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Autore: La Mutaforma    11/06/2013    2 recensioni
Sono venuta fin qui, trascinandomi sulle ginocchia come in penitenza.
Così arrivo a te, amico e maestro. Con la fronte china per portarti riverenza qui.
In quest’alta cappella, lontano dalla terra che ti mise al mondo e poi ti chiamò bastardo e sodomita.

Immaginario dialogo tra una delle persone più importanti della mia vita e Leonardo da Vinci.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ecco, inizialmente non volevo pubblicarla. Questa è un'altra commissione di Najmee. La mattina mi fa "Hey Mutaforma, mi scrivi una fanfic su me e Leonardo da Vinci? Per capire cosa penserebbe di me" 
E allora la fanwriter penosa si mette a scrivere. A caso, come se le storie non avessero una fine. 
In effetti, una fine non c'è. Non c'è mai. 
Ti voglio bene Manu. Se mai avrà valore tutto ciò che so digitare sulla tastiera, quel che di buono si legge in queste righe cominciò con te. 
La Mutaforma. 




Sono venuta fin qui, trascinandomi sulle ginocchia come in penitenza.
Così arrivo a te, amico e maestro. Con la fronte china per portarti riverenza qui.  
In quest’alta cappella, lontano dalla terra che ti mise al mondo e poi ti chiamò bastardo e sodomita.
Tutto ciò ne resta di te, mio maestro? Sono quasi cinquecento anni che ti rincorro, perché troppi misteri ti sei lasciato alle spalle.
Spero di non mancarti di rispetto se mi siedo qui, vicino a te, a parlar di tempi che non si riconoscono più.
Qui cambia tutto, e quel Dio in cui non hai creduto ti ha chiamato a sé troppo presto.
Ti terrei la mano, Leonardo.
Anzi, Messer da Vinci.
Così ti porto rispetto.
Dimmi, artista silenzioso, cosa pensi di me? Di me che rincorro la tua vana ombra che impallidisce all’alba di ogni nuovo, inutile giorno? Pensi che io sia insistente, or che giaci al riposo delle calunnie e delle dicerie, a cercare il tuo consiglio?
Perdona, artista incompreso. Sono l’ultima dei tuoi discepoli, la più immeritevole. La più bisognosa che la tua malferma mano si poggi sulla mia e guidi questo mio pennello stranito, alieno da pensieri e dalla stessa tela che senza sguardo mi osserva, bianca come la morte.
Bianca come questa pietra.
Triste, quando la tua arte non ti parla.
Son venuta fin qui, trascinandomi sulle ginocchia, qui ad Amboise, in questo castello che non è mai stata la tua casa.
Non c’è casa per te, Leonardo. Hai vissuto come sempre, così sospeso, nelle tempeste sullo sfondo della tua Monnalisa.
Così mi lasci, senza risposte, solo enigmi da risolvere, su cui sono stanca di interrogarmi.
Così non mi rispondi, mio maestro e amico, e mi lasci nella polvere di questo mondo di cui tanto cercasti il senso.
Chissà che trovasti. Chissà che capisti.
Son venuta fin qui, trascinandomi sulle ginocchia, a parlare con una pietra su cui è inciso il tuo nome.
Mai maggior degrado ti ha rappresentato, mio maestro.
A quest’ora, in un altro luogo, suonano le campane a Santa Maria del Fiore.
Te lo ricordi il loro suono, artista solitario? Te ne ricordi quando guardavi oltre la finestra, vagando tra campi francesi, cercando la rosseggiante cupola da far invidia al sol calante?
Suonano le campane a festa, ma noi non le sentiamo.
Perdonami maestro, se son venuta a cercarti, se non riesco a staccare la mia mano dalla tua.
Cosa pensi di me?
 
Son venuta fin qui, e la pietra non ha parlato.
Ma non è stato un viaggio inutile.
Passasti.
Artista, per te le campane giù a Fiorenza non suoneranno mai sufficientemente a festa.
Tornerò. Da brav’artista, con qualche tela in mano.
Tornerò. Da buon’amica, con un bicchiere di vino per te.

 
 
   
 
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