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Autore: crimsontriforce    26/12/2007    1 recensioni
È la storia di un fantasma, di chi medita di diventarlo, di chi lo è sempre stato e non lo è più e di chi infine spera di sconfiggerne uno. È la spirale di morte di Spira che si mostra in tutta la sua forza mentre già si intravede, all'orizzonte, un barlume di luce eterna.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Auron, Belgemine, Braska, Jecht
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Dieci anni fa, la stessa strada'
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Scritto per il concorso Fantasmi indetto da Lisachan sul forum X3 Finché lei indice, io partecipo gioiosa e contenta! Il mio secondo con questo tema, fra l'altro... i miei fandom sono pieni così di fantasmi XD A un certo punto m'era anche venuto il ticchio di piantar tutto e puntare sui fantasmatici e fantasmagorici Phoenix Wright 3 o Valkyrie Profile Silmeria, ma era da tanto (leggi: da quando ho preso le Magus Sisters, estate 2002, non so se mi spiego) che ci tenevo a scrivere di quest'incontro e mi è sembrata l'occasione perfetta. Tanto PW è come il nero, va con tutto, e Silmeria può aspettare... almeno fino al 2012, a occhio.

Serissimi & seriosi ringraziamenti:
Grazie a Youtube e ai miei salvataggi multipli, senza i quali questa fanfiction forse non esisterebbe, e a Phoenix Wright senza il quale non esisterebbe in questa forma XD Una pernacchia invece all'Ultimania Omega, senza le traduzioni della quale il tutto sarebbe tanto ma tanto più facile. Ugualmente una pernacchia all'Ultimania di FFX-2 che spara vaccate divertentissime... ignorare le quali è una specie di dovere morale. Quindi, per chi sapesse di cosa sto parlando, niente arca di Noè, figuriamoci. Poi chi manca... ah sì, grazie anche agli script che curiosamente omettono i dialoghi opzionali (come, non so, TUTTI quelli di Belgemine), rendendo la documentazione un simpatico terno al Lotto. Yay!

*stile banner in difesa di qualcheccosa*
Amo la mia lingua e amo le localizzazioni inglesi di Smith & co., pertanto rifiuto una versione italiana che usa più parole composte di quella tedesca e più K di un SMS e mi impegno a ritradurre i termini specifici ove lo ritengo necessario (cioè, incidentalmente, sempre XD) cercando di riportare registro e significato originari al meglio delle mie capacità. è_é



Dead for a thousand years (no last chapter)





Il buio silenzioso del Gagazet era stato un giusto compagno per i pensieri dei tre pellegrini nei lunghi giorni di traversata.

Auron non trovava più parole per esternare il conflitto fra rispetto e affetto, fra i suoi obblighi come Guardiano e le stupide, ingenue speranze che pur continuava a trascinarsi dietro. Aveva sempre creduto in infinite possibilità, ma le stava vedendo svanire una ad una sotto i suoi piedi in quell’ultima strada che li avrebbe portati all'Evocazione Finale, alla salvezza di Spira – e alla morte del suo Lord.

Jecht, che con la sua boria e la sua innocenza era spesso riuscito a distrarlo da quella tristezza, stava combattendo contro più verità di quante un uomo dovrebbe trovarsi a fronteggiare in una volta sola. Poteva accettare il pensiero che non ci sarebbero state parate né fuochi d’artificio al suo ritorno e poteva anche accettare che Braska non sarebbe mai tornato con loro, se quella era stata la sua scelta. Ma, fino a pochi giorni prima, aveva ancora sperato di poter tornare a casa. A casa sua, a Zanarkand. Non più. Le infinite possibilità di cui Auron era solito palargli sembravano così vuote, ormai.

Braska era rimasto la loro unica luce e guida.

Proseguivano. Faticosamente, dolorosamente proseguivano.

***

Infine, aria fresca. Si erano lasciati alle spalle le ultime Prove, il sistema stesso di caverne del monte sacro, e quando fossero tornati alla luce del sole sarebbero stati in vetta, graziati dalla maestosità delle rovine di Zanarkand la bella, Zanarkand la sognatrice, Zanarkand l'eterna. Eppure non era un raggio di luce quello che quasi abbagliò gli occhi di Auron quando ebbe svoltato una delle ultime curve: pyreflies, migliaia di pyreflies invadevano il corridoio ricoprendosi di tutti i colori dell’aldilà.
All’unisono, i due Guardiani impugnarono le spade e si frapposero fra il loro Evocatore e il pericolo mentre Braska si stringeva alla sua asta, mormorando un incantesimo di protezione.
Quando le luci si dispersero, però, non trovarono nessuna fiera ad attenderli. Una donna non più giovane, che vestiva i paramenti da Evocatrice, era inginocchiata di fianco al corpo martoriato di un’Al-Bhed e piangeva sommessamente. Nel sentire i passi dei tre si strinse alla morta, per farle e farsi scudo da qualunque pericolo.

“Un fallimento, qui…”, mormorò Auron chinando il capo con rispetto e riunendo le mani in segno di preghiera. “Sia lode a Yevon”, recitò in automatico.
Il compagno seguì il suo esempio, ma il suo pensiero era lungi dall'andare una divinità antica e vendicativa.
Poi si fecero da parte: dopo mesi di viaggio anche Jecht si era rassegnato all’idea che, nella spirale di morte che li avvolgeva tutti, tendere una mano all’Evocatrice sofferente era un’urgenza che avrebbe dovuto aspettare. Prima venivano i morti, sempre.

Braska avanzò con passi lenti e misurati. Si rigirò l'asta fra le mani, riscoprendone la consistenza. Legno, buon legno: reale. Respirò a fondo. I suoi passi erano reali, il legno era reale, il bracciale di vetro che gli aveva regalato la sua bambina e che tintinnava a ogni movimento era reale. La danza che stava per intraprendere non era reale, l’avrebbe portato al confine con la morte e doveva essere abbastanza certo di se stesso da saper tornare indietro. Un altro respiro e portò la asta nella mano destra iniziando il primo movimento, un ampio arco basso. La sua concentrazione era assoluta, la sua volontà era assoluta. Avrebbe accompagnato lo spirito della giovane donna fino alla salvezza dell'aldilà, risparmiandole una non-vita di tormenti come fiera – o, massima aberrazione, fra le file di coloro che restano. Una nuova nube di pyreflies si sprigionò nell’aria. Secondo movimento: con una lenta piroetta sottolineata dal movimento del braccio stava prendendo su di sé i dolori e le angosce che ancora legavano la morta al mondo. Molte angosce, pensò, rompendo per un attimo la catena di preghiere con cui manteneva la mente vuota. È una Guardiana. Non può essere altrimenti.

“Basta!”, urlò l’Evocatrice voltandosi infine verso di lui. Con un gesto rabbioso della mano dissolse le pyreflies che la circondavano e guardò Braska con la ferocia di un animale in trappola. “Smetti! Non serve! L’ho già… scortata io…”, aggiunse, nuovamente scossa dal pianto.

Braska si interruppe, incredulo, concludendo in fretta il movimento con un affondo e un inchino: gli sembrava di conoscere quella voce da un passato più lieto, in cui l’evocazione poteva limitarsi ad essere un’arte e una gioia. Quando si sentì del tutto libero dai vincoli del rito si rialzò, appoggiandosi pesantemente all'asta. L’altra sembrava non curarsi più di lui.

Si rivolse a Jecht e Auron perché dessero degne esequie alla Guardiana, ponendo poi la sua arma sopra il tumulo così che quest'ennesima vita reclamata dalla montagna non andasse perduta, se non altro nel ricordo di generazioni di viaggiatori futuri. Almeno in questo si sarebbe attenuto alla tradizione.
“Maestra? Maestra Belgemine?”, chiese, ma non ebbe risposta. Sospirò. Se i morti erano in pace, poteva essere tempo di occuparsi dei vivi: appoggiando con delicatezza due dita sulla fronte della donna le concesse un sonno magico libero da incubi, unico sollievo che potesse offrirle.

Mia maestra… anche tu incedi in questo sentiero buio?

***

“Ci fermeremo ad accudirla, per tutta la notte se necessario”, annunciò Braska quando la ebbero avvolta in una coperta accanto al fuoco, al limitare della grotta. A nessuno di loro però sfuggì che, nel dirlo, continuava a guardare a nord, perché il conforto così generosamente dato a un singolo poteva venir pagato da decine di altre vite, ignote ma non per questo meno importanti, se Sin avesse attaccato di nuovo. Jecht era da sempre troppo centrato sul qui e sull'ora per dare alla questione il dovuto peso e per Auron ogni momento guadagnato era un dono divino. Ma Braska faticò nell'ordinare ai suoi piedi di fermarsi e nel fingere a se stesso una tale stanchezza da giustificare quella sosta con vera necessità.

***

“Dunque? Chi è la signora?”, li interrogò Jecht mentre si serviva di un'abbondante tazza di latte di shoopuf riscaldato. Coi lineamenti rilassati dal sonno magico, il volto severo e pratico della donna aveva finito per sembrargli senza età, come se appartenesse a un tempo lontano – forse perfino la sua Zanarkand? Ma quella non era mai esistita, no – giunto fino a loro per vie non meno misteriose di quelle che avevano guidato la sua stessa vita. C'era anche qualcosa, in lei, che gli ricordava il suo Evocatore e, in un primo momento, aveva creduto che venisse dal modo in cui i lunghi capelli castani le incorniciavano il viso una volta liberi dai paramenti. Ma c'era dell'altro, quasi un'aura, che accompagnava tutti gli Evocatori in viaggio e che solo in loro due aveva percepito con tanta forza. Il Jecht di un tempo, il blitzer affermato, avrebbe riso in faccia a chiunque avesse parlato di un qualcosa di così esotico. Un'aura, figuriamoci! Eppure aveva scoperto che, in quello strano mondo, quel termine e altri ancor più strani potevano avere i loro usi. Devozione, per esempio, o onestà.
Lady Belgemine”, sibilò Auron, “è un'Evocatrice emerita e insegnante riverita al tempio.”
“E non dovrebbe essere qui”, aggiunse Braska riemergendo dai suoi pensieri, in un inedito momento di incertezza. La guardò con affetto e un sorriso triste.
“Cos'è, tu puoi e gli altri no?”
“Io devo, è diverso, Jecht. Lei non solo non può, ma non dovrebbe neanche volere.”
“Perché?”
“Senza di lei, chi istruirà i giovani sulla vera natura della nostra arte? Sono ormai lontano dalla politica di San Bevelle, ma non ho motivo di credere che siano diventati meno meschini e calcolatori di quanto lo erano quando ancora speravo in un rinnovamento dall'interno. C'è poca luce nelle aule sacre e vi crescono non fari di speranza, ma strumenti della Chiesa... Lady Belgemine si opponeva nell'ombra a tutto questo, seminando ideali per i pochi che potevano comprenderli. Le devo molto, senza di lei forse oggi non sarei qui.”
“Parli difficile di un mondo difficile, amico. La mia Zanarkand era più... piatta”, commentò Jecht sottolineandolo con un gesto della mano. “Più sincera.”

“La tua Zanarkand?”, esclamò una voce femminile sorpresa e ancora impastata. Belgemine aveva aperto gli occhi e stava cercando di mettersi a sedere senza scoprirsi dalla pelliccia con cui l'avevano protetta. Auron fu subito al suo fianco, pronto ad aiutarla, mentre Braska accennava un rispettoso inchino.
“Maestra Belgemine...”
Lei lo azzittì con un brusco cenno. “Non chiamarmi così, quella parola ha un brutto suono. Anche se suppongo”, aggiunse fra sé, “di avere ormai più di qualcosa in comune con alcuni Magistri della capitale...”
“Cosa intende, Milady?”, chiese Auron.
“Nulla che interessi al gruppo di uno Evocatore così vicino alla meta. E che Evocatore!”, esclamò. “Braska, o dovrei dire Lord Braska. I tuoi passi ti hanno portato lontano dall'ultima volta in cui ci siamo incontrati, o anche solo dall'ultima in cui ho sentito di te! I tuoi successi sono invisi ai potenti e le notizie muoiono prima di raggiungere orecchie interessate, ti credevo arreso alla Piana della Calma, come tanti, ed era un pensiero sgradevole come un fallimento personale. C'era tanto potenziale, in te... e ora ti trovo alle porte di Zanarkand, accompagnato dal tuo Guardiano fedele e da...” Si interruppe per squadrare Jecht. “È un pazzo, un bugiardo o un miracolo quest'uomo che afferma di aver vissuto nella città sacra?”
“Un blitzer, signora, il migliore sulla piazza”, rispose lui. “La versione breve è che Sin mi ha sconfusionato il cervello.” E quella lunga non è poi così diversa, pensò con amarezza.
Braska sorrise. “È anche lui un mio Guardiano, non meno valoroso o fedele del caro Auron, anche se quest'ultimo ha avuto certamente più coraggio nel sopportarmi per tutti questi anni.”
“Mio Lord!”
“È la verità, nient'altro che la verità!”, ridacchiò. Avvicinò le mani al fuoco. “Ma non è del mio pellegrinaggio che volevo parlare, ho già tediato a sufficienza ogni pietra su Spira quando sono partito, credo. Dimmi di te, ti prego, e di cosa ti ha portato alla scelta. Di tutte le persone, non credevo...”

Dover tornare a pensare a sé cancellò ogni traccia di allegria dal volto di Belgemine. Si appoggiò stancamente a terra, gettando la testa all'indietro e riportando la memoria all'inizio del suo fallimento. Era una donna forte e non lasciò trasparire altro: non avrebbe disonorato la sua ultima Guardiana ancorandola al mondo con nuove lacrime. Tornò a sedersi avvolta nella pelliccia e iniziò a raccontare con voce bassa e monotona.
“Non sono la luce che credete, se fossi grande metà di quanto il mio buon allievo mi dipinge Spira sarebbe salvata da anni.”
“Ascoltavi, dunque...?”
“Sì; sono umana e non immune alle lusinghe. Ma non voglio che parole dettate dall'affetto sviino il vostro giudizio e vi dirò che, se ci fossero più persone come me, San Bevelle crollerebbe sotto il peso della superbia prima ancora che per gli attacchi di Sin. Quando mai, infatti, si è sentito di un Evocatore partito per orgoglio?”
“Alcuni potrebbero nasconderlo nel loro cuore, adducendo motivi più nobili”, puntualizzò Auron. “Certo accade nelle schiere dei monaci.”
“Ma avrebbero almeno la decenza di non sbandierarlo. Per me fu una sfida! Avevo acquisito fiducia negli Eoni in anni di visite ai templi e la mia arte era senza eguali. Evocare è ben più della semplice stipula di un patto con un'anima legata alla pietra, come spero abbiate appreso nel viaggio... Ebbene, in quello mi credevo perfetta – forse lo sono. Ma in una cosa devo dare ragione ai precetti di Yevon: non è abbastanza.”
Si sporse per prendere una tazza del vino speziato che stava bollendo sul fuoco. La tenne a lungo fra le mani prima di berla, sperando di poter godere del suo tepore, ma il vento del nord, di Zanarkand, l'aveva da tempo fatta sua e sentì solo freddo, freddo, freddo.
“Avrei dimostrato a tutti quel che significa entrare completamente in comunione con gli spiriti benedetti che ci concedono il loro potere e la mia luce, come dicono quei miopi sciocchi, avrebbe veramente conquistato Sin. Non era un motivo così egoistico, se ci ripenso, ma continuavo a mettere me e la mia ragione di vita davanti a tutto e, dannata la mia superbia, il pellegrinaggio è più importante di una qualunque dimostrazione di forza... C'ero anche arrivata vicina.”

“Bella signora, se invece di autocommiserarti ci spieghi cos'è successo, tu ti togli il peso e noi siamo più colti di prima...”
Auron si trattenne solo in virtù della presenza di due Evocatori, ma si barricò dietro la sua coppa di vino fumante ed evitò di guardarli in volto, pieno di vergogna per il comportamento del suo compagno. Belgemine, però, non sembrava offesa. Accennò anzi un sorriso, il primo da quando aveva iniziato a ricordare, e guardò Braska con aria inquisitrice ma divertita.
“Hai ragione, uomo di Zanarkand, mi toglierò questo peso che da troppo tempo mi opprime. Ero forte delle mie convinzioni, come vi ho detto, e partii accompagnata da una sola Guardiana, giovane e inesperta. In fondo, credevo che sarei bastata io.”
“Così, mentre ti credevo lontana una vita, eravamo in viaggio a poche miglia di viaggio l'uno dall'altra”, la interruppe Braska. “Strano, però, che non ci siamo incontrati a Kilika. Forse prendemmo trasporti diversi?”
Il viso della donna si adombrò per un attimo.
“No, non sono scesa a sud della capitale. O ritieni che avessi bisogno di altro addestramento?”, lo canzonò.
“Mia signora, non oserei mai!”, rispose lui con un misto di imbarazzo e affetto. “Ma neanche quando tornai a casa, prima di avviarmi per l'ultima tappa, vidi celebrazioni per una recente partenza...”

Di nuovo impensierita, si rilassò visibilmente quando sentì Auron schiarirsi la voce per prendere la parola. Dal canto suo, il Guardiano sentiva il bisogno di riempire con delle parole, anche parole qualsiasi, il vuoto creato dall'accenno al ritorno a casa, cioè, inequivocabilmente, a Yuna. L'affetto che li legava alla figlia del suo Lord era tangibile e il loro pensiero congiunto era quasi arrivato a ricrearla davanti a loro, felice e spensierata quanto può esserlo una bambina di sette anni che vive sotto la minaccia costante di Sin. Presto, quando il loro viaggio fosse giunto al termine, sarebbe stata la persona più riverita di tutta Spira, ma anche e soprattutto una dei tanti orfani cui il mostro aveva tolto entrambi i genitori. Impedire che Braska si soffermasse troppo sul ricordo di chi si stava lasciando alle spalle era un suo dovere, prima di tutto come amico, e, fortunatamente, Lady Belgemine gli aveva dato uno spunto più che sufficiente.

“Non mi stupisce che non ne abbiano parlato, mio Lord. Rispetto a una simile Guardiana, il nostro gruppo può considerarsi ligio ai precetti... forse la sua partenza non è stata San Bevelle, ma Luca o Sanubia”, disse.
“Il tuo intuito è nel giusto, monaco. Da... tempo... non agisco più sotto le ali di Yevon e, nonostante ritenga che le vie degli Al-Bhed siano insensate quanto quelle dei più fedeli seguaci della legge dei Magistri, la giovane Tia mi ha compresa più di tanti miei studenti.”
Belgemine si alzò, coi pugni serrati e il ricordo della recente battaglia chiaramente dipinto in viso. “Era una ragazza schietta e vivace, con una saggezza istintiva oltre i suoi anni. L'entusiasmo con cui si è unita al mio strano viaggio... le volevo bene, capite? La volevo proteggere, come tutti gli altri! Ci credevo!”

Le caverne rimbombarono degli echi di quelle ultime parole, pronunciate con una rabbia che la sacralità del Gagazet mal tollerava.
“Una fiera imponente...”, continuò, tornando ad adeguarsi al mormorio imposto dalla montagna. Braska le si avvicinò e le porse il braccio. Lo addolorava vedere la sua maestra ridotta così, spogliata della sicurezza e della determinazione che erano sempre stata i suoi tratti più distintivi. Eppure, pensò, se si fosse trovato al suo posto non sarebbe stato più forte: Auron e Jecht erano il suo inizio e la sua fine, la sua fragilità e il suo potere. Dedicò loro un pensiero grato e un sorriso. Il gesto non andò perso a Belgemine, che si scostò dal braccio di lui, gli si piazzò davanti e lo guardò dritto negli occhi.
“Sii più saggio di me”, lo pregò. “Qui fuori, prima di poter vedere la città, un'enorme fiera ci ha sbarrato il passo. Non è più forte o resistente di altre che la precedono, ma riesce a colpire l'essenza stessa degli Eoni, io... non sono fuggita... e per questo Tia... dannazione, mi sento così vuota senza di loro, quasi non sto in piedi.”
Si appoggiò con la schiena alla parete di roccia e alzò il viso, socchiudendo gli occhi. “Non guardarmi così, Braska, sopravviverò anche a questa.”
La voce però le tremava e l'Evocatore intuì un dolore più profondo di quello che già avrebbe annientato ogni suo pari. Il fallimento, in Belgemine, scorreva profondo e antico e per quanto potesse sostenerla in un'ora di debolezza o accoglierla accanto al fuoco sentì che non sarebbe mai riuscito ad avvicinarla veramente, non più di quando lui era un semplice studente pieno di speranze e lei l'unica luce abbagliante delle sue giornate.

“E ora noi ce ne andiamo a fare il nostro bravo dovere di Guardiani e li lasciamo soli, vero Auron?”, disse Jecht giocherellando con la tazza vuota.
Il ragazzo inarcò un sopracciglio.
“Per una volta, ammiro il tuo senso di responsabilità. Quell'urlo ha preoccupato anche me, potrebbe aver richiamato delle fiere.”
“Veramente non- oh, lascia stare, te lo spiego per strada. Andiamo a cercare queste fiere, se ci tieni tanto.”

“Potresti unirti a noi”, propose dopo una lunga riflessione, ma incontrò in risposta poco più di una risata amara.
“Due Evocatori in un gruppo! Primo fra i miei allievi”, lo apostrofò lei, “devono essere spesse le suole dei tuoi stivali, così rinforzate da tutti i precetti che quotidianamente calpesti. Ben fatto! I sassi acuminati di Zanarkand non ti feriranno. Ma non posso accettare.”
Braska si coprì gli occhi con una mano, nascondendo l'imbarazzo dietro quella e un sorriso. “È una proposta così esecrabile?”
Ridondante è la parola che cerchi. Ce la farai! Non hai bisogno del mio aiuto, il tuo viaggio è già coronato di successo.”
“Rischiare è stolto, ora più che mai”, la contraddisse. “Tu stessa mi hai invitato alla saggezza: se io fallissi potresti prendere il mio posto.”
Scosse la testa. “Ora sono solo un peso inutile, un bersaglio in più da difendere. Tornerò a San Bevelle e lotterò perché la vostra impresa venga riconosciuta, con i denti se necessario. Ma non ti seguirò.”
“Eppure la magia ti sostiene ancora”, insistette lui, caparbio.
“Così come il senno, grazie tante. Cocciuto... non volevo preoccuparti, ma non mi lasci altra scelta.”

Lo prese da parte, con una stretta talmente forte che si sorprese di sentirla sotto gli strati di ricche stoffe dei suoi paramenti, e di nuovo lo guardò negli occhi, obbligandolo a confrontarsi con una paura fredda e razionale.
“Temo Zanarkand”, disse, “temo Zanarkand e qualunque cosa ci attenda all'ultimo tempio. Sta' in guardia, Evocatore, perché nessun Guardiano è mai tornato a raccontare le meraviglie della città del nord e temo che nel suo cuore si celi un segreto pericoloso.”
Braska era ammutolito. Portò la mano su quella della maestra, chiedendole con una carezza di allentare la presa. Ma la determinazione di Belgemine era incrollabile, com'era da aspettarsi da un'Evocatrice della sua fatta, e continuò inflessibile quella confidenza tagliente come una lama.

“Disprezzo le regole che ci incatenano come servi di Yevon e tu lo sai meglio di chiunque altro. Ma ti dirò una cosa: Sin è più importante ancora. Quattro soli non hanno fallito e di certo non erano ribelli come me e te. Non rischiare. Piegati alla forma perché non hai altra scelta, il tuo spirito è libero e sa di non essersi sottomesso. Ma non verrò con te con terrore di mandare in frantumi l'unica possibilità concreta che Spira abbia avuto negli ultimi cent'anni. E ora accompagnami dalla mia Tia”, gli intimò, “non le ho ancora dato l'addio.”
Nel seguirla, Braska accennò un gesto di preghiera: sembrava aver ritrovato se stessa. Per un dono del genere, un piccolo livido sul braccio era poco prezzo da pagare.

“Quella donna è d'adamantio”, commentò Jecht quando furono scesi fino al lago sotterraneo. Gettò un sasso nell'acqua per vedere riflettersi nelle increspature tutti i colori delle rocce fluorescenti che lo circondavano. Era uno spettacolo unico.
“Allora? È per questo che mi hai trascinato fin qui?”
“La vedrei bene in squadra. È forte, decisa, nervi incrollabili. Se tu morissi io non ci metterei mica tre ore a riprendermi. E invece guardala lì! Chissà se ha mai giocato, chi era l'Evocatore che prima di partire era stato un campione? Ohaqualcosa. Lui, insomma. Non sarà stato l'unico...”
Auron sbuffò. “Riesci a pensare al mondo solo in termini di blitzball? Gli scopi di un pellegrinaggio sono un po' più nobili di una partita, sai. La stai disonorando.”
Un tempo gli sarebbe saltato alla gola per una simile bestemmia, ma un tempo non si sarebbe neanche fermato a pensare quanto potesse essere duro, per Jecht, adattarsi a vivere in un mondo che non era il suo, lontano da suo figlio e da tutto quello che gli era caro. Non meritava più di un pacato rimbrotto.
“Ma davvero. Dimmi, è più onorevole pensare a tutto in termini di morte, invece? Ogni tanto non ti viene in mente che magari siete voi a mettere in scena un enorme fraintendimento? Il mio era un complimento. Il blitz è forza, è vita. Farai bene a ricordarlo.”
Forse neanche quello. Ma vent'anni di insegnamenti erano troppi perché Auron potesse afferrare subito e a fondo la verità di quelle parole.

“Ehi, Auron, su con la vita”, disse Jecht notando come il suo ultimo commento avesse sortito effetti non del tutto desiderati nel compagno: voleva convincerlo, non deprimerlo, compito in cui eccelleva già da solo. Eppure, quando si voltò a guardarlo, il giovane Guardiano era ferito come solo dopo i loro peggiori litigi. “Ehi.” Gli diede un buffetto sulla spalla. “Non possiamo lasciarci andare così.”
Si guardò i piedi, sporchi e infreddoliti.
“Pesiamo già abbastanza su di lui. Ora che ha trovato la sua vecchia fiamma sembra felice, ma dovremo ripartire, prima o poi.”
“Vecchia fiamma?”, chiese Auron perplesso.
“Ti devo fare un disegno?”, rimbeccò Jecht forzando un umorismo che in quel momento non sentiva del tutto. “Amore di gioventù ti è più chiaro? Guardalo, manca poco che adori il terreno su cui cammina... scommetto che non ha mai perso una sua lezione.”
“Non capisci niente”, tagliò corto l'altro. Non alzò la voce, ma si ritrovò a rispondere in modo comunque secco e sgradevole.
“Che c'è, geloso? Hai paura che te lo renda meno santo?”
“Non è questo!”
“Spiacente di informarti che Braska cammina su questa terra come noi tutti, non una spanna sopra.”
“Ha amato una sola persona. Una sola.” Strinse i pugni.
“Rilassati... che male c'è? La conosce da più tempo di quanto conosce te, la memoria di sua moglie resterà sempre dov'è – una memoria, cioè. Se questo lo fa felice...”
“Non capisci niente!”, ripeté. “Il rispetto che intercorre fra Evocatori... è rispetto e basta. Smettila di pensare a lui con le tue logiche di un altro–”
Tasto dolente.
“Scusa. Scusami, Jecht, ho esagerato.”
“Scuse accettate.”
“Viviamo in un mondo difficile per te, vero?”
“Nah. Alla fine io sono un uomo, voi siete uomini, tanto basta a capirsi. Mi manca mio figlio, tutto qui. Ma non vorrei dover sentire da capo tutte le tue prediche sui mille e un rito che avete per ogni dannato aspetto della vostra dannata vita, tre volte mi sono bastate”, scherzò Jecht.
“Ma se ogni volta sbagli tutto non mi dai scelta!”
“Per certi mi confondo con i miei”, si scusò. E stavo meglio quando pensavo che fosse tutto un'elaborata coincidenza. “Di altri non capirò mai il senso e fai prima a risparmiare fiato. Nel Condurre, per esempio, l'idea che gente viva vada ai cancelli della morte non mi piace per niente, capisco più chi decide di restare.”
“Ma l'Evocatore esegue veramente il rito solo dopo anni di esercizio, quando la sua forma è perfetta. Così non corre il rischio di rimanere coinvolto, non si è mai sentito di...”
Auron sgranò gli occhi come se fino a quel momento fosse rimasto immerso nella più profonda oscurità dell'ignoranza. Tremava tutto. “P-prendi la spada”, balbettò, e il suo corpo si tese nello scatto verso l'accampamento e il suo Lord.

“Non può!”, gridò cercando con lo sguardo tracce della presenza di entrambi gli Evocatori, senza più curarsi di poter attirare l'attenzione di altre fiere. Non può finire così, intendeva con quel grido roco lanciato al vedere l'asta abbandonata nei pressi del giaciglio, ma anche non può averlo fatto, non può esistere tale bassezza, non può averci ingannati. Eppure lo sfavillio di pyreflies che anticipava l'ultima ansa della grotta non lasciava adito a dubbi.

La corsa forsennata verso un pericolo ignoto fu uno dei brevi momenti in cui Jecht più si pentì di capire così poco di quello che era il mondo che lo circondava. Quando si trovò di fronte al fatto compiuto, però, si rese conto che non gliene poteva importare meno. Era stato liberato dalla prospettiva di marcire in carcere per diventare un Guardiano e, come tale, doveva fare una sola cosa: proteggere. Senza attendere un comando di Auron si gettò nella battaglia.

***

Entrambi gli Evocatori erano inginocchiati e immersi in complessi riti di preghiera quando la fiera si creò, apparentemente dal nulla, e non se ne accorsero in tempo. Sulla piccola tomba di Tia aveva iniziato a scintillare una luce ultraterrena e un gran numero di pyreflies, anormale anche per quel riverito luogo di morte, vi si era radunato. Prima che i due potessero percepire la malignità di uno spirito rimasto vincolato al mondo, davanti a loro si era formata una creatura immonda, una fiera dalla pelle blu i cui tentacoli erano non meno minacciosi delle fauci e dei possenti artigli.

Quando sentirono il suo ruggito era, dunque, troppo tardi e ogni via di fuga era loro preclusa, schiacciati fra la parete e il nemico.
Braska cercò a tentoni l'asta, perdendo troppo tempo prezioso prima di ricordarsi di non averla con sé, mentre Belgemine veniva gettata a terra da una zampata del mostro prima ancora di poter pensare a un incantesimo.
Gli sembrò di sentire un urlo provenire dal profondo della grotta, ma non riuscì a comprenderlo. Colto di sprovvista, senza la calma né il focus necessario ad affidarsi a un Eone, poteva solo sperare di non aver scelto di affidare la sua vita a mani sbagliate.
Non aveva armi: pregò una divinità che sperava si chiamasse Yevon e avesse a cuore la riuscita del suo viaggio affinché lenisse le loro ferite e protesse la compagna col suo corpo.

***

Prima che un altro colpo li raggiungesse, però, la fiera lanciò un ruggito di dolore e si voltò ad affrontare il nuovo nemico che, impudente, aveva osato colpirle il fianco: mentre Jecht la teneva così ingaggiata Auron sfruttò l'apertura per mettere a segno un colpo mirato che riuscì a perforare la sua spessa pelle. Dolorante, ma ancora lungi dall'essere vinta, la bestia contrattaccò con ferocia aggiungendo una nuova ferita alla rete di cicatrici che il blitzer aveva ottenuto in una vita di scontri. Jecht sputò e si preparò a un nuovo attacco.

“Non posso aiutarli...”, mormorò Braska.
“Non puoi pensarlo”, giunse in risposta la voce di Belgemine, ancora a terra ma viva e cosciente, “perché sei ancora troppo legato alla forma.” Tossì. “Aiutami ad alzarmi, se proprio non riesci a fare altro.”
“Allontanatevi!”, gridò ai due guerrieri quando fu in piedi, reggendosi a Braska. Senza una parola né un gesto, creò un cerchio di fulmini che si chiuse intorno al nemico senza lasciargli scampo.
La fiera stramazzò in un'esplosione di pyreflies.

“E questa dovrebbe essere la luce che conquisterà Sin?”, chiese in tono provocatorio a Braska quando si fu curata e ripresa del tutto. “Quando lo affronterai, cerca di non farti strappare di mano il tuo prezioso bastoncino decorato o ci condannerai tutti. Pensa con la tua testa, non con i precetti...”
Quando si voltò a guardarlo, però, sentì una morsa gelida stringerle l'inesistente stomaco. Aveva capito, avevano capito tutti.

“Milady, gradirei la verità. Ora”, annunciò Auron con tono grave. Il suo viso schietto non mascherava la delusione.
Belgemine sostenne il suo sguardo.
“Hai rifiutato il rito non perché l'avevi già eseguito”, disse Braska con la voce triste di chi ha riposto una grande fiducia e d'improvviso non la trova corrisposta, “ma perché lo temevi, vero? È così, maestra? Non è stata solo la giovane Tia a cadere nella vostra battaglia di oggi...”
L'Evocatore chiuse gli occhi, pensieroso.
“No! Prima vi ho raccontato la verità.”
“Ma non può essere”, la interruppe Auron.
“Fammi parlare. Anzi, sediamoci accanto al fuoco, perché sarà una lunga storia. Riscalderà almeno voi.”

Il fuoco riscaldò la pelle e gli abiti, ma l'umore restava basso: coloro che restavano senza venire Condotti erano disprezzati e additati come impuri, poco sotto gli Al-Bhed e alle loro machine nella lista di motivi per cui Sin non era ancora stato esorcizzato nonostante il sacrificio di infinite vite, non da ultime le loro. Tutto ciò non sembrava però turbare Belgemine, che si sistemò comodamente su di una pelle ripiegata e iniziò a confidare loro una storia che teneva nascosta da più anni di quanti gli altri tre potessero anche solo immaginare.

“Vi ho detto la verità prima, ma erano in realtà due racconti a unirsi e completarsi. Oggi mi ritirai prima di perdere anche la non-vita che mi è rimasta, ma il mio unico pellegrinaggio si svolse quasi duecento anni fa, partendo dalla remota Besaid, e mi accompagnava non un'Al-Bhed ma la mia giovane sorella Talia, che meditava di entrare fra i Crociati.”
Braska e Auron chinarono il capo, ma Jecht la guardò dritta in faccia, pieno d'interesse per qualcuno che veramente proveniva dal vero lontano passato di Spira e non da una pallida, per quanto abbellita, imitazione.
“Dei miei motivi vi ho già parlato, così come di quello che ci sopraffece, anche se il luogo era quello sbagliato: avvenne più a sud di qui, alla Piana, in un assolato giorno estivo. Piansi a lungo – per lei, per me, per Spira, tutte le lacrime che non avevo più, perché non avevo mai visto una Calma e avevo veramente creduto di poterne portare una, così poco dopo quella di Ohalland sotto cui ero nata.” Prese fiato. “La storia si ripete: un Guardiano non può morire in pace e mi trovai a confrontarmi con la fiera che era diventata. Giunse un altro gruppo a salvarmi, non so che fine abbiano fatto, forse sono uno dei tumuli che ancora resistono qui sul Gagazet. Riuscii a nascondere loro la mia natura e li lasciai andare. E rimasi sola e senza scopo. Un fantasma, come immaginerete, non può essere la luce di Spira.”
“Ma oggi...”, iniziò Jecht.
“Lasciami parlare”, gli ordinò. “Ci arriverò a tempo debito. Non avevo la forza di presentarmi a un tempio da sconfitta, proprio io che avevo fatto tutti quei proclami. Ma neanche potevo lasciarmi andare alla tentazione dell'aldilà perché, pensavo – e penso ancora, dovevo scontare i miei errori ripagando quel mondo che non ero riuscita a salvare. Alcuni di noi si lasciano invecchiare, cambiano, io scelsi di rimanere sempre com'ero quel giorno, per non perdere memoria della mia follia. Remiem, decisi, sarebbe stata la mia dimora... suppongo non lo conosciate.”
“Solo nelle leggende”, ammise Braska.
“Non mi sorprende, anche se non è, in realtà, troppo lontano dall'abituale percorso dei pellegrini. È un tempio dimenticato dalla storia, come Baaji al sud e altre rovine che costellano le zone più remote della nostra patetica civiltà e che avevo riportato alla luce nei miei viaggi precedenti. Al contrario di altri, però, la Fede trina che custodisce è ancora attiva e il suo sogno ha un'intensità che credo paragonabile solo a quello che vi attende al termine del vostro viaggio. Non ero sola, lì, a contatto con quegli spiriti ancora così fortemente vivi. Remiem ha un cuore pulsante che i cinque templi canonici del pellegrinaggio hanno ormai perso, le loro Fedi stanche e deluse.”
“Non...”, la interruppe Braska.
“'Non'? Non mi credi? Chiedi a Bahamut il saggio, con cui per primo stringesti un patto. Interroga Shiva la compassionevole. Cosa ti ho insegnato se non questo? Mal sopportano ormai la loro prigionia e sono disgustati dall'incompetenza delle generazioni di Evocatori piccoli e superficiali cui si legano. Vogliono un cambiamento, Braska, vogliono la fine. Io lo sento. Ti prego, dà loro quel che desiderano, porta una Calma che sia eterna...”
“Perdonami, parlavo da stolto, senza sapere. Ti prego di continuare il tuo racconto.” L'Evocatore riusciva a stento a trattenere la commozione nel sentire espressi i sentimenti degli spiriti cui aveva offerto devozione e da cui si scopriva tuttavia così lontano. Era tornato un allievo, ignorante e curioso, ma i giorni che gli restavano per imparare tutto erano diventati spaventosamente brevi.
“Vedo che la mia condizione vi disgusta meno, ora”, fece notare lei non senza una punta di sarcasmo.
“Milady”, rispose Auron, “Lord Braska ed io siamo cresciuti in mezzo a Yevon, ci perdoni per questa e tutte le scortesie passate. Non è mai semplice cambiare. Saperla così anziana, così saggia, mi riempie di rispetto e meraviglia, tutti i racconti dei sacerdoti mi sembrano ora uno spauracchio per bambini. Le porgo le mie scuse, sul mio onore.”
“Tu sei sempre tu, Belgemine”, aggiunse Braska. “Non averlo compreso subito è solo una nuova misura della mia stupidità. Perdonaci.”
“Sconfiggi Sin e verrai perdonato di questo e ben altro”, gli sorrise. “Inoltre”, ricominciò, “non siete gli unici ad aver commesso errori: passai i miei anni a Remiem, come vi dicevo, in uno stato di vuoto appagamento. Ci volle la Calma di Yocun, solo cent'anni fa, per smuovermi! Mi ricordò che fuori dalla mia personale calma c'era ancora, là fuori, gente che sperava e sognava e lottava contro l'impossibile senza neppure avere i mezzi per farlo. E una Crociata tardivamente convertita all'evocazione era riuscita là dove io e infiniti altri avevamo fallito. Fino ad allora avevo buttato ai venti la mia seconda opportunità per la sola comodità di non dover guardare ai miei fallimenti... almeno in quello non sbagliai più e credo che la mia strada da lì ti sia nota, dato che l'hai così minuziosamente narrata meno di un'ora fa. Nessuno mi ricordava... non è stato difficile rifarmi una vita, peggio fu inserirmi in mezzo a persone per cui provo un indicibile ribrezzo. Spostandomi di tempio in tempio ho sperato di gettare le basi per una nuova Calma ma, fino a quando vi ho incontrati, credevo di aver cresciuto solo sordi e muti. Morte e stoltezza sono le uniche due costanti su questo mondo, non c'è dubbio.”
Si sentiva la rabbia repressa che traboccava da ogni parola. Cento anni di vuoti insegnamenti l'avevano indurita e, se ancora portava speranza, lo doveva agli Eoni e non certo agli uomini.
Jecht la interruppe di nuovo: “Cosa ci fai allora quassù? Siamo un po' a nord per un tempio...”
“Merito suo. O colpa”, disse indicando Braska. Questi la fissò incredulo.
“Mio?”
“Tuo. Dopo duecento anni di non-vita è difficile mantenere la giusta prospettiva. È deprimente osservare come uno spettro la storia di un mondo che è sempre uguale a se stesso, meno vivo di un cadavere. Quando avevo iniziato a dedicarmi all'insegnamento pensavo di aver trovato la giusta strada per tramandare il vero sapere e, anche fallimento dopo fallimento, non riuscivo più a staccarmi da quell'idea. Dici che tediasti i sassi con la tua partenza, ma fornisti un nuovo spunto a me e certo ad altri di cui non conosciamo la storia: si poteva agire al di fuori di Yevon. Ti rendi conto della grandissima lezione che impartisti a tutta Spira? Anche se nessuno, al solito, sembra averla colta.”
“Non fu volontaria. Amavo mia moglie, la amo ancora. Il resto è venuto da sé.” Il sorriso di Braska accentuò la spontaneità delle sue parole.
“Forse fu più incisiva proprio per quello.”
“Quindi per questo madama Tia era...”, si intromise Auron cercando di riordinare i suoi pensieri. Ma non riusciva a venirne a capo.
“Un'Al-Bhed, sì. L'unica persona che mi avrebbe accompagnata fino a Zanarkand per un motivo diverso da un semplice pellegrinaggio. L'unica persona che abbia capito perché era tanto importante che io vi arrivassi... una delle tante che non ne vedrà mai il frutto.”
“Chiedo nuovamente perdono, Milady, ma quel motivo è proprio quello che non riesco a comprendere.”
“Perché non hai mai insegnato, giovane Auron. Immagina di insegnare qualcosa che non conosci. Cosa sappiamo di Zanarkand, dell'Evocazione Finale? Nulla. Non perché uccide l'Evocatore – anche se quello non è difficile da intuire se si è provata anche una sola volta l'ebbrezza consumante della fusione – né perché non si abbia più notizia dei Guardiani. Non potendola più ottenere per me, il coraggio del tuo Lord mi ha dato la spinta a partire per ottenere la conoscenza per altri, in modo da poterla condividere con tutti coloro che ne avevano bisogno come assetati in un deserto. Ero così vicina! Speravo che secoli di evocazioni mi avessero rafforzata, resa più saggia e capace come gli spiriti al cui sogno prendo parte. Invece la mia storia finisce qui, fra le nevi del Gagazet, per la stessa avventatezza che mi uccise quando ero giovane e superba... Ironico, nel minimo.”

Belgemine si alzò, massaggiandosi muscoli che non aveva per stimolare un'illusoria circolazione. Guardò a nord, malinconica, rispettando in silenzio la morte di un ideale. Il suo.
Braska si avvicinò a lei senza rompere il silenzio, ma l'asta che reggeva in mano era più che eloquente: voleva andarsene, ora che era certa che ci sarebbe stata una nuova Calma? Eseguire il rito sarebbe stato il massimo onore, per lui.
“No.”
“Come desideri. Ma cosa farai ora?”
“Non lo so”, rispose con franchezza. “Non ti seguirò, come ti ho detto, anche se non desidererei altro. Né proseguirò senza una scorta, perché sarebbe un suicidio: a volte invidio l'inconsistenza, o il volo, ai fantasmi delle storie che raccontiamo ai bambini, ma poi penso che con ogni probabilità non sarei in grado di dare forma ed essenza agli Eoni e resto ancorata al mio misero corpo fatto di pyreflies e tenuto insieme da qualche straccio di volontà. Se qualcosa o qualcuno mi ucciderà di nuovo, morirò evocando, questo è certo.”
“Sei una donna forte.”
“Questo detto da uno scomunicato che diventerà Alto Evocatore? Notevole.”
“Mi lusinghi.”
“E tu mi distrai. Ma è vero che non so che fare. Tornerò indietro, penso, e chiederò aiuto ai Ronso per raggiungere nuovamente la civiltà. Quanti anni di Calma ci darai? Dieci, venti? Una vita?”
“Spero più di così. Verrà una Calma eterna, un giorno. C'è sempre una speranza che Sin non torni.”
Auron dovette imporsi il silenzio.
“Ma se tornerà”, proseguì Braska, “ti prego di far sì che ci sia qualcuno pronto a fronteggiarlo. Non abbandonare la tua vocazione, Spira ne ha bisogno, duecento anni fa come oggi.”
“Mi chiedi molto: vedo oggi che la tua forza ha avuto, sì, le sue radici nei miei insegnamenti, ma è in verità unicamente tua. Non penso che rimetterò piede in un tempio che non sia il mio Remiem.”
“Aspetta un po', non hai appena detto che la grande scoperta dell'anno è che si possono fare cose fuori da Yevon? E ti arrendi così?”, la apostrofò Jecht.
Lei aggrottò un sopracciglio e lo guardò come se fosse in un sol colpo il pazzo, bugiardo e miracolo con cui l'aveva definito quando l'aveva sentito parlare per la prima volta.
“Mi stai chiedendo di insegnare fuori dai templi?”, gli chiese.
“Beh, sì. L'ho capito anch'io che sei un'Evocatrice e, credimi, non sono il più esperto del quartiere. La gente si fida di te, viene a parlarti... almeno, con Braska funziona, poi non so se li spaventi con quello sguardo truce che mi sta rifilando ora. Ma se viaggi, fai, parli, raggiungerai molti più allievi... allievi interessati, perché sai hanno già il tuo stesso scopo in mente.”
“Le persone non partono in pellegrinaggio durante una Calma, Jecht.”
“Ma si allenano! O no? Non vi allenate voialtri? Un po' più blitz e questo mondo girerebbe molto meglio, parola mia.”
“Credo in verità che ve ne sia già troppo”, rise Braska, “ma la tua obiezione è valida. La formazione di un Evocatore inizia ben prima della vera partenza.”
“E chi viaggia sa molto più delle pavide schiere di monaci e sacerdoti che ingrassano a San Bevelle”, ammise Auron con una punta di tristezza nel ricordare persone come Kinoc, che pure considerava amico.
“Come mi avete appena dimostrato... già. Già.”
Fece un passo indietro e li studiò attentamente, come a imprimersi per sempre nella memoria la dolce ironia che aveva permesso a un Evocatore decaduto, a un uomo di Zanarkand e a un monaco guerriero destinato all'oscurità di comporre reciproci pregi e difetti così da creare una forza tale che senza ombra di dubbio avrebbe sconfitto Sin. Avrebbe onorato un tale incontro. Sorrise, con una soddisfazione solo apparentemente distaccata: se fosse stata giovane e viva li avrebbe abbracciati tutti.

“Bene, dunque. Soddisferò la preghiera come il tuo bravo Guardiano suggerisce. In fondo, non ho mai avuto veramente intenzione di arrendermi prima di aver visto colui o colei che porrà fine alla nostra perversa spirale di morte. La strada vecchia sarà la mia aula, il ghiaccio di Macalania il mio banco... non è una brutta prospettiva. Sappi però che quando incontrerò la piccola Yuna non sarò tenera con lei, anzi. Dovrà imparare a stare in piedi con le sue forze e non alla tua ombra, da cui certamente sarà investita.”

Al sentir nominare sua figlia, Braska impallidì, il tremito nascosto delle mani tradito dalla lunga asta.
“Yuna?”, fu tutto quello che riuscì a dire.
“Yuna, sì. O preferisci che la lasci nella molle ignoranza yevonita? In tal caso vali più come Evocatore che come padre, in sincerità.”
“Yuna non partirà. Do la mia vita perché possa vivere in pace la sua... lei non partirà!”
“Lo credi davvero?”, chiese stupita. “Mio allievo, non credevo che gli affetti ti accecassero tanto. Le stai addossando una responsabilità enorme. La società farà il resto. Che altra strada vuoi che scelga?”
“Vivrà a Besaid proprio per evitarlo! A San Bevelle la massacrerebbero, non lì! Sarà in pace, Auron veglierà su di lei”, affermò con vacillante convinzione.
“Ma davvero. Ti devo ricordare che l'unica cosa più onnipresente ed eterna di Sin è Yevon stesso? Io sono partita da Besaid, come altri prima e dopo di me. Valefor è una buona guida, la inizierà bene.”
“Non ci avevo mai pensato, ma la signora ha ragione, Braska. Guarda mio figlio... e dire che lui mi odia. La piccola per di più è la tua immagine sputata!”
L'Evocatore si girò a sud, provando una sofferenza pari solo a quando la nave che gli avrebbe riportato sua moglie non giunse mai in porto. Gli sembrò che il mondo intero si fermasse assieme ai suoi pensieri, congelati in un'unica massa ghiacciata e pungente. Rinunciare sarebbe stato così facile, così bello il sorriso di sua figlia quando l'avesse visto rientrare a casa, così inutile tutto quello che aveva sofferto fin lì...
“Mio Lord, possiamo sempre tornare indietro. Non è ancora troppo tardi”, ripeté Auron come un mantra aggrappandosi con ogni forza alla nuova possibilità. Qualunque cosa pur di non vederlo morire sotto i suoi occhi – anche se gli ideali in cui Braska credeva e che ardevano in lui come una fiamma erano proprio il motivo per cui si erano avvicinati, anni e anni prima, completando le loro solitudini.

Auron non lo seppe mai, ma, se non gli avesse posto innanzi l'alternativa con la semplicità di una tentazione pura, forse il suo senso di giustizia non si sarebbe ribellato tanto e la Storia avrebbe preso un altro corso.
“Non posso”, disse, con la voce piena di orrore per la seconda volta in vita sua. Chiuse gli occhi. “Non c'è solo la mia bambina. Sono partito per lei ma non posso... obbligare... altri a tutto questo. Mai più. Auron, Jecht, aiutatemi sempre. E, Belgemine... aiuta lei. È la mia ultima richiesta.”

Non l'avevano mai visto piangere, prima di allora.

Si augurarono buon viaggio con affetto sincero, al di fuori di ogni formula di culto, e tornarono a calcare ognuno la propria strada, pieni di rinnovata determinazione. Furono ricongiunti solo anni dopo, dalle avvisaglie della Calma Eterna portata dall'Alta Evocatrice Yuna, figlia dell'ultimo Alto Evocatore.
“Sei in ritardo”, le disse quando la vide arrivare fra i fiori illuminati da un sole azzurro.
“Lo so”, rispose lei senza scomporsi. “Ma porto buone notizie.”

Sulla vetta del Gagazet spazzata dai venti, il ricordo di quell'incontro non fu che un fantasma, raccontato per l'eternità da scintillanti luci fatate.

***

“Cosa c'è, Auron?”, chiese Jecht sentendolo inquieto. “Altri segreti?”
“No... niente.”
“La nostra amica mentiva meglio di te.”
“Niente di importante, davvero.”
“Ma qualcosa sì.”
“È solo che... non dovrei disprezzare i morti e non dovrei più pensarci, ma non riesco a distogliere la mente da madama Tia. Per un Guardiano degno, la morte non dovrebbe essere ragione sufficiente a distogliersi dal fianco del proprio Lord, credo. Il nostro non è forse il legame più sacro che possa unire due uomini? Per onorarlo, un simile gesto non dovrebbe essere considerato blasfemo.”
“Ci vai pesante, eh?”
“Tu lasceresti Lord Braska solo ad affrontare Sin? Rispetto l'impegno preso, tutto qui. Anche Lady Belgemine sta assolvendo un compito, la sua volontà ferrea dovrebbe essere d'esempio a tutti noi.”
“Quindi resteresti, anche se è contrario alle vostre regole religiose e tutto?”
Il monaco si fermò a riflettere.
“Finché durasse il mio compito, sì. Non oltre, ma certo non meno. Ora ne sono certo. Le regole... vengono dopo questo genere di cose.”
“Sei schifosamente leale, Auron. Stai attento, prima o poi qualcuno potrebbe approfittarne.”
Jecht sorrise, protetto dall'oscurità.

Oltre il passo, pallida e morta sotto una nube di stelle, Zanarkand li attendeva.
   
 
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