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Autore: SoCloseYetSofar    10/06/2013    2 recensioni
Mi chiamo Louis e ho diciassette anni. Un amore grande ha travolto la mia vita e da quel giorno niente è più lo stesso. Ci siamo innamorati come Enea e Didone, in cerca di un dolore simile al nostro da colmare. La prima volta che vidi una delle tante crisi di Harry camminavo solo per i corridoi della scuola. Sentivo il ticchettare dell’orologio, udivo il brusio dei compagni e lo sbatacchiare dei tacchi delle professoresse ma la mia unica preoccupazione, come sempre del resto, era quella di spostarmi da quel luogo così affollato e pericoloso. Mi dovevo ricordare di non alzare la testa, mai. Mai guardare qualcuno negli occhi, non provocare nessuno.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'ago della bilancia.


Mi chiamo Louis e ho diciassette anni. Un amore grande ha travolto la mia vita e da quel giorno niente è più lo stesso. Ci siamo innamorati come Enea e Didone, in cerca di un dolore simile al nostro da colmare. La prima volta che vidi una delle tante crisi di Harry camminavo solo per i corridoi della scuola. Sentivo il ticchettare dell’orologio, udivo il brusio dei compagni e lo sbatacchiare dei tacchi delle professoresse ma la mia unica preoccupazione, come sempre del resto, era quella di spostarmi da quel luogo così affollato e pericoloso. Mi dovevo ricordare di non alzare la testa, mai. Mai guardare qualcuno negli occhi, non provocare nessuno. Quella che doveva essere un semplice spostamento da un’aula ad un’altra si trasformava quotidianamente in un inferno. Tutti i giorni venivo continuamente bersagliato da insulti e non solo. Era la mia tortura, la scuola. Non feci in tempo a finire di formulare l’ennesimo dei miei pensieri che le Sue mani arrivarono prepotenti sul mio corpo per sbattermi contro l’armadietto e per poco non svenni. Un dolore lancinante mi squarciò la testa ma non potevo darlo a vedere, il mio sguardo era rivolto al pavimento, non volevo mostrare al predatore la mia paura, non volevo vedesse nelle mie iridi lo stesso terrore di una gazzella pochi attimi prima di essere azzannata dal leone.
Sii forte, Louis. Sii forte. Continuavo a ripetermi nella testa queste due parole ma sembravano non avere senso, non ora, non così. Con violenza mi trascinò in un bagno deserto. Mi avrebbe ammazzato questa volta. Ne ero sicuro. L’avessi saputo prima avrei detto a mia madre qualcosa di carino prima di uscire di casa. Un pugno arrivò sul mio stomaco pronto a stordirmi. Emisi un rantolo borbottando qualcosa che doveva essere simile alla parola “mamma” e d’improvviso qualcosa cambiò.
Sentii la stretta delle mani di Harry sulle mie spalle sempre meno pressante e arrivai quasi a non percepire nemmeno la sua presenza. Alzai lo sguardo sul suo volto. Mi stava fissando, stava cercando di decifrare qualcosa, il suo pensiero si allontanò da me, fissava un punto indistinto dietro il mio volto, la sua espressione mutò da serena a estremamente turbata. I suoi occhi parevano pietre preziose, smeraldi. Quegli stessi smeraldi che così tante volte erano riusciti a farmi vergognare di me stesso, della mia natura, quegli stessi smeraldi che mi avevano fatto sentire nudo e indifeso adesso si stavano spogliando di lacrime.
Ne sfiorai una esitante, volevo avere la certezza dell’autenticità della sua commozione.
“Io… scusa” 
Harry mi lasciò definitivamente andare e si ripiegò su se stesso singhiozzando.
Un urlo animale interruppe la regolarità dei suoi singhiozzi.
“Sono uno stupido, non è vero?” la sua voce era rotta e tagliente, il tono accusatorio. Strillava, gracchiava, sembrava voler vomitare via tutto il nervosismo e la tensione che da solo il suo corpo non era in grado di gestire.
“Guardami, guardami! Sono il più forte di tutti, non è vero? No, un pezzente ecco cosa sono. Sono io, l’anello debole della catena.” Si alzò in ginocchio ancora piangendo.
Vidi le sue mani correre veloci verso la camicia, si slacciò i primi due bottoni e iniziò incidersi con le unghie tagli lungo tutto il collo.  Stava succedendo tutto troppo velocemente e non riuscivo nemmeno a capire cosa stesse facendo. Ad un tratto, quasi scosso da una forza interiore Harry tolse le mani dal collo e si gettò a terra in posizione fetale, strinse i pugni e le sue nocche divennero bianche dallo sforzo di farle star ferme, lontano dalla pelle che poteva essere tagliata.
“Io non ci riesco, da solo non ci riesco.” Ora la sua voce era bassa, una lamentela. Era la preghiera di un cuore solo che arrivava dritta alle mie orecchie. Mi piegai su di lui esitante. Vidi i suoi muscoli irrigidirsi ma poi si rialzò in piedi.
“Non devi dire niente a nessuno, hai capito?” La scena di pochi attimi fa sembrava essere svanita, ora avevo davanti lo stesso Harry che mi rubava la merenda, lo stesso che mi sbatteva contro gli armadietti e che mi chiamava con quell’orrendo soprannome. Louis la checca.
 
Passarono le settimane e per quanto non riuscissi a dare un senso all’accaduto e avrei voluto parlarne con Harry lui non sembrava minimamente scosso.
Un giorno poi, sistemando i libri nell’armadietto, mi sentii addosso uno sguardo pesante e girandomi mi accorsi che il mio aggressore mi stava fissando. Senza dire niente si voltò ed entrò in bagno e non so per quale assurdo motivo lo seguii.
Quando mi ritrovai dinnanzi a lui non seppi cosa dire, guardandoci dritti negli occhi ci accorgevamo di quanto fosse bello il silenzio di chi non sa cosa dire, ma non può tacere.
“Sei un caos pericoloso.” Quelle parole mi arrivarono dritte in cuore come frecce senza capirne il senso. Chissà quanto aveva rimuginato su quelle diciannove lettere e quanto strazio dietro il suo tono di voce!
“Io ti ascolto, se devi dirmi qualcosa.” Replicai io in cerca di chiarezze.
“Io sai, ti ho sempre guardato in questi anni tenendo le distanze, e ti ho anche sempre fatto del male e volevo chiederti scusa di questo, ma la verità è…” fece una pausa per riprendere fiato.
“Che ti ho sempre visto come… come l’unica persona sulla faccia della terra in grado di capirmi, non so perché, non so neanche come diavolo mi può essere saltato in testa… così l’altro giorno mentre… io… io non ho sentito niente.”
“In che senso non senti niente?”
“Ho paura di te, Louis. Ho tanta paura, perché è solo con te che non sento niente.
Le voci, le mie voci, sono silenziose. Diventano brusii.
Non mi distruggo più e non mi sono mai sentito così vulnerabile.
Mi spogli, mi spogli con lo sguardo.
Mi togli le paure, le insicurezze ma anche le certezze di un’armatura che nessun insulto mai sarebbe in grado di perforare. Con te non c’è. Tu sei l’unico che può uccidermi, il solo davvero.
La mia vita quando sono con te è in bilico, è per questo che mi spaventi.”
Io potevo ucciderlo e non l’avevo mai neppure immaginato, ho sempre e solo pensato che lui nella storia fosse l’assassino.
Eppure mirandolo, guardando quegli occhi e quei ricci che tanto mi avevano fatto penare… non riuscivo a non pensare al primo giorno di elementari, quando si sedette vicino a me… alla delusione del secondo giorno abbandonato per essere amico dei bambini più chiassosi e meno complicati di uno come me.
Non potevo non pensare a tutte quelle mattinate passate a guardarlo da un angolo della mensa. Non potevo non pensare al mio cuore che batteva forte quando le nostre famiglie si vedevano a Natale. Non potevo non pensare a quando ci arrivò la notizia dell’arresto di suo padre. Lo guardavo, e vedevo l’infinito.
“Sarò il tuo giusto equilibrio se solo me lo potrai permettere.
L’ago della bilancia.”  Le sue mani tremarono leggermente e i suoi occhi sembravano non volersi spostare da terra. Una lacrima rigò la sua guancia.
“Ti ho aspettato tanto.”
Mi baciò.
Non c’era un motivo, una logica, una ragione, una spiegazione, un’argomentazione, né razionalità, né senno, non c’era niente, niente a parte tutto ciò in cui avevo sperato. Non era un bacio da amici che si rivedono dopo una vita, era un bacio che non lasciava equivoci.
Le giornate che seguirono furono tanto intense quanto travagliate, Harry era per me una dipendenza, non riuscivo a farne a meno, ci vedevamo tutti i giorni tutte le ore. Lo pensavo continuamente, ci vedevamo in parchi lontani dal centro, prendevamo un autobus che ci portava distanti dai pregiudizi della città e ci sussurravamo parole dolci alle orecchie come fanno gli innamorati.
I suoi non sapevano niente, a mia madre, già a conoscenza della mia omosessualità qualcosa avevo accennato.
Ci completavamo, davvero. Lui era la luna e io il sole ma quando io mi sentivo buio lui sapeva illuminarmi. E’ una sensazione che non riuscirò mai a spiegare a nessuno. La consapevolezza di una complicità.
Non so come la nostra storia finì, ma qualcosa un giorno o l’altro si ruppe. Fu forse quando mi confessò la sua vergogna nell’uscire con me, non mi sentii mai sentito tanto sbagliato. Io lo guardai con l’ingenuità di chi non vuole capire e sorrisi facendo finta di niente. Non ci chiamammo più, così da un giorno all’altro. Lui continuò a fare la sua vita, a passare nel mezzo del corridoio, a chiamarmi Louis la checca.
Io non mi davo pace, uscivo la notte per lunghe camminate notturne con i miei pensieri. Così come tante altre volte quella sera uscii per sgranchirmi le gambe.
Era una notte tormentata la mia, camminavo a passo spedito per la via desolata. L’ultimo dei miei desideri era quello di essere notato. Era da qualche giorno oramai che il terrore di essere riconosciuto mi perseguitava. Con un gesto meccanico sollevai il colletto della giacca, quasi a volermi nascondere da qualcuno che sarebbe potuto arrivare in qualsiasi momento, mi avrebbero colto di sorpresa, ne ero sicuro. Aumentai la velocità dei miei passi già leggeri e impercettibili. 
Sentii delle risate risuonare dal fondo della strada e mi fermai improvvisamente.
Avrei riconosciuto quel riso ovunque.
“Chi è quello là, la checca?”
 E la voce, come avrei potuto dimenticarla? Dolce, roca, bassa.
Un brivido di paura mi attraversò la schiena.
“Louis, dove vai?”
Anche i miei tre inseguitori iniziarono a correre e nel giro di poco mi raggiunsero. Louis non era mai stato bravo negli sport. Louis non era mai stato bravo in niente.
La fatica di quegli ultimi metri non mi permetteva di capire lucidamente. Un pugno mi arrivò dritto in pieno petto. Mi piegai in due e cercando di non vomitare, l’umiliazione di un tale gesto mi avrebbe fatto morire all’istante. Mi percossero di calci e insulti mentre io, steso e indifeso, pregava.
“Basta, dai, andiamo.” Di nuovo quella voce, di nuovo quella maledettissima voce.
Mi permisi di aprire gli occhi e di guardare dritto in faccia il mio assalitore.
Quelle iride verdi ancora una volta mi sconvolsero. Se ne andarono tutti e passarono minuti, ore o forse giorni. Piansi, vomitai e sperai di andarmene in fretta da questo pianeta. Se fosse stato possibile morire di umiliazione quello sarebbe stato senza dubbio il mio momento.
Sentii il rumore di alcuni passi confusi e veloci. Qualcuno si distese affianco a me e con dolcezza mi mise una mano intorno alle spalle sussurrandomi all’orecchio una dolce melodia.
“E’ che fino a un attimo prima di incontrarti avevo delle certezze. La certezza di potermi distruggere senza sentirmi in colpa nei miei stessi confronti.  Poi sei arrivato e mi hai rivoluzionato la vita, come un uragano.
Ecco sì, così ti dovrebbero chiamare, Louis l’uragano.”
E rimanemmo lì stesi e umiliati come vermi, abbracciati. Insieme.




SPAZIO AUTRICE 
i'm back! Non ho più scritto niente a causa della scuola ma la Larry mi mancava troppo e non ho saputo resistere. 
#doutch
Comunque spero il breve testo vi piaccia. Inizialmente i nomi erano traslati in italiano (Enrico e Luigi) ma poi per rendere la Larry più Real li ho ritrasformati in inglese c: 
taaaanto love, 
megghi 
<3 

  
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