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Autore: Engy_1    09/06/2013    0 recensioni
la famiglia Sakurada è stata perseguitata, per generazioni, da una maledizione inflitta molte generazioni fa, dagli abitanti di un vecchio villaggio. Ora, la povera Michiko deve affrontare una dura prova: riuscire ad accontentare ogni 7 anni il dio Budda per non morire, attraverso la dimostrazione della sacra arte del Kyudo. Ma mentre si prepara, capirà che nella sua vita c'è qualcuno di importante.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
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Mantenere un equilibrio tra corpo e mente. Afferrare con mano decisa l’impugnatura dell’arco e tendere il filo. La freccia, incastrata tra le dita, al minimo cenno di debolezza, avrebbe abbandonato la propria postazione, andando dritto verso il bersaglio.
Quando indossavo il Kyudogi appartenuto a mio padre, a mio nonno, e così ai miei avi, equivaleva a comprendere l’essenza di far parte di quella famiglia maledetta dal destino.
Sin dalla più tenera età, io, Michiko Sakurada, ho ricevuto una severa istruzione per prendere le redini del clan che, al momento, era guidato dal mio vecchio.
Senza lamentarmi, ho eseguito gli ordini e ho cercato di rendere i miei famigliari fieri dell’unica femmina.
Una maledizione aveva colpito la mia famiglia, scagliata dagli abitanti del villaggio molti anni orsono, quando il mio trisnonno tentò di acquisire il potere attraverso la forza dell’odio e della disperazione.
“ A ogni figlia femmina saranno concessi sette anni di vita e se, in quell’arco di tempo, non dimostrerà al Budda la propria forza e tenacia, morirà di arresto cardiaco, così che il dio possa posare la propria mano sul cuore della bambina e non permetterle di vivere!”
Per lungo tempo i miei parenti cercarono un modo per placare l’ira del Budda, e solo con me si comprese che il Kyudo era l’arma vincente. Ero rimasta solo io, l’unica donna di casa. Mia madre, sette anni dopo il suo matrimonio, si sentì improvvisamente male e abbandonò questo mondo per potersi reincarnare.
Non c’era posto per me, eppure restavo perché, ogni sette anni, con mio rammarico, dovevo celebrare una preghiera in onore del dio, in cui dimostravo le mie capacità con l’arco.
Di lì a pochi mesi, avrei compiuto 21 anni e, sotto la guida del un maestro, mi allenavo tre (per non dire quattro) ore al giorno per essere sempre preparata. Ma perché allora percepivo un vuoto dentro di me, come se avessi scordato qualcosa di molto importante da fare..?
Il mio insegnante era un uomo buono e gentile, che rincuorava il mio spirito quando percepiva l’insicurezza che soggiogava la stessa tenacia che mi aveva sempre contraddistinta da tutte le altre.
Con mio amarezza, il maestro Takanaga, di origine giapponese, aveva un figlio, avuto dalla defunta moglie italiana. Il suo nome era Riccardo Takanaga. Bel giovane dalla pelle bianca, occhi color verde-acqua leggermente a mandorla, labbra sottili e rosee, lunghi capelli neri, raccolti in una delicata coda con un nastro color sangue, che si abbinava perfettamente al Kyudogi che indossava quando veniva a sostituire Takanaga-sensei per gli allenamenti.
Era un meraviglioso giovane, ma per quanto provassi ad essere educata e silenziosa, come mi fu insegnato, continuava a trattarmi con la stessa freddezza che lo caratterizzava da anni.
-          Tieni quel braccio più in alto! Cosa sei, una rammollita per caso?! – era chiaro che si divertiva a stuzzicarmi e vedermi perdere in alcuni casi il controllo. Ero certa che lo facesse per vedere quanto potevo concentrarmi. Proprio su ciò era terribilmente severo: la concentrazione.
Per lui corpo, anime e mente dovrebbero essere uniti all’unisono in un momento preciso: quando si era intenti a utilizzare l’arco.
Negli ultimi tempo, comunque, non fui mai in grado di soddisfare le sue aspettative. Io ero continuamente distratta, soprattutto a causa della tensione che aumentava. In quei casi, Takanaga-sensei si avvicinava e mi ripeteva proverbi giapponesi per aiutarmi.
In tutta la mia vita, Riccardo solo una volta mi consolò: un giorno, dopo una sua severa lezione, piuttosto che tornare immediatamente nelle mie stanze, decisi di fermarmi alcuni minuti nel dojo per rilassarmi, ma le lacrime aveva incominciato a sgorgare da sole. Sentivo nel petto un terribile dolore. Percepivo su di me un’enorme responsabilità, forse troppa per una piccola ragazza come me. Intanto lui si era avvicinato, mi aveva fatto poggiare sulla sua spalla e, accarezzandomi la testa, disse: “chiri mo tsumoreba yama to naru” ovvero “anche la polvere può diventare montagna”. Quelle semplicissime parole avevano placato i miei dubbi e, ripresami dallo sconforto, vidi Riccardo tramutarsi nuovamente nella fredda armatura che era.
Passarono altri mesi. La scuola diveniva sempre più pesante e faticosa, ma non potei mai abbandonare la via che dovevo percorrere.
Riccardo, un anno più grande rispetto a me, frequentava il mio stesso istituto e, perso l’anno, lo ritrovai nella mia classe. Molti lo ammiravano per il suo bell’aspetto, ma la mia diffidenza per lui era uguale alla sua verso di me. Non ci scambiavamo saluti, ne semplici parole come “puoi prestarmi una penna?”. La nostri chiacchera più lunga fu durante un esercizio di inglese, dove bisognava discutere con un compagno sulla giornata precedente.
Io avevo preso lezioni private, così da rendere il mio inglese perfetto, proprio come fece Riccardo negli anni addietro. Quando parlammo, ebbi l’opportunità di discutere anche su quanto avremmo fatto quel pomeriggio, ma lui stesso non sapeva. Mi rivelò che il maestro desiderava parlarmi.
Il giorno stesso, dopo le lunghe ore di allenamento, Takanaga-sensei mi prese in disparte e mi volle spiegare che, per questo anno, avrei dovuto cambiare un minimo la mia rappresentazione di Kyudo, per favorirmi il Budda e così, pregarlo di liberarci dalla maledizione.
Nei giorni a seguire, le sue parole continuarono a tanagliarmi l’animo.
Pregare il dio di liberarmi… non lo avrebbe mai fatto!!
 
A tre mesi prima dell’inconfutabile prova con l’arco, durante il mio ritorno a casa da scuola, al mio fianco apparve Riccardo. Non mi salutò, ne mi stette a osservare, semplicemente camminava alla mia destra, guardando dritto. Io a mia volta non dissi niente, fino a quando non prendemmo la metropolitana per tornare a casa. Ciò accadeva assai raramente, solitamente venivano a prendermi in macchina, ma alcuni uomini erano partiti con mio padre per un viaggio di lavoro e tutti gli altri parenti volevano minimo tre uomini con se, quindi avevo pregato al nonno di farmi tornare a piedi: “andrò con un’amica” naturalmente mentii e lui mi lasciò andare.
-          Per fortuna sono arrivato io.. - bisbiglio Riccardo, a voce bassa, ma quanto bastava perché lo sentissi solo io.
-          Cosa intendi? – lo scrutai, mentre si guardava intorno con discrezione, senza sembrare un pazzo.
-          Appena ti prendo la mano, tu seguimi e corri ok? – lo disse freddamente.
-          Cosa?
-          Ti ho chiesto se hai capito! – me lo disse con severità, questa volta degnandomi di un suo sguardo. Non potei fare a meno di incantarmi. Feci cenno di si con la testa.
Il treno stava per fermarsi a poche fermate prima della nostra. Per l’eccessiva gente, finimmo schiacciati contro la parete, poi seguì un suono che stava ad indicare la chiusura delle porte. In un frangente, Riccardo mi prese la mano e insieme scendemmo dal treno, poco prima che si chiudessero le ante. Il treno riprese a correre, mentre dal finestrino un uomo in giacca e cravatta ci fulminò con lo sguardo.
-          Se fossi stata sola, quell’uomo ti avrebbe fatto del male molto prima – non perse la sua freddezza.
-          Chi era?! – avevo il cuore che batteva a mille.
-          Un uomo di una famiglia nemico. Pensi di poter andare in giro comodamente tu, come se niente fosse? – strinse la mano destra, nella quale la mia era ancora intrecciata tra le sue dita. Arrossii visibilmente, ma ciò che mi lasciò più stupita fu la stessa e identica reazione di Riccardo che, senza lasciare la presa, girò il viso. Era terribilmente carino in quei pochi attimi in cui ricordava un comunissimo ragazzo.
-          Saranno sicuramente convinti che, per la tua sicurezza, abbia deciso di riprendere la strada verso casa tua a piedi. Invece noi staremo qua, attendendo il prossimo treno – mi trascinò verso una panchina solitaria, l’unica libera. Mi fece sedere, mentre lui restò in piedi accanto a me.
Per fortuna non abbandonò la presa, perché sentivo il cuore battere veloce non solo per quel suo atteggiamento, ma anche perché era esplicito che mi ero spaventata non poco. Lui l’aveva capito benissimo.
Avevo appena compreso che qualcuno desiderava sbarazzarmi di me, che voleva portarmi via di casa.. ma per quale motivo? Cosa ne guadagnavano?! Forse, se fossi morta senza accontentare Budda, avrebbero segnato la mia fine e così quella della mia stessa famiglia. Forse questo era il loro intento! Sbarazzarsi una volta per tutte della famiglia Sakurada!!
Quando facemmo ritorno a casa, Riccardo tornò antipatico e scorbutico, ma ero immensamente felice che si fosse preoccupato per la mia incolumità. Comunque quella giornata, avrei voluta scordarla, almeno un minimo. Dimenticare quell’uomo che ci inseguiva, anzi che mi inseguiva, e scordare la gentilezza di Riccardo. Non l’avrei mai più visto così, quindi non volevo farmi influenzare.
Durante la lezione di Kyudo, Riccardo era molto più dolce del solito e, quando sbagliavo un movimento, si metteva al mio fianco e mi correggeva. Niente frasi odiose o rimproveri. Proprio come Takanaga-sensei, mi aiutava.
Cosa stava capitando!? Forse avevo saltato qualche parte della “quasi” terribile giornata!?
Riccardo più volte, senza mai sorridere, solo per osservare come stendevo le braccia, effettuando la distensione dell’arco, girava intorno a me. Ormai erano pochi gli errori che commettevo, eppure ogni volta che mi toccata, veniva attraversata da una scossa elettrica.
Fui sul punto di tirare, quando come u pazzo si mise davanti a me. Per fortuna feci in tempo ad aumentare la pressione sulla freccia di lasciarla andare, o poi sarebbe stata la fine.
-          Ma sei pazzo!? E se non la bloccavo!? – lo sgridai come fanno i genitori con i bambini. Poi mi resi conto di avergli mancato di rispetto.
-          Si – disse solo – Sono pazzo – si sedette a terra, portando le mani sul capo.
-          Stai bene? – gli chiedi preoccupata.
-          Niente affatto! Anzi sono agitato, per colpa tua! – Quasi la voce mi morì in gola.
-          Cosa ti ho fatto!? – perché era sempre a causa mia!?
-          Hai fatto la stupida tornandotene da sola a casa!! Incosciente che non sei altro! – percepii una presa sul polso e, in un attimo, mi ritrovai tra le braccia di Riccardo.
-          Che stai-
-          Stupida! – mi strinse ancora più forte, come se potessi sparire da un momento o l’altro. Questo lato così dolce, fu una grande scoperta.
 
Mancava poco più di un mese al rituale.
Grazie a Takanaga-sensei e al figlio, avevo imparato in breve tempo nuovi movimenti, molto più eleganti dei precedenti.
Con Riccardo era tutto cambiato. Dopo quella discussione non mi parlò per un’intera settimana. Seppi persino dal maestro che non aveva più intenzione di venire. Il giorno stesso, chiesto scusa al mio insegnante, uscii prima dal dojo e corsi verso la casa di Riccardo.
Il cuore mi martellava nel petto, qualche lacrima di sudore accarezzava la mia pelle, avevo il fiato spezzato dalla stanchezza. Continuai a correre, conoscendo bene la via per condurlo. Dieci minuti dopo ero davanti alla loro villetta. Una casa grande, bianca, ornata da un tipico giardino giapponese. Entrai, presentandomi come si deve. Mi accolse proprio Riccardo che, prima mi guardò stupito, come se non mi vedesse da anni, ma poi i suoi occhi si velarono di una rabbia che non mi piacque.
-          Che ci fai in casa mia!? – mi urlò.
-          Sono venuta perché il sensei mi ha detto che tu non… - non potei finire la frase. Mi morì la voce in gola, come se non riuscissi a mandare giù un boccone di onigiri.
-          Io cosa!?
-          Non volevi più venire! – sentii gli occhi umidi.
-          E anche fosse? – adesso parlò con fare ironico, come se mi stesse prendendo in giro.
-          Non voglio che smetti di venire!! – glielo dissi con le lacrime che solcavano sul viso – Mi piace fare lezione con te, sentirti parlare e anche sgridarmi! Forse essere sgridata no, però quando ci sei tu che mi correggi i movimenti, che mi guardi e osservi come e cosa faccio… allora sono felice! – il suo viso divenne la rappresentazione dello stupore e vergogna. Abbassò lo sguardò, per incrociare gli occhi con me, ma io invece non esitai neanche un secondo.
Non seppi mai da dove avevo trovato la forza per parlargli così, comunque ciò che ne seguì mi rese la donna più felice di questo mondo.
Riccardo, col suo elegante kimono, mi avvicinò a se. Ancora una volta mi trovavo tra le sue braccia. Che meravigliosa emozione. Sentivo di essere al sicuro quando mi stringeva al suo petto, accarezzandomi la schiena, le scapole e i capelli.
I suoi occhi neri, che ricordavano l’eclisse, mi davano i brividi quando mi scrutavano con fare amorevole. Le dita giocherellavano con i miei ciuffi, scompigliati per la corsa.
-          Mi perdonerai mai? – mi domandò sensualmente.
-          Perdonarti cosa?
-          Perdonarmi di essermi follemente, perdutamente innamorato di te! – e subito, si impossessò delle mie labbra. Calde, dolci e morbide, le sentivo strofinare contro le mie. La sua lingua incominciò a farsi strada nella mia bocca, scambiando gradevoli carezze. Sentivo che sempre di più mi stringeva a se, alzandomi un minimo per raggiungerlo, poiché avevamo almeno otto centimetri di differenza. (Si ok sono un nano.. scusate!) Mi sentivo al settimo cielo! Si, era davvero bellissimo sapere che io potevo completare qualcuno e che qualcuno completava me.
Fu così che ebbe inizio la mia storia con Riccardo. Quando eravamo davanti alla famiglia o amici, cercavamo di avere il solito atteggiamento distaccato, ma appena avevamo tempo, da soli, potevamo comportarti nel nostro nuovo “modo di essere normali” tra noi. Potevamo tenerci per mano, parlare e ridere.
Non avevo mai visto Riccardo sorridere di puro gusto. Forse un sorriso una o due volte, ma mai con così tanta continuità. È come se, per tanto tempo, abbia cercato di comportarsi in maniera da non distruggere la reputazione della propria famiglia. Secondo la nuova moglie di Takanaga-sensei, Yuuka-san, un uomo non doveva mai mostrare i propri sentimenti in pubblico. Bisognava tenere un comportamento serio e neutro. Io non la vedevo così…
-          Tra poco è il grande giorno.. – mi disse Riccardo stringendomi la mano. Eravamo in un angolo del cortile, dove non c’era nessuno a disturbarci.
-          Già! – faceva riferimento al rituale per Budda. Mancavano davvero pochissimo giorni.
-          Vedrai andrà tutto bene! – mi consolò facendomi sdraiare sul suo petto. Sentii il suo cuore battere forte, come se anche lui fosse in ansia per me.
-          E se invece al dio non piace? Magari poi si arrabbia perché ho cambiato e potrebbe- mi zittì con un bacio.
-          Ti dico che andrà davvero tutto bene! Budda, quando ti vedrà, si innamorerà follemente di te, proprio com’è successo a me! – mi fece battere il cuore. Oh santi dei, grazie per avermi dato questo ragazzo!
 
Sentivo la mente come svuotata dai quotidiani pensieri che tartassavano la mia amente. Il corpo vibrava, senza trovare pace. Dalle labbra uscivano strani rumori, come lo stridulo miagolare di un gattino. Gli occhi continuavano a guardarsi intorno, alla disperata ricerca di quella persona. Ma lui non c’era! Il cuore continuava a battere irregolarmente nel petto, facendomi sudare freddo.
Avevo paura! Tanta paura! Anche se avevo l’esperienza di due rituali, adesso che sapevo cosa mi sarebbe successo se non avessi superato la prova… sarei morta prima a causa dell’ansia.
-          Cosa stai facendo!? Tra poco devi andare! – mio padre, uomo severo dalle mille sfaccettature, mi trascinò per il polso. Dovevamo andare al tempio, in una sala privata e là, avrei effettuato il Kyudo.
-          Padre Takanaga-sensei e Riccardo-san non sono ancora arrivati! Dovremmo aspettarli.
-          Non dire sciocchezze, siamo in ritardo! E se non arrivano al tempio, allora farai a meno di loro.
Non volevo che andasse così! Dovevano esserci assolutamente.
“Dove sei!?” inviai un messaggio a Riccardo.
“Yuuka ci ha bloccato a casa! Papà si è sentito male!” Che cosa?
“Come sta!?”
“Si sta riprendendo! Adesso arrivo!”
“Stiamo già andando al tempio...  stai vicino a tuo padre. Me l’hai detto tu che andrà tutto bene.. Quando sarà finita, verrò a casa tua”
Non rispose, proprio come volevo. Non sarei riuscita a rispondergli. Mio padre mi stringeva il braccio, anche lui agitato. Ma per quanto gli volessi bene, non riusciva a tranquillizzarmi.
 
 
Intanto in casa Takanaga…
-          Che ci fai ancora qua? – mio padre mi guardò torvo, mettendosi a sedere sul letto.
-          Cosa vuoi dire? – quando lo vidi cadere, ebbi la terribile sensazione che il dio lo stesse chiamando.
-          Cosa voglio dire!? Tu devi andare dalla piccola Michiko!
-          Se la caverà senza di me. Adesso sei tu che hai bisogno di me- ma fui letteralmente scaraventato a terra da un suo schiaffo – Padre!?.
-          Sciocco! – urlò – Io sto bene! Domani mattina, quando ti sveglierai io sarò ancora qua! Invece la piccolina… non lo sai se la vedrai ancora! – aveva ragione… - Lei ha bisogno di te, dell’uomo che la stimoli a non arrendersi!
-          Come fai a sapere!?
-          Sono tuo padre, ma lo sono anche di Michiko in un certo senso… vi ho osservati – sorrise – Adesso ti prego di andare. Ha bisogno di te.
-          Padre – mi inginocchiai al suo capezzale – Grazie.
Senza perdere un minuto in più, preso la saccoccia, uscii correndo dalla porta di casa. Mi feci accompagnare immediatamente al tempio.
-          Aspettami Michiko! Sto arrivando! – dissi lentamente. Dovevo arrivare da lei.
 
 
Tempio di Budda…
Indossavo un elegante Kyudogi, ricamato con seta bianca, ornato da simboli sacri. L’arco tra le mie mani invece era stato costruito con legno di sakura, decorato da segni floreali. Sulla spalla la faretra in cuoio nero. Le anziani serve continuarono a prepararmi, adornando i capelli in una elegante capigliatura con forcelline su cui si incastravano pietre preziose a forma di fiore.
Se mi fosse successo qualcosa, volevo che Riccardo sapesse quanto lo amavo.
Sul tavolo c’era il cellulare, che vibrava. Era forse arrivato un messaggio?
“Aspettami” c’era scritto semplicemente.
-          Si, è lui – mi uscì una lacrima birichina.
-          Tesoro sei bellissima! – disse la mia povera balia, facendomi vedere allo specchio.
Sul volto mi avevano messo del fondo tinta bianco, colorato le labbra con un liquido rosso sangue, gli occhi incorniciati dal pesante eyeliner nero.
Non sembravo neanche io.
-          È giunto il tempo mia cara.. ti portiamo nella sala – ma nell’attimo stesso in cui una delle vecchie aprì la porta della stanza, una figura nera si piombò sull’uscio.
-          Aspettate! – era Riccardo. Quando mi vide, corse contro di me, abbracciandomi. Mi venne da piangere.
-          Sei arrivato finalmente! – lo strinsi a mia volta, percependo il suo calore. Dopo la cerimonia, l’avrei sentito ancora?
-          Sono qua! Sono arrivato! – allontanò il volto per guardarmi negli occhi – Vedrai, sarai bravissima! – aveva gli occhi lucidi.
-          Stai.. piangendo!?
-          No! – si passò una mano sul volto. Gli sorrisi dolcemente.
-          Grazie mille.. – lo abbraccia – Sapere che sei qua mi aiuta, mi fa pensare che ce la farò.
-          Ma tu ci riuscirai sicuramente! E quando sarai entrata in contatto con Budda, potrai chiedergli finalmente di liberarti da questa maledizione! – non poté trattenere le lacrime anche questa volte. Scendevano con estrema eleganza sulle guance arrosate. Era così bello averlo al mio fianco.
-          Certo – non mi importò se lo potessi macchiare, comunque gli diedi un bacio. Magari sarebbe stato l’ultimo della mia vita, era meglio non sprecare l’opportunità.
-          Andiamo – mi prese la mano, con le labbra sporche di rossetto. Gliele pulii con un fazzoletto, poi incominciammo a camminare verso la grande sala.
Obliquo all’enorme statua di Budda, si trovava un mini dojo. Mille candele ornavano la camera.
Entrai mano nella mano con Riccardo, senza importarmi di cosa potevano pensare i miei parenti. Lui era l’uomo della mia vita e desideravo che tutti vedessero il nostro amore. Mi lasciò con u pacio sulla fronte, sedendosi al posto di Takanaga-sensei che non si sarebbe presentato.
Mentre percorrevamo i corridoi, mi aveva dato una serie di consigli e suggerimenti. Lo avevo ringraziato di ciò, sicura che mi sarebbe stati molto utili.
Presi l’arco tra le mani e, con in sottofondo il suono dei tamburi, lanciai la prima freccia che fece centro.
Andò avanti per dieci minuti, compiendo eleganti movimenti, poi sentii una fotta al petto. Caddi in ginocchio, sentendo un peso sul petto. Riccardo e papà era già pronti a soccorrermi, ma con un gesto della mano li bloccai e completai la mia offerta.
Quando fu finita, dovetti sdraiarmi sul suolo e attendere che il dio Budda permettesse al mio spirito di entrare a fargli visita.
Mi ritrovai una stanza bianca, la stessa di 7 e di 14 anni fa.
“Hai fatto una bellissima dimostrazione del Kyudo” disse una voce che rimbombò nel vuoto.
“Vi ringrazio” feci un inchino.
“Ho visto che ti sei preparata in modo particolare per oggi… a cosa è dovuto ciò?”
“Oh grande Budda, ho una richiesta da farvi!” la mia voce vibrò.
“Cosa vuoi insignificante essere umano!?”
“Liberare la mia famiglia dalla maledizione!”
Nella sala ci furono fiamme e fuoco che apparivano dal tutte le parti.
“Vuoi che ti liberi!?” la voce del dio era spaventosa. Gridava, furioso.
“Non è mia intenzione offenderti, oh sommo Budda!” le fiamme scomparvero e tornò il sereno.
“Perché mai dovrei liberare la tua famiglia dalla maledizione!?”
Avrei voluto dire per i miei antenati, per chi sarebbe potuto venire dopo di me… invece risposi:
“Perché, oh Budda, ho scoperto un qualcosa di davvero meraviglioso sulla terra”
“E dimmi cos’è allora” la voce suonò squillante per la curiosità.
“L’amore… Ho scoperto cosa vuol dire essere la metà di qualcuno” lo dissi col sorriso sulle labbra.
“Capisco…”
Una luce abbagliante mi rese ceca. Una luce bluastra, fece sfoggiò della propria magnificenza nell’immensità di quel luogo.
“Vai piccolo essere umano. Adesso io ti libero!”
Quando riaprii gli occhi, vidi mille sagome sfocate intorno a me.
-          Tesoro come stai?! – mio padre mi aiutò a sedermi.
-          Papà! Io.. – ma non continuai a parlare. In un lato della camera, in piedi, con il fiato sospeso, c’era Riccardo che mi guardava. Mi alzai, senza preoccuparmi degli altri e, con le lacrime agli occhi gli corsi incontro.
-          Sono libera! – urlai per l’immensa gioia – Budda mi ha liberato!
-          Oh Michiko.. – mi strinse forte a se.
Si alzarono grida di gioia nella stanza. Finalmente la famiglia Sakurada era stata concessa la libertà dalla maledizione.
 
Anni dopo, io e Riccardo potemmo finalmente sposarci e, ogni sette anni, fino alla nostra morte, nello stesso giorno in cui fummo liberati, andavamo a ringraziare il dio Budda e così fecero i nostri figli, e così i nostri nipoti, per molto tempo.
-          Tesoro – Riccardo ormai aveva 86 anni – Che ne dici se andiamo a vedere come si allena la piccola Hotaru nel dojo?
-          Certo caro – Hotaru era la nostra nipotina, l’ultima bambina della figlia mia e di mio marito. Aveva ereditato da noi la passione per il Kyudo. Eravamo molto fieri di lei e dei suoi progressi.
-          Nonna guarda! Ho fatto centro ancora! – la piccola corse incontro a me, col suo meraviglioso sorriso.
-          Brava! – dopo ciò, ci ritirammo insieme nella sala del the.
-          Nonna! – mi chiamò la piccola Hotaru.
-          Si cara?
-          Nonna mi racconti la storia di come hai conosciuto nonno? – sorrise ancora. Le avevo raccontato questa storia un centinaio di volte, ma non protestai.
-          Va bene… Tempo fa, quando ero molto più giovane, ogni giorno mi allenavo nella sacra arte dei Kyudo, per salvare la famiglia Sakurada da una grave maledizione…  Il mio maestro, Takanaga-sensei, aveva un figlio, di nome Riccardo. Lui, era il mio maestro…
 
La vita mi era sempre sembrata ingiusta verso i miei confronti, eppure non sarò mai abbastanza grata al destino per avermi concesso di incontrare quel pazzo di Riccardo, che amo ancora con tutto il mio cuore.
 
FINE
 
 
  
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