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Autore: M a i    10/06/2013    2 recensioni
Ottobre 1944: manca poco più di un anno alla fine della Seconda Guerra Mondiale. 17 mesi che segneranno la vita di due giovani combattenti. Il primo è Benito Bussani un partigiano patriota che perde il coraggio e l'ottimismo nella barbarie della guerra mentre il secondo è Marck Mendiskji un tedesco nazista convinto che in passato ha fatto parte della cerchia ristretta di Adolf Hitler. Due vite che si intrecciarono un giorno di tardo autunno per non lasciarsi mai più. Un'amicizia nata sul perdono ai tempi in cui la vendetta faceva da padrona. Questo è l'esempio che perdonare si può, anche quando sembra impossibile.
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Questa storia è un esperimento, se riceverò abbastanza pareri positivi verrà continuata. Quindi vi chiedo di lasciarmi una piccola recensione con la vostra opinione senza paura di offendermi. Per favore, però, evitate le recensioni distruttive che oltre a risultare un po' sgradevoli quando si esagera ( soprattutto) non mi aiutano a migliorare. Spero che leggerete in tanti !
Genere: Angst, Guerra, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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Il perdono ai tempi della vendetta

o anche storia di un partigiano e un nazista       

 


14 Ottobre 1944

 
Apro gli occhi. Li chiudo. Apro gli occhi e li richiudo ancora.
- Benito ! Benito, muoviti, muoviti, diamine, muoviti ! –
Urla che si sovrappongo fendono l’aria mattutina. Urla che mi rimbombano nelle orecchie dove perdono il loro significato. Mi schiaccio ancora di più nel fosso in cui mi sono nascosto, il mio respiro affannoso a farmi compagnia. Mi aggrappo al mio fidato fucile come se fosse la mia ancora di salvezza, ho le nocche bianche per la forza con cui lo sto stringendo. 
- Benito, corri, corri ! Ci hanno visto, diamine, corri ! –
Le grida dei miei compagni sono assordati: gemiti di dolore e rumore di passi veloci che mi sorpassano, urla di avvertimento e colluttazioni mortali.
Qualcuno mi si affianca e mi afferra rudemente un braccio.
- Benito ! Che stai facendo ?! Vuoi farti ammazzare ?! –
La voce arrabbiata di Ciro mi da quel minimo di coraggio che mi basta per schiudere gli occhi. I raggi del sole che sta sorgendo mi arrivano dritto in volto, impedendomi una vista chiara. Riesco a scorgere comunque il viso teso e sporco del mio compagno e gli occhi scuri attraversati dalla paura.  Non gli rispondo, mi sono già dimenticato che mi ha fatto una domanda; mi limito a guardarlo con lo sguardo vacuo.
- Alzati, Benito, su. Dobbiamo raggiungere gli altri al più presto –
Ciro mi solleva da terra e mi abbassa la testa mentre gli spari ci passano accanto di pochi centimetri. Mi sento intorpidito e faccio fatica a camminare anche se sono sicuro di non essere ferito; Ciro mi trascina lentamente nel bosco, voltandosi continuamente a controllare l’avanzata dei tedeschi.
- Dort sind, nehmen sie ! -
Ciro aumenta il passo sempre di più, cercando di correre.  Ma i tedeschi sono più veloci, sento il loro scalpiccio farsi ogni secondo che passa più vicino. Ciro ansima, senza le forze per salvarmi la vita o soltanto salvare la sua. E’ questione di un battito di ciglia: una pallottola lo centra alla testa e Ciro si accascia sul terreno umido del sottobosco, portandomi con se. Mi muovo a fatica per togliermi di dosso il suo corpo, liberando le gambe che sono rimaste schiacciate sotto di lui. Rimango lì, accanto a lui, a guardare il suo volto farsi sempre più cereo e gli occhi sempre più vuoti. Il sangue gli cola lungo il mento, gocciolando sul tappeto di foglie gialle cadute dagli alberi. Lo fisso tremando, ancora seduto e immobile, come se mi avessero paralizzato. Non provo niente, non so cosa dovrei provare, ma sono sicuro che non sia normale il gelido nulla che si allarga nel mio petto e che mi impedisce di sentire anche il freddo. Le urla sono cessate così come gli spari. C’è un silenzio troppo muto nell’aria e mi da fastidio quanto me ne dava il rumore che c’era prima.
- Ich bin hier irgendwo, nicht weit gegangen ! –
In quel momento è come se qualcuno mi abbia buttato addosso dell’acqua ghiacciata. Guardo il corpo di Ciro, improvvisamente, senza vederlo, come passandogli attraverso. Le sua voce mi torna in mente così realistica che mi sembra che lui sia vivo e che mi stia ripetendo di nuovo. – Benito, corri, corri ! -  Scatto in piedi proprio mentre un proiettile mi sfiora la spalla. Comincio a correre e a correre, sfrecciando tra gli alberi. Corro mentre il volto di Ciro senza vita mi volteggia davanti agli occhi con talmente tanta nitidezza che è come se qualcuno gli avesse fatto una fotografia  e me la stesse tenendo davanti al viso, costringendomi a vederla. I proiettili si conficcano nei tronchi che supero, mancando sempre di poco me. Finalmente la vegetazione si dirada e vedo una vecchia cascina oltre un fiumiciattolo; deve essere lì che si sono accampati gli altri partigiani. Lotto contro la stanchezza che vuole avere la meglio e attraverso il torrente gelato bagnandomi i pantaloni. Arranco su per la collinetta fino al piazzale di pietra di fronte all’edificio, dove alcuni uomini, riconoscendomi, mi soccorrono. Percepisco delle mani afferrarmi prima che tutto diventi buio e io cada nel baratro oscuro dell’incoscienza.
Sono Benito, Benito Bussani. E nonostante io porti lo stesso nome del Duce sono un partigiano, un partigiano come Ciro e come altri, che lotta per la sua patria.
 
 Note dell'autrice:
Non conosco il tedesco e le frasi che sono presenti sono tradotte con google traduttore. Non sono sicura della loro esattezza, perciò, ditemelo se sono sbagliate che troverò un modo in futuro di scrivere in tedesco senza l'ausilio di google.
   
 
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