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Autore: jjk    11/06/2013    3 recensioni
Perdersi tra le strade di New York e tra le scelte della propria vita.
A quella ragazzina era successo tutto insieme e non sapeva più come tornare indietro.
Non sapeva perché stesse correndo né da cosa o chi stesse scappando,né tanto meno come ritrovare la strada di casa,se stessa e la pace interiore di cui aveva bisogno.
E non aveva nessuno che la potesse capire e aiutare.
O meglio, non ancora.......
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lasciò cadere la bicicletta per terra  e si sedette sui gradini davanti a quella che probabilmente era la porta sul retro di qualche locale.
Osservò il vicolo in cui si era rifugiata, pieno di secchi dell’immondizia e spazzatura che era strabordata per terra.
Un vero schifo.
Proprio come si sentiva lei in quel momento.
Piantò i gomiti sulle proprie cosce e poggiò la testa sui palmi delle mani, sperando di trovare dietro al buio delle sue palpebre quella calma di cui tanto aveva bisogno.
Sentiva le ferite pizzicare e il sangue uscire velocemente dalle ginocchia bagnando i pantaloni ormai strappati.
Le bruciavano gli occhi, ma non voleva mettersi a piangere.
Lei ODIAVA piangere.
Una goccia le cadde su una scarpa, e poi un’altra e un’altra ancora.
Maledisse il cielo.
Non poteva mettersi a piovere proprio in quel momento!
Sbattè il proprio pugno su una gamba, colpendo inavvertitamente uno dei tagli abbastanza profondi che si era appena procurata.
Strinse i denti e ricacciò indietro le lacrime.
Non avrebbe pianto.
Non poteva farsi abbattere da stupidaggini del genere.
Asciugò il sangue che le aveva sporcato la mano con la maglietta e si sedette qualche gradino più in lato per evitare di bagnarsi di più, dato che nel giro di pochi minuti le sue scarpe si erano già trasformate in due piscine portatili.
Nascose nuovamente il viso tra le braccia oramai congelate facendo profondi respiri per non esplodere mentre cercava di scaldarsi un po’.
Quella mattina splendeva il sole e lei si era messa una leggera canottiera e dei pantaloni corti, ma poco prima si era alzato un gran vento e adesso, malgrado avesse tirato a sé le gambe e si fosse fatta il più piccola possibile, stava morendo di freddo.
E dire che lei non aveva mai freddo.
Proprio in quel momento la porta si aprì colpendola dritta in mezzo alle scapole.
Soffocò un’esclamazione di dolore e si voltò a guardare i tre giovani che stavano ridendo e scherzando tra di loro.
Era evidente che fossero felici e che gran parte di questa felicità derivasse dallo stare insieme.
La loro doveva essere stata proprio una bella giornata, non come la sua.
Appena la videro il sorriso sui loro volti scomparve immediatamente.
Lei non poté dargli torto.
In quel momento probabilmente sembrava un animale selvaggio ferito, con braccai e gambe ricoperte di sangue e bagnata fino al midollo perché, nonostante tutto, la pioggia rea riuscita a raggiungerla.
Si asciugò l’unica lacrima sfuggita al suo controllo e cercò di darsi un contegno.
Lo sguardo a metà tra il rabbioso e il disperato che doveva avere in quel momento non l’avrebbe di certo aiutata a dare un’impressione migliore di sé.
-Scusate-borbottò spostandosi in un angolo per frali passare, sperando che quelli se ne andassero velocemente e si dimenticassero di lei, relegandola a una buffa storia da raccontare agli amici.
-Non ti preoccupare, anzi scusa tu, avremmo dovuto fare più attenzione nell’aprire la porta. Ti sei fatta male?- disse invece uno dei tre.
Era alto e biondo e aveva uno sguardo molto dolce, si vedeva che era davvero preoccupato per lei.
Non sapeva se essere contenta di quell’interessamento o se odiarlo perché non la voleva lasciare di nuovo sola, costringendola a rispondere a quelle domande e impedendole di lasciarsi andare, sfogando tutte le emozioni che non riusciva nemmeno a distinguere tra loro.
-E io non sarei dovuta stare proprio qui davanti, quindi…….Facciamo finta che non sia successo niente-lo rassicurò lei con un tono a metà tra il seccato e l’amichevole.
Quello non fece in tempo ad annuire che uno degli altri due le sedette accanto non curante del fatto che i gradini su cui stava erano completamente fradici.
-Cosa ti è successo?-domandò con curiosità porgendole un fazzoletto di cotone.
-Niente di che. Credo solo di aver preso l’unica buca in tutta New York e la mia bici si è molto offesa per questo-rispose lei respingendo la gentile offerta del giovane e indicando la bicicletta che aveva buttato in un angolo.
-E poi?-chiese ancora quello cercando di pulirle le ferite, ma lei si scostò.
-Lascia stare non voglio sporcartelo- mormorò osservando il terzo ragazzo che armeggiava con la sua bici.
-Cosa sta facendo?-domandò poi sottovoce per non farsi sentire dal diretto interessato.
-Te la sta aggiustando-rispose l’latro, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
-Stai tranquilla. Lui è un genio in queste cose, ripara sempre anche le nostre-aggiunse poi notando la sua espressione preoccupata.
-E comunque il fazzoletto si lava, quindi non è un problema. A meno che tu non abbia paura che ti faccia del male…..-continuò on sguardo furbo.
Aveva in qualche modo insinuato che lei non sapesse sopportare il dolore, oltre al fatto che lui potesse non essere in grado di essere delicato, e lei non gli avrebbe permesso di crederlo.
-Non hai ancora finito di raccontare cosa è successo-le disse il giovane riuscendo finalmente a pulirle le ferite.
-Non mi sembra ci sia altro da dire-rispose lei mordendosi un labbro per non lamentarsi mentre lui, cercando di toglierle il sangue secco, le scartavetrava i tagli che già le facevano male.
-Se non ci fosse qualcos’altro non ti saresti seduta su degli scalini, in un vicolo così schifoso, bagnandoti completamente e prendendoti una porta di ferro, quindi abbastanza pesante, sulla schiena. Saresti tornata a casa-
I suoi occhi verdi acqua si piantarono in quelli marroni di lei che abbassò subito il volto perché sentiva che con quello sguardo penetrante le stava leggendo l’anima.
-Potreste chiedere a Will la mia cassetta degli attrezzi? È messa peggio di quanto immaginassi e mi ci vorrà più del previsto-
-Ok, tanto dovevo farmi dare anche il disinfettante-
“E magari anche qualche vestito asciutto” concluse senza però dirlo ad alta voce, guardando quelli sporchi e completamente zuppi della ragazza.
-No, non è il caso davvero!-esclamò lei saltando in piedi.
-Grazie per aver provato ad aggiustare la mia bici e scusate per il disturbo, ma adesso devo davvero andare-continuò afferrando la bicicletta.
Ma il terzo giovane, quello che fino a quel momento aveva armeggiato con catena, freni ecc.…..la bloccò.
-E dove?-
-A casa-
-Ma non ci sai arrivare non è vero? Conosco lo sguardo di chi si perde per la grande mela e lui…..-continuò indicando l’amico seduto sui gradini.
-……Lo conosce meglio di me. Si è perso per queste strade tante di quelle volte……-
Le sorrise cercando di rassicurarla e di metterla a suo agio.
-Vai con loro e fatti disinfettare le ferite, quando tornerai la bici sarà come nuova e ti accompagneremo a casa tua. New York è una città complicata e non bisogna vergognarsi se ci si perde al suo interno. Soprattutto se ci si deve ancora ambientare-
-E tu come fai a sapere che non sono di qui?-
-Innanzitutto perché un vero newyorkese non si sarebbe mai perso. E poi dall’accento: non è di qui, anzi dubito proprio che sia americano!-
-No, infatti non lo è-
-Non mi dirai di più, vero? Non importa. Adesso vai dentro-
Come una brava bambina obbediente, la ragazza fece ciò che le era stato detto e raggiunse gli latri due che la guidarono all’interno di un bel bar, passando proprio per quella porta che le era capitata in mezzo alle scapole.
Subito il biondo raggiunse un uomo riccio seduto d un tavolo e scambiò con lui poche parole prima che quello si recasse in una stanza dietro il bancone per uscirne poco dopo con una cassetta in mano che portò al giovane ancora fuori.
Nel frattempo gli altri due si erano seduti sugli alti sgabelli posti davanti al bancone e il biondo, vedendo che il riccio non tornava, li raggiunse, ma si mise dall’altra parte del piano di legno e, improvvisandosi barista, versò del liquido ambrato in tre bicchieri prima di scomparire anche lui per la stessa porta in cui, quello che doveva essere Will, aveva trovato la cassetta degli attrezzi, tornando qualche istante dopo con un flaconcino di disinfettante.
-Perché fate tutto questo per me? Nemmeno ci conosciamo!-
-Beh, innanzitutto perché credo di averti sfondato la schiena prima. E poi perché si aiutano le persone che sono in difficoltà, soprattutto se si sono perse!-le rispose il più alto
-Quindi l’avete capito anche voi?-
-Difficile non capirlo. E poi, tranquilla, io ancora mi ci perdo e quasi quasi passo più tempo qui che a casa mia!-continuò lui.
-Non vivi qui?-
-No, no. New York non fa per me. Troppo caotica. Io vivo in Michigan. Vengo spesso qui per lavoro. Infatti io e loro due….-ma non fece in tempo a finire la frase perché l’amico, dopo aver trangugiato velocemente il contenuto del bicchiere, lo interruppe innervosito.
-Comunque io sono Nate-disse bagnando il fazzoletto di stoffa con il disinfettante e passandolo, questa volta con più delicatezza di prima, sui tagli ancora aperti.
-E io sono Andrew-si presentò il biondo.
-Vedi? Ora ci conosciamo-continuò quello strappandole un sorriso.
-Io invece sono Giulia-
_Non è un nome inglese-
-No, mai io non sono né inglese né americana-
-E allora da dove vieni? Anzi no, non dirmelo, voglio provare a indovinare!-
La ragazza lo lasciò fare e lo guardò sorridendo.
Nate fissò ancora di più lo sguardo sulle gambe martoriate di Giulia soffocando una risata.
Quella era una delle cose che gli piaceva di più di Andrew: il fatto che amasse mettersi sempre alla prova.
Forse era per questo che sapeva suonare così tanti strumenti.
Giulia abbassò gli occhi, incontrando quelli di Nate, diventando completamente rossa.
Il panno sottile che scivolava dolcemente sulle sue ferite la faceva sentire una bambina piccola che si affidava alle cure dei grani dopo essersi sbucciata un ginocchio giocando con gli amici.
Si voltò subito dall’altra parte, ma quelle iridi verde acqua non sembrarono muoversi di un millimetro.
-Non bevi?-domandò Andrew vedendo che non aveva ancora toccato il bicchiere.
-è per me?-
-Certo! Per chi se no?-
-Per il ragazzo lì fuori-
-Per Jack? No, lui odia il whisky! Dai bevi!-
-Ok, un po’ d’alcol non potrà farmi male. E poi mamma e papà non lo sapranno mai-mormorò sottovoce.
Non aveva molta voglia di fargli sapere quanto ancora fosse sotto il controllo dei genitori, però quell’ultima frase le era proprio scappata.
Ma nate l’aveva sentita.
-Quanti anni hai che ancora ti preoccupi di cosa potrebbero dire mamma e papà?-
La ragazza non capiva perché il tono dl giovane si era fatto così duro e acido con lei.
Si sentì un po’ presa in giro e ciò la fece arrabbiare, eppure non le diede il coraggio di rispondere ad alta voce.
-Quasi 17-
-Allora avevo ragione. Sei proprio una ragazzina!-
Andrew gli lanciò un’occhiataccia mentre Giulia strinse i denti.
Era stato molto gentile ad aiutarla e a disinfettarle i tagli, ma ciò non gli dava il diritto di trattarla in quel modo.
-Io vado un attimo in bagno- borbottò quindi Nate sparendo in una stanza poco distante per sottrarsi alla disapprovazione dell’amico.
-Lo devi scusare, non è sempre così-cercò di giustificarlo il biondo appena lui si fu allontanato.
-Non ti devi scusare. E poi ha ragione lui: sono ancora una ragazzina-lo tranquillizzò lei sorridendogli.
Andre le piaceva.
Era stato il primo a preoccuparsi per lei e doveva conoscere bene i suoi amici, quindi evidentemente davvero Nate non si importava mai in quel modo, altrimenti la cosa non lo avrebbe impensierito tanto.
-Devi volergli molto bene-osservò seguendo i suoi occhi azzurri fissati sulla soglia che l’altro aveva oltrepassato e che si era ben chiuso alle spalle.
-Lui e Jack sono i miei migliori amici. Due delle persone più importanti della mia vita oramai. Sono davvero speciali e per questo gli voglio così tanto bene. Poi lui…..-
Stava per dire qualcosa, ma s’interruppe.
Per quanto l’istinto gli dicesse che poteva fidarsi di lei, se avesse parlato sarebbe stato come tradire Nate, mostrando di lui più di quanto era solito mostrare.
Calò il silenzio, ma non di quelli imbarazzanti, somigliava più a quello degli amici di vecchia data che no hanno bisogno di parole per stare bene insieme.
Una porta sbattuta interruppe quel momento e riportò tra loro il giovane dagli occhi verde acqua, ma con un’espressione decisamente diversa, più simile a quella di quando le si era seduto accanto sui gradini.
-Mettiti questi-le disse porgendole i panni che aveva in mano.
-Oh no, non posso accettare. Grazie lo stesso-
-I tuoi sono fradici e troppo leggeri per il tempo lì fuori. Se non ti vuoi ammalare devi per forza cambiarti-
Ma lei comunque no allungò le mai per prenderli.
-Questi sono vestiti di ricambio che lasciamo qui proprio per queste evenienza. Forza! Va a cambiarti, poi ce li ridarai!-concluse mettendoglieli tra le braccia e spingendola nella stanza dov’era andato lui prima.
La ragazza entrò e salì la scala che occupava lo spazio minuscolo di quello che doveva essere uno sgabuzzino, ritrovandosi in un bell’appartamento piccolo ma fornito di tutto il necessario per viverci tranquillamente.
Mentre aspettava che Giulia finisse di vestirsi Nate si versò un secondo bicchiere di whisky e lo sorseggiò ad occhi chiusi, aspettando una lavata di capo che non tardò ad arrivare.
-Mi spieghi cosa ti è preso?-domandò Andrew, preoccupato, ma anche irritato dal suo comportamento.
-Niente-rispose l’altro con tranquillità.
-Niente?! Nate, non ti ho mai visto comportarti così! Mi spieghi cosa ti ha fatto quella poveraccia?!-
-Niente-
-Allora perché l’hai trattata così?!-
-Ho capito! Ho sbagliato! Non lo farò più! Contento?!-
-No! Anche se no ci conosce, questo non vuol dire che tutto il lavoro che abbiamo fatto è stato inutile. Capisco cosa provi, ma……-fece quello intuendo cosa avesse turbato l’amico e cercando di rassicurarlo, ma non riuscì a finire la frase.
-Andrew fatti i fatti tuoi!!!!-ruggì l’altro furioso stringendo i pugni al punto di far diventare bianche le nocche.
-Smettila di cercare di capire osa mi passa per la testa, ok?! Alcune volte faresti meglio a stare zitto!!-
Il biondo non seppe come controbattere.
Non si era aspettato una reazione del genere ed era rimasto spiazzato.
-Che succede ragazzi?-domandò il riccio entrando in quel momento dalla porta insieme a Jack che però si era diretto subito verso l’ingresso del piccolo appartamento.
-Nulla-risposero contemporaneamente i due, l’uno ringraziando l’interruzione che lo aveva salvato dall’ira dell’altro che invece era al contempo seccato e grato che qualcuno che gli avesse impedito di vomitare altra rabbia e dolore addosso a una delle pochissime persone che provava a capirlo.
-Ma se vi abbiamo sentito urlare!-continuò quello che non si sarebbe arreso finché non gli avessero detto perché stavano gridando.
-Perché non ci volete dire il motivo della vostra prima litigata?-chiese Jack che, volendo sapere anche lui cosa stava succedendo si era fermato sulla soglia dello sgabuzzino.
-Perché non stavamo litigando-borbottò Nate.
-Jack, on entrare lì. Non ora-aggiunse poi vedendo che l’amico stava aprendo la porta.
-Perché? Io mi devo togliere il grasso della catena dalle mani! E poi  fuori piove ancora, quindi sono completamente zuppo e DEVO cambiarmi!-
-Non puoi aspettare?!-
-Nate, sto gocciolando perché lì fuori diluvia-protestò indicando la porta chiusa che dava sul vicolo.
-Quindi o mi dai una buona ragione oppure no, non posso aspettare-
-C’è Giulia-s ’intromise Andrew vedendo che quella discussione non portava a niente.
-E quindi?!-
-Si sta cambiando, che dici?!-rispose allora Nate seccato, come se la cosa fosse ovvia.
-Con quali vestiti? Non mi sembrava avesse un cambio con sé-
-Non lo aveva infatti-
-Mi hai stufato con queste mezze risposte! Se non li aveva con sé si può sapere dove ha trovato dei vestiti asciutti?!-
Gli occhi verde acqua del giovane s’illuminarono in uno sguardo divertito.
Adorava far irritare Jack, ma forse era arrivato il momento di dargli qualche risposta.
-Glie li ho prestati io-
-E dove li hai presi tu?-
-Dalla scorta di emergenza-
-Nate saranno rimasti si e no tre cambi nella scorta di emergenza!-
-E uno ce l’ha lei ora-
La calma con cui gli rispondeva fece irritare ancora di più Jack.
-Quale gli ahi dato di grazie?-domandò con un profondo sospiro cercando di non dargli la soddisfazione di vederlo arrabbiato.
-Credo di averle dato un paio di jeans o tuoi o di Andy e una mia maglietta-
-Favoloso e adesso io che pantaloni mi metto se le hai dati a lei?-
-Quelli che sono rimasti. Al massimo ti fai prestare qualcosa da Will-continuò indicando il riccio che stava tranquillamente bevendo una birra mentre li osservava battibeccare.
-Certo. Al massimo te li do io Jack. Che problema c’è?-disse dando man forte a Nate.
-Ma vi siete uniti contro di me?!-
-Solo tu puoi pensare che siamo contro di  te. Stiamo solo cercando di farti ragionare in maniera logica-
-Voi state cercando di farmi ragionare logicamente?! Voi che di logico non avete assolutamente nulla?! M ami state prendendo in giro?!-
-Noi? Che ti prendiamo in giro? Mai!!-risposero in coro i due con un tono che faceva capire che, non solo si stavano prendendo gioco di lui, ma anche che si stavano divertendo da morire a farlo.
Andrew scoppiò in una grossa risata, subito seguito da una seconda decisamente più giovane.
-Mi dispiace che per colpa mia state litigando. Non volevo essere fonte di così tanto disturbo-
-Non ti preoccupare. Troverebbero un altro motivo per battibeccare. Non possono farne a meno-la rassicurò Andrew.
-Piuttosto, dammi i tuoi vestiti bagnati che li mettiamo ad asciugare vicino al caminetto-continuò guidandola dall’altra parte del locale e posizionando i panni davanti al fuoco.
-Fanno molto male?-domandò indicando le ferite che, pulite e disinfettate, avevano tutto un altro aspetto.
-Un po’, ma molto meno di prima grazie al tuo amico. È stato davvero molto gentile-
-Lui è così-rispose semplicemente come se fosse la cosa più normale del mondo, ma si vedeva che era davvero orgoglioso di lui.
Nel frattempo anche gli altri li raggiunsero.
Will e Jack con una bottiglia di birra ciascuno, mentre Nate portava un bicchiere di whisky in ogni mano.
-Tieni Andy-disse porgendone uno al biondo.
-Avete risolto?-domandò quello cominciando a sorseggiare il liquido ambrato.
-Si, si. Alla fine il signorino ha trovato i suoi pantaloni e si è potuto cambiare senza farsi venire crisi isteriche-
-Non sono io che mi faccio venire le crisi isteriche! Siete voi che me le fate venire!-disse puntando il dito contro lui e Will.
-Basta bambini, ora smettetela di litigare!-li interruppe Andrew spostando lo sguardo sulle mani id Giulia.
-Non è giusto che noi beviamo mentre Giulia no. Perché a lei non hai portato niente?-
-Perché per una ragazzina della sua età un bicchiere al giorno basta e avanza-rispose Nate con un ghigno scherzoso.
Questa volta era evidente che stava scherzando e la ragazza lo capì e si finse offesa.
-Ehi! Non sono mica così piccola! Guarda che il nostro fegato acquisisce gli enzimi necessari per assimilare l’alcol dai 16 anni, quindi posso bere!-
-Si, ma fra le altre cose si sta anche facendo tardi e credo che sia ora di accompagnarti a casa. Le ragazzine non possono stare fuori fino a tardi-le ripose Nate continuando a prenderla in giro.
-Perché che ore sono?-
-Quasi le sette e mezza-
-Le sette e mezza?! Gaia mi ucciderà se non torno subito a casa!-
-Gaia? Chi è?-
-La mia coinquilina-
-Pensavo vivessi con i tuoi- s’intromise Andrew.
-No. I miei sono rimasti in Italia-
-L’Italia! Ecco da dove vieni !Come ho fatto a non pensarci prima? Era così evidente!-esclamò il biondo battendosi una mano sulla fronte e provocando una risata generale.
-Però hai una buona pronuncia e il tuo accento non si nota così tanto-si complimentò Jack.
-Scusa la domanda, ma se la tua famiglia è ancora in Italia perché tu sei venuta a New York?-domandò ancora il giovane, ma la ragazza non fece in tempo a rispondere perché Nate la interruppe.
-Credo che questa storia vada raccontata un’altra volta. Se non vuoi che Gaia si arrabbi credo che sia ora di incamminarci. Se mi dici dove abiti ti accompagniamo-
Giulia gli disse il nome della via che aveva imparato a memoria, malgrado non sapesse ancora bene come arrivarci.
-è vicinissimo a casa mia. Praticamente il palazzo affianco-
-Davvero?-
-Si. Un apio di traverse più in là, però si. Abitiamo praticamente attaccati. Ti posso accompagnare senza problemi e senza fare nessuna deviazione-la rassicurò, capendo che lei aveva il terrore di essere di peso.
-Ragazzi. L’accompagno io, tanto è di strada. Ci vediamo domani. Stessa ora stesso posto?-
-Si certo. Sicuro che non volte un passaggio in macchina? Tu sei a piedi-rispose Andrew offrendo di dargli uno strappo con la sua auto.
-No, tranquillo anche perché se no come porteremmo la bici?-
Tutti sembravano essersi dimenticati di quella poveretta abbandonata nel vicolo e su cui il povero Jack aveva lavorato tanto.
-Hai ragione. Allora buonanotte e sii puntuale domani!-si raccomandò il biondo salutandolo e dando un bacio sulla fronte a Giulia.
-Buonanotte Juls. Un giorno ci racconterai che ci fai nella grande mela-
-Juls. Mi piace. È un bel soprannome-
Andrew non si era nemmeno accorto di averla chiamata in quel modo e arrossì, contento però che le fosse piaciuto.
-Juls era il soprannome del figlio di John Lennon. È a lui che è dedicata “Ehi Jude ”-mormorò allora il biondo, sfoderando la sua cultura.
-Fan dei Beatles?-domandò retoricamente la ragazza.
-Chi non lo è?-
-Hai ragione. Comunque non ti preoccupare. La prossima volta vi racconterò tutto ciò che vorrete-
-Ci conto-
-Forza ragazzina ti sbrighi? Dobbiamo  camminare almeno un’ora per arrivare a casa- le urlò Nate mentre lei salutava velocemente gli altri due.
-LA SMETTI DI CHIAMARMI RAGAZZINA?!-
-No!-
-Perché?!-
-Perché lo sei!-
Gli altri tre risero guardandoli battibeccare.
-Sicuri che possiamo lasciarli andare da soli senza controllare che non si scannino?-domandò Jack.
-Certo, sai anche tu cosa significa quando fa così……-gli rispose tranquillamente Andrew, quello che più di tutti capiva cosa passasse per la testa dell’amico.
Ma in realtà lo sapevano tutti che quando Nate si comportava in quel modo con qualcun altro significava che aveva già cominciato a volergli bene.

Nota:Grazie per essere arrivati fino alla fine.So che non è niente di che,anzi.....però ho voluto provare lo stesso a mettere per iscritto una storia che mi ronzava per la testa da un po'.Essendo la prima storia che scrivo sui Fun. e essendo abbastanza nuova di questo fandom,ci terrei davvero tanto asapere cosa ne pensate.,quindi......Vi sarei davvero riconoscente se voleste lasciare una piccola recensione a questa schifezza
  
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