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Autore: Glirnardir    12/06/2013    0 recensioni
Fíli e Kíli si fanno un amico inaspettato durante la loro permanenza in casa di Elrond. Nel frattempo, anche Erestor si ritrova in una situazione inaspettata.
Lavoro in corso.
Questa storia non è mia. Io l'ho semplicemente tradotta per farvi conoscere la meravigliosa autrice Soledad. Per chi fosse interessato alla versione originale, la trovate qui:
http://www.fanfiction.net/s/9213899/1/Unexpected
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Fili, Kili
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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N.d.T.: Questa storia non è mia. Io l'ho semplicemente tradotta per farvi conoscere la meravigliosa autrice Soledad. Per chi fosse interessato alla versione originale, la trovate qui: http://www.fanfiction.net/s/9213899/1/Unexpected

N.d.A.: In origine questa storia avrebbe dovuto costituire tre capitoli collegati di 'Innocence', la mia interminabile storia sulla vita di Lindir (N.d.T. che potete trovare in inglese su FanFiction.net e su Stories of Arda). Anni fa quella storia è finita in un blocco spaventoso, ma questa parte era già scritta. Visto che non ho idea di quando riuscirò a proseguire abbastanza con la trama principale per inserire questa parte (se mai ci riuscirò) e visto che questa si può considerare una fic su "Lo Hobbit", ho deciso di rimaneggiarla e pubblicarla come storia indipendente.
Non è necessario aver letto "Innocence", ma renderebbe molto più facile la comprensione del background di alcuni personaggi qui rappresentati. Questa è una storia ambientata nell'universo letterario, basata sulle mie idee personali, come il fatto che Lindir è un trovatello cresciuto da Radagast il Bruno, e che al momento in cui si svolge questa storia è sposato con Erestor da diversi secoli.
Questi sono gli stessi eventi descritti ne "Lo Hobbit": Bilbo, Gandalf e i Nani visitano Imladris sulla via per Erebor. L'idea che Lindir sia quello che li accoglie al ponte (insieme al ragazzino Estel) è mia soltanto. Nessuno dei singoli Elfi di Imladris viene mai discusso ne "Lo Hobbit", per cui mi sono presa una certa licenza poetica in tal senso. Naturalmente l'allegra canzoncina e alcune battute dei dialoghi sono tratte direttamente dal libro.

Parte 1: L'arrivo

Imladris, quindicesimo giorno di lairë dell’anno 2941 della Terza Era(1)

     Il mattino era sorto da poco quando Erestor si destò - ed era uno splendido mattino, come poté constatare grazie ai tiepidi raggi dorati di Anor che, passando dalle finestre aperte del balcone, gli cadevano direttamente sul viso. E anche se sapeva bene qualcosa che pochi altri sapevano - ossia come venisse garantito il clima mite della Valle - ancora non riusciva a capacitarsene.
     Col passare dei secoli, Elrond diventava sempre più forte e più abile nel servirsi della magia terrestre (ereditata dalla sua remota antenata, Melian la Maia in persona) e dell’Anello d’Aria, e riusciva con grande accortezza a dominare il tempo atmosferico quasi senza eccezioni. E da quando Arwen Undómiel aveva raggiunto la maturità, crescendo sino a diventare l’immagine vivente di Lúthien non solo nella bellezza ma anche nel potere, il tempo era mite e costante - ragionevolmente freddo nelle stagioni dello scolorimento e dell’inverno, non eccessivamente torrido durante l’estate, e meraviglioso nel pieno della primavera e dell’autunno. Persino fra i reami degli Elfi, Imladris aveva qualcosa di unico… che agli occhi di Erestor, nato e cresciuto nelle città di pietra, la faceva apparire assai più bella dei boschi sognanti di Lothlórien.
     Sbadigliò, si stiracchiò nel suo solito modo sommesso e si alzò dal letto, avvolgendosi in una semplice vestaglia di lana per proteggersi dal leggero freddo di quella bella mattinata. Lindir era uscito ormai da tempo, naturalmente; era partito un’ora prima, forse anche di più, per salutare l’alba come soleva fare sin dai primissimi anni d’infanzia. Ma Erestor udiva le note lievi e dolci del suo flauto provenire dalle camere adiacenti, quelle che Lindir occupava prima delle loro nozze.
     Il giovane menestrello conservava ancora la stanza ampia e arieggiata che in passato, ai tempi della sua adolescenza, gli serviva contemporaneamente da studio e camera da letto - per esercitarsi nella musica e per le rare occasioni in cui gli aveva di stare solo con se stesso, persino senza il suo adorato sposo. Dopo tutti quegli anni trascorsi a Imladris (compresi undici secoli di felice matrimonio), era ancora una creatura timida e infantile, e conservare quest’ultimo rifugio gli dava un senso di sicurezza.
     Scegliendo il cammino più breve, Erestor uscì sul balcone che collegava le loro stanze e si diresse verso lo studio del suo sposo. Trovò Lindir al centro della camera illuminata dal sole, seduto a gambe incrociate su di un cuscino piatto, gli occhi chiusi, le lunghe dita che danzavano vigorosamente sull’esile flauto d’argento.
     Per l’ennesima volta Erestor non poté fare a meno di ammirare quello strumento sublime, forgiato nel Reame Benedetto - nientemeno che nella fucina di Sire Aulë - e donato a Lindir dallo stregone Aiwendil. In tutta la Terra di Mezzo esisteva un solo flauto uguale a quello, e apparteneva a Thranduil, Re degli Elfi di Eryn Galen, chiamato Bosco Atro in quei giorni cupi. Thingol in persona aveva riportato con sé quel flauto dal suo primo e unico soggiorno in Aman, e ne aveva fatto dono al pronipote Thranduil, notando il talento musicale di questi - questo perlomeno era quanto diceva Legolas, figlio del Re, e perché avrebbe dovuto mentire?
     Nei suoi anni d’infanzia, trascorsi in custodia di Aiwendil, Lindir soleva di tanto in tanto visitare il Boscoverde, e a volte Thranduil suonava con lui, insegnandogli le melodie più selvagge ed esotiche degli Elfi Silvani e degli Avari - e in quel momento Lindir stava suonando proprio uno di quei canti boschivi, al contempo selvatico, dolce e struggente.
     Erestor scosse il capo con un sorriso. Nonostante tutto il sangue Vanyarin e Telerin che scorreva nelle sue vene, nel profondo del cuore Lindir restava sempre un Elfo Silvano, più a suo agio con gli uccelli e le bestie che non fra altri Elfi (per non parlare dei mortali), e di tanto in tanto parlava persino con gli alberi. Beninteso, che cosa ci si poteva aspettare da qualcuno che avesse trascorso i propri anni d’infanzia con Aiwendil, Iarwain e la Figlia del Fiume? Eppure non avrebbe voluto che Lindir fosse diverso.
     Rimase per qualche tempo sul balcone, ammirando la squisita bellezza del suo giovane sposo dalla finestra aperta. Nella pallida luce dorata del sole del mattino Lindir pareva ancor più delicato del solito - fragile, dolce e assai vulnerabile, e il cuore di Erestor era talmente colmo di amore da fargli temere che fosse sul punto di scoppiare.
     Dopo tanti secoli, continuava a non capire come quel giovane bello e dotato (e per giunta di nobili natali) potesse aver deciso di condividere la propria vita e la propria anima con lui. I signori e le dame elfiche appartenenti ai Casati più principeschi o addirittura gli stessi Maiar si sarebbero persi davanti alla sua bellezza, qualora egli avesse deciso di veleggiare verso Occidente. Eppure aveva deciso di restare nella Terra di Mezzo, e aveva scelto Erestor, un orfano di umili origini e di mediocre saggezza, ormai nemmeno un guerriero.
     Erestor non riusciva ancora a capire quello che Lindir vedeva in lui, ma aveva smesso di chiederglielo. Accettava con gratitudine la sua buona sorte, e si impegnava al massimo delle sue capacità per rendere felice il suo sposo.
     Evidentemente Lindir aveva percepito la sua presenza - come sempre - poiché terminò di suonare, mise in disparte il flauto e si alzò aggraziatamente per dargli il benvenuto.
     “Buon giorno, melme,” sorrise, posando un casto bacio sulla bocca di Erestor. “Hai dormito bene? Anche ieri notte non facevi altro che rigirarti.”
     “Ho avuto dei sogni strani,” ammise Erestor, massaggiandosi le tempie con aria distratta, “ma c’era da aspettarselo. Questa notte avremo una Luna crescente.”
     Infatti, sin da quando era stato percosso da quei lupi mannari nell’Ultima Battaglia sulla Dagorlad, continuava ad avere incubi, o perlomeno sogni molto strani, ogni volta che Ithil entrava in quella particolare fase. E in occasione degli anniversari di quella battaglia era anche peggio.
     “Ti sei alzato presto, di nuovo,” soggiunse, cambiando argomento, visto che era assolutamente impossibile fare qualcosa contro i sogni. “Hai per caso dato un’occhiata al programma di oggi?”
     Lindir annuì. “Mithrandir dovrebbe arrivare al tramonto, o così dicono gli uccelli. Sono venuti all’alba per annunciare il suo arrivo. A parte ciò, nulla di eccezionale per oggi.”
     “Mithrandir?” ripeté Erestor, stupefatto. “Non lo si vede più dall’ultimo incontro del Bianco Consiglio! Mi chiedo quali terribili notizie lo accompagnino questa volta.”
     Infatti il Grigio Pellegrino era davvero un visitatore raro, e si presentava soltanto in occasioni di grande pericolo o di atroce bisogno, a meno che non fosse convocata a Imladris una riunione del Consiglio.
     “Non lo so,” replicò Lindir, “ma gli uccelli dicono che abbia con sé un’intera compagnia di Naugrim(2). Mi domando perché mai voglia portare quelle ridicole creature a Imladris!”
     “Lindir,” l’ammonì severamente Erestor, “comportati bene! I Nani sono gente orgogliosa e lesta all’ira, per cui stai bene attento con loro.”
     “Orgogliosi di avere delle barbe più lunghe di se stessi?” rise Lindir, con lacrime di ilarità agli occhi. “Speriamo che non s’impiglino fra tutti quei rovi e non inciampino sulle loro asce mentre scendono incespicando lungo il sentiero roccioso che conduce alla nostra Valle.”
     Erestor scosse la testa, esasperato. Essendo un Elfo dell’Eregion, nutriva un grande rispetto nei confronti dei Nani e della loro arte, assai maggiore di quanto fosse solito per gli Elfi, e sapeva fin troppo bene quanto fosse facile scatenare le loro ire. Non voleva che Lindir si facesse del male a causa un commento spiritoso che venisse frainteso.
     “Ti consiglia di non dire certe cose quando li accoglierò, o altrimenti potresti finire nei guai come al solito,” disse. “Si sa quanti di loro accompagnino Mithrandir?”
     “Tredici Naugrim,” replicò Lindir, “e un’ancor più piccola creatura chiamata hobbit. Non si tratta forse della piccola gente, i Periannath, il cui territorio si stende al di là della Vecchia Foresta e del Fiume Baranduin? Non ne ho mai visto uno con i miei occhi.”
     “Nemmeno io,” disse Erestor, “ma i Raminghi che sorvegliano i loro confini narrano molte storie assai divertenti sul loro conto. A quanto pare hanno un appetito vigoroso, pari a quello di due Uomini adulti.”
     “In tal caso dovremmo avvertire i cuochi di preparare una cena mastodontica per stasera,” rise Lindir. “Sfamare tredici Naugrim e un Perian non sarà certo una facile impresa.”
     “Per niente,” riconobbe Erestor, “ma proprio non riesco a capire che cosa spinga uno Hobbit a compiere un simile viaggio. Di solito abbandonano il loro piccolo paese soltanto in caso di grave necessità. A meno che…”
     “A meno che…?” incalzò Lindir, con gli occhi che sfavillavano dalla curiosità.
     “A meno che Mithrandir vi abbia qualcosa a che fare,” disse Erestor. “Pare che ogni tanto riesca a convincere alcuni di loro a partire per l’avventura; per la maggior parte i giovani membri di uno dei loro maggiori clan, la cosiddetta famiglia Tuc. Ma perché abbia voluto farlo è al di là della mia comprensione.”
     “Potremmo domandarglielo,” propose Lindir, ottenendo in tutta risposta un gemito di Erestor.
     “Lindir! Almeno in certe cose dovresti dar retta a tuo zio. Cita spesso un proverbio verissimo, e che tu dovresti seguire: ‘Non t’impicciare degli affari degli stregoni, perché sono astuti e suscettibili.’”
     “Gildor non è mio zio.” Come sempre, Lindir trovò necessario sottolineare questo punto con enfasi particolare. “E io m’impiccio degli affari degli stregoni da… dalla mia nascita, quasi. So relazionarmi di loro.”
     “Tu sai relazionarti con Aiwendil,” lo corresse Erestor, “perché sei praticamente suo figlio. Mithrandir è tutto un altro paio di maniche.”
     “Sarà, sarà. Comunque mi vuole bene,” osservò Lindir con un’adorabile sicurezza di sé, al che Erestor scoppiò a ridere.
     “Tutti ti vogliono bene, amore, ma ciò non significa che tu non possa finire nei guai. Ora perché non ti eserciti un altro po’, in attesa che io mi lavi e mi vesta? Poi potremo fare un salto in cucina, mettere qualcosa sotto i denti e parlare con Madama Lalwen e la sua gente riguardo agli ospiti.”
     Lindir fu d’accordo con la proposta, e mezz’ora più tardi i due si dirigevano verso la grande cucina con arcata dell’Ultima Casa Accogliente. Madama Lalwen, la panettiera, e Mastro Ormain, il capocuoco, presero piuttosto alla leggera la notizia che avrebbero dovuto sfamare quattordici persone in più rispetto al normale. Nel corso di due Ere si erano abituati alle visite più imprevedibili.
 
 
     Erestor si recò quindi a preparare gli alloggi in una delle case degli ospiti - dal momento che i Nani erano accompagnati da Mithrandir, decise di sistemarli nell’ala degli ospiti della Grande Casa. Lindir lo salutò subito dopo, e si recò a svolgere i propri compiti. Mezza Estate si avvicinava rapidamente, e il giovane menestrello aveva la responsabilità di organizzare i preparativi.
     Alcuni degli Elfi più giovani - fra cui Elladan ed Elrohir, rientrati quel mattino stesso dalle zone selvagge - volevano dare un allegro banchetto presso il cancello occidentale della Valle, con grandi quantità di vino fatato e altri canti sotto le stelle in una piccola radura, ben nascosta sotto i faggi e le querce. Elladan promise a Erestor che avrebbe accolto gli ospiti con i dovuti onori, e così il siniscalco, seppur con una certa riluttanza, acconsentì di affidargli questo delicato compito.
     E così lanterne, vino e piatti di torta di semi appena sfornata furono portati al luogo dei festeggiamenti, Elrohir portò la sua arpa e Lindir portò il suo flauto, e altri Elfi portarono ingegnosi telai di legno ai quali erano appese campanelle d’argento delle dimensioni più disparate in tre, sei o dodici file. Suonare i telai di campane era considerato assai difficile, ma quando parecchi abili esecutori univano i loro sforzi, la musica ricordava una conversazione fra uccelli nascosti su di una cascata - era semplicemente incantevole.
     Elrond fu sollevato di vedere che i suoi figli avevano a cuore altre cose che non fossero la caccia agli Orchi, per cui non ebbe obiezioni. Elladan sapeva trattare bene con gli sconosciuti (in effetti, spesso meglio che con la sua stessa gente), e perciò il Padrone di Imladris era ragionevolmente certo che l’etichetta sarebbe stata rispettata. Inoltre pareva che Mithrandir avesse sempre avuto un particolare affetto per Elladan, e spesso trascorreva lunghe ore in sua compagnia, discutendo il destino e la storia degli Edain. Elrohir, d’altra parte, preferiva i visitatori elfici, e fra tutti gli Istari si sentiva più vicino ad Aiwendil.
     Pur essendo gemelli, i suoi figli erano davvero diversi, tanto nella natura che negli interessi. Se il destino della loro madre non avesse forgiato tra loro un irripetibile legame di vendetta, le loro vite si sarebbero separate centinaia di anni addietro - ed Elrond avrebbe preferito questo alla indefessa crociata che aveva divorato le loro vite negli ultimi quattrocento anni. Non era quella infatti la vita di un Elfo, e rassomigliava in modo inquietante all’ossessione dei Fëanoriani. Finora le uniche vittime dell’ossessione dei suoi figli erano stati gli Orchi, che non meritavano alcuna pietà, ma un giorno avrebbero potuto nuocere anche a qualcun altro.
     Si poteva dire che ciò fosse già accaduto, pensò mestamente Elrond. Certo, i Capi dei Dúnedain avrebbero affrontato gli Orchi anche senza i gemelli, come avevano sempre fatto. Tuttavia era innegabile che la presenza degli immortali guerrieri elfici li rendeva più temerari, e che sia Arador sia Arathorn fossero stati uccisi mentre si trovavano insieme ai suoi figli.
     Non che i Dúnedain li avessero mai accusati di mettere a repentaglio la vita dei loro Capi. Erano abituati a lutti e asperità. Ciò nonostante, Elrond non poteva che provare pietà per Dama Gilraen, sposatasi - e rimasta vedova - in età così giovane, perfino secondo i canoni dei mortali, e la cui vita era ormai terminata, per quanti anni le rimanessero ancora da vivere. Era la vedova del Capo, e la tradizione non le consentiva di risposarsi, anche qualora avesse voluto.
     Elrond sospirò e uscì sul balcone, affacciandosi sul sentiero che i giovani Elfi stavano percorrendo in direzione ovest. Riconobbe subito Elladan ed Elrohir, e anche Lindir, inconfondibile con i suoi pallidi capelli dorati e il piccolo Estel a cavalcioni sulle sue spalle. Il bambino era davvero fortunato ad avere un amico in Lindir - erano abissalmente diversi nell’età come nella statura, ma erano pur sempre due spiriti affini.
     Un giorno - presto, secondo i calcoli degli Elfi - Estel avrebbe superato Lindir, forse non nella saggezza, ma sicuramente nella maturità. Un giorno, quel piccolo bambino avrebbe appreso ciò che Lindir non aveva e non avrebbe mai voluto apprendere: brandire un’arma e spezzare una vita. Elrond avrebbe preferito che nemmeno Estel dovesse mai impararlo. Ma sapeva che era inevitabile. Per proteggere l’innocenza dell’uno, era sempre necessario che l’altro rinunciasse alla propria.
 
 
     Lindir e i figli di Elrond si stavano davvero divertendo, dividendo generosamente il vino fatato con gli amici e offrendo al piccolo Estel tutte le torte di semi che desiderava.
     “Se continua a questo ritmo si sentirà male prima di cena,” osservò Elrohir con una risata.
     “Ecco perché oggi resterà senza cena,” replicò allegramente Lindir. “Ditemi, voi due, sapete qualcosa degli ospiti che stiamo aspettando? Eccetto Mithrandir, intendo dire.”
     “Abbiamo conosciuto soltanto due di loro, anni fa, andando a caccia di Orchi sui Monti Azzurri,” rispose Elrohir. “Balin e suo fratello Dwalin. Siamo però passatti accanto alla compagnia allo spuntar del giorno, e ascoltandoli lagnarsi e brontolare abbiamo appreso i nomi di alcuni di loro, e soprattutto quello del loro capo, un certo Thorin Scudodiquercia. Non sembravano troppo contenti, ma credo che Mithrandir li tenga bene sotto controllo.”
     “Pare che lo Hobbit si chiami signor Baggins,” soggiunse Elladan con un sorriso, “e trovo che sia un nome appropriato, poiché pare proprio una borsa - una borsa ormai piccola e miseramente vuota, potrei aggiungere.”
     “A che ora dovrebbero arrivare?” domandò uno degli altri Elfi.
     Elrohir levò lo sguardo verso Anor, che stava ora calando rapidamente verso Occidente. “Dovrebbero essere qui da un momento all’altro… a meno che Mithrandir non si sia perso. Nel qual caso dovremo uscire di nuovo a cavallo e andarli a cercare.”
     “Mithrandir non si perde tanto facilmente,” disse Elladan. “Saranno qui in tempo.”
     “Che ne dite di preparare una canzone per accoglierli?” propose Lindir con un sorriso. “Non capita tutti i giorni che dei Naugrim vengano in visita a Imladris. L’ultima volta fu quando Erestor li aiutò a concludere la loro guerra contro gli Orchi nella Battaglia di Nanduhirion.”
     La proposta fu accettata con grande entusiasmo. Con l’aiuto di Elrohir - che fra tutti gli Elfi presenti era il più abile a comporre poesie nella Lingua Corrente - quando l’ultimo verde fu quasi sbiadito dall’erba della radura a cielo aperto sugli argini del Rombirivo, anche la canzone d’accoglienza fu terminata. Aveva una melodia molto allegra, che ricordava una risata fra gli alberi, e a dire il vero le parole non erano molto rispettose, ma i giovani Elfi si divertivano un mondo a cantarla. Beffeggiare e deridere i Nani era sempre stato uno dei passatempi preferiti degli elfini e dei giovani, e ad eccezione dei figli di Elrond tutti i partecipanti a quel particolare banchetto erano piuttosto giovani. Non più elfini, ma pur sempre giovani e allegri.
     Finalmente, l’Elfa incaricata di sorvegliare il sentiero tornò indietro, ridendo e correndo fra gli alberi.
     “Stanno arrivando!” gridò tutta eccitata. A queste parole, ciascuno afferrò il proprio strumento musicale, e seguendo la voce di Lindir si misero tutti a cantare.
 
Cosa fate?
Dove andate?
Questi pony, via, ferrate!
Scende il fiume con cascate!
Trallallerollerollà
nella valle, proprio qua!
 
Che cercate?
A che mirate?
Le fascine son bruciate,
le focacce ben tostate!
Trallallerollerollà
questa valle è una beltà
ahaha!
 
     Così ridevano e cantavano all’ombra degli alberi, mentre i tredici Nani, lo Hobbit e lo Stregone scendevano nella valle con estrema attenzione.
     “Bene, bene!” commentò Elrohir in tono divertito. “Ma guarda un po’ ! Uno Hobbit della Contea a cavallo di un pony, e al seguito di una marmaglia di Nani, nientemeno! Che spettacolo!”
     “Davvero sorprendente, meraviglioso,” replicò Lindir, ironico solo fino a un certo punto, poiché i suoi occhi non si staccavano mai dallo Hobbit - era la prima volta che vedeva una creatura simile in tutta la sua vita. “Credete che gli abbiano fatto passare dei brutti momenti lungo la via? Forse gli farebbe piacere riposare un pochino fra noi.”
     Gli altri scoppiarono a ridere e s’imbarcarono nel resto della canzone, ridicolo quanto la prima parte.
 
Dove andate?
con le barbe scarmigliate?
Come mai, vi domandate,
come mai vi ritrovate
Signor Baggins, Balin, Dwalin
nella valle
questa estate?
ahaha!
 
Qui restate 
o ve ne andate?
Spersi i pony, cosa fate?
Muore il dì, non progettate
di partir: sono mattate!
Tanto bello è se restate
ed attenti ci ascoltate,
fino all'ore più inoltrate,
a cantare le ballate!
ahaha!
 
     Finalmente Elladan ricordò le buone maniere, venne fuori dagli alberi e si inchinò di fronte a Mithrandir, che ovviamente aveva riconosciuto subito. In verità sarebbe stato difficile non riconoscerlo, considerata la frequenza con cui lo stregone visitava Imladris, arrivando e partendo in modo quasi sempre imprevedibile.
     “Benvenuti nella valle!” disse. Quindi si volse verso i Nani e fece un altro inchino, rivolto in particolare a quello con la grande barba bianca forcuta e il cappuccio scarlatto. “Mastro Balin, è bello rivederti. È passato molto tempo.”
     “Direi quasi vent’anni, più o meno.” Il vecchio Nano, evidentemente di nome Balin, chinò lateralmente il capo, guardando l’Elfo alto e flessuoso. “Anche a me fa piacere vederti, ragazzo. Forse i vecchi occhi mi ingannano, o è proprio vero che negli ultimi anni ti sei fatto ancora più alto e mingherlino?”
     “Non molto probabile,” rise Elladan. “Ma forse sei tu che sei diventato più basso e più largo, Mastro Nano.”
     “Più largo, forse,” ammise il Nano, “ma non più basso. I Nani non rimpiccioliscono, dovresti saperlo.”
     Scoppiarono a ridere, mentre il Nano riccamente vestito che pareva il capo della banda grugniva a sua volta un saluto svogliato. Mithrandir, beninteso, era già sceso di sella, e mescolandosi ai giovani Elfi che conosceva da secoli chiacchierava allegramente con loro.
     “Siete un po’ fuori strada,” disse Elladan a Mastro Balin dalla barba bianca. “cioè a dire, se vi state dirigendo all'unico sentiero che attraversa il Rombirivo e porta alla Grande Casa dall'altra parte. Vi mostreremo la via giusta, ma fareste meglio ad andare a piedi fino a che non avrete attraversato il ponte. Anche i vostri pony delle colline avrebbero difficoltà a camminarvi sopra con un cavaliere in groppa.”
     “Grazie,” disse bruscamente il capo dei Nani.
     “Potete, beninteso, fermarvi un po’ a cantare con noi,” propose Elrohir, con occhi accesi di ilarità, e gli altri Elfi nelle vicinanze si strozzarono quasi nel trattenere le risate. “A meno che non vogliate continuare subito verso la Casa, si capisce.”
     “Di là stanno preparando la cena,” soggiunse Elladan. “Posso sentire l’odore della legna che arde nella cucina.”
     Lindir vedeva bene il rimpianto sul viso rotondo dello Hobbit, e indovinò che quel piccolo essere sarebbe stato davvero contento di fermarsi per un po’, cosa che testimoniava i suoi gusti raffinati e riusciva quasi a condonargli la scelta dei compagni di viaggio. Prima che potesse dire alcunché, tuttavia, uno dei Nani smontò di sella e si tolse il cappuccio verde scuro, rivelando a sorpresa una testa calva e una folta barba forcuta di color nero molto scuro, quasi bluastro. Gli avambracci nudi avrebbero fatto arrossire di vergogna un gigante di pietra, e i tatuaggi gli conferivano un aspetto particolarmente selvaggio.
     “Si canta dopo cena,” ringhiò. “Mostraci la strada per mangiare, fuscello!”
     Elladan scoppiò a ridere. “Vedo, Mastro Dwalin, che le tue preferenze non sono cambiate dai giorni in cui andavamo insieme a caccia di Orchi. Venite con me, allora, e vi mostrerò il posto adatto per riempire le pance vuote.”
 
 
     E così si incamminarono tutti, affiancati dagli Elfi, conducendo i pony a mano finché non furono guidati sul giusto sentiero e, finalmente, proprio alla sponda del Fiume Bruinen. Esso scorreva veloce e rumoroso - ed era per questo che lo chiamavano Rombirivo - come fanno i rivi montani nelle sere d’estate, quando Anor ha sfolgorato tutto il giorno sulle alte nevi lontane.
     Il solo ponte che attraversava il fiume era antico, fatto di pietra grigia e usurata; non aveva parapetto ed era davvero molto stretto - così stretto che un pony poteva appena passarci sopra. I Nani si fermarono esitanti, perché evidentemente temevano le rumorose acque che scorrevano nell’alveo profondo e sassoso. Per dimostrare loro che il passaggio era sicuro, Lindir attraversò il ponte con passi rapidi e leggeri, portando sulle spalle il piccolo emozionato Estel, ed Elrohir lo seguì immediatamente.
     Gli altri elfi avevano portato sulla riva le loro lanterne luminose, e con sorpresa di tutti, lo Hobbit si dichiarò pronto a tentare per primo l’attraversamento del ponte. Diede prova di un passo straordinariamente sicuro, il che era comprensibile date le dimensioni dei suoi piedi. Era chiaro che gli consentivano un ottimo appoggio, e le dita nude potevano probabilmente avvertire ogni minima irregolarità nella superficie di pietra. Arrivò sano e salvo dall’altra parte e si voltò a guardare i Nani con occhi raggianti, tutto paonazzo dallo sforzo e dalla gioia.
     “Coraggio!” li chiamò con la sua voce leggera e gradevole. “Non è difficile come sembra.”
     I Nani parvero piuttosto dubbiosi di questa affermazione, ma non avevano altra scelta che tentare. E così finalmente incominciarono l’attraversamento, lentamente e con attenzione, uno dopo l’altro, ciascuno conducendo il suo pony per le briglie. Non prestarono alcuna attenzione agli Elfi che cantavano un’altra allegra canzone, poiché dovevano fare attenzione a dove appoggiavano i loro pesanti stivali sulla pietra umida.
     Il loro capo, il Nano dall’aspetto venerabile (ed estremamente noioso) di nome Thorin, pareva il più ansioso di tutti. Mentre i più giovani, quelli con le belle barbe bionde, l’attraversarono con una certa facilità, Thorin stava chino quasi carponi - una situazione che trovava palesemente umiliante, a differenza degli Elfi che la trovavano estremamente divertente.
     “Non immergere la barba nella schiuma, padre dei Naugrim!” gridò Lindir, vicino alle lacrime davanti a uno spettacolo così spassoso, ed Estel, ancora seduto sulle sue spalle, rise deliziato. “È già lunga abbastanza anche senza innaffiarla.”
     “E attenti che Bilbo non si mangi tutti i dolci!” trillò Elrohir, ignorando lo sguardo omicida di Thorin; i Nani non amavano che gli Elfi si prendessero gioco delle loro barbe. “È già troppo grasso per riuscire a passare attraverso il buco della serratura!”
     Questo gli fruttò uno sguardo allarmato da parte degli altri Nani, che ovviamente non potevano sapere che egli aveva udito la loro conversazione quel mattino stesso. Thorin più di tutti gli altri lo fulminò con un’occhiata rabbiosa e profondamente diffidente.
     “Ssst! Zitti, buona gente! E buona notte!” disse Mithrandir, che era l’ultimo e stava parlando con Elladan. “Le valli hanno orecchie e certi Elfi cianciano un po’ troppo allegramente,” soggiunse, e da sotto le sopracciglia cespugliose gettò uno sguardo carico di significato verso Lindir, il quale si limitò a scrollare le spalle e a ignorarlo con pratica noncuranza. “Buona notte!”
     E così finalmente i tredici Nani e lo Hobbit arrivarono alla Grande Casa, e trovarono le porte spalancate. Sulla soglia trovarono ad accoglierli Erestor, che riservò tutti i dovuti cerimoniali che si convenivano nel rivolgersi a un Nano importante come Thorin Scudodiquercia, dopodiché arrivarono dei servi che li condussero alle loro stanze.
     Lindir si allontanò poco dopo, perché come ogni sera doveva mettere a letto Estel e cantargli una ninnananna. Quando finalmente lo scalmanato ragazzino si addormentò, Lindir augurò una notte e un sonno pacifico a Dama Gilraen e tornò a cantare e a festeggiare con i suoi amici, senza sospettare che non appena fosse rientrato lo avrebbe aspettato una di quelle discussioni, stavolta riguardo alla sua scortesia nel deridere la barba di Thorin.

* * *

(1) O primo giorno di Lithe, secondo il Calendario della Contea.
(2) Nani.
  
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