Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Segui la storia  |       
Autore: Cosmopolita    11/06/2013    12 recensioni
Quando sei un single che abita da solo, alcune cose ti sembrano talmente scontate da non accorgerti nemmeno che esistano.
(Dal prologo)
Arthur Kirkland è un poliziotto cinico e felice della sua vita in solitario.
Ma l'entrata di due bambini nella sua vita gli farà presto cambiare idea...
[...]–Eileen Jones ha due bambini. – cercava di misurare le parole, di dire e non dire –Si chiamano Alfred e Matthew, sono gemelli... – si sistemò una ciocca di capelli color del grano dietro l’orecchio, forse un altro stratagemma per perder tempo e fece un gran sospiro.
–Lei è il padre. – buttò giù la frase frettolosamente, quasi volesse togliersi subito quel fastidioso sassolino dalla scarpa.
Arthur si strozzò con la sua stessa saliva. Tossicchiò per alcuni minuti poi incredulo, ripeté –Il padre? Io? – [...]
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Canada/Matthew Williams, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'This is your father'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
4 gennaio 1988
 
Come poteva un luogo solo essere al confine tra la vita e la morte, due stati dell’uomo così distanti e al tempo stesso, in fondo, parte di tutti noi?
L’ospedale gli aveva dato fin da sempre l'apparenza di essere un posto pieno di controversie; lo affascinava il fatto che lì dentro una vita poteva nascere, continuare a vivere, ma anche morire.
In ospedale Eileen Jones era morta.
In ospedale aveva capito di amare Francis, malgrado in principio non avesse dato peso alla faccenda.
In ospedale erano venuti al mondo Matthew e Alfred.
I suoi pensieri vennero interrotti dalla voce di Francis –Hey, tutto bene? Ti vedo preoccupato, qualcosa non va?- sentì la sua mano poggiarsi sulle sue spalle e lui se la scrollò di dosso. Ormai era diventato un gesto tipico da parte sua –Non ho nulla. Stavo semplicemente pensando- il suo compagno gli sorrise apertamente e Arthur gli fu immensamente grato che non avesse continuato a porgli stupide domande, ad esempio “E a cosa pensi?”. Non era dell’umore adatto per essere accondiscendente… in effetti non lo era mai stato.
Gilbert invece, continuava ad avanzare nevrotico da una parte all’altra della stanza, gettando qualche volta un’occhiata ansiosa alla porta bianca di fronte a loro
-Quanto ci mettono… cavolo, ma è possibile che duri così tanto?- sbottava di tanto in tanto, ogni volta sempre più innervosito da tutta quella faccenda.
L’inglese alzò gli occhi al cielo, ancora più infastidito di lui –Ma deve fare così ancora per molto?- lo indicò con un’occhiataccia –Mi sta facendo venire il mal di testa!-
Francis fece spallucce –Beh, cerca di capirlo, in fondo è normale essere un po’ agitato in una situazione del genere–
-E allora potrebbe anche entrare lì dentro e dare una mano invece di rompere le palle a noi–
-Ci ho già provato io a proporglielo. – intervenne Antonio con un tono di voce stranamente insofferente –Mi ha risposto che gli fa troppo schifo assistere ad una scena simile–
Alzò ancora una volta gli occhi al cielo, sempre più esasperato –Allora andiamocene noi. In tutta onestà, non è che mi freghi più di tanto di tutto questo. –
Francis e Antonio rimasero a fissarlo ammutoliti, come se avesse detto una gran fesseria
-Ma sei matto? Quello lì...- lo spagnolo indicò l’amico, che intanto era rimasto fermo a fissare la parete e a battere ritmicamente il piede sul pavimento dando ancora più fastidio –si innervosisce ancora di più se ce ne andiamo–
-Cerca di capire- aggiunse Francis con ancora più gentilezza –lui è il nostro migliore amico, dobbiamo stargli accanto in un momento come questo–
-VOI siete i suoi migliori amici, precisiamo– poteva tranquillamente affermare di essere più nero dello stesso Gilbert in quel momento. Anzi, era addirittura arrivato ad invidiare lo stesso Lovino, che aveva pensato bene di mettersi a lavorare quel giorno, probabilmente per evitare tutta quella gran pagliacciata del “supporto morale”. Supporto morale per cosa, poi? Quell’imbecille che volteggiava per la sala d’attesa in stile “Fred Astaire dei poveri” stava semplicemente diventando padre.
Più facile di così?!?
L’unica che ora necessitava  di supporto morale, era Elizabeta. Sbuffò seccato –Hey, tu!- urlò contro al tedesco, che si voltò per guardarlo con occhi ancora più rossi della norma –Se non la smetti subito vengo là e ti prendo a testate–
Sentì su di se gli occhi sgranati del francese –Ma che fai?- gli sussurrò, e la replica fu immediata
-E’ ovvio che tu non capisca stupido ingurgita tè, non sei mica magnificamente sensibile come me! Devo sapere subito se il mio erede è in perfetta salute, ma quelli là ci stanno impiegando troppo tempo!–
-Allora mettiti il cuore in pace, siediti e non rompere più i coglioni!- ribatté di rimando con un tono ancora più esasperato del suo.
Inizialmente si sforzò per non dargli ascolto (d'altronde, un tipo come lui non avrebbe mai accettato ordini da nessuno), ma poi si rassegnò e si accomodò pesantemente vicino a lui
 -Tuo fratello è bravo in queste cose, vero?- gli domandò ansioso dopo un po’
-Non ho mai avuto il piacere di farmi ricucire la pancia da un dottore, perciò…- Antonio rise d’istinto -Arturo, questa è bella!- Gilbert d’altro canto non rispose nulla, si limitò semplicemente a fulminare l’inglese con gli occhi, anche perché la porta in quell’istante si aprì.
Appena scorse la figura dell’ostetrica, il tedesco si alzò celermente e chiese immediatamente –Allora?-
Quella sorrise con allegria e gli strinse la mano calorosamente –Congratulazioni. Sua moglie sta benissimo e anche il bambino è in perfetta salute–
Tirò un sospiro di sollievo: era finita, finalmente. Presto avrebbe conosciuto suo figlio e riabbracciato la sua amata Liz. Si lasciò stringere con l’impeto affettuoso che caratterizzava Antonio -Congratulazioni, Gil!-
-Già, adesso hai un marmocchio a cui badare...– Francis gli strizzò l’occhio complice.
Non parlava, sorrideva semplicemente in maniera entusiasmata.
Poi gli venne in mente un dettaglio e subito il suo favoloso e brillante castello in aria si sfaldò –Bambino? Aspetta, vuole forse dirmi che…-
-E’ un bel maschietto, signor Beilschmidt–
Gilbert si portò le mani sulle guance e assunse un’espressione delusa –Nooo! Un maschio?- il suo tono era esageratamente apocalittico, la stessa ostetrica lo guardò perplessa; in momenti come quelli, di solito, si gioiva –è un problema?-
-Certo che sì! Ho perso la scommessa…Uno come me non perde mai!-
Perfino i suoi amici rimasero a fissarlo sbalorditi –Gil, sinceramente… ma che importa?- tentò di farlo ragionare il francese.
Parve rifletterci un po’ su –Mah, in effetti…- mugugnò ancora poco convinto –con un maschio si possono fare progetti più ampi. Con una bambina tutta bambole eccetera non avrei combinato granché. – d’improvviso gli venne l’illuminazione –Ho trovato! Mio figlio diventerà Il Presidente degli Stati Uniti!–
Arthur scosse la testa spazientito. Possibile che tutti i genitori, anche subito dopo la nascita, cominciassero a fare progetti assurdi sulla propria prole? Sua madre non era l’unica, allora.
 -Liz sta bene?-
-La sua compagna è ancora spossata per via del cesareo, dovrebbe svegliarsi tra poco– l’ostetrica sorrise –Ma le assicuro che il parto è andato benissimo. Il dottor Kirkland ha fatto un ottimo lavoro– guardò sottecchi Arthur, come se ci avesse tenuto a fargli giungere alle proprie orecchie una notizia simile
-Mh, ha fatto solo il suo dovere– borbottò il tedesco, probabilmente poco incline a riconoscere le capacità di qualcuno all’infuori di lui –E mio figlio posso vederlo, vero?-
-Ma certo! Venga, l’accompagno–
Francis e Antonio gli vennero dietro, invece Arthur preferì rimanere da solo. A dirla tutta, anche se le probabilità che lo avrebbe riconosciuto fossero meno di zero, lui invidiava profondamente Gilbert e il motivo non era molto difficile da capire: lui aveva avuto la fortuna di poter assistere alla nascita.
Suo figlio, quel pargoletto dall’aria anonima e parecchio brutto (Tutti i neonati lo sono) che però aveva il potere di mandare in adorazione metà parentado, lui lo avrebbe conosciuto da sempre. Gli avrebbe potuto raccontare di quando lui e sua madre sono usciti mano nella mano con lui in braccio per portarlo verso la sua nuova casa.
Erano tutte cose che lui non avrebbe mai potuto dire ai gemelli. E in effetti, per quanto si sforzasse, non riusciva neanche ad immaginarseli appena nati.
Forse era un bene.
Vide uscire dalla sala parto il resto dei medici; Ian, sempre con la sua area altera di chi vive tutto ma niente lo sfiora e la sua nuova tirocinante, Sesel.
-Come sono andata, dottor Kirkland?- continuava a domandare lei a suo fratello con impazienza.
Arthur sorrise.
Miss Seychelles alla fine si era rassegnata all’idea che tutt’e due i ragazzi per cui aveva avuto una cotta erano finiti per mettersi insieme. Anzi, si era sorpreso quando, una volta averla rivista e averle rivelato tutto (“Cara Sesel, non ti ho mai invitato a cena perché sono finocchio”), lei non si era minimamente scomposta e, da brava dottoressa in iter, la prima domanda che gli aveva fatto era stata “Ma almeno lo usate il preservativo?”.
Sorrise nel vederla così adorante nei confronti di suo fratello. Come se ci tenesse sul serio alla sua lode.
-Allora, come sono andata? Non sono svenuta neanche una volta!- continuò lei, con l’esaltazione tipica di chi è nervoso o imbarazzato.
-Se fosse svenuta, signorina Michel, temo che avrei dovuto smorzare il suo entusiasmo e consigliarle un’altra carriera in alternativa a quella medica– vide il sorriso della giovane spegnersi dalle sue labbra, ma Arthur sapeva che era tutto un trucco; più faceva il sostenuto, più Ian appariva il bello e tenebroso di turno. Proprio non comprendeva come facessero tutte le ragazze a corrergli dietro.
-Oh… oh, beh, in effetti– provò a ribattere lei cercando inutilmente di non mostrare quel perenne imbarazzo che da sempre la inibiva al cospetto dei ragazzi che le piacevano.
Lei non lo vide, ma Arthur sapeva che suo fratello stava tentando di nascondere un sorriso
–Si ricordi di studiare, piuttosto. Lei è entrata qui con un voto eccellente, ma questo non vuol dire che può abbassare la guardia– sostenuto, come di regola. Sembrava quasi un professore vero.
Sesel fece una specie di inchino goffo e, rossa in viso, si congedò al dottore, passò accanto ad Arthur e gli sorrise
–Il bambino è bellissimo– gli sussurrò soltanto all’altezza dell’orecchio, per poi sparire dalla circolazione
-Sarà fiera di sé stessa, è la prima volta che assiste ad un’operazione. Racconterà l’aneddoto ai suoi familiari e poi entrerà nel dettaglio con le sue amiche di quanto è sexy il dottore che ha operato- Ian rivolse al fratello un ghigno che, per i suoi canoni, poteva essere anche definito sorriso –Mi piace, davvero, ma al pensiero che prima di me ci provasse anche con te mi vengono i brividi. Passa da un genere all’altro-
Arthur ricambiò il ghigno divertito –Sono del tuo stesso parere. Sesel è caduta in basso-
Lo fissò malissimo e finse che non avesse detto nulla –Che fai, non vai a vedere il marmocchio?- cambiò discorso con un tono parecchio infastidito. Sembrava che parlasse con lui solo per fare scena e non per un sincero impulso affettivo.
Scosse la testa –I bambini degli altri sono tutti uguali.- si pentì troppo tardi di quello che aveva detto.
Non era ancora abituato a rivolgersi a Ian come genitore mancato e ciò gli causava disagi enormi. Credeva, in un certo senso, che il loro rapporto si stesse incrinando ancora di più anche per quel motivo; almeno prima avevano un po’ di dialogo, se per dialogo si può anche intendere “insultarsi con l’eleganza e la gentilezza di cui è dotato ogni inglese civile che si rispetti”.
Dopo quel pomeriggio in cui si erano rivelati i loro reciproci segreti, otto mesi prima, tutto aveva assunto un sapore diverso; niente più litigate furibonde, le frecciatine se le sarebbero lanciate sempre ma non avevano la stessa veemenza di un tempo. Probabilmente era perché si erano resi conti di essere di uomini adulti, presumibilmente perché avevano capito di aver oltrepassato una soglia strana all’interno del loro già flebile rapporto.
Si erano spenti.
-Lei lo sa?- non bisognava neanche specificare cosa sapesse
-Gliene ho parlato– Ian non sembrava affatto provato da quella domanda –Ma a quanto pare le va bene così, considerato che ci prova con me spudoratamente…-
-E’ molto più giovane di te.-
-Sono sette anni di differenza, non direi che sia molto– rispose con voce infastidita, continuando a guardarlo con ostilità –E comunque, è normale che un uomo cerchi una donna,- ci tenne a sottolinearlo –Più giovane. Sinceramente, Arthur, pensa ai cazzi tuoi che io penso ai miei… e non prendermi alla lettera–
No... decisamente, le cose non erano cambiate poi così tanto. Forse si erano addolcite, ma Ian sarebbe rimasto sempre un bastardo. Era nel suo carattere, non poteva farci nulla.
Sentì da lontano le voci decisamente rumorose di quei tre che ritornavano dalla nursery e vide gli occhi di Ian ridursi a due piccole fessure –I tuoi amici fanno un baccano assurdo. –
-Non sono miei amici. –
Fece spallucce –Avete dei comportamenti molto simili. E se non ti dispiace, ora vado via…-
-Vai, vai, pensa ad un modo idiota per invitare a cena la tua cara allieva senza farla sembrare per forza una manifestazione di interesse. – sibilò tra i denti una volta allontanatosi. Se non fosse stato che lo “zio” Ian era, per l’appunto, uno zio che con il tempo si era meritato affetto da parte di Alfred e Matthew, con molta plausibilità Arthur avrebbe fatto di tutto pur di non vederlo. Anche farsi curare in un ospedale che si trovava dall’altro lato della città
-Il mio Joseph ha tutto il potenziale per poter diventare un magnifico come suo padre.- la voce di Gilbert gli arrivò alle orecchie e pensò che da quel momento in avanti avrebbe evitato la famiglia Beilschmidt in tronco.
Con un padre che predicava la teoria del “Mio figlio è Magnifico, Tutto suo padre!” e una madre altrettanto psicopatica sotto questo punto di vista, non se la sentiva di stare a sentire lodi in merito a quel povero neonato. Non che prima li frequentasse poi molto…
-Perché Joseph?-
-Sono sicuro che Eliza lo chiamerà come suo padre…fosse per me…Frederick, quello sì che è un bel nome tosto! Joseph mi ricorda quei vecchi Asburgo con i mustacchi e l’aria da morti che camminano–
-E pensa che tuo figlio avrà un nome simile!-
Lo sentì sbuffare melodrammatico -Già… maledetto cromosoma XY–
-Avrete tempo per farne altri di figli, no? Il prossimo lo chiami come vuoi tu. O sei come uno di quelli che una volta avuto il primo non fa più ginnastica sotto le coperte?–
L’inglese scosse la testa rassegnato. Francis e i suoi consigli patetici.
Gilbert però sembrava avesse preso con filosofia quel consiglio e presto li lasciò soli per andare a vedere come stesse Elizabeta -Devo dire a Liza che mi somiglia tantissimo- non si accorse neanche della presenza di Arthur nella sala d’attesa.
O meglio, se ne accorse, ma fece finta di nulla perché il fatto che quello lì non fosse venuto “in pellegrinaggio” insieme a loro per vedere il nascituro gli pareva tanto una dichiarazione di guerra
-In realtà credo somigli molto più alla madre che a lui. – gli confessò Francis una volta che lo ebbe raggiunto, come se a lui importasse realmente qualcosa. Per fortuna Gilbert era già andato via
–Perché non hai voluto vedere il bambino?- aggiunse poi con voce incuriosita
-Non mi interessano i figli degli altri– proferì con un tono acre incrociando le braccia sul petto.
L’altro scosse la testa, ma non rispose; lo conosceva abbastanza da aver capito che con Arthur era meglio non insistere se non aveva voglia di dirti cosa non andava. Antonio, però, che evidentemente ancora ignorava come ci si dovesse comportare nei suoi confronti, rise solare e gli passò un braccio sulle spalle –Mangiato yogurt scaduto a colazione?-
-Lasciami stare, Carriedo, oggi non sono in vena. –
-Quando mai lo sei?-
L’inglese lo incenerì con lo sguardo e si limitò a non rispondere. Francis gli fu profondamente grato per questo.
Cercò di assumere un atteggiamento tranquillo e rilassato e sorrise agli altri due –Secondo voi come crescerà? Il bambino, intendo-
-Con due genitori come quelli?- Antonio represse a fatica una risata –Non parlo mai male degli amici, ma lo sai anche tu che quei due sono fuori di testa. Io non vorrei mai essere nei panni di bambino– e questa volta si lasciò trasportare dall’ilarità.
Arthur non rispose, ma con sorpresa di tutti, si incamminò lentamente verso la nursery
-Ma dove va?- Antonio guardò il suo amico con apprensione, ma quello fece spallucce.
Lo spagnolo scosse la testa –Certo che il tuo ragazzo è strano forte– Francis sorrise e scosse la testa
–Nah, è solo un po’ lunatico. Per questo lo amo–.
 
Oltre il vetro si estendeva una serie di bambini che pareva infinita. Arthur cercava di scorgere con gli occhi qualcuno di quelli che ricordasse più o meno i tratti di Elizabeta o Gilbert, ma nulla, non trovava nessuno moccioso che somigliasse a quei due.
Aveva ragione: i figli degli altri erano tutti uguali.
Sentì la voce di Francis risuonargli nelle orecchie -E’ il secondo a destra-
I suoi occhi rimasero a fissare il bambino che si trovava in quella posizione e più lo guardavano, più Arthur si rendeva conto sempre più che i tratti ricordavano giusto in modo approssimativo quelli di Gilbert ed Elizabeta.
La mano del francese si poggiò sulla sua spalla –Sai, io proprio non ti capisco– il suo sussurro gutturale lo rilassava, per quanto fosse difficile ammetterlo –Prima dici che non vuoi vedere il bambino e poi ti precipiti per dargli almeno un’occhiata-
-Volevo solo…- scosse la testa –no, niente, lascia perdere-
Francis non era padre, non avrebbe mai capito.
-Di’ la verità, ti spiace che tu non li abbia visti nascere, non è così?-
Si girò sorpreso verso di lui e vide che gli stava sorridendo
-Non credo sia una cosa così devastante, sai?- continuò lui con tranquillità, come se stessero conversando sul tempo, mentre la sua mano salì per accarezzargli i capelli –Non sono padre, certo, ma io considero Alfred e Matthew come dei figli ormai… non sai quanto sia stato difficile per me all’inizio sentirmi parte della vostra famiglia, voi eravate uniti da legami molto più stretti da quelli che vi legavano a me e…- il suo sorriso si accentuò ancora di più –…beh, credo che lo stesso sia stato per te. Ti sentivi tagliato fuori dalla loro vita. Magari provi una cosa simile ancora adesso–
Arthur non rispose.
Tutto d’un tratto quella verità da parte di Francis gli diede fastidio. Era difficile ammettere che aveva ragione -Anche se non li hai visti crescere, questo non vuol dire che loro ti vogliano meno bene– concluse con voce addolcita
-Non riesco ad immaginarmeli appena nati. – parlò il britannico dopo qualche minuto di silenzio –Dici che è un bene? –
Fece spallucce –E che ne so! Tanto i bambini a quell’età sono tutti uguali-
Sorrise.
Da un po’ di tempo erano sulla stessa lunghezza d’onda, stare insieme aveva addolcito l’uno e inacidito l’altro. Probabilmente era da considerarsi una bella cosa
-Dai, andiamo a casa- Francis lo prese per mano e con il viso si avvicinò ancora di più verso di lui –Ho in mente una cosa speciale per questa sera…solo io e te–
Gli fece l’occhiolino e Arthur lo spintonò leggermente con la mano
-Rimarrai sempre una stupida rana!-
 
Una volta usciti da quell’ospedale, si sarebbero sicuramente avviati per andare a prendere Al e Mattie a scuola. Sarebbero tornati a casa insieme, lui mano nella mano con Alfred e viceversa Francis con Matthew.
Avrebbero come al solito litigato per chi dovesse preparare il pranzo e, come sempre, avrebbe vinto Francis perché
“La tradizione culinaria francese è di gran lunga superiore e a quella roba che cucinate voi in Inghilterra…Come si chiama, haggis?”
ignorando completamente che l’haggis era scozzese e che la Scozia NON era Inghilterra.
Alfred avrebbe sicuramente tempestato entrambi di domande: com’è il figlio di Gil e Liz? È un maschio? Così possiamo giocare insieme…Potrei istruirlo e farlo diventare il mio aiutante. Matt sarebbe rimasto in silenzio ad ascoltare, come sempre. E, come sempre, l’unico a spronarlo verso una conversazione sarebbe stato Francis. A volte Arthur temeva che lo capisse meglio di lui e ciò lo infastidiva a morte.
Magari avrebbe potuto telefonare Hannah. Chissà, magari quel giorno era di buon umore e se la sentiva di parlare con “La famiglia Queers”, come amava chiamarli nei suoi “giorni buoni”.
Magari un giorno avrebbe accettato quella situazione così com’era. Magari sarebbe riuscita a dirgli che gli voleva bene.
Magari prima o poi anche i suoi avrebbero voluto conoscere la sua famiglia di persona. Arthur non sapeva se Hannah avesse spifferato alla mamma della sua relazione con il francese, il fatto che non si fosse fatta più risentire al telefono non era un indizio che lo aiutava.
Uscirono dall’ospedale e salirono in macchina.
 Si accorse che alla fin fine tutto il resto del mondo non aveva significato per lui; se Hannah e il resto dei Kirkland non lo avrebbero accettato mai non era importante, così come non lo era sapere di che sesso fosse il bambino di Gilbert ed Elizabeta, oppure se Ian e Sesel un giorno o l’altro sarebbero usciti.
I loro problemi non lo riguardavano
-Mi spieghi cosa ti prende oggi?- Francis interruppe i suoi pensieri, leggermente infuriato, desideroso di attenzioni e d’affetto come sempre –Sei sempre stato silenzioso e scontroso, ma oggi hai battuto ogni record–
Con sua immensa sorpresa, l’inglese non lo mandò a quel paese come avrebbe fatto normalmente, ma sorrise, continuando a volgere lo sguardo verso la strada.
La sua mente si rivolse ad Eileen e al suo viso sorridente, ai gemelli che si erano rivelati nel corso del tempo il connubio perfetto tra loro due, una trasformazione di un qualcosa che ora non esisteva più.
E poi, guardò Francis.
Era di loro che gli importava davvero. Il resto, si ripeteva, non aveva nessuna rilevanza.
Loro, anche il pallido ricordo di Eileen, erano la sua vera famiglia.
-Che programma avevi per questa sera?- rispose solamente accelerando impercettibilmente.
 
FIN
 
 
Ebbere, siori e siori, questo è l’ultimo capitolo.
Ammetto che vederlo concluso mi fa uno strano effetto. E’ finito, continuo a ripetermi.
Questa è una fic molto importante per me. Mi ha fatto maturare sia in ambito stilistico che in quello personale, non smetterò mai di ripeterlo.
E scusatemi se ho avuto battute di arresto o cali di scrittura, non era mia intenzione.
Ringrazio TUTTI. Tutti quanti. Chi mi ha inserito negli autori preferiti, chi recensisce questa storia, chi non lo ha fatto più.
Chi ha sempre seguito questa storia, anche in silenzio.
Chi l’ha messa tra le ricordate, tra le preferite, tra le seguite. Chi in tutte e tre.
Ringrazio Alice, la mia cara amica, colei che mi ha appoggiato in tutto e per tutto. E’ solo grazie a lei che il personaggio di Hannah è così (Non insultatela, non è così stronza come lei xD).
Ringrazio Sara che non conosceva nulla di Hetalia ma ha letto la storia volentieri.
Fede, la mia spalla su cui piangere, a cui in fondo dedico tutta la storia.
Fabba, che ha sempre consigli utili da elargirmi.
Il mio “muso” ispiratore, che è un connubio perfetto tra Alfred e Francis ma non lo vuole ammettere <3 Ti voglio bene.
E infine, ma non per questo meno importante, ringrazio chi ha letto la mia sciocchezza. E la mia Beta; se non fosse stato per lei, questa fic sarebbe stata un cumulo di materia grezza ancora non plasmata.
Posso dire di aver concluso,
Valete!
Cosmopolita

   
 
Leggi le 12 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: Cosmopolita