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Autore: EllieMarsRose    11/06/2013    3 recensioni
La pioggia è musica. Hai mai provato a svegliarti presto la mattina? Circondato dal buio della tua stanza, chiudi gli occhi ancora intorpiditi dal sonno e ascolti questo ritmico picchiettare sul vetro nascosto dalle tende pesanti. Quasi trattieni il respiro per non perdere nemmeno una nota. È una delle musiche più belle al mondo. Come il fuoco che brucia il legno. O il vento che sibila fra le foglie. O il battito del tuo cuore. Quella è vera musica.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Kids From Kensington'
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How Come It Never Rains

Questa one-shot è dedicata a tutti coloro che custodiscono in sé un universo.

In particolare, questa storia è per SilverAlex, il mio bro, perso fra nebulose alla ricerca della propria stella polare; ti voglio bene. Ma davvero.

È anche per Mars, la mia stella gemella, che da pochi giorni ha una “stellina speciale” che la guarda dal cielo. Twin, sei unica.

Ed è anche per la mia Testaccia Di Melanzana, la mia costellazione luccicante e glitterata più bella e calda dell'universo. Daisuki desu (ma tanto lo sai già).



Katherine rilesse l'indirizzo sul foglietto e controllò il cartello sopra la sua testa; sì, la via è questa. Tutto quello che c'era da fare era trovare il numero 39. Dopo qualche metro scorse la casa: muri dipinti di rosso, staccionata quasi inesistente; c'è una Honda appoggiata di fianco alla porta d'ingresso. È la mia moto. Così aveva scritto Tyla nella sua lettera; era un tipo un po' all'antica, odiava scrivere email. Diceva che erano troppo asettiche ed impersonali.

Katherine sorrise nell'osservare quello che aveva davanti agli occhi: è proprio nel suo stile. I muri del suo colore preferito, la staccionata sgangherata che sembra quasi uno di quegli alberi scheletrici che dipinge sulle sue tele e... beh, la moto è rock and roll. Quella piccola porzione di mondo era così simile alla personalità di Tyla che era impossibile non notarla: decadente, criptica, zozza, scarna e heartbreaking, in un certo senso; quella casa, quella staccionata, quella moto ERANO Tyla. Katherine ripiegò il foglio e se lo rimise nella tasca interna della giacca mentre imboccava il vialetto che portava all'ingresso di quella piccola casetta. Quando giunse davanti alla porta, ebbe un attimo di smarrimento: e se lui avesse dimenticato il mio viso? Impossibile, era stata la prima ragazza che lui avesse mai baciato in vita sua. Poi non c'era mai stato nulla fra di loro, avevano continuato ad essere amici, eppure in quell'umido pomeriggio di ottobre, quando lui l'aveva riaccompagnata a casa sua a Notting Hill Gate, dopo aver camminato per un'ora senza ombrello sotto quella pioggia battente che aveva inzuppato loro i capelli, sembrava quasi la cosa più giusta da fare prima di congedarsi. Sull'onda di quel dolce ricordo, la ragazza picchiò le nocche contro il legno ed attese fiduciosa. Lui non ci mise molto ad arrivare all'uscio; quando aprì la porta rimase piacevolmente sorpreso nel ritrovare quella vecchia amica di quartiere. Gli si illuminarono gli occhi e sorrise: «Kat! Ci hai messo poco ad arrivare»

«Sei sorpreso? La periferia di Stoccolma non è così difficile da girare».

I due si abbracciarono su quello scalino, mentre il vento gelido che arrivava dalla Lapponia graffiava loro le guance. Tyla rabbrividì mentre si staccava dalla sua amica: «Entriamo, sennò rischio di prendermi un accidente vestito così. Ho appena acceso il camino». L'uomo la fece accomodare e le fece poggiare la giacca all'ingresso, poi la invitò con lui in soggiorno. Kat lo seguì, studiando il suo abbigliamento e i suoi movimenti; nonostante fossero passati più di vent'anni da quando l'aveva visto l'ultima volta, Tyla era rimasto sempre lo stesso. Camminava con la stessa andatura decisa, indossava jeans logori, gilet gessati e maglie un po' vintage; l'unica differenza con i tempi di Kensington era che aveva tagliato i capelli. La chioma un po' castana e un po' rossiccia che gli arrivava fino alle spalle era stata sostituita da un taglio più sobrio e, soprattutto, nero corvino. La donna si inginocchiò davanti al fuoco ed allungò le mani infreddolite; Tyla ridacchiò da dietro le sue spalle: «Cosa ci fai per terra? Ci sono ancora una poltrona e un divano liberi!».

Lei gli sorrise di rimando: «Ma solo cinque minuti, fuori fa un freddo cane»

«Allora vado a prepararti un tè caldo».

Kat rimase sola; si sedette per terra con le spalle al fuoco ed osservò la stanza. Sembrava di essere in uno chalet: le pareti erano in legno, ricoperte di tele e disegni fatti dal proprietario di casa, e il tappeto, il divano e le due poltrone erano ricoperte di un fantastico tessuto cremisi. Sul tavolino al centro della stanza Tyla aveva appoggiato la sua chitarra acustica e una pila disordinata di fogli: sicuramente stava componendo qualcosa. Kat si avvicinò incuriosita per tentare di leggere qualche parola, ma la voce di lui la richiamò: «Ehi! Non si sbircia fra le mie cose».

Di tutta risposta lei gli fece la linguaccia: «Ma fammi il piacere! Hai pubblicato dischi e libri e non vuoi che io, che ti conosco da un sacco di tempo, legga quello che scrivi?»

«Non voglio che tu sbirci fra le mie cose quando ancora sono in fase di stesura» Tyla si affrettò a darle il tè e nascose il plico di fogli in un cassetto del mobile di fianco al camino.

Kat bevve un sorso, sentendo il liquido caldo scaldarle il corpo, poi lo guardò negli occhi castani: «Allora, come si sta in Svezia?».

Tyla sorrise e fece spallucce: «Non è niente male come posto. Organizzatissimi, puntuali, precisi; veramente nulla da dire. Però...»

«Però ti manca Londra».

L'uomo abbassò lo sguardo: «Soprattutto Kensington. Ci ho lasciato il cuore, era il mio quartiere»

«Già» Kat annuì guardando il suo riflesso nel liquido ambrato «sai, anche io ho lasciato Kensington»

«Ho visto che due lettere fa mi hai detto che avresti cambiato indirizzo. Ora dove abiti?» Tyla fece il giro del tavolo per sistemare la chitarra nel suo sostegno, di fianco al camino.

«Sono in zona Oxford Circus, vivo con un'amica».

L'uomo aggrottò le sopracciglia, curioso: «Ma... scusa se mi permetto, abitare a quest'età in casa con un'amica non è un po' da zitella?».

Kat allargò gli occhi a dismisura e gli tirò una cuscinata: «Zitella un tubo!»

«Dai che scherzo!» Tyla le restituì il colpo «Che è successo allora? Sei entrata a far parte della cerchia delle divorziate?»

«Indovinato» lei fece spallucce e bevve un altro sorso di tè. Per un momento Tyla si sentì in colpa; sapeva che non era mai piacevole toccare argomenti del genere. Lui stesso non parlava mai volentieri del suo matrimonio fallito con Bess; era iniziato in pompa magna ed era terminato con lui in pronto soccorso che si faceva suturare il petto con trenta punti dopo esserselo tagliato con una bottiglia rotta. Guardò Kat ritraendo lentamente il capo, aspettandosi da un momento all'altro una sua esplosione emotiva; invece, contrariamente alle sue aspettative, lei gli raccontò tranquillamente com'era andata: «Te lo ricordi Jack? Quello che avevo conosciuto in università».

Tyla alzò gli occhi al soffitto: «Chi? Quello che assomigliava al principe Carlo?»

«Lui» a Kat scappò una risatina «siamo stati fidanzati per cinque anni»

«Ricordo vagamente qualcosa. Poi io ho cambiato giro di amici e ci siamo un po' persi di vista»

«Vero, però ci siamo sempre tenuti in contatto» Kat gli fece l'occhiolino «Quando poi ci siamo sposati nel 1988, tu non eri potuto venire perchè eri in tour con i Dogs D'Amour. Beh, ad ogni modo, la nostra storia da sposi è durata per otto anni».

Tyla osservò Kat poggiare la tazza vuota sul tavolo e fare un respiro profondo; cercò di guardarla dritta negli occhi, pronto a trovare anche solo una piccola lacrima che premeva contro le sue ciglia per scorrerle lungo la guancia. Cercò di sollecitarla: «Poi cos'è successo?»

«Nulla, a dire la verità» la donna poggiò la testa contro lo schienale del divano «un giorno, guardandolo mentre tagliava l'erba del giardino sul retro, mi sono resa conto che non lo amavo più. Non mi aveva tradita, non mi aveva fatto del male; Jack è sempre stato estremamente corretto nei miei confronti. Eppure qualcosa in me era cambiato; gli voglio bene, gliene voglio ancora. Ma non voglio più farci l'amore». Tyla annuì in silenzio. Kat continuò: «Quando gliel'ho detto, lui è rimasto inizialmente spaesato; poi mi ha preso la mano e mi ha confidato che anch'egli era nella mia stessa situazione. Tutto sommato è stato un divorzio pacifico; ci parliamo ancora»

«Nella sfiga sei stata fortunata» scherzò l'uomo

«E tu invece?» Kat lo punzecchiò con l'indice «Anche tu, ad un certo punto, ti sei sposato».

La stomaco di Tyla diventò piccolo come un granello di sabbia; il solo ricordare Bess gli dava una schifosa sensazione di nausea: «Cazzata più grande non potevo fare».

Kat si mordicchiò il labbro; non voleva metterlo in difficoltà. Si guardò nervosamente intorno, cercando un particolare su cui poter dirottare l'attenzione dell'amico; dopo aver passato velocemente in rassegna le pareti della stanza, sentì un piccolo tuffo al cuore quando, nel guardargli le mani callose da chitarrista, notò che portava ancora quell'anello: «Ehi! Ma quella è la fedina d'argento con le rune che ti avevo regalato io».

L'uomo si guardò la mano sinistra e sorrise: «Mai tolta in vita mia. Mi porta fortuna, sai?»

«Era stato il mio regalo per i tuoi diciotto anni» Kat gli prese la mano e gli sfilò il gioiello per guardarlo più da vicino. Thorn, winn, mann, feoh; ancora si ricordava la sequenza dei caratteri. Un senso di felicità le colmò la mente; nonostante lei e Tyla non si fossero visti per circa vent'anni, lui non si era mai dimenticato della sua amica. «Devi solo pulirla un po', si è leggermente annerita».

L'uomo ridacchiò scuotendo il capo: «Queste erano tutte quelle robe strane che trovavi solo tu a Camden»

«Cavolo, Camden Town! Quanto tempo è che non vado più lì» Kat si passò le mani fra i capelli biondi sorridendo euforica «Mi ricordo che ci spendevo tutte le mance che mi davano i miei. Dischi, libri strani, anelli, orecchini...»

«Ci andavamo sempre insieme, ti ricordi? Sempre il primo sabato di ogni mese» Tyla si avvicinò leggermente a lei, con la mente che tornava indietro a quel periodo fra gli anni settanta e gli anni ottanta, quando ancora lui e Katherine erano parte dello stesso gruppo di amici a Kensington. Erano i più scapestrati di tutto il quartiere; nonostante fossero tutti benestanti, adoravano vestirsi con abiti estrosi e particolari. Erano un po' tutti artisti, lui in primis; era il rocker semialcolizzato che sapeva suonare chitarra e basso e scrivere delle poesie meravigliose. Anche Katherine scriveva, ma lei si dedicava alle storie in prosa.

«A proposito, ti ricordi di quella giacca fighissima che avevi comprato?» la donna battè velocemente le mani fra loro, quasi volesse spronare l'amico a richiamare alla memoria quell'indumento bizzarro.

«Quella che tu mi avevi costretto a comprare» precisò Tyla «dev'essere da qualche parte, non ho avuto il coraggio di buttarla via. Ci ho fatto un sacco di concerti durante il tour di “In The Dynamite Jet Saloon”». L'uomo chiuse per un istante gli occhi, sentendo un'accozzaglia di emozioni iniziare a stringergli le viscere; quella giacca l'aveva comprata con Kat proprio quel sabato di ottobre. Il primo sabato di ottobre del 1980.


* * *


Kat uscì di casa in tutta fretta, salutando a gran voce la madre; balzò giù dall'ultimo scalino e respirò l'aria a pieni polmoni guardando il cielo. Era insolitamente soleggiato e c'era una temperatura gradevole. Niente male per essere il primo sabato di ottobre. Controllò di aver preso sufficienti soldi con sé e poi si diresse spedita verso la stazione di Notting Hill Gate, dove si era data appuntamento con Tyla e gli altri amici per l'una e mezza spaccata. La sedicenne saltellava contenta sul marciapiede, non vedeva l'ora di comprarsi il vinile di “British Steel”; era da aprile che lo desiderava, ma ancora non era riuscita ad averlo. Scese a tutta velocità le scale della tube, canticchiando fra sé una canzone, ed arrivò con il fiatone al binario della Central Line, destinazione Ongar. Non c'è nessuno. Guardò l'orologio sopra una panchina; segnava l'una e trentacinque: in ritardo come al solito, ho corso per niente. Abbassò lo sguardo per dare un calcio ad un foglio del Times, quando si sentì chiamare per nome; si voltò di scatto e vide arrivare di corsa tutti i suoi amici, Tyla in testa. «Alla buon ora!»

«C'è stato un problemino sulla District, abbiamo perso un po' di tempo» si scusò il ragazzo sistemandosi la bandana violacea

«Non dire cazzate Timothy! Dovete fare una fermata sola per venire qui; dimmi piuttosto che avete dovuto aspettare Anne perchè non trovava il biglietto»

«Oh, non mi chiamare Timothy che mi dà fastidio» Tyla, piuttosto indispettito, le tirò un pizzicotto «e comunque abbiamo fatto tardi perchè ho sentito Spike al telefono prima e mi ha detto che si fa trovare direttamente a Camden».

Kat gli fece la linguaccia e lo spinse sul treno che stava arrivando: «E allora muoviamoci, che abbiamo perso già abbastanza tempo».

Dopo mezz'ora di metropolitana la combriccola stava salendo le scale della stazione di Camden Town in tutta fretta, ansiosa di fare il giro del mercato degli alternativi; Tyla, il più grande ed il più esperto della compagnia, camminava davanti a tutti, seguito da Kat che chiacchierava con l'amica Anne e altri tre ragazzi. Il giovane si bloccò per un secondo, poi scorse l'amico Spike appoggiato ad un palo che fumava tranquillo; lo chiamò per nome ed agitò la mano per salutarlo. «Ehi!» Spike gettò via la sigaretta e si avvinò al gruppo, seguito dallo svolazzare della sua bandana blu e dai polsini rivoltati della camicia bianca.

Kat strabuzzò gli occhi nel vedere quel ragazzo; si mise dietro Tyla e gli sussurrò all'orecchio: «Dio, ma siete uguali!».

Il ragazzo la fissò con gli occhi fuori dalle orbite: «Ma che cazzo stai dicendo? Lui ha i capelli quasi neri e gli occhi blu e io sono castano con gli occhi scuri».

La ragazza alzò lo sguardo al cielo, guardando una nuvoletta bianca passare sotto il sole: «Intendevo, siete uguali nello stile! Vi vestite allo stesso modo»

«E allora di' “Avete gli stessi gusti”» Tyla fece un passo in avanti ed abbracciò Spike dandogli una pacca sulla spalla. Kat li osservò incuriosita: entrambi portavano la bandana, una giacca gessata nera con delle catene fini, pantaloni neri e stivali texani. In mezzo ai punk che popolavano quella zona della città, sembravano due esseri umani a metà fra un pirata e un cowboy. Pittoreschi davvero. Tyla presentò Spike al gruppo: aveva diciannove anni come lui e veniva da Newcastle, ma al momento era a Londra a trovare un cugino.

«E, giustamente, non si va via da questa città senza aver visto Camden Town» Kat gli si avvicinò per stringergli la mano; già a pelle le stava simpatico. «Possiamo farti strada io e Tyla, ti portiamo a vedere i posti migliori».

Spike le sorrise ed i ragazzi si diressero lungo la A502, verso l'ingresso del mercato. Inizialmente si spostarono in gruppo, ma dopo poco Anne e gli altri decisero di entrare in un negozietto che vendeva abiti cyber e futuristici, staccandosi da Kat, Tyla e Spike che proseguirono dritti verso il negozio di dischi, dove finalmente la ragazza riuscì a comprarsi il vinile che tanto desiderava. Kat si rigirò estasiata fra le mani la custodia dove campeggiava una mano che stringeva una lametta con inciso sopra “Judas Priest”: «Finalmente!».

Spike le mise una mano sulla spalla e si fece passare il disco; lo studiò scettico, inspirando boccate profonde dalla sua sigaretta, poi si avvicinò a Tyla, indicandogli con la testa la ragazza: «Ma che musica fai ascoltare alle tue amiche?».

Il ragazzo scosse sconsolato il capo: «Io le ho detto di cambiare gusti, ma quella non mi ascolta»

«Ehi!» Kat si allungò verso Spike per riprendersi il disco, ma lui lo passò prontamente all'amico; la ragazza fissò Tyla negli occhi: «Ridammelo».

Il chitarrista fece una risatina, poi iniziò a correre trascinandosi dietro Spike: «Ok, vieni a prenderlo!»

«Timothy, stronzo, restituiscimelo! Il mio disco nuovo!».

Fortunatamente i due non riuscirono ad andare lontano; sia Tyla che Spike non erano dei grandi atleti, bevevano alcol e fumavano a sufficienza per avere il fiato mozzato dopo soli duecento metri. Non fu un problema per Katherine riagganciarli e strappar loro di mano il vinile: «Se avete qualcosa da ridire sui Priest, vi conviene smettere di fumare e bere, almeno potete scappare un po' più lontano senza che io riesca a prendervi».

Tyla e Spike, aggrappati ad un palo della luce come se stessero stringendo la loro ancora di salvezza, cercarono di biascicare qualcosa, ma il fiato troppo corto impedì loro di parlare.

«Vi conviene non replicare; anzi» il tono di voce della ragazza si fece più cupo «ora per punizione fate quello che dico io» e senza lasciar loro la possibilità di ribellarsi, li prese entrambi sotto braccio e li trascinò nel vicino negozio di abbigliamento.

«No, ti prego, non ce la posso fare Katherine» la supplicò Tyla appena varcata la soglia «i vestiti no»

«Zitto. Ora sia tu che Spike diventerete le mie bamboline» la ragazza si voltò verso l'angolo più nascosto del negozio «La vedete quella giacca?».

Su un manichino era poggiata una splendida giacca in tessuto pesante indaco con decorazioni floreali, lunga fino alle ginocchia, con tutti i polsi ricamati e i bottoni doppi dorati; entrambi i ragazzi spalancarono la bocca: «Che figata»

«Ci avrei scommesso che vi sarebbe piaciuta».

In quel momento sopraggiunse la commessa: «E' l'ultima che mi è rimasta»

«Allora la cosa si fa più interessante» Kat guardò Spike e Tyla negli occhi «la provate tutti e due. Quello che sta meglio con addosso la giacca se la compra»

«Ok ma...» i due si chinarono per prendere il cartellino che penzolava da una manica «NON VORRAI MICA FARCI SPENDERE CINQUANTA STERLINE!».

Kat fece l'indifferente: «Dopo quello che avete combinato, è il minimo»

«Ma così mi secco tutti i miei risparmi di una settimana in cinque minuti!».

Tyla cercò di smuovere la ragazza dalle sue idee, ma Kat non gli diede minimamente ascolto: «Non è detto che debba comprarla tu, testone; nel caso toccasse a te, troverai il modo per pagarla» e mentre diceva quelle parole, gli porse l'indumento. Tyla studiò la giacca per qualche secondo; la trovava fantastica, anche se non aveva nessuna intenzione di acquistarla. Si guardò allo specchio e se la infilò; gli stava divinamente: quell'indaco contrastava brutalmente con il colore dei suoi capelli e le maniche erano della lunghezza giusta.

«Uau» si guardò dietro, controllando il tessuto «arriva appena sopra le ginocchia. Manca un jolly roger ed è perfetta»

«Sì, ma non innamorartene troppo» Kat gli arrivò alle spalle, abbassandogli il vestito «adesso se la prova Spike»

«Ah, guarda, per me può innamorarsene quanto vuole».

Spike cercò di correre ai ripari, ma Tyla gli lanciò addosso la giacca: «Zitto. Fa' vedere come ti sta».

Il moro entrò nell'indumento, ma fu chiaro fin da subito che qualcosa non andava; Spike si guardò allo specchio, arricciando le labbra: «Non mi si vedono le mani. È gigante».

Kat ridacchiò e si sfregò le mani soddisfatta, mentre Tyla si prendeva il viso fra i palmi: «Ti tocca».

Il ragazzo pronunciò qualcosa di incomprensibile mentre Spike gli restituiva la giacca: «Dai loser, quanti soldi hai con te?»

«Cinquantacinque sterline» lo disse parecchio dispiaciuto

«E hai già in mano il biglietto di ritorno della metro» Kat lo spintonò dolcemente verso la cassa «non fare lo spilorcio, Tyla».

Il ragazzo pagò con una smorfia dipinta in viso ed uscì accompagnato da uno Spike giulivo, perchè aveva evitato un acquisto troppo caro per le sue tasche, e una Kat contenta, dato che la sua “vendetta” era andata a buon fine. Ma, come ritornarono sulla via principale, un tuono fece alzar loro la testa; nel giro di poco meno di un paio d'ore il sole era stato coperto da uno spesso strato di nuvole plumbee. «Ragazzi, qui va a piovere» Tyla scrutava il cielo, cercando invano uno squarcio azzurro.

«Se non ci spicciamo, la prendiamo tutta» Spike mise le mani sulle spalle dei due per spingerli verso la metropolitana, ma Kat non fece un passo: «E gli altri?»

«Gli altri si arrangiano» Tyla la prese per il polso «sono grandi abbastanza». Mentre scendevano le scale della tube, Spike disse loro che sarebbe sceso a King's Cross St. Pancras, poiché avrebbe trascorso la serata con suo cugino; Kat e Tyla si offrirono per accompagnarlo e lo salutarono vedendolo sparire fra la folla mentre saliva le scale.

«Forte quel tuo amico» la ragazza si voltò, scrutando il viso di Tyla.

Il ragazzo le sorrise: «Ci assomigliamo molto, per quello che è forte»

«Autostima a mille, eh?».

Tyla le diede un buffetto: «Ascolta, mi accompagneresti a Hyde Park Corner prima di tornare a casa?».

Kat corrugò la fronte: «Sta per piovere. Cosa devi fare?».

Il ragazzo la prese per il polso e la trascinò sul primo treno della Piccadilly Line in direzione Heathrow: «Devo passare in libreria, ieri mi è arrivato il libro di Bukowski che avevo chiesto»

«Ma è proprio necessario andarci oggi?» Kat cercò di opporre resistenza, ma Tyla era più forte di lei e non ebbe problemi a caricarla sulla metro.

«Sì, perchè il proprietario è uno stronzo e, se non glielo compro entro stasera, ha il coraggio di venderlo alla prima persona che gli entra in negozio, così sono costretto a riordinarlo e ad aspettare ancora una settimana».

Kat fece spallucce: «Capirai che disastro».

«Lo è»Tyla scosse il capo e si portò la mano al petto «Bukowski è come un arpione che ti trapassa il cuore da una parte all'altra. Io ho bisogno di queste sensazioni».

Kat lo fissò stranita: Tyla era davvero un bravo ragazzo, anche se a volte era difficile rimanere sulla sua lunghezza d'onda. Quando cominciava a parlare dei suoi poeti o del mondo che lo circondava, diventava davvero difficile stargli dietro. Non appena salirono le scale della stazione di Hyde Park Corner, Tyla le indicò la libreria all'angolo della strada: un negozio minuscolo, buio, con una sola vetrina posta sotto un balcone. La ragazza ebbe un attimo d'incertezza: «Che posto spaventoso».

Tyla la guardò stranito, poi scoppiò in una fragorosa risata: «Allora aspetta di vedere lui, un vecchiaccio antipatico e burbero che puzza di muffa».

Kat rabbrividì: «Bene. Vorrà dire che ti aspetterò fuori, qui, sotto il balcone».

Il ragazzo rise ancora più forte e la prese in giro chiamandola “fifona” mentre apriva la porta del negozietto. Di tutta risposta, Kat gli alzò il dito medio da dietro il vetro con l'intenzione di farlo arrabbiare: zitto, scemo. Dal canto suo, Tyla le fece l'occhiolino e sparì dietro una montagna di volumi polverosi. La ragazza ridacchiò fra sé – sì, è proprio scemo – e si appoggiò a lato della vetrina ed iniziò a fissare il cielo; più si sforzava di scorgere una pennellata d'azzurro, più la pioggia aumentava d'intensità. Si voltò leggermente e scorse l'amico che sfogliava esaltato il libro che il vecchio gli aveva procurato; chissà se, il giorno che io pubblicherò un mio romanzo, farà la stessa faccia quando glielo regalerò. Proprio mentre cercava di immaginarsi un Tyla trentenne con indosso la giacca che gli aveva fatto acquistare quel pomeriggio, un tuono le fece drizzare i capelli sulla nuca; stava arrivando un bel temporale e loro non avevano nemmeno un ombrello. Sbuffò, soffiandosi la frangia verso l'alto, mentre le auto si allineavano disciplinate al semaforo rosso: ma quanto ci vuole per comprare un libro? Non fece in tempo a terminare la frase che un fulmine squarciò il cielo sopra il parco e la pioggia si fece scrosciante; cazzo. Nervosa, aprì la porta del negozio: «Tyla, muoviti che piove a catinelle!»

«Sto pagando» cercò di scusarsi lui, ma la ragazza lo assalì:

«Paga più in fretta!».

Tyla snocciolò sul bancone quel poco che gli era rimasto in tasca e si affrettò verso l'uscita; quando varcò la soglia, rimase a bocca aperta: «Cacchio, viene giù secca».

Un altro fulmine, ancora più vicino del precedente, li fece sobbalzare; Kat deglutì rumorosamente e fece un passo verso il ragazzo: «Andiamo a casa, per favore»

«Siamo anche senza ombrello, sbrighiamoci».

I due corsero a perdifiato verso il lato opposto della strada e scesero le scale rischiando di scivolare diverse volte ed investire le persone davanti a loro; proprio nel momento in cui stavano per svoltare l'angolo per imboccare le scale che portavano al binario, un funzionario della TFL bloccò loro il passaggio: «Mi spiace ragazzi, ma al momento non ci sono treni. Ci sono stati dei problemi in altre stazioni dove è saltata la corrente».

Kat guardò l'orologio: le cinque meno un quarto... per le sei devo essere assolutamente a casa, sennò mia mamma mi strozza: «Quindi?»

«Dovrà prendere l'autobus, signorina».

La cosa non la entusiasmava; sul bus tutti avrebbero avuto degli ombrelli e il suo vinile di “British Steel” ne sarebbe uscito alquanto inzaccherato. Tyla le fece segno con il capo: «Torniamo su, il primo autobus che arriva si prende»

«Aspetta un secondo» Kat rovistò nelle proprie tasche e tirò fuori una sterlina «questo è tutto quello che ho».

Il ragazzo si mordicchiò il labbro; non aveva messo in conto che avrebbe avuto bisogno di soldi per una corsa extra. Gli erano rimasti solo cinquanta pence, non erano nemmeno sufficienti per un pacchetto di caramelle. Tyla sospirò e guardò le scale affollate: «Dobbiamo farcela a piedi»

«Stai scherzando!» Kat strinse a sé il disco «Io e “British Steel” non possiamo rientrare a casa zuppi»

«Non fare la bambina, non c'è alternativa».

Kat iniziò a piagnucolare: «Ma non possiamo aspettare qui sotto che rimettano in funzione la metro?».

Tyla alzò gli occhi al cielo; quando la sua amica si intestardiva, era in grado di far scappare la pazienza anche ad un santo: «La cosa si sta facendo lunga e, dato che tu alle sei deve essere a casa, ci conviene muovere il culo e andare a piedi».

Fece per afferrarle il polso ma lei si ritrasse: «No. Io il mio disco nuovo non lo bagno».

Tyla, arrabbiato, fece cadere la propria borsa a terra e le tolse di mano l'album: «Lo avvolgo nella giacca che mi hai fatto comprare, così non si rovina» poi l'afferrò nuovamente per il polso e la trascinò su in strada, dove infuriava il temporale.

Come Kat sentì i primi goccioloni insinuarsi fra i suoi capelli, iniziò a dare sfogo alla propria rabbia: «È tutta colpa tua, cazzo! Tutta colpa tua, Tyla!».

Intanto lui si guardava intorno: «La via più veloce è quella che attraversa Hyde Park»

«Se tu non ti fossi ricordato del tuo libro, a quest'ora potevamo già essere a casa, con un tetto sulla testa e senza il bisogno di comprare un biglietto in più»

«Fidati, non sarebbe cambiato niente» le rispose lui con indifferenza mentre la trainava all'interno del parco.

«E, come se non bastasse, mi fai perfino passare per Hyde Park! In mezzo a tutti questi cazzo di alberi che fanno ancora più umidità».

Tyla le lasciò il polso in malo modo: «Senti, se non vuoi che ti aiuti basta dirlo! Altrimenti vienimi dietro e smetti di lamentarti».

Kat rimase sbalordita dalla sua reazione; non aveva mai visto Tyla arrabbiato. O meglio, lui non si era mai arrabbiato così con lei. Avevano bisticciato innumerevoli volte, ma mai lui l'aveva lasciata sola, dietro le sue spalle. Lo guardava camminare, lentamente, sotto quelle gocciolone fitte che cadevano inesorabilmente dal cielo e si mescolavano ai suoi capelli. Si allontanava da lei, con la chioma che sempre più gli si appiccicava alla testa e lo sguardo rivolto dalla parte opposta del parco; adesso si gira e mi dice: scema, stavo scherzando. Ma Tyla proseguì nel suo cammino, senza voltarsi minimamente. Kat si portò la mano alla bocca, sentendo un forte senso di smarrimento che si faceva largo dentro di lei; le sembrava di essere tornata bambina, quando faceva i capricci con i suoi genitori mentre era ai grandi magazzini Harrods e loro, per ripicca, la lasciavano indietro. Si sentì infinitamente in colpa: ho esagerato. Iniziò di soppiatto a muovere i primi passi verso l'amico, stando attenta a non finire nelle pozzanghere e a non muovere sassolini o ramoscelli; voleva andare silenziosamente verso di lui, mettergli la mano sulla spalla e scusarsi. Camminava con il capo chino sia per il senso di colpa, sia per evitare qualsiasi cosa che potesse fargli capire che lei si stava avvicinando; desiderava che il suo “scusa” fosse una piacevole sorpresa.

Ma sarebbe bastato dirgli “scusa”? Non ci sarebbe voluta qualche parola in più? O magari era meglio uno sguardo profondamente contrito invece che inutili sillabe sparse nel vento? Non fece in tempo a darsi una risposta perchè un forte dolore alla testa la fece retrocedere di qualche passo ed, infine, cadere a terra.

Tyla si voltò di scatto: «Kat, ma cosa fai?»

«Maledizione» la ragazza si premeva la mano sulla fronte «che botta»

«Ma non hai visto che mi ero fermato?». La ragazza scosse il capo continuando a tenerselo fra le mani. Tyla sospirò e si chinò, porgendole la mano: «Dai, vieni su».

Kat si fece alzare senza opporre resistenza; quando ritornò al livello del ragazzo, lo guardò negli occhi castani, avvertendo un senso di pesantezza al centro del petto: «Tyla, io...»

«Cosa?».

La ragazza sospirò, cercando di levarsi quell'incudine dall'animo: «Scusami. Sono stata una stronza. Non dovevo comportarmi così e...».

Non riuscì a terminare la frase perchè Tyla la strinse con dolcezza a sé, inaspettatamente: «Non fa niente, tranquilla».

Kat rimase con il fiato sospeso per qualche secondo, non sapendo che fare di preciso; l'unica cosa che le era chiara, era che non avrebbe potuto rimanere in apnea a lungo, così fece un respiro profondo. Un profumo di uomo misto a tabacco le si insinuò nella mente, facendola rilassare; non aveva mai immaginato che Tyla avesse un odore così gradevole. Le dava un senso di protezione e benessere mai provato prima. Respirò di nuovo a fondo, questa volta premendo il naso ancor di più nei suoi vestiti; il ragazzo si accorse dei suoi deboli movimenti e le accompagnò delicatamente il capo verso il suo collo, facendole percepire un brivido di piacere lungo la schiena. Con gli occhi semi chiusi, Kat si allontanò da lui, per guardarlo nuovamente in viso: «Mi dispiace per come ti ho trattato».

Il ragazzo le sorrise e fece spallucce: «Non importa. Succede» poi la prese per mano «Adesso però andiamo, ci stiamo bagnando mica male».

Kat annuì e lo seguì per la strada principale di Hyde Park, con le dita legate alle sue. Guardò le falangi intrecciate fra di loro, provando una sensazione molto simile a quella che aveva sentito pochi istanti prima mentre lo annusava; non aveva mai pensato che un odore avrebbe potuto farle un effetto del genere. Soprattutto l'odore di Tyla, il suo amico da una vita. Ed il fatto che lui l'avesse presa per mano la scombussolava non poco; più osservava le loro mani, più si sentiva il fiato corto. Fece per sfilare l'indice dalla sua presa, ma, a sorpresa, lui la legò ancor di più a sé. È come se non volesse che me ne vada, o che rimanga indietro. Si stava dimostrando premuroso e dolce; ma non in senso fraterno, come, ai suoi occhi, aveva fatto fino a pochi istanti prima. Era diverso, con lei non era mai stato così. E un po' le faceva paura. Forse era per quel motivo che aveva iniziato a sentire il proprio cuore pompare in modo più frenetico. Devo distrarmi, non devo pensare alle mani... non devo pensare alle mani. Alzò gli occhi dalla loro presa e notò che lui la stava fissando; arrossì violentemente, come se fosse stata colta con le mani nel sacco a rubare il cioccolato dalla dispensa.

«Che colore strano che hai» Tyla voleva capire cosa le stava balenando nel cervello, ma lei non gliene diede l'opportunità.

Alzò gli occhi al cielo, sentendo la pioggia bagnarle gli zigomi: «Si può sapere perchè prima ti sei fermato nel bel mezzo della via?».

Il ragazzo smise di camminare e le lasciò la mano, mettendosi di fronte a lei: «Davvero lo vuoi sapere?»

«Non so; è una cazzata delle tue? Una delle tue riflessioni da poeta romantico?».

Tyla ridacchiò: «Può darsi»; le mise le mani sulle spalle e la fissò negli occhi azzurri: «Ora chiudi le palpebre». Kat non se lo fece ripetere due volte; chiuse gli occhi e si immerse nella dimensione della realtà dell'amico. La voce di Tyla le sfiorava le orecchie in modo dolce: «Senti? La pioggia è musica». Stette per un attimo in silenzio, per farle assaporare quella fragorosa melodia, poi riprese: «Hai mai provato a svegliarti presto la mattina? Circondato dal buio della tua stanza, chiudi gli occhi ancora intorpiditi dal sonno e ascolti questo ritmico picchiettare sul vetro nascosto dalle tende pesanti. Quasi trattieni il respiro per non perdere nemmeno una nota. È una delle musiche più belle al mondo. Come il fuoco che brucia il legno. O il vento che sibila fra le foglie. O il battito del tuo cuore. Quella è vera musica».

La ragazza aprì una palpebra e fissò l'amico; anche lui aveva chiuso gli occhi e aveva il viso rivolto al cielo scuro. Sembrava che stesse facendo la doccia in quella pioggia torrenziale. Per un momento le venne da ridere, sembrava incredibilmente buffo e pazzo; ma già un istante più tardi, aveva realizzato quanto potesse avere ragione. Lui, musicista e poeta, che aveva visto infinite volte seduto davanti ad un fuoco con una chitarra in grembo a tentare di scrivere testi contorti, era in grado di cogliere l'essenza delle cose. Chissà, forse era proprio lo scoppiettare dei tizzoni ardenti a suggerirgli cosa comporre. «Tyla?».

Sentendosi chiamare per nome, il ragazzo ritornò alla realtà. Kat gli studiò il viso: non si poteva dire che fosse bello, anzi, Tyla non faceva certo colpo per il suo aspetto esteriore; il suo corpo non era malvagio, ma era la faccia che non era un granchè armoniosa. Eppure, dietro quegli occhi castani, si nascondeva un mondo particolare ed affascinante e lei aveva appena avuto l'opportunità di sfiorarlo con la punta delle dita. Di nuovo un brivido, di nuovo il cuore che le batteva un po' più veloce. Tyla le fece l'occhiolino: «Sì, hai ragione, ora andiamo»

«Ormai abbiamo i capelli talmente bagnati che possiamo metterci sotto un albero e farci lo shampoo» lei fece due passi in avanti e, subito, lui le riprese la mano.

Camminarono per qualche metro in silenzio, poi lui, dal nulla, si scusò: «Kat, non volevo turbarti».

Lei corrugò le sopracciglia: «Riguardo cosa?»

«I miei discorsi strani. Sai, di solito riesco ad esternare pensieri del genere solo dopo la terza bottiglia di birra. E vengo preso sempre per il culo, mi chiamano Schopenhauer o cose simili».

La ragazza sorrise; per quanto desse l'impressione di essere imbecille e superficiale dall'esterno, il suo amico nascondeva in sé una sensibilità fuori dal comune: «Sai perchè? Non si aspettano che un assiduo frequentatore di pub possa articolare pensieri complicati come quelli».

Tyla cercò di mettere le cose in chiaro: «Ma non è la sbronza che mi fa parlare così»

«Lo so» Kat gli strinse un po' di più la mano «per questo è molto piacevole sentirli. Significa che sono veri».

Continuarono la loro strada verso casa attraverso il parco, chiacchierando di quanto fosse affascinante Londra sotto la pioggia; quella stessa pioggia che aveva reso i loro capelli crespi e appiccicosi e stava lavando loro il viso. Dopo quasi un'ora, Tyla accompagnò l'amica sugli scalini di casa e le porse il suo disco: «Visto? Non ha nemmeno preso una goccia».

Lei annuì e lo poggiò alla porta d'ingresso del condominio: «Grazie»

«E di cosa?».

Già, grazie di cosa? Di tutto e niente. Nemmeno lei lo sapeva. L'unica cosa che realizzava chiaramente in quel momento era una sensazione mai provata prima. Non era in grado di parlare e di articolare pensieri. Solo il fatto che Tyla era lì, davati a lei, a pochi centimetri, la mandava in tilt; lui con il suo profumo, i suoi vestiti estrosi, il suo viso strano e la sua mente fantasticamente contorta. In silenzio fece un passo verso di lui e si alzò in punta di piedi per dargli un timido bacio sulla guancia. Rimasero immobili per qualche secondo, a fissarsi negli occhi, con la pioggia che accarezzava i loro profili.

Tyla rimase spiazzato da quel contatto; sì, Kat l'aveva già baciato sulle guance infinite volte nei dieci anni e più che si conoscevano. Ma mai con quella delicatezza; sembrava quasi che l'avesse sfiorato con dei petali di rosa. Deglutì a fatica e trattenne il fiato. Si sentiva tremare. Era come se avesse la febbre alta: aveva i muscoli rigidi ed il cuore che cercava in tutti i modi di balzargli fuori dal petto; eppure si sentiva bene. Se ne avesse avuto la possibilità, avrebbe fermato il tempo in quell'istante preciso, per continuare a percepire quel groviglio di emozioni così forti. Si avvicinò alla ragazza, mentre la sua mente pensava “Ti prego, stai qui ancora un po'” e le accarezzò lo zigomo.


I'll love ya till you're... gone


Kat arrossì e scostò leggermente il viso: «Salgo. Sono quasi in ritardo»

«Aspetta» Tyla lo sospirò vicino al suo orecchio, prendendole la mano e cominciando a giocare con le sue dita. Poi se le portò alle labbra, sfiorandole tutte, una dopo l'altra. «Domani sera ti va di vederci? Solo io, te e una birra».

Kat annuì in silenzio, avvicinando la propria fronte al viso di lui.

Tyla le sorrise, giocando con il suo naso: «Ho ancora tante cose da raccontarti sulla pioggia». Respirò a fondo il dolce profumo della sua pelle, poi si chinò sulle sue labbra.


How come it never rains


La baciò piano e delicatamente, assaporando ogni secondo, sentendola sempre più vicina al proprio corpo.


It only pours


Lo stava cercando; stava cercando il contatto con lui. L'abbracciò ancor più stretta, rendendo il proprio bacio più sensuale, allacciandola al proprio petto, dove il cuore gli aveva letteralmente preso fuoco.


They fell into each other's eyes, is this the right thing for sure?


Kat fu la prima a riaprire gli occhi; si sentiva scombussolata ma felice. Guardò Tyla; sembrava quasi che splendesse. «Ci conto... a domani allora»

«Ti chiamo io» la salutò lui sottovoce mentre scendeva le scale.


«E poi non ci siamo mai più rivisti soli» Tyla giocherellava con il bicchiere ormai vuoto

«Già» Kat si alzò dal divano, allungando le braccia «sembrava che ci fossero i presupposti per una gran storia d'amore e invece niente!». Rise guardando l'amico che, al contrario, era rimasto serio e concentrato sul suo viso. Oh... c'era qualcosa che non andava; era roba vecchia quella, di quasi vent'anni. Doveva essere stata sepolta nei meandri della sua mente chissà per quanto tempo; roba per cui non si porta rancore. Roba da adolescenti londinesi alla scoperta del mondo e della vita. E invece, Tyla non ci trovava nulla da ridere. «Qualcosa non va?».

L'uomo ebbe un sussulto, come se fosse improvvisamente caduto dalle nuvole: «Che?»

«Ma mi stai ascoltando?».

Lui non le rispose e le parlò sopra: «Comunque sia, quanto pensi di fermarti?»

«Beh» Kat si portò un dito alle labbra «una settimana è ok per te? Anche perchè poi ho in programma dieci giorni alle Baleari con un'amica»

«Ibiza?» Tyla scosse il capo «Vacanza da single a tutti gli effetti»

«No, scemo» Kat gli tirò un'altra cuscinata «Formentera. Non ho più vent'anni».

L'uomo ridacchiò alzandosi in piedi e sistemando il cuscino: «Allora per questa settimana ti porto a fare il giro di Stoccolma. Vedrai, è una città molto interessante».


* * *


Kat continuava a rigirarsi nel letto della stanza degli ospiti, fissando ad intervalli intermittenti il soffitto su cui danzavano ombre allungate. Era a letto da circa un paio d'ore e, ancora, non era riuscita a prendere sonno; nel silenzio e nell'immobilità della stanza, l'unica cosa che scandiva l'avanzare del tempo era il suo Medici's. Cercò di capire che ore erano, ma non c'era luce sufficiente per individuare le lancette sul quadrante; sbuffò: l'unico orologio del negozio senza inserti fluorescenti. Si sentiva stranamente inquieta; a dire la verità, è da dopo che abbiamo ripescato quel ricordo che mi sento così. I quattro giorni passati insieme a quel vecchio amico erano stati divertentissimi; avevano visto posti strani, mangiato insieme carni di renna e riso dall'inizio alla fine della giornata. Stava andando tutto fin troppo bene; ed era strano. Quando si ritrovava sola nella sua stanza degli ospiti, non faceva altro che pensare a quello che si erano detti durante il giorno, a sorridere ripensando alle situazioni strane che erano capitate nelle ventiquattr'ore precedenti e, puntualmente, sentiva al centro del petto uno strano vortice. Una sensazione mai provata prima, piacevolissima, ma senza nome. E questo la spaventava. Erano quattro giorni che quella spirale le pesava sullo sterno, specialmente quando ripensava a Tyla, al suo viso, al suo dito su cui portava ancora il suo anello e a quello che diceva e raccontava. Non è possibile. Era sicurissima di aver sepolto quella “mancanza” nelle profondità più nascoste della sua mente già dal giorno dopo che lui non si era presentato. Quello che avevano fatto insieme, quel fottuto bacio, era stato un errore madornale; come era potuta succedere una cosa del genere fra due amici che si conoscevano da quasi dieci anni? Quel giorno lei ci aveva scherzato su, aveva riso pensando che avrebbe veramente potuto essere una gran storia d'amore; ma non era forse ciò che, in fondo, aveva sempre desiderato? Anche se negli anni aveva frequentato altri ragazzi e si era addirittura sposata, Tyla aveva sempre avuto un ruolo importante per lei; quell'uomo era l'unica persona della vecchia compagnia di Kensington con cui era rimasta in contatto. Ovunque lui si trovasse, le aveva sempre scritto lettere o cartoline. E mai lei non gli aveva risposto. C'era sempre stato affetto fra di loro. Affetto? E se così non fosse? Se inconsciamente fosse qualcosa di più importante? Kat si mise a sedere sul letto, bevendo d'un fiato tutto il bicchiere d'acqua che era solita tenere sul comodino. Tutto quel pensare le stava provocando un gran mal di testa. Per un istante guardò fuori dalla finestra qualche luce lontana, poi si alzò e, senza pensare, si diresse verso la camera da letto dell'amico; doveva parlargli assolutamente. Probabilmente l'avrebbe presa per pazza, ma non le importava; in fondo, Tyla, per primo, era un po' fuori dagli schemi. Con il fiato quasi sospeso, Kat avanzò con cautela nella penombra del corridoio, appoggiandosi con la mano destra al muro; dopo poco sentì il freddo legno dello stipite della porta della camera da letto di Tyla. Guardò per un attimo davanti a sé con il respiro quasi sospeso, poi bussò; non mi sente. Picchiò di nuovo le nocche sul legno, un po' più vigorosamente, ma non ci fu ancora risposta. Iniziò ad innervosirsi: non può essersi addormentato come un sasso! Appoggiò il palmo alla maniglia in ottone e provò ad abbassarla; la porta era aperta e scivolò silenziosamente sui cardini sotto la spinta gentile della donna. Kat fece capolino e, sorpresa, trovo il letto perfettamente ordinato; si grattò il capo pensierosa: vuoi dire che è ancora in salotto? Chissà che cavolo starà combinando. Ritornò in corridoio e tese l'orecchio verso le scale; l'aria era quasi immobile, le uniche vibrazioni che l'attraversavano erano lo scoppiettare dei tizzoni ardenti del camino ed un leggerissimo arpeggio. In punta di piedi scese, cercando di limitare al minimo i rumori che poteva produrre, perfino il leggero strisciare del pigiama. Tyla era seduto sul divano di spalle a lei, con la chitarra in grembo, che canticchiava una canzone sottovoce; si concentrò per cercare di capire di che brano si trattava, ma l'amico cantava così piano che distingueva a stento le parole. Di soppiatto fece qualche passo in avanti e si mise esattamente dietro di lui; chiuse gli occhi ed ascoltò la sua voce. Profonda, roca, maschile. Le dava i brividi. Per un secondo trattenne il fiato e lo ascoltò cantare: «You're between the sheets, lyin' in the shit I used to be, when I was you and you were me, oh, does he say the things I said, when he's lyin' on your bed». Ecco, stava per arrivare la parte che preferiva, quella che tutte le volte le faceva provare un piccolissimo tuffo al cuore: «I never will. Your love brings me down like a heroine, Who don't love the hero in the end, in the end of the film». Respirò appieno quella canzone dei Dogs D'Amour che tanto le piaceva ed iniziò a seguire la voce di Tyla. Come l'uomo si accorse che qualcuno stava canticchiando dietro le sue spalle, bloccò le corde con la mano aperta e si girò con la peggior espressione che poteva sfoggiare; odiava a morte essere interrotto durante i suoi momenti di solitudine e creatività.

Tyla la scrutò, parecchio irritato: «Pensavo stessi dormendo».

Kat, nervosa, si mordicchiò il labbro: «Ti stavo cercando...»

«Quanto tempo è che sei lì, dietro le mie spalle?»

«Un paio di minuti» annaspò lei «forse anche un po' meno».

Tyla scosse la testa e mise da parte la chitarra: «Dai, vieni qui». Kat abbassò lo sguardo, iniziando a sentire un crescente senso di disagio gravarle sul diaframma. Era ora di parlare e non sapeva davvero da dove iniziare.

L'uomo la studiò: qualcosa in lei si era bloccato, Kat non aveva quell'espressione quando se n'è andata a dormire due ore fa. La guardò mentre si sedeva e cercava di nascondergli i suoi occhi chiari; cosa vuole che io non capisca?

Kat voltò il viso verso il fuoco, accorgendosi che quella questione che voleva mettere in chiaro era fin troppo delicata. In quel caso, era molto meglio lasciare cadere il tutto e fuggire; sia fisicamente che metaforicamente: «Domani mattina parto».

«Come, parti?» Tyla sgranò gli occhi, cercando di attirare la sua attenzione, ma Kat tenne lo sguardo fisso sulle fiamme, come se fosse ipnotizzata.

«Ho un impegno di lavoro imprevisto. Mi tocca rientrare a Londra».

L'uomo si sentì come se fosse stato investito da un tir; ma che cazzo, proprio ora che mi stavo divertendo tanto con lei, dopo tutto il tempo che abbiamo passato a scriverci ed era arrivata l'occasione giusta per rivederci...Si bloccò. Forse era proprio quello il motivo. Kat aveva paura o si sentiva a disagio di fianco a lui. Perchè? Dannazione, non capisco. Sentendosi la bocca amara per le parole appena sentite, Tyla respirò a fondo e poi le disse lapidario: «Non hai impegni imprevisti».

Kat si irrigidì: no, non può aver capito che sto mentendo. Si girò lentamente, con la voce finita chissà dove per il disagio, pronta a trovarsi di fronte ad un Tyla livido di rabbia; ma non appena incrociò i suoi occhi, il cuore le si spaccò a metà. Non erano rossi ed iniettati di sangue, al contrario parevano quasi lucidi e parecchio tristi.

«Tu non hai impegni imprevisti» ripetè lui, più debolmente. Abbassò lo sguardo sulle proprie mani, guardando per l'ennesima volta la fedina che lei gli aveva donato, e sentì il proprio animo sbriciolarsi: «Vuoi solo andare via».

Kat si sentì soffocare; anche se era passato un sacco di tempo dall'ultima volta che si erano visti e sebbene gli unici contatti che avevano avuto nei vent'anni passati erano stati cartacei, Tyla riusciva ancora a leggerla come un libro aperto. Iniziò a respirare più faticosamente, percependo un nodo che cresceva sempre di più nella sua gola; voleva dirgli un sacco di cose, ma non era in grado di farlo, i suoi pensieri si stavano decomponendo alla velocità della luce.

Fu l'amico a parlare per lei: «C'è qualcosa che ti fa star male. E credo di aver capito anche cosa». Fece per avvicinarsi all'amica, ma lei, di riflesso, scivolò qualche centimetro più in là; sulla bocca di Tyla spuntò un sorriso amaro: «Tu ce l'hai ancora con me»

«Ma che stai dicendo?» Kat sentiva che il nodo stava diventando sempre più insopportabile.

L'uomo si accese una sigaretta: «Sei ancora arrabbiata con me perchè quel “domani” fra noi non c'è mai stato. E dire che ci hai anche riso sopra».

Centro. Era così. O, almeno, inconsciamente; lei pensava di esserci tranquillamente passata sopra, invece era ancora arrabbiata con lui. Senza che lo volesse, una lacrima le rotolò silenziosa per la guancia: «Avevi parlato al telefono con mia madre la domenica mezzogiorno; io ero fuori casa. E lei mi aveva detto che tu non stavi bene. Mi sono sentita così male, così...» deglutì a fatica «così rifiutata che ho pianto sola per un'ora. Poi mi sono detta: “Beh, dopotutto non è nulla. È stato solo un incidente”. E la settimana dopo stavo già con Edgar e cercavo di comportarmi con te come se nulla fosse».

Edgar... Tyla digrignò i denti; se lo ricordava ancora nitidamente, come se l'avesse visto cinque minuti prima: quel pugile figlio di puttana con delle braccia grosse come me che me l'aveva portata via. Se fosse stato per lui, l'avrebbe massacrato di botte per insegnargli il concetto di “proprietà”, ma non l'aveva mai fatto, era cosciente del fatto che avrebbe fatto una bruttissima fine. Quell'energumeno l'avrebbe steso con un sinistro e sbriciolato come un cracker senza problemi. L'uomo si accese una sigaretta, sentendo il sangue ribollire: «Io la febbre l'avevo sul serio»

«No» sospirò lei di rimando.

La rabbia repressa di Tyla si riversò verso di lei come un pentolone di olio bollente: «Invece sì, vacca troia, sì! Avevo la bronchite, cazzo!».

Kat lo fissò con la bocca aperta e nuove lacrime che le rigavano il viso.

Tyla si rese conto di aver alzato troppo la voce; posò la sigaretta nel portacenere e le accarezzò il viso, bagnandosi i polpastrelli con la sua sofferenza: «Te lo giuro, avevo la bronchite. È perfino dovuto uscire il medico per darmi gli antibiotici».

Kat si sentì infinitamente colpevole: «Pensavo che non volessi più vedermi» cominciò a singhiozzare «ti ho dato del codardo infinite volte».

Tyla premette ancor di più il suo palmo sulla guancia di lei: «No, Katherine. Ero solo molto malato. E il fatto di averti vista poi fra le braccia di altri ragazzi, mi ha veramente dilaniato».

Sempre più spaesata, lei si appoggiò alla sua mano; era calda. Calda come il fuoco che aveva fissato fino a pochi istanti prima. Era calda come quando l'aveva stretta quel pomeriggio sotto la pioggia. Già, la pioggia... diede un'occhiata fugace fuori dalla finestra; pioveva. Un debole sorriso le comparve sul volto; sembrava davvero che lei, Tyla e la pioggia fossero legati inesorabilmente da un filo rosso: «Era stata la camminata fino a casa mia a ridurti così?»

«Quella e non solo» Tyla sorrise. Guardò Kat negli occhi e si rese conto che il cuore gli stava battendo forte tanto quanto quel sabato di ottobre; gli faceva ancora quell'effetto. Si sentiva infantile e, allo stesso tempo, adulto. Con le dita le sfiorò il profilo e poi incrociò le sue dita con quelle della donna, avvicinandola al proprio corpo: «La vera stangata l'ho presa dopo che tu sei salita in casa».

Kat si appoggiò al suo petto, mentre Tyla si stendeva sul divano tenendola legata a sé; era ancora più caldo delle sue mani, più piacevole di qualsiasi altra cosa al mondo. Tremando, chiuse gli occhi e si concentrò sulla sua voce: «Cos'hai fatto?». Lo sentì espirare dolcemente, con il cuore che premeva per uscirgli dalla cassa toracica; Kat fece pressione con le proprie dita sul suo corpo: così dolce, così vulnerabile, così... umano. Tyla...

«Mi sono messo sul marciapiede di fronte e mi sono acceso una sigaretta. Ho osservato la tua ombra, dietro quelle tende leggere e bianche, muoversi per asciugarsi i capelli e mettersi dei vestiti asciutti. Poi tu sei andata a mangiare. Ho atteso per una buona mezz'ora sotto quella pioggia battente per rivedere il tuo profilo, ma tu ti eri soffermata con i tuoi in sala da pranzo. Così me ne sono tornato a casa, infreddolito ed indolenzito. Il giorno dopo avevo quaranta di febbre; bloccato a letto con mia madre che mi dava del coglione per essere uscito senza ombrello». Ridacchiò. Era veramente assurdo quello che aveva appena raccontato, eppure era la sincera verità. E Kat se n'era accorta. Staccò il capo dal suo petto per guardarlo negli occhi; lui le sorrise e le accarezzò i capelli: «Mi è davvero dispiaciuto tanto non aver mai trascorso quel “domani” con te. Ho cercato di metterci una pietra sopra innumerevoli volte, ma senza successo. Quando ho girato l'America con i Dogs D'Amour sono andato a letto con un sacco di donne; ho perfino provato a sposarmi. Pensavo che Bess avesse una marcia in più» e mentre diceva queste parole, strinse Kat ancor più forte a sé «ma quella puntava solo al mio portafoglio».

Kat fece forza sui propri gomiti e si avvicinò alla guancia ispida dell'uomo, per sfiorarla dolcemente con le proprie labbra. E proprio in quell'istante, anche lei si rese conto che, nonostante ci fossero stati altri ragazzi e un marito nella sua vita, Tyla era davvero speciale. Il fatto che avessero continuato a rimanere in contatto per tutto quel tempo, non era altro che un segno che lei, in fondo, provava qualcosa di veramente unico nei suoi confronti. Un amore stranissimo. Si appoggiò alla sua fronte, proprio come aveva fatto quel pomeriggio di ottobre, respirando appieno il suo profumo; non era cambiato quasi per nulla, forse era solo diventato più virile.

Tyla le baciò la punta del naso: «Non è passato un giorno che io non pensassi a te. So che questi possono sembrare i miei soliti deliri da alcolizzato romantico, ma ti giuro sulla mia testa che è così. Sai, il giorno del tuo matrimonio non c'ero, perchè non volevo vederti legata insolubilmente a quel» lo disse sprezzante «COSO di Jack. Volevo esserci io al suo posto. Così ho preferito stare a casa a sfondarmi di whisky e gin. Ci immaginavo insieme, nelle situazioni più disparate»; con il cuore al limite dell'esplosione le sfiorò le labbra: «Ogni canzone dei Dogs è dedicata a te».

Kat, che aveva appena smesso di piangere, gli sorrise con gli occhi che le luccicavano: «Anche “How Come It Never Rains”?».

Tyla non le rispose subito. La avvicinò lentamente al proprio viso e la baciò, con una passione che lui stentava a credere gli appartenesse; alla fine le disse: «Quella è stata la prima che ho scritto per te. Pensavo a noi, alla pioggia che ci cadeva sui capelli e al fatto che...».

«Shh» Kat gli chiuse la bocca con l'indice «è la mia preferita».

Tyla toccò il cielo con un dito. Strinse Kat per la vita e la fece rotolare sotto di sé per baciarla ancora con passione. E ancora. E ancora. Infinite volte. La baciò per tutta la notte.

   
 
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