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Autore: Lory402    08/06/2013    1 recensioni
Questa è una storia che ho scritto in tre giorni, e la vita dei miei personaggi al di là di essa mi è ancora oscura. Se non lo si intuisce dal titolo, ci saranno alberi, una locanda con annessa scazzottata, e un mattarello.
Le parole sottolineate sono quelle che non potevo omettere dalla storia, senza contare il dover iniziare con 'C'era una volta...' e concludere con ciò che vedrete.
Ho bisogno di consigli, critiche e di qualunque cosa vi passi per la testa, quindi non esitate a recensire. Ora, buona lettura! ^^
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C’ era una volta un regno. E c’ era un popolo e c’ era un bosco. E questo bosco nascondeva dei segreti, dei banditi, dei fuggiaschi, degli eremiti e creature misteriose. La vegetazione era tanto fitta che il sole di mezzodì stentava ad illuminare il terreno nei giorni più torridi.

Era estate. Il vento pareva non esistere. Tutto era immobile.

Un ansito dolorante spezzò il silenzio irreale di quei luoghi selvaggi, seguito da un rantolo soffocato e da passi strascicati sul suolo secco e ricoperto di fronde e pietre. Una figura curva, ricoperta di sudici stracci, avanzava solitaria e persa nel bosco di Hammed. Rovinò a terra, come se non riuscisse a sostenere il suo stesso peso, e un ultimo gemito decretò il suo svenimento.

«Ehi! Ehi coso!» La giovane donna guardò storto la carcassa respirante ai suoi piedi. Insensibile caricò il piede e, con un calcio, mandò colui che scoprì essere un semplice ragazzino a cozzare contro una corteccia dura. Con un urlo strozzato il giovane si ridestò.

«Ma…! Che fai?! » domandò adirato in direzione della sua molestatrice.

«Eri sulla mia strada» argomentò quella scrollando le spalle.

Riverso a terra giaceva un giovane ragazzo castano, gracile, con le vesti stracciate e ricoperto di terriccio e cenere.

Sentendo una voce vellutata rivolgerglisi con tanta sfrontata noncuranza, sbatté gli occhi. Davanti a lui sostava una donna di ventott’ anni al massimo cui dedicò una lunga occhiata.

Calzava stivali di pelle rigida che le coprivano i polpacci fino a poco sotto il ginocchio. La tela grezza delle braghe le fasciava strettamente la porzione visibile delle gambe affusolate. Una casacca scura le scendeva morbida dalle spalle carezzandole la pelle abbronzata e aderendo perfettamente sui fianchi, dove una cintura color cioccolato - in tinta con le braghe - tratteneva una frusta arrotolata. La cosa più sconvolgente però non erano i suoi occhi color catrame, le labbra piene, il naso diritto o le sopracciglia curate; la cosa più sconvolgente erano i capelli. Fili di fuoco che, ondulati, le percorrevano la schiena sfiorando impunemente il bacino. E fu allora che lo realizzò: era bella. Strana - perché una donna che gira sola per i boschi, seppur armata, lo è -, ma bella. Subito dopo ammise che tutta la sua persona era insolita, partendo dai suoi vestiti, indubbiamente maschili, e da quei capelli tanto… esuberanti.

«Piccolo, smetti di fissarmi?»

«Piccolo a chi?, strega!» s’ infervorò subito il giovane.

La rossa si lasciò andare ad uno sbuffo divertito.

«Hai appena abbandonato le sottane della mamma, cosa ti porta ad Hammed? Cerchi la morte?»

«Non sono fatti tuoi, strega! …Io non ho mai avuto una madre…»

«E io ho ucciso mio padre, combiniamo un incontro tra i nostri vecchi e convoliamo a nozze?» sputò queste parole tra i denti, sarcastica. Poi, di nuovo seria, aggiunse «Ti aspetti forse compassione da questo luogo? Ormai è marcito da tempo.» La Strega sembrò perdersi in ricordi lontani, i suoi occhi vennero offuscati da immagini invisibili, e il Piccolo sbuffò.

«Desidero solo del cibo, donna!» Non aveva riflettuto sul suo ultimo pasto, avvenuto giorni addietro, finché il suo stomaco non gli aveva ricordato i suoi bisogni umani con un esplicito gorgoglio.

«Arrangiati. Sono una viaggiatrice incappata per caso nel tuo corpo riverso a terra, di certo non ti devo nulla»

«A proposito: come ti è venuto in mente di scagliarmi contro un albero?» Il piccolo si trovava ancora nella posizione in cui si era svegliato: steso sul fianco sinistro, con la schiena sostenuta da un arbusto troppo cresciuto. «Sei molto forte per essere una femmina» Tentò malamente di piegare un braccio, riuscendoci a fatica. Massaggiò a palmo aperto la spalla entrata in collisione col legno. Evitando, stoicamente, di gemere afflitto, mutò la sua opinione:

«Troppo forte»

«Probabilmente sei tu troppo fragile» negò lei fingendosi disinteressata.

«Senti, il nostro discorso può finire qui, indicami solo la locanda più vicina e… Ah!» Aveva poggiato il palmo della mano a terra, ma appena aveva tentato di gravarvi col peso, una fitta gli aveva attraversato le membra provate, ed era ricaduto addossandosi all’ albero.

La donna ghignò.

«Non ti reggi in piedi, dove credi di andare?» domandò beffarda.

Il giovane tentò ancora una volta e, reggendosi all’ albero, riuscì a poggiarsi precariamente sulle gambe malferme. Un dolorante gemito mascherato da uno sbuffo, accompagnò il primo movimento.

«Non posso crederci…» borbottò a se stessa la donna e, scotendo il capo, si affiancò al ragazzino. Gli afferrò saldamente un braccio e se lo passò sulle spalle.

«Reggiti, il viaggio non è lungo, ti porto in città» chiarì, abbracciandogli i fianchi per trattenerlo. Il piccolo la guardò, confuso, ma grato. La rossa sputò in terra

«Non fare quelle smorfie da donnicciola» lo redarguì dura, l’ altro non rispose.

Mossero i primi passi cautamente, per trovare l’ andatura ideale.

«Misha»

«Cosa?» Tutt’ a un tratto aveva esordito così, ridestando il giovane dalla sua apatia.

Continuavano a camminare fra la vegetazione indomita. Il sole, timido, non si mostrava.

«Il mio nome… Misha» E il ragazzo sorrise.

Uscirono dalla foresta quando ormai la luce solare si tingeva di rosso, il crepuscolo era vicino.

Attraversarono le mura della città ignorando le guardie, che non si premurarono neppure d’ informarsi sui due viandanti.

«Donna, porta del cibo!» ordinò imperiosa Misha, in direzione della locandiera, adocchiata dietro il bancone.

Come donna di mondo aveva riconosciuto subito i rumori tipici di una taverna. Vagavano in mezzo alla strada quando era giunta alle loro orecchie una grassa risata. Le finestre del locale erano illuminate, le sedie stridevano e i boccali tintinnavano. Il ragazzo era svenuto proprio in quel momento. Quando lei aveva aperto la porta ogni suono era cessato, cosicché la sua voce risuonò chiara a tutti.

L’ interpellata annuì, affaccendandosi poi in cucina.

La rossa trascinò il corpo svenuto sino a un tavolo. Lo gettò malamente sulla panchina di legno e gli si accomodò accanto, attendendo le vivande.

«Il tempo passa ma voi restate sempre la stessa, My Lady!» La donna si volse in direzione della voce calda che le si rivolgeva.

«Ah, Ghior! Che piacevole sorpresa rivederti…» Il suo era palese sarcasmo. Ricordava fin troppo bene il loro ultimo incontro, l’ alone di vino non era mai andato via dalla sua casacca.

«Su Misha, ero ubriaco! Non puoi ancora serbarmi rancore per quella macchia!» esclamò il moro sedendosi davanti la sua interlocutrice.

«Piuttosto, chi è il piccolo?» chiese seriamente interessato.

Ghior era un uomo sulla trentina, aveva il fisico allenato di chi ha dedicato anni all’ arte della spada, il volto squadrato, e gli occhi di chi ha vissuto la guerra; ma il suo sorriso era aperto e spensierato, spontaneo.

«E chi lo sa! L’ ho raccolto nel bosco» spiegò la rossa, lasciando da parte l’ irritazione iniziale. Ghior rise.

«Un tempo non ti saresti mai sognata di accudire trovatelli» e la donna assentì.

Esattamente l’ istante successivo una zuppa di legumi, del formaggio e una brocca di vino, comparvero sul tavolo, accompagnati da una donna con la pelle color cioccolato e il viso gioviale.

«Buon appetito» augurò sorridente, voltandosi poi.

Ghior, senza troppi convenevoli, agguantò il formaggio. Misha si appropriò del vino.

«Svegliamo il ragazzo» annunciò, rovesciando una parte del liquido scuro sui capelli aggrovigliati del bell’ addormentato. Il ragazzino si sollevò di scatto tossendo furiosamente.

«Che spreco» osservò con una smorfia la rossa, gettando un’ occhiata a ciò che rimaneva nella brocca.

«Che ti è saltato in mente, Strega?!» chiese, con una nota isterica nella voce roca, il Piccolo ancora senza nome.

«Mangia, prima di svenire ancora» ordinò secca Misha, sbattendogli davanti la zuppa. Poi si chiese se il giovane non rischiasse di affogare. Immergeva il cucchiaino nel piatto, e se lo portava alla bocca con una velocità sconvolgente.

«Da quanto non mangi, piccolo?» domandò Ghior, ridendo, tra un boccone e l’ altro.

Alternando ogni sillaba ad un poco signorile risucchio, lasciò intendere “quattro giorni”.

L’ uomo fischiò ammirato «Ci credo che hai fame!»

Quando anche l’ ultima goccia di zuppa fu ingurgitata, il giovane si lasciò andare ad un sospiro soddisfatto.

«Qual è il tuo nome?» Misha decise che quello era il momento buono per soddisfare qualche sua curiosità.

Il ragazzo ci pensò su per un attimo.

«Niar.» rivelò poi «Lui?» ed indicò l’ uomo con un gesto del capo. Il moro, sentendosi tirato in causa, allontanò da sé il calice colmo di vino.

«Ghior, figliolo» e sorrise senza esitazione. Misha però non aveva finito.

«La tua età?» Appoggiò i gomiti sul tavolo ed intrecciò le dita smaltate, adagiandoci, poi, il mento.

«Ho… quattordici anni» ammise riluttante l’ interpellato, arrossendo quando i suoi commensali iniziarono a ridere, sguaiatamente lui, beffarda lei.

S’ imbronciò.

«Voglio fare un bagno» interruppe quelle risa inopportune palesando un suo bisogno fisico; Misha lo guardò male.

«Ti ho portato qui e ti ho procurato un pasto, desideri anche che ti massaggi la cute mentre godi dell’ acqua calda moccioso?» Il suo fu quasi un ringhio.

«Strega, voglio solo che mi lasci passare!» rispose, infervorandosi, e indicando la sua impossibilità ad allontanarsi se non passando sopra il tavolo. Era seduto tra il muro e la ragazza.

Ghior, già leggermente brillo, si dedicò all’ ennesima risata.

«Donna! Accorri svelta!» La cameriera che anche prima li aveva serviti si precipitò al tavolo.

«Desiderate?» domandò ossequiosa.

«Indica al ragazzo una stanza provvista di tinozza dove si possa ripulire.» Le sorrise affabile e la donna ricambiò.

«Volentieri… Vieni pure» Allungò una mano al ragazzo, che scavalcò le gambe di Misha, riservandole un sorriso irrispettoso, rinfacciandole il proprio aver avuto ragione. La rossa rispose con un’ infantile linguaccia, poi sorrise.

Il ragazzo seguì la giovane locandiera fino ai piani alti.

La donna aveva sì e no vent’ anni; non era troppo alta, e le sue forme si palesavano generose. Indossava una tunica beige, di stoffa grezza, completa di corsetto e grembiule. Aveva labbra piene, occhi grandi e capelli color ebano acconciati in un’ astrusa accozzaglia di trecce. Una donna nella media.

Quando si fermarono davanti a una specifica porta, la cameriera domandò se desiderasse aiuto, il Piccolo rifiutò con un sorriso e una scrollata di capo.

«Se però fossi così gentile da procurarmi delle vesti…»

«Oh! Ma certamente!» assicurò la donna, poi si congedò.

Niar entrò veloce nella stanza e lesto si chiuse la porta alle spalle. Non osservò il mobilio quasi nullo dell’ ambiente che lo circondava, semplicemente si diresse con urgenza mal trattenuta verso il catino al centro della camera. Lì accanto stavano dei secchi colmi d’ acqua. Non pensò neppure di riscaldarla. La rovesciò nella “vasca” e si tolse gli stracci di dosso come se ne andasse della sua vita. Quando il liquido freddo avvolse ogni parte del suo corpo si lasciò andare a un gemito profondamente appagato.

«Ehi, giovane!» Quasi tre quarti d’ ora dopo Ghior spalancò la porta della stanza indicatagli dalla cameriera. Si aspettava come minimo di trovare il Piccolo addormentato, considerato tutto il tempo trascorso. Invece quello era lì, in piedi, grondante acqua come fosse appena uscito dalla tinozza.

Copriva le sue nudità con un drappo di tessuto che teneva legato ai fianchi, gli stracci malandati abbandonati in terra, e nuovi abiti piegati sul giaciglio di quella stanza.

La prima cosa che Misha notò, a dispetto dell’ arredo, fu il fatto che il ragazzo era… pulito. Liberato da quegli strati di sporcizia che prima, in parte, lo celavano allo sguardo, non pareva più un mendicante appena sfuggito ad un assalto in una palude.

Così, la donna e il suo accompagnatore, poterono ammirare pienamente la pelle alabastrina, tesa - per il freddo -, sui muscoli vagamente accennati. Era davvero gracile come pareva anche prima del ristoro. Il volto era sfilato, le labbra sottili e il naso piccolo, l’ unico segno particolare… erano gli occhi, verdi come smeraldi! Frammentati da pagliuzze quasi dorate, rilucevano, in risposta al tenue bagliore della luna appena sorta, che penetrava nella stanza.

Il ragazzo osservò per un attimo i due che continuavano a fissarlo. Socchiuse gli occhi, e si passò stancamente una mano lattea fra i capelli castano chiaro, lisci, finalmente districati dai nodi.

Senza una parola si diresse verso il letto e, ancora bagnato, s’ infilò nelle vesti che gli erano state portate tempo prima. Poi si voltò ancora una volta.

«Ehi, fratello, la Strega si è incantata ad ammirare la mia strepitosa bellezza?» domandò con un sorriso ironico.

La rossa a quel punto si riscosse.

«I-io mi sarei… Maledetto moccioso! Come ti permetti?!» strepitò, già pronta a menar le mani.

Quel piccoletto la mandava ai matti…

Subito dopo fu il turno di Ghior:

«F-fratello? Piccolo, ma cos’ hai fumato qui dentro?!» E Niar si dedicò a una lunga e sentita risata.
 

Tre ore più tardi…

 

«Io ancora mi chiedo come siamo finiti così…» borbottò per l’ ennesima volta Misha, con gli occhi sgranati, sconvolta come lo era anche una veglia prima. Niar si batté una mano sulla fronte, sconsolato. Cercava da tempo di far rinsavire la donna, ma, in fondo, anche lui capiva poco di tutta quella situazione. L’ unico tranquillo pareva Ghior, ma del resto… lui era mezzo ubriaco.

Si trovavano tutti e tre seduti su un pagliericcio umido, dietro sbarre di ferro. Erano finiti in prigione.
 

Nel tempo corrente…

 

Dopo qualche minaccia di morte - da parte di Misha -, una sonora risata - ovviamente di Niar -, e diversi sguardi confusi - quello era Ghior -, decisero di comune accordo di tornare nuovamente al pianterreno.

Era l’ inizio della prima veglia notturna, chi aveva voglia di restare in stanza?

Il giovane si abbuffò di carne, la rossa spiluccò il pesce, Ghior… alzò un po’ troppo il gomito, tra vino, birra e sidro. Purtroppo, sei cavalieri scelsero proprio quella sera per fare un salto alla taverna. Ghior, troppo preso dal suo monologo con un arazzo, non se ne accorse neppure. Niar, al contrario, non aveva occhi che per quegli uomini dalle splendenti armature, li fissava ammirato.

Chiunque conosca Ghior da più di una giornata, sa del suo odio per ogni cavaliere. Una giornata, appunto.

«Frate’!Frate’!» Il Piccolo scosse l’ uomo per un braccio «Guarda, i cavalieri!» esclamò ancora, esaltato.

Quando Misha si accorse di quello che il giovane stava facendo, fu troppo tardi. Li aveva visti.

Ghior scosso così prepotentemente, voltò lo sguardo in direzione del ragazzino molesto… scorse i cavalieri. Erano stati proprio dei cavalieri, anni addietro, a portagli via tutto. Così, complice l’ alcol, decise di pareggiare i conti, servendosi di quegli sconosciuti. Fu lesto ad impugnare la spada che sempre portava al fianco, e nessuno capì cosa stesse accadendo, finché una lama luccicante non si accostò al collo di un cavaliere. Lo scontro fu inevitabile a seguito di quell’ affronto. Pochi nella locanda si astennero.

Niar osservava sconvolto tutti lottare contro tutti, usare brocche, sedie, piatti, ogni cosa che potesse servire. Seduta accanto a lui, tranquilla, Misha sorseggiava del sidro.

«È colpa tua…» canticchiò noncurante.

Niar spalancò gli occhi «C-cos…?» ma non poté continuare…

«Tu! Verrai decapitato per questo!» Incredibilmente la zuffa si era placata, ma ci rimetteva Ghior. Si trovava in ginocchio, sul freddo pavimento, la lama di un cavaliere puntata alla gola, eppure un sorriso sfrontato gli solcava il viso. La guardia, irritata da tale comportamento, preparò il colpo per farsi giustizia da solo, subito.

Niar agì d’ istinto.

Afferrò la prima cosa capitatagli sotto mano - un mattarello - e si catapultò a proteggere l’ amico. Con l’ utensile scostò la spada.

«Non osare! Lui è mio fratello, e io e la strega non ti permetteremo mai di fargli del male!» con un gesto del capo indicò Misha, preda dello sconcerto.

«Suoi fratelli?» si assicurò l’ uomo. Niar annuì convinto, guardando l’ arma del nemico essere rinfoderata «Allora marcirete in cella con lui!» Misha singhiozzò. Ghior l’ osservò con un misto di gratitudine e confusione,

e così scoprì quanto leale - e stupido - suo fratello fosse.

 

 

 

ANGOLO DELL’ AUTRICE

NOTE DI SABATO 8 GIUGNO 2013

Wow! Ok, questo è il mio ‘regalo’ (avreste preferito di meglio, eh?) per tutti coloro che proprio oggi finiscono la scuola, perché dopo un ultimo giorno all’ insegna del nulla, una festa con danzatrici del ventre, un mezzo spogliarello e una rock band che dire fantastica è poco, dovevo pubblicare qualcosa! E che inizi l’ estate!

NOTE DI SUBITO DOPO LA TRASCRIZIONE SUL COMPUTER

Ok, mi sono decisa. Tranquilli, se qualche punto vi sembra un po’ forzato, è così: è forzato. Perché non è normale che una tua amica che vedi dieci-undici volte l’ anno, l’ ultima domenica delle vacanze di Pasqua, si presenti a casa tua, tranquillissima apra la porta della tua stanza e si sieda sul letto, tiri fuori il suo bel raccoglitore d’ inglese e:

- Devi scrivermi una storia. -

(Il fatto che poi ci fosse il piccolo dettaglio delle parole che non potevo omettere è un’ altra cosa.)

E io da brava amica mi rimbocco le maniche, finisco di scriverla martedì notte - studiando nel frattempo per la verifica di arte del giorno dopo - , di ricopiarla sul PC mercoledì mattina prima di andare a scuola, e gliela invio il pomeriggio così che sua sorella maggiore possa tradurla in inglese.

Il colmo è che non gliel’ ha corretta giovedì, ma la settimana dopo, però era troppo lunga! Così la mia amica prova a tagliare alcune parti, ed è troppo corta!

Alla fine l’ unica cosa della storia rimasta invariata sono i personaggi, in pratica l’ ha dovuta distruggere!

E io ringrazio questa mia amica perché mi è piaciuto davvero davvero tanto scrivere questa cosa - strana cosa -, che potrebbe addirittura avere un continuo.

Lory402 


  
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