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Autore: Faerie Aire    11/06/2013    2 recensioni
La morte di Lorcan, un'esistenza narcotizzata dagli aghi delle siringhe abbandonate, in un vicolo dalle vite scritte sui muri e dalle citazioni dei bagni luridi.
Berlino si consuma con le sigarette che la contaminano.
“Le lamine di vetro avevano lacerato la pelle delle mani.”
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cicche di sigarette alle tre di notte

 

Non c'è salvezza fuori del suicidio.
Emil Ciaron, Sommario di decomposizione

 

 

Le lamine di vetro avevano lacerato la pelle delle mani.
Il freddo impregnava le ossa che dissipavano l'anima di quel corpo deperito dal tedio del becero esistenzialismo.
Gli occhi venivano erosi dal fumo della desolazione di un'anima monocromatica, soffocata dal passato ramificatosi in Lorcan e dal sangue rappreso nei capillari dilatati.
La città veniva dissolta con le vene traforate da un ago infetto, tumefatte dal laccio emostatico rubato troppi anni fa, e lasciando liquefare le pareti in un'esistenza inconsistente.
Le parole rimbombavano nel cranio inondato dalle luci cancerogene che illuminavano l'asfalto precario su cui i suoi piedi si trascinavano fiaccamente.
Il lurido vivere colava dai muri di Berlino facendo crepitare l'intonaco diradato dalla costernazione dell'esistere, dando forma agli strepitii di corpi trascinati dalla devastazione.
Lorcan cercava la fuga nell'ebbrezza di un coma etilico, quando il sudiciume delle porte di un treno lo asfissiava entrando nei polmoni, e il fango si coagulava con le suole consumate.
L'emorragia si espandeva nei capillari per diventare il catrame di una sigaretta fumata in un vicolo anonimo, come il tempo della cenere residua.
La strada seguitava il suo passo cadenzante, sciogliendosi come il corpo moribondo che la percorreva per trovare termine allo strazio dell'isolamento della superficialità.
Dalla bocca colava la saliva alcolica che inacidiva il bruciore della gola, trasformandolo in vomito stagnato nello stomaco e mai defluito per non insudiciare la città.
Il cuore pompava i gas di scarico di un'auto accesa nella speranza di un'alba irraggiungibile, abbandonata in una stazione di servizio per bruciare lordata dalla benzina.
Lorcan aspettava che i barbiturici lo decomponessero all'interno, per lasciare solo una carcassa putrefatta in quel cunicolo esacerbato dalla vita.
Il tatuaggio sgraziato sulla sua pelle pulsava per il freddo, bruciando come il giorno in cui l'aveva fatto in ricordo dell'evasione da una realtà narcotizzata.
Dal cervello erompevano i brandelli di memorie imputridite, defluendo fino alle dita per poi uscire dalle unghie consumate dai denti e dall'affannosa ricerca di una fuga artificiosa.
La cacofonia di troppe parole taciute e la deformità di immagini corrose dalla luce si ripresentavano come pellicole mai sviluppate, soffocandolo nell'astrusità dei suoi sensi deteriorati.
La città era infettata da quei fantasmi dissoluti, ubriachi dei discorsi mai finiti, e dal degrado del suo corpo marcio, massacrato dalle sigarette accese per annullare la costernazione del suo deperimento.
L'odore delle lacrime versate per lo scempio della vita colmava le strade, impregnando le narici di Lorcan, frastornato dall'opacità delle luci fraudolente di quel vicolo deforme.
Le gambe non reggevano più il peso del corpo che si accasciava a terra, toccando l'asfalto logorato da individui slegati nell'anonimato della disperazione.
Si stava smembrando lentamente, avulso dal tempo che trascorreva e dall'odore di nicotina e alcool che anestetizzava la percezione del corpo disfatto
Le ossa delle mani sporgevano mentre cercavano la salvezza staccando l'intonaco dai muri lerci di Berlino, strappando i frammenti di vite incise per essere ricordate.
Le cicatrici sul suo corpo si riaprivano e il sangue fluiva dalle vene, coagulandosi sulla strada tra le fratture del suo corpo emaciato, unendosi al sudiciume delle notti insonni.
Le parole pronunciate da una radio arrugginita affogavano nel baratro dell'oblio, dissolvendo le tossine del passato nell'aria malsana di quella strada contaminata da errori perenni.
Le abrasioni dei palazzi si dilatavano scoprendo la falda macerata dalla muffa che, inerme, divorava lo spirito dalle pareti esanimi.
La cianosi delle labbra si diffondeva nel corpo di Lorcan, arrivando alle dita diventate spasmodiche per il freddo, lasciando solo l'odore acre del carcame in decomposizione.
Il cielo veniva inghiottito dai fabbricati anneriti dagli incendi in memoria delle esistenza scomparse nella vita inconsistente di Berlino.
Gli occhi erano irritati dalla fuliggine caduta dai comignoli, grattata via per sporcarsi la pelle del nero di una sera smaniosa per l'arrivo dell'alba.
Dalle scale di ferro, i tonfi dei corpi stremati dall'acido arrivavano sordi alle orecchie di Lorcan, ricordandogli i giorni in cui il grigio del cielo tedesco era l'unico colore percettibile.
Le ginocchia dolevano nuovamente al solo pensiero delle ore passate genuflesse, negli angoli angusti di strade fetide, nella speranza di liquefarsi con il vomito delle strade desolate.
Le parole scritte nei bagni luridi degli autogrill venivano razziate per poi essere ripetute nelle sbronze perenni, ingoiandole con l'alcool per annegarle nel rancidume delle voci mute.
La vernice contaminava le escoriazioni dei corpi, ledendo la carne macerata che cedeva, cicatrizzandosi a contatto con il luridume di una discoteca abbandonata.
I colori erano alterati dalle luci iridescenti squagliate dall'acido grondante dalle pareti sudate, ed i pantaloni sfibrati venivano tolti per essere dimenticati.
La cenere di un corpo bruciato si effondevano nelle strade di Berlino, mentre il suo cuore pompava il degrado di vite ignorate dalla speranza.
Le pupille si dilatavano un'ultima volta, poi la luce di un neon intermittente le traforava con la dissolutezza dei corpi angosciati dalla sordità dei loro spiriti.
La pelle morta si strappava scoprendo le vertebre di una schiena snervata dal peso dell'afflizione e dai troppi aghi contaminati.
Lorcan moriva con il sangue di Berlino tra le dita lacerate dal vetro, mentre le immagini di una pellicola ustionata di diradavano nell'aria, soffocando le ultime ore della notte con lo strazio di un suono roco.
Le mura sparivano con il fumo delle sigarette senza nome, la cancrena si arrampicava sulle dita aggrappandosi ai corpi remissivi mentre le urla afone si esaurivano.
La nebbia ingeriva Berlino con il suo alito fetido, avvelenandola con l'acido di una siringa infetta, abbandonandola nella dimenticanza di un vicolo sordido in cui morire fino all'alba.
Lorcan si dissipava nel silenzio di quella notte insonne, morendo a Friedrichshain per nostalgia di un tempo rimpianto e mai vissuto, in solitudine.


*

 

Ebbene sì, dopo eoni sono tornata ^_____^.
Come va? ^^
Questa storiella nasce per un concorso al quale, purtroppo, non sono riuscita a partecipare perché non rientrante in tutti i parametri richiesti ^^''.
*scrivo storie troppo brevi ç__ç*

Tuttavia, ci tenevo a pubblicarla, poiché il tema della città mi è sempre piaciuto ^^.
Il titolo non ha molto senso, però mi ispirava tantissimo ^______^.
Detto questo saluto chiunque abbia aperto questa storia, ringrazio Stefania, come sempre, e vi mando un abbraccio grandissimo ^______^.
Ci vediamo prestissimo con le bambole e con Dublino, un bacione ^^. 

   
 
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