anche breve, giusto per capire se è
il caso di continuare questa follia!! XD
E visto che ci
sono ringrazio anche chi ha commentato la mia ultima storia di FMA “Le mani della Vita, il tocco della
speranza”.
Un enorme GRAZIE a Irene Adler, Hila 92, fullmetalQueen,
elyxyz, aki13, Siyah, Melly Vegeta e ovviamente Faith e Diablo.
Un grazie anche
a tutti e gli 11 che hanno messo la storia tra i preferiti, spero che vi
piaccia anche questa.
Beh, spero di
poter aggiornare presto, BUON NATALEE!! Wild ;)