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Autore: _blueebird    09/06/2013    2 recensioni
Salve a tutti! Dopo "Autobus numero 23" che fra pochi capitoli sarà definitivamente terminato (Nuooooo mondo crudeleeeee! D:), lascerò Camille e Francesco per dedicarmi a una nuovissima e intensa storia d'amore *w* ♥
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Kristina, Nina come ama farsi chiamare lei, ha perso tutto.
Dopo la morte della madre e aver vissuto di stenti con il padre in una piccola casetta di legno alle porte di Vancouver in Canada, sembra aver ritrovato la serenità.
Una migliore amica e un ragazzo che l'ama...
Ma a volte la vita ci sottrae le cose che amiamo di più, fino ad ucciderci.
Decisa a farla finita, Nina, sul cornicione di un cavalcavia, incontrerà una persona che le ridarà la forza per non arrendersi MAI.
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Leggete e commentateeeeee ✌
-Sel-
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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 Prologo - Coloro che soffrono


 

Afferrai con forza la ringhiera di ferro che ammala pena si intravedeva nel buio della periferia della città.
Deglutii forte. Come dimenticata da Dio, la polverosa strada alle mie spalle, si nascondeva dietro le porte della notte, chiudeva gli occhi come un bambino spaventato. Piangeva in un silenzio opprimente.
Controllai l’orologio al polso. Le 2 e 40. Dovevo sbrigarmi se non volevo essere scorta da un possibile passante.
Respirai profondamente e  salii con entrambi i piedi sul muretto di cemento che costeggiava il cavalcavia e che abbracciava la ringhiera metallica.
Tremavo. Ogni mio nervo sotto la pelle urlava. Come divisa in due, tagliata da un coltello sottile, così il mio corpo prendeva due strade diverse, l’una, la parte più materiale e razionale, mi diceva di scendere, l’altra, quella più convinta e decisa, mi diceva di non pensarci e di proseguire.
Cosa avrebbe detto mia madre se mi avesse vista in quel momento?
Non ci pensai per paura di cambiare idea. Afferrai saldamente il metallo e facendo seguire una dopo l’altra le gambe sopra la staccionata, mi trovai su una piccolissima striscia di cemento che dava sul vuoto.
Era così buio che non riuscivo a vedere la terra sottostante.
Come un turbine di nero silenzio, mi sentivo risucchiare in quell’immenso vuoto che era stata la mia vita senza senso ed ero pronta e porla finalmente al termine.
Le nocche bianche stringevano ancora la grata e quella parte di me, che si era fatta incredibilmente piccola e che teneva ancora alla mia vita, possedeva ancora un po’ di forza per trattenermi e non lasciarmi andare.
 
 
 
Persi mia madre quando avevo cinque anni.
Era una fredda giornata d’inverno e grossi e pesanti fiocchi cadevano al suolo. Li guardavo dalla finestra mentre si accumulavano l’uno sull’altro in giardino. Non potevo toccarli però. Non potevo uscire.
Una miriade di parenti con gli occhi gonfi e madidi mi sorridevano, mi sussurravano che sarebbe andato tutto bene. La foto di mia madre sul tavolo contornata da fiori bianchi.
Io ero così triste. Volevo toccare la neve.
 
Mi vestivo con abiti di seconda mano trovati nei discount e ci scaldavamo con la legna del bosco dietro casa. A volte mio padre mi diceva che aveva trovato dei ceppi lungo la strada o qualche amico glieli aveva regalati, ma io sapevo che li rubava. Rubava la legna per non farmi morire di freddo.
I pochi soldi che guadagnava andavano alla banca per via dei debiti, mentre a noi restavano le briciole, così pochi dollari da poter appena comprare il pane.
La scuola era l’unico posto dove potevo non pensare a mio padre che si spaccava la schiena e alla foto ingiallita di mia madre sulla credenza.
Conobbi Jenny a biologia. Mi piacevano così tanto i suoi capelli biondi che le arrivavano alle spalle e il sorriso sulle labbra tutte le mattine. Era un po’ stramba e buffa, una spruzzata di lentiggini sul naso e la macchina fotografica sempre al collo, pronta per fotografare gli amici o le foglie autunnali d’acacia in giardino.
E poi Nick. Nick era il mio mondo. Me ne innamorai perdutamente dopo averlo conosciuto nel locale in cui lavoravo come cameriera.
Sembrava tutto perfetto finché non avvenne l’incidente.
 
 
 
Piansi le ultime lacrime rivolte a loro. Rivolte a quella macchina accartocciata che li stava portando da me, tutti e due, il mio mondo, la mia sola ragione di essere felice.
Quella notte li persi tra i meandri del tempo, consumato dai chilometri, dai sospiri del mondo. Perché quando non c’è materia il tempo non esiste, si ferma. E quando una cosa cessa, non sei più sicura se sia esistita veramente. La mente erra, i ricordi illanguiditi si corrodono come le montagne nei secoli e tutto diventa estremamente fragile.
Il vento che proveniva dal nulla eterno mi graffiava la faccia bagnata. L’ultima sensazione in questo corpo mortale.
 
E poi riaprii gli occhi, come se li avessi sempre tenuti chiusi. All’inizio era solo un’impressione, ma poi capii che era la realtà. Sentivo fischiettare.
Una canzoncina triste che proveniva alle mie spalle e che si faceva sempre più intensa. Un individuo si fermò dietro di me, dopo aver mosso lunghi passi.
-Come ti chiami?- domandò lui con un tono serio ma sereno.
 
 
Non lo sapevo nemmeno io.




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Eccomi qua! :3
Non vi siete liberati di me, nono u.u
Mentre stavo per addormentarmi, qualche giorno fa, è nata la volontà di scrivere questa storia. 
Una storia fatta di sentimenti sinceri, ma anche di voglia di non arrendersi mai... essa è dedicata a tutti i lettori di
"Autobus numero 23" che mi hanno appoggiata in questi mesi e che non hanno mai smesso di credere in me.
A questa età vedo molte ragazze sole che soffrono in silenzio. 
Spero che questa storia vi sproni a proseguire e a credere sempre in voi stesse.
Commentateeeeee
-Sel-
 
 
  
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