Si tratta di un E se..., cioè Edward e Bella che si incontrano a Forks nel 1870 , senza scuola, senza auto, senza ristoranti dove andare...
Spero che questa storia in costume vi piaccia, fatemi sapere cosa ne pensate.
Invito chi non la conoscesse a leggere la mia Long The Crew
Vi abbraccio, Teresa
«Stai
dormendo, Isabella?» La voce dolce
di mia madre mi risveglia dal torpore causato dal viaggio.
Ero
partita con la mia famiglia, subito
dopo il mio sedicesimo compleanno, da Colorado Springs, vicino a
Denver, il
quindici settembre dell’anno del Signore 1870 e ho
attraversato in
treno, in tre lunghi giorni, i territori aspri
e selvaggi delle Montagne Rocciose, per poi passare per quelli piatti e
desolati
della Sierra Nevada. Era stato il viaggio più lungo e
avventuroso della mia
giovane vita. Sono certa che non capiti a molte ragazze di attraversare
tre
Stati dell’Unione verso ovest: lo Utah, il Nevada , la
California, (fino a
Sacramento dove ci aspettava la coincidenza per Seattle),poi
l’Oregon e lo
stato di Washington verso nord, ma mio padre non smetteva di
ricordarmelo.
A
lui, Charlie Swan, Ranger Federale
dell’Unione, era stato offerto il posto di Sceriffo della
cittadina di Forks,
nella penisola di Olimpia.
Ora
sono qui, stretta nella mantelletta
di lana fatta a mano, rassegnata ad affrontare l’ultima tappa
di questo
infinito viaggio.
Con
accortezza scendo dal vagone fumoso
dell’Union Pacific con in mano una grossa borsa da viaggio di
pelle marrone ed
un lembo del vestito di cotonina beige e nero che avevo scelto prima di
partire
sperando non mostrasse troppo le tracce dei lunghi giorni trascorsi sul
mezzo a
carbone.
Ad
aspettarci ad Olimpia, troviamo un
carro coperto da un telo bianco guidato da un uomo barbuto di
età indefinita,
che indossa un pastrano color fango. Con un sospiro stanco, lascio che
l’uomo
carichi il mio bagaglio sul cassone posteriore colmo delle nostre
masserizie e
salgo sul sedile per i passeggeri.
«Come
è tutto verde qui», sussurro a mia
madre, mentre un brivido mi percorre la schiena.
«Dovremo
procurarci nuova lana per confezionare
mantelle e coperte» risponde guardandosi intorno pensierosa.
Il
rumore degli zoccoli dei cavalli, che
trottano sulla strada sterrata costeggiata da un’ombrosa
foresta di conifere,
fanno da desolante sottofondo allo smarrimento che mi sento affiorare.
Non che
a Colorado Springs avessi chissà che vita mondana! Ma quel
paio di amiche con
cui trascorrevo i pomeriggi a ricamare o a ciarlare di libri,
già mi mancano.
Dopo
più di tre ore di traballante
viaggio tra i boschi, il mezzo si ferma davanti ad una casetta in legno
a due
piani, semplice ma graziosa. Mentre la osservo con cura, un calessino
trainato
da un cavallo baio si dirige verso di noi. Ne scende una signora
dall’aspetto
gentile, vestita con un abito chiaro a fiorellini blu, con il capo
coperto da
un vezzoso cappellino di paglia allacciato sotto al mento. E’
accompagnata da
una ragazza alta e mora, più o meno della mia
età, che regge un cestino
portavivande.
«Benarrivati.
Voi siete la Signora Swan,
immagino. Mi chiamo Emily e sono la moglie del reverendo Weber e questa
è mia
figlia Angela». La donna ci accoglie con un largo sorriso
indicandoci la ragazza con
lei.
«Oh,
molto piacere» le risponde
cortesemente mia madre. «Sono Renée Swan, e questi
sono mio marito Charlie e
mia figlia Isabella».
«Il
piacere è mio, cara. Vi porgiamo il
benvenuto nella nostra piccola città con questo dono, spero
non ci consideriate
troppo invadenti». Angela allunga timida il cesto con un
leggero inchino.
«Domani
è domenica, e ci troviamo tutti
riuniti alla funzione delle undici. La chiesa la potrete trovare in
fondo a
questa strada a destra. Dopo la messa,come ogni anno, il comitato
cittadino ha organizzato un
pic-nic per la festa di fine estate. Saremmo onorati di avervi come
nostri
ospiti».
Salutiamo
la signora Weber e sua figlia
ed entriamo finalmente in casa. La veranda, rialzata di tre gradini, si
apre su
due grandi stanze di cui una è adibita a cucina. Tre camere
da letto occupano lo
spazio al piano superiore.
Niente
acqua corrente , ma non mi
aspettavo di trovarla, poiché è ancora
considerato un privilegio di chi vive
nelle grandi città. Appena fuori dalla porta posteriore,
però, scorgo un comodo
pozzo alimentato con una pompa a mano.
****
E’
domenica mattina. Mi sto preparando
con cura per la funzione in chiesa. E’ la prima uscita
pubblica del nuovo
tutore dell’ordine e della sua famiglia e mamma vuole
assolutamente che si
faccia una buona impressione. La vedo correre indaffarata a stirare la
cravatta
di papà mentre ripete, instancabile, la sua litania di
raccomandazioni.
«Isabella,
metti il bustino che ormai sei
una ragazza. Indossa un abito elegante… ma non troppo: non
sappiamo che
famiglie troveremo, non sarebbe educato ostentare troppa
ricchezza».
“Elegante,
ma non troppo. No sciatteria,
ma niente ostentazione…”.
Alla
fine, stretta nella gabbia delle
stecche di balena, che rappresentano il mio nuovo status di donna, opto
per un
abito in cotone
rosa antico damascato, abbinata ad una cuffietta di pizzo. Avrei
preferito
indossare qualcosa di più colorato, che mi facesse scordare
quel malinconico velo
grigio che ricopre il cielo sin dal mio arrivo, ma pazienza!
Arriviamo
con leggero anticipo ed
entriamo nella struttura in legno alta e stretta, illuminata da ampie
vetrate
che la rendono accogliente. Angela e sua madre sono in fondo alla
navata e, nei
loro abiti fruscianti, si stanno occupando delle candele. Ci accolgono
con un cenno
della mano e ci accompagnano verso il secondo banco
dall’altare.
“Bene,
non ci sarà modo di passare
inosservati”, penso sconsolata.
Accanto
a noi si siedono le due donne
insieme a due bambini di circa dieci anni che presumo siano i
fratellini di
Angela. La chiesa si riempie rapidamente, mentre il brusio aumenta. Io
mantengo
il capo fisso all’altare vuoto, sicura che tutti gli sguardi
curiosi siano
rivolti a noi. Il banco davanti viene riempito da una famiglia vestita
con
eleganza raffinata. Gli uomini in abito scuro alti e fieri, occupano il
loro
posto salutando con un discreto cenno del capo. Al loro fianco una
donna di
classe dall’aria austera è seguita da una ragazza
poco più grande di me, alta e
bionda, come il resto dei suoi parenti. «E’ la
famiglia del Banchiere Hale, che
è anche sindaco della nostra città», ci
spiega sottovoce la signora Weber. «Nella
fila affianco, ci sono i Newton, proprietari dell’emporio.
Dietro di noi,
invece ci sono il Dottor Cullen con la famiglia. La moglie, la signora
Esme,
insegna cultura e economia domestica alle ragazze». Mentre
l’ascolto mi arriva,
dal banco dietro, una gradevole fragranza che mi colpisce le narici. Si
tratta
di un intenso aroma che odora di cuoio lavorato, misto a foglie di
tabacco, che
ad ogni respiro mi cattura procurandomi inspiegabili brividi sulla
pelle.
Resisto
alla tentazione di guardare verso
l’origine dell'odore,
fino alla
conclusione della messa. Ma in ultimo, mentre sto per alzarmi, cedo e
lancio alle
mie spalle un’occhiata curiosa. Vengo però colta
da un improvviso capogiro e le
gambe mi cedono di schianto come fossero di gelatina, riportandomi
seduta sul
legno dal quale mi ero sollevata, fortunatamente, solo due dita.
La fonte del mio turbamento
è un bel
giovane uomo di poco più di vent’anni, che mi
osserva intensamente. Il cuore mi
perde un battito, le dita delle mani si contorcono nervose tra di loro,
coperte
dai
guanti di pizzo. Appare
molto alto e longilineo, pur da seduto. Il suo viso serio,
dall’incarnato pallido tipico delle persone che ho incontrato
qui, mostra un’inaspettata
finezza. I capelli tra il biondo scuro ed il castano, domati dalla
pomata, si
scompigliano in un ciuffo che gli ricade sulla fronte. Le basette,
belle e
curate, accarezzano l’angolo esterno della mascella quadrata.
Fremo
nella mia sfacciataggine, cosciente
che sto esitando troppo ad alzarmi, ma fatico a distogliere lo sguardo
dal suo
viso e ne studio i tratti incantata: il naso dritto, gli occhi chiari e
luminosi, le labbra rosse e leggermente dischiuse.
Inspiro
turbata seguendo quel soffio
d’aria che indovino uscire dalle sue labbra.
Il
mio cuore, di nuovo, perde un altro colpo
e uno sconosciuto frullo di ali di farfalla mi invade lo stomaco.
Abbasso la
testa e mi nascondo dietro la tesa traforata del cappellino,
imbarazzata dal
calore che sento montarmi sulle guance sotto il suo sguardo audace.
Alle mie
spalle percepisco il suo movimento mentre si alza ed esce dal banco
sfiorandomi
appena,col tessuto della manica, i capelli sciolti sulla schiena.
L’odore del
cuoio e del tabacco mi avvolgono di nuovo potenti, mentre un lungo ed
intenso
brivido mi percorre tutta. Esco con passo incerto alla ricerca della
mia
famiglia, che si trova sul sagrato circondata da persone che non
conosco.
Angela, da buona padrona di casa mi conduce verso un gruppo di
signorine sedute
su una panca del prato.
Mi
presenta per prima, ad una ragazza
piccola e mora dall’aria vivace. «Carissima, questa
è Isabella Swan, la figlia
del nuovo Sceriffo. Isabella, lei è Alice, la terzogenita
del Dottor Cullen».
Si volta quindi verso la ragazza alla sua sinistra che mi presenta come
Jessica
Stanley, figlia del direttore dell’ufficio postale. La terza,
invece è la bionda
del banco di fronte al mio e mi viene nominata come Rosalie Hale,
fidanzata di
Emmett Cullen, fratello maggiore di Alice.
«Angela,
hai invitato Isabella al
pic-nic?» Le chiede Alice.
«Certo,
ed ho anche fatto la mia famosa
torta di mele». Le risponde l’altra.
Bene,
così mentre la mangeremo insieme,
avremo modo di spettegolare sui giovani del paese, compresi i miei
fratelli». Alice
batte felice le mani guantate e con un dito mi indica due giovani
inseriti in
un gruppo poco distante.
Il
primo, è un uomo di circa venticinque
anni, grande e muscoloso, vestito di un fine abito grigio.
L’altro è lo stesso
su cui ho indugiato lo sguardo in chiesa: alto come il fratello, ma
più snello
ed elegante. Distolgo lo sguardo rapida, ma lui si volta in tempo per
sorprendermi mentre lo fisso. Rossa per la vergogna di essermi fatta
cogliere
di nuovo, seguo Angela verso la tovaglia adagiata sul prato dalla
signora
Weber. «Si chiama Edward» mi sussurra lei,
«è il figlio di mezzo dei Cullen.
Studia Medicina a Boston ed è una
persona schiva. Non rivolge mai la parola a nessuno, men che meno alle
ragazze». Ad Angela esce un risolino che maschera con una
mano. «Qui siamo
tutte più o meno innamorate di lui, ma non ci degna di
considerazione.
Probabilmente ci considera troppo piccole, o troppo provinciali per i
suoi
gusti».
«Ma
io ho compiuto sedici anni. Sono già
in età da marito!» Si lamenta Jessica che ci stava
seguendo.
“Li
ho anch’io”. Penso languidamente.
Mi
accorgo sorpresa della mia reazione,
in quanto non mi era mai capitato prima di proiettare pensieri verso il
matrimonio.
“Per
sposare chi, poi?”Non ho mai
flirtato con nessuno, finora mi sono interessata solo alla lettura e
alle opere
di carità con mia madre. Qui, oltretutto, sono praticamente
una sconosciuta.
Nei
giorni seguenti mi unisco ai corsi di
merletto della signora Cullen. Mentre ricamo racconto ad Alice ed
Angela della
mia vita a Colorado Springs. Con gioia e nostalgia insieme, descrivo
loro il
cielo perennemente azzurro e le montagne aspre ed arse dal sole. Parlo
loro dei
pomeriggi passati a sorseggiare tè con le amiche e delle
visite alla riserva
indiana per prendersi cura dei piccoli pellirossa.
«Anche
noi facciamo assistenza alle
popolazioni indigene, potresti
venire
con noi la prossima volta», mi invita Alice.
Con
lei sto creando un rapporto profondo.
Insieme trascorriamo molto tempo a parlare mentre sbrighiamo piccole
commissioni per le nostre famiglie. Mi svela di essere innamorata di
Jasper
Hale, fratello della sua futura cognata, ma che lui, per quanto sicura
di
essere corrisposta, non si è ancora dichiarato.
«A
volte penso che sia un po’ tonto», mi
confida un giorno. «Cosa aspetta a chiedere la mia mano, che
sia considerata
una vecchia zitella?»
La
guardo sbalordita.
«Scusa
Alice, ma quanti anni hai?»
«Ne
faccio diciotto a dicembre» mi
sussurra con voce strozzata.
Non
ho mai pensato che diciotto anni
fossero la soglia della vecchiaia, ma io, probabilmente, ho fin’ora vissuto
in modo infantile.
«Per
il mio compleanno ho deciso di
organizzare una grande festa da ballo, così vediamo se quel
pesce lesso di
Jasper riesce a farsi scappare anche questa occasione!».
Alice trotterella allegra
raccogliendo fiori per il suo mazzetto. Ad un certo punto alza di colpo
la
testa come colta da un’improvvisa
rivelazione:«Sarebbe anche l’occasione giusta
per presentarti mio fratello Edward… ho
l’impressione che siate fatti l’uno per
l’altra» sospira con gli occhi rivolti al cielo.
«Alice,
n-non mi sembra il caso»
balbetto, « non credo sia interessato a me. Non ci siamo mai
parlati». Mentre
protesto, sento le guance andarmi a fuoco.
«Oh,
non farti ingannare dal suo fare
burbero. E’ vero, a volte è un po’
spocchioso, ma quando non pensa ai suoi
esami, riesce ad essere anche gradevole. Poi, » dice
avvicinandosi come se non
volesse far sentire a nessuno quello che sta per dirmi, « ho
notato che è molto
interessato quando in casa si parla di te». Sobbalzo scossa
dalle sue parole.
«Perché,
sono argomento di discussione in
casa vostra?»
«Certo,
mamma ti trova deliziosa ed Emmett
si è sbilanciato a dire che sei molto carina, non come la
“sua” Rose,
naturalmente». Mi prende sottobraccio ed insieme, torniamo in
paese.
“Quindi
c’è una remota possibilità che
suo fratello Edward mi abbia notata?” Scarto subito
l’idea, sicura che una
ragazzina inesperta come me non possa procurare nessuna attrazione ad
un uomo
che studia in città.
****
Le
domeniche si susseguono una dopo
l’altra inesorabili ed io, ogni volta, le raggiungo sempre
più agitata ed
inquieta. Mi sono accorta di vivere in fervente attesa di
quell’attimo, in cui
i miei occhi si incroceranno con quelli di Edward, tra i banchi della
chiesa.
Lo
agogno quasi come fosse un
appuntamento: il meraviglioso e unico momento, in cui ho la
possibilità di
posare lo sguardo di nuovo su di lui.
Edward,
dal canto suo, indugia ogni volta
ritardando qualche istante la sua uscita, regalandomi la sua occhiata
enigmatica.
Anche
stavolta, quindi, lo sento arrivare
preannunciato dal suo sensuale profumo. Il cuore mi si stringe pensando
al
fatto che domani lui se ne andrà a Boston ed io non
avrò più la possibilità di
bearmi della sua fugace presenza.
Dal
giorno in cui Alice mi ha parlato
della sua imminente partenza, mi sento persa,
dormo male e quando finalmente mi
addormento sfinita, lo sogno: bellissimo in maniche di camicia, che
cavalca coi
capelli al vento allontanandosi da me. Più di una volta mi
sono svegliata con
le lacrime agli occhi e un grande dolore al petto.
“Come
posso provare nostalgia di una
persona che non conosco neppure?”
Il
mio cuore si ribella a questa
riflessione e mi riporta alla mente il suo profumo che tanto mi ha
rapita.
“Ma
si può essere innamorati di un
aroma?”
****
«Bella,
ma non hai mai pensato a come
potrebbe essere la tua vita con lui?» Mi aveva chiesto Alice
giorni fa.
Ormai
l’argomento principale delle nostre
chiacchierate pomeridiane riguardava quelli che lei continuava a chiamare “ i
nostri ragazzi”: cioè parlava
del “suo” Jasper e di Edward. Io insistevo a
schernirmi dicendole che non era
assolutamente il “mio” Edward, ma lei mi zittiva
adducendo la scusa di dar
tempo al tempo; che lei sapeva benissimo quello che vedeva e
difficilmente si
sbagliava nel giudicare le persone.
****
Domani
parto. Torno ad Harvard per l’inizio
del nuovo anno accademico.
A
differenza delle altre volte, in cui mi
staccavo felice da questo paese sperduto tra le montagne, provo una
leggera
malinconia. Mi convinco che sia perché mi dispiace lasciare
i miei genitori, o
mio fratello che ha finalmente finito gli studi in veterinaria e ha
deciso di
aprire un ambulatorio qui a Forks…
La
verità e che, per la prima volta, ho
notato una giovinetta carina, che mi ha irrimediabilmente colpito. Mai
mi ero
soffermato sulle ragazze del posto, perché in fondo, non era
mia intenzione
restare in paese. Ho sempre ambito alla vita di città, e
sono tuttora certo che
il mio ruolo di medico, ben più si presti
all’ambiente affollato di una grande
metropoli.
Ma
il guaio e successo quella domenica di
settembre in chiesa, quando ho posato per la prima volta i miei occhi
su di
lei.
Sapevamo
tutti del suo arrivo. Ci sono
così poche novità in questa valle sperduta, che
una cosa banale come l’arrivo
del nuovo Sceriffo e della sua famiglia, era diventata fonte di
pettegolezzo per
settimane. Si sarebbero seduti nel banco vuoto davanti al nostro, ed io
annoiato, sarei stato disturbato dal cicaleccio dei miei genitori con
loro.
Magari avevano anche figli piccoli!
Non
era successo. Gli Swan si erano
dimostrate persone molto riservate. Tra di loro stava, appunto, solo
una
ragazza poco più che bambina, che mi aveva catturato per il
candore che
emanava.
Un
piccolo fiore, così spaesato che,
quando a fine cerimonia si era voltata, il suo sguardo di agnellino
indifeso,
mi aveva scatenato l’esigenza di proteggerla e di rincuorarla
dalla tristezza
che scorgevo nel suo volto.
L’avevo
fissata ben oltre il tempo che le
buone maniere stabilivano, ma i suoi caldi occhi nocciola, si erano
incatenati
ai miei e non riuscivo a staccarli. La sua pelle, seppur molto chiara,
era
illuminata da un velo dorato donatole dal sole, che le conferiva un
aspetto
esotico per questo posto dove l’astro del giorno non ci
onorava mai della sua
presenza. La sua bocca, piccola e rosa, era arricciata in un vezzoso
musetto stupito.
Fuori
sul sagrato, l’argomento maschile
era lei. Anche mio fratello Emmett l’aveva notata.
«Hai
visto la piccola Swan, Edward? E’
molto graziosa e timida. Pare che l’abbiano già
adocchiata anche quei buzzurri
di Newton e dei suoi amici. Io proverei a non lasciarmela scappare se
fossi in
te. Mi sembra di alto rango, quasi come la mia Rose».
«Emmett,
ti prego, non fare il paraninfo.
Sai che non mi piacciono le ragazze di campagna. Eppoi non sto cercando
una
fidanzata. Ho ancora due anni di studi e le donne ambiscono solo al
matrimonio.»
«Perché,
cos’hai contro il matrimonio?»
Mi aveva chiesto meravigliato. «Prima o poi un uomo si deve
fermare da qualche
parte e deve avere una moglie che gli dia calore e senso di famiglia.
»
«Io
non sono pronto Emmett. Soprattutto
non voglio fossilizzarmi qui. Io sogno di vivere a Boston, o a
Philadelphia e
quando riterrò di essere pronto, vorrò al mio
fianco una donna sofisticata e di
cultura.»
«Ah,
fai come credi fratello». Ma secondo
me ti lasci scappare un’occasione. Le donne di
città hanno mille grilli per la
testa, mentre quelle di paese si lasciano guidare meglio
dall’uomo…»
«Oh,
sì lo vedo, come ti fai valere con
Rose, le corri dietro come un cagnolino!» Una punta di
sarcasmo si insinua tra
le mie parole.
«Ehi,
bada a come parli Ed. La mia Rose è
una ragazza unica!»
Ci
eravamo diretti al nostro pic-nic
ridendo. Avevo cercato di non pensare più ad Isabella Swan,
anche se ogni tanto
mi scoprivo a guardarla ed in quelle occasioni capitava di sorprenderla
a
fissarmi.
E
mentre stavo a casa, durante la
settimana, sperando di concedere un po’ di tregua al mio
spirito inquieto,
quella piccola peste di mia sorella, non faceva altro che parlare di
lei.
Io
non avrei mai voluto, ma mi ritrovavo,
mio malgrado, ad ascoltare quei discorsi cercando di capire cosa ci
fosse in
quella testolina castana di così strabiliante da attrarre
tutti, (me compreso).
Ed
ero andato avanti così per settimane,
nell’attesa che arrivasse la domenica per poter godere ancora
della sua
presenza.
Quindi,
sinceramente, non vedevo l’ora
che il mio calvario a Forks terminasse.
Le
sere le passavo a bere ed a giocare a
ramino con Emmett e Jasper. A volte si aggiungevano giovani villici ai
quali,
di recente, sentivo fare commenti piccanti sulla nuova arrivata. Era
una cosa
naturale per un gruppo di uomini, altre decine di volte li avevo
sentiti
accalorarsi per qualche gonnella della zona e non mi ero mai
scandalizzato.
In
questo caso, però, i loro
apprezzamenti fuori luogo, mi bruciavano dentro come se la cosa mi
riguardasse.
Mi ero detto che era perché la ragazza era amica di mia
sorella, ma nel
profondo sentivo l’odore della menzogna.
****
Ed
ora sono qui, questa domenica mattina,
fermo davanti al cortile della chiesa, conscio di commettere la
più grande
sciocchezza della mia vita. Eppure non riesco a trattenermi.
Entro,
e mi siedo per l’ultima volta,
godendomi la visione del suo incantevole volto per poterlo custodire,
nel
profondo del mio cuore prima di andarmene.
(Bella)
Dopo
la benedizione, attendo, in finto
raccoglimento, quell’attimo che permette alla mia famiglia ed
alla maggior
parte delle persone di uscire. Volgo il capo, per carpire
l’ultima immagine
dell’uomo che ha catturato il mio cuore.
Mi
scruta assorto, anche lui, ma al
contrario delle altre volte, nei suoi occhi leggo una velata tristezza.
Il
cuore prende a galopparmi nel petto e mi sento mancare il respiro,
certa che si
tratti veramente di un addio. Arrossisco e mi volto di nuovo per
celargli, non
tanto il mio turbamento, quanto gli occhi gonfi di lacrime che sgorgano
impazienti.
Lo
sento, come solito spostarsi ed
uscire, mentre il movimento dell’aria sulla mia schiena
brucia come il fuoco.
Il suo aroma mi avvolge ancora e chiudo gli occhi per imprimermi nella
mente
quella essenza che ormai lo contraddistingue.
Mi
alzo e li vedo. Un paio di finissimi
guanti di pelle nera stanno in bella mostra sul poggia mani dietro di
me.
Li
raccolgo stupita e sento la fragranza
esplodere da loro. Li stringo al petto indecisa. La tentazione di
tenerli in
ricordo di lui è forte. Ma sarebbe sconveniente e nel caso
che mia madre, o
peggio mio padre, ne venisse a conoscenza, morirei di vergogna.
Estraggo
quindi lesta, dalla tasca della
mia crinolina, un fazzolettino di mussola bianca che strofino forte
sulla pelle
pregiata. Conserverà il profumo di Edward per le fredde
notti del mio cuore.
Così
li appaio, ordinati, per renderli ad
Alice. Ma mentre li sistemo un piccolo rametto fiorito cade a terra. Lo
raccolgo e lo guardo incredula.
Sull’esile
stelo verde, stanno riunite alcune
delicate corolle azzurre di
“Nontiscordardimé”.
Lo
ripongo nel fazzoletto già impregnato
dell’amato aroma, confusa
da questo gesto che vorrei interpretare come un dono di affetto da
parte sua,
ma che invece risulta
un poco incerto.
Esco
col cuore in tumulto dalla chiesa.
Raggiungo
Alice e le allungo i guanti con
atteggiamento composto.
«Questi
stavano abbandonati nel vostro
banco, credo siano di tuo fratello» le comunico con voce
roca. Li guarda e mi
osserva pensierosa.
«Sì,
mi sembrano i suoi, grazie».
****
Dopo
quella domenica, le mie settimane
sono trascorse monotone. Di lui mi resta solo una flebile fragranza nel
prezioso quadratino di stoffa ed un rametto essiccato di cerulei
fiorellini che
accompagnano costanti, le pagine delle mie letture.
Non
è tornato neppure per le feste di
Natale.
Le
notizie che manda a casa e che Alice
non manca mai di riferirmi, sono buone ma impersonali.
Ed
io galleggio nel mio grigio limbo,
sconsolata per quel sentimento nato senza speranza.
“Cosa
mi importa di una festa da ballo in
cui ho ricevuto complimenti ed attenzioni, se non c’era
l’unica persona da cui
mi sarebbe piaciuto sentirli?...Se non riesco quasi più a
ricordare i suoi
adorati occhi nemmeno nei sogni?”
In
quell’occasione ho risposto glissando con
un sorriso alle premure dei buoni partiti del paese, ma ogni giorno che
passa mi
rendo conto che uno, più audace degli altri, prima o poi si
farà avanti.
E
a quel punto cosa dovrò rispondere? Che
il mio cuore è già impegnato? Per chi, poi? Per
quella persona che quand’anche
dovesse tornare , poi ripartirebbe senza di me?
Ed
allora, a quel punto, uno varrebbe
l’altro! Che scelga mio padre. Per me sono tutti
uguali.
****
(Edward)
Le
settimane a Boston trascorrono
tranquille. Gli studi mi impegnano
molto
e come accadeva anche negli anni passati, trascorro qualche serata con
i
compagni di corso nei postriboli per signori dabbene.
Mi
astengo solo dal frequentare i salotti
delle famiglie borghesi, atterrito dal pensiero che in qualche angolo
di casa,
si possa celare una fanciulla in età da marito. Non sono
più così sicuro di
voler frequentare donne di città. Ancora il mio pensiero
corre al viso minuto e
stupendo di Isabella.
“Chissà
cosa aveva pensato del fiore che
le avevo donato?”
“Chissà
se avrebbe avuto la perspicacia
ed il desiderio di aspettarmi?”
Il
messaggio che le avevo lasciato era
volutamente vago.
Non
ero tornato apposta, per Natale.
Faceva parte del piano “nessuna pressione al
destino”che mi ero imposto.
Avevo
addotto come scusa un impegnativo
esame di anatomia da preparare a breve. Eppure sapevo che posta
c’era in gioco.
Mia
sorella mi aveva avvertito che
avrebbe organizzato un ricevimento per il suo compleanno, che avrebbe
combaciato con il debutto in società per l’amica
Isabella. Da quel momento,
perciò, ella sarebbe stata oggetto delle attenzioni del
primo giovanotto che
avesse avuto l’ardire di chiederne la mano.
Una
lama conficcata nelle carni mi
avrebbe fatto meno male di questo pensiero molesto.
Oggi
è una splendida e assolata giornata
di aprile. Ho finito le lezioni del mattino e sto seduto ad un tavolino
fuori
di un caffè, rigirandomi tra le mani una lettera di Alice.
Mentre
sorseggio dalla mia tazza, la
apro.
La
svolazzante grafia di mia sorella
scorre veloce sulla carta avorio.
Adorato
Fratello,
qui
a casa stiamo bene e speriamo sia così anche per Te.
Ti
aspettavamo tutti per le vacanze di Natale,
ma non hai voluto compiacerci della tua presenza.
Mamma
e Papà ne sono rimasti dispiaciuti ed anche
Emmett è stato triste per un po’.
Ci
tenevo a comunicarti che finalmente mi sono
fidanzata. Jasper Hale ha ufficialmente chiesto la mia mano a
nostro Padre
e spero che Tu nella lontana Boston ne sia contento. Alla stessa festa
una certa
signorina di nostra conoscenza ha brillato vestita di un candido abito
bianco
tra mille complimenti. E gli occhi di tutti erano puntati su di lei,
che però
sembrava persa, come se le mancasse qualcuno.
E
sarebbe il caso che quel qualcuno, sapesse che
c’è il figlio dei Newton, che sta aspettando di
compiere i vent’anni per
chiederla in moglie.
Ciò
accadrà a maggio, quando sbocciano le rose…
Ma
io credo che ci sia ancora tempo per dar voce ai
sentimenti, se ce ne sono.
Rifletti
bene, Edward, su chi è rimasto qui.
Chi
hai
lasciato ad attenderti, lo sta facendo, ma il tuo segnale non
è stato
sufficientemente chiaro.
Hai
lanciato il sasso ed hai nascosto la mano…
Ora
ti lascio perché ho mille preparativi da fare per
le mie future nozze.
La tua affezionata, Alice.
Il
messaggio è chiaro anche se non ha
fatto nomi.
A
questo punto mi interrogo nervoso sulle
notizie che arrivano da Forks. Ripiego con cura la lettera e la infilo
in
tasca. Mi alzo incapace di calmare la frenesia che sento nelle gambe.
Non
posso partire adesso.
Ma
anche sapere che un garzone di negozio
qualunque, metterà le sue luride mani sul mio fiore di
cristallo, mi sembra
inconcepibile.
“Come
vorrei averla almeno baciata prima
di partire!” Ora avrei una certezza in più su i
suoi sentimenti per me.
Rientro
nella mia stanza d’hotel, sicuro
che le lezioni del pomeriggio, oggi, sarebbero solo parole lanciate nel
vento.
Mi
stendo vestito sul letto e mi
addormento di un sonno inquieto, popolato da loschi figuri che
circondano
Isabella deturpandole l’abito candido.
Mi
alzo di scatto dal letto.
Ho,
finalmente, preso la mia decisione.
Questo penultimo anno di studi è quasi terminato, e
ciò mi permette di guardare
con leggero ottimismo al futuro.
Dallo
scrittoio estraggo un foglio di
carta ed un pennino che intingo con cura nella boccetta di inchiostro
indaco.
Onorato
Padre,
Vi
mando questa mia, per chiedervi un
favore urgente…
Richiudo
il foglio e mi dirigo lesto
verso l’ufficio del telegrafo.
Una
febbre improvvisa mi brucia dentro e non mi permette di aspettare i
tempi
biblici del servizio di posta tradizionale.
Lo
trovo aperto, ma troppo affollato per
i miei gusti. Aspetto, simulando una calma che non provo, il mio turno.
Allungo,
finalmente il mio foglio all’impiegato,
che lo riproduce con fare professionale col martelletto
d’ottone.
Tic
tic… tic-tic-tic… tic…
Ogni
colpetto è un sassolino che cade alleggerendo
mio spirito, ma è anche un’ombra che si aggiunge
nella mia mente.
“
E se per caso fosse, comunque, troppo
tardi?”
Nel
messaggio avevo aggiunto una
postilla:
… mi raccomando però, caro Padre, di accertarvi che il suo cuore non batta già per un altro…
****
(Bella)
E’
primavera. Finalmente il ghiaccio e la
neve hanno lasciato il posto alla nuova stagione anche qui a Forks.
Ogni
tanto il sole fa capolino tra le
perenni nuvole grigie, regalandomi tiepide giornate serene.
Ormai
il mio fazzoletto non profuma più,
e quel mazzolino trasparente come carta velina, rischia di sbriciolarsi
ad ogni
spostamento. E’ rimasto, quindi, fermo nell’ultima
pagina in cui l’ho messo.
Trascorro le mie giornate quiete, leggendo e ricamando in compagnia di
Angela e
Jessica.
Alice,
si è trasferita per qualche tempo
a Seattle per preparare il corredo.
Pur
sentendo la sua mancanza, non posso
negare che la sua figura mi ricordasse troppo una persona alla quale
non riesco
a pensare, senza sentire un forte dolore al petto.
****
Oggi
c’è un certo trambusto a casa mia. Mio padre
è tornato presto dal lavoro e si è
diretto da mia madre con uno strano sorriso sulle labbra.
E’
poi venuto, dopo qualche tempo, verso
di me sedendosi al mio fianco sulla panchina della veranda.
«Isabella
cara, oggi mi è stata chiesta
la tua mano».
Che
prima o poi Mike Newton avrebbe fatto
questa mossa l’ho capito da come mi guarda languido ogni
volta che faccio
acquisti nel suo negozio.
Che
si sia deciso così in fretta mi
lusinga e dispiace allo stesso tempo.
«Non
mi chiedi neanche chi sia il giovane
in questione?» Mi chiede incredulo.
In
effetti non mi importa molto che sia
lui o un altro, tanto l’unico che vorrei, non ha nessuna
intenzione di farsi
avanti…
«Oh,
padre, a voi piace? Se pensate che
sia adatto a me, io ne sono contenta. Mi fido del vostra
decisione». Mi
abbraccia leggero con un velo d’imbarazzo.
«Brava
bambina, vedo che hai molto
giudizio. Ma credo che non avrei potuto sperare di meglio per te. Un
futuro
medico… Ti chiede però, se puoi pazientare fino all’estate,
perché ora non riesce a tornare.
“Un
medico?... ma allora…” Il mio cuore
apatico riprende improvvisamente vita
e
con un guizzo improvviso sembra voler uscirmi dal petto.
“…Se
lo posso aspettare?!” «Certo Padre,
non c’è nessuna premura…»
Mi
alzo instabile sulle gambe e mi
trascino fino in camera mia, dove posso finalmente dar sfogo con grosse
lacrime
a tutta la pena accumulata in questi mesi. Dal portagioie in cui lo
avevo
riposto, estraggo il cimelio candido che mi lega al mio amore. Lo
annuso e finalmente
riesco a cogliere un residuo di quel profumo maschile che davo per
disperso.
“Mi
chiedi se ti posso aspettare,
Edward?” Ora
sì, anche tutta la vita…
Fine
La storia potrebbe essere finita così, ma come avete di sicuro notato è un finale aperto... fatemi sapere se vi interessa leggere del loro incontro.
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