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Autore: gunslinger_    12/06/2013    0 recensioni
“Non sono pazzo.” rispose, con la tentazione di alzarsi in piedi ed uscire sbattendo la porta.
“Non mi permetterei mai di pronunciare un giudizio del genere, sarei solo interessato a conoscere il suo parere riguardo l'intera faccenda.”
Matt non lo sapeva, non sapeva proprio a che faccenda alludesse lo psicologo, non c'era assolutamente niente di cui discutere. Anche se si era fatto male non aveva bisogno di aiuto, non serviva parlare, solo un antidolorifico molto forte, nel caso.
“Non lo so...” mugugnò, per poi piegare leggermente le dita della mano sulla coscia. “Non è successo niente di grave Doc, chiaro? Posso chiamarla Doc?”
|bromance|tematiche delicate|
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Disclaimer. Gli Avenged Sevenfold sono personaggi realmente esistenti attorno ai quali ho costruito una storia (prendendo spunto da fatti accaduti) di pura fantasia, che non intende in alcun modo riprodurre la realtà. La pubblicazione di questa fanfiction non ha fini lucrativi.


 




"Anche l'elaborazione del lutto è come la nascita di nuova vita in te.
È piena di sofferenze e di timori. Spesso è buia come il percorso del parto.
Sembra volerci afferrare alla gola. È una strada stretta e tormentosa.
Ma, una volta che l'abbiamo percorsa sino in fondo,
il nostro cuore si allarga e vediamo una nuova luce che ci illumina.
Ci sentiamo liberi, come rinati."

(
Anselm Grün)

 






La mano destra stretta a pugno, fasciata, era tesa sul bracciolo mentre l'altra poggiava sulla gamba del ragazzo che cercava di rimanere disteso su quel lettino di pelle nera che sembrava quasi fargli prudere la pelle.
Gli occhi verdi cercavano di vedere più in là di quanto riuscissero in quella posizione, sembrava impossibile rimanere a fissare il soffitto pallido senza battere ciglio.
“Sa perché è qui, signor Sanders?”
Matt a questo punto alzò di poco la schiena, riuscendo finalmente a guardare il suo interlocutore; nel frattempo però continuava a pensare a quella mano che, anche se la medicazione nascondeva tutto, ogni tanto riprendeva a sanguinare debolmente, infastidendolo. Se li ricordava ancora i rivoli rossastri che scivolavano lungo il polso e lui che rimaneva lì, immobile, senza più sapere esattamente cosa fare.
“Non sono pazzo.” rispose, con la tentazione di alzarsi in piedi ed uscire sbattendo la porta.
“Non mi permetterei mai di pronunciare un giudizio del genere, sarei solo interessato a conoscere il suo parere riguardo l'intera faccenda.”
Matt non lo sapeva, non sapeva proprio a che faccenda alludesse lo psicologo, non c'era assolutamente niente di cui discutere. Anche se si era fatto male non aveva bisogno di aiuto, non serviva parlare, solo un antidolorifico molto forte, nel caso.
“Non lo so...” mugugnò, per poi piegare leggermente le dita della mano sulla coscia. “Non è successo niente di grave Doc, chiaro? Posso chiamarla Doc?”
Questo rispose annuendo.
“L'amico che l'ha portato qui mi diceva che-”
Da quel momento in poi Matt aveva smesso di ascoltare, stendendosi di nuovo. Si adagiò per bene, finalmente un po' più rilassato e pensò per un attimo a Brian che lo aspettava fuori dallo studio, seduto su una sedia con una rivista per quarantenni disperate sulle ginocchia. Non aveva ammesso repliche quella mattina, l'appuntamento col dottor Grey l'aveva preso e non poteva permettersi di fare brutte figure anche perché quello era stato un colloquio di favore, gli psicologi più richiesti della città non si contattavano mica con una semplice telefonata; raccomandazioni, raccomandazioni e raccomandazioni. Anche un pizzico di fortuna, quella in effetti non era mai abbastanza.
Scosse piano la testa e forse il dottore, impegnato com'era a parlare, non se ne accorse nemmeno.
Nessun altro al mondo – oltre Brian Haner, s'intende – sarebbe mai riuscito a trascinarlo in uno studio del genere, lui che tanto aveva paura degli ospedali e soprattutto dei medici. Tecnicamente quello non era un ospedale e non era nemmeno tanto sicuro che gli psicologi fossero laureti in Medicina, ma Matt era spaventato lo stesso.
Lui non sa niente di me, aveva continuato a ripetere durante il tragitto da casa allo studio del dottor Grey. E non saprà mai nemmeno un secondo della mia vita, posso assicurartelo.
Brian aveva continuato a premere il piede sull'acceleratore ignorandolo del tutto, ormai quella era la sua ultima speranza ed aveva bisogno di crederci fino in fondo. Probabilmente avevano tutti e quattro bisogno di uno strizzacervelli, ma al momento Shads era quello in condizioni peggiori.
“Signor Sanders, mi sta ascoltando o no? Le ho chiesto come si è procurato quelle ferite.” disse lo psicologo indicando la mano fasciata del ragazzo con un cenno del capo.
A quel punto Matt si risvegliò dai proprio pensieri, senza avere comunque l'intenzione di dire niente, se non qualche frecciatina acida che chiarisse ancor meglio la sua posizione. Quel tipo doveva mettersi in testa che non voleva aver niente a che fare con lui.
“Così come si fanno le ferite.” rispose, quasi scontroso.
“È come un fuoco perpetuo, vero?”
No, adesso proprio non capiva.
“Quello che sente... È come una fiamma che brucia di continuo, tutto sta diventando cenere dentro di lei e non sa più come fare per sentirsi vivo. Parli, Matthew, parli senza fermarsi nemmeno per un attimo e vedrà che non si sarà mai sentito più reale di così. Mi dia retta.”
Matt quella volta aveva ascoltato davvero senza perdersi neanche un respiro, si era fatto custode di ogni singola parola che sembrava quasi scottargli la pelle.
Stava andando a fuoco, c'era così tanto fumo che ormai non si vedeva più niente.
“Non ne ho voglia, Doc.”
La verità non era esattamente questa, in realtà Matt non sapeva parlare; non lo aveva mai fatto e dopo trent'anni di silenzi non sapeva assolutamente da dove cominciare.
Il dottor Grey sospirò.
“La vedo piuttosto provato oggi, è meglio se interrompiamo qui la seduta. Vorrei però che lei facesse una cosa.”
“Non inizierò a scrivere uno stupido diario.”
Lo psicologo sorrise.
“No, mi piacerebbe solo che lei pensasse anche solo per cinque minuti al giorno a quello che ci siamo detti oggi, se lo farà sono sicuro che durante la prossima seduta saprà tutte le risposte alle mie domande. Magari non mi rivolgerà più di dieci parole, ma da qualche parte si deve pur iniziare.”
“Come fa a sapere che ci sarà una prossima volta?” chiese Matt.
“Penso che lei abbia tanto bisogno del mio aiuto e, se l'esperienza mi ha insegnato qualcosa, ritengo anche che non sia così stupido da non rendersene conto. Alla prossima settimana, signor Sanders.”
Matt uscì dallo studio con la testa che girava un po', piena di pensieri come non lo era da molto tempo. Non appena chiuse la porta Brian balzò in piedi, lanciando la rivista che aveva in mano sul tavolino.
“Allora, com'è andata?”
L'amico gli rivolse un sorriso amaro e gli fece cenno di seguirlo fuori: avevano entrambi bisogno di una boccata d'aria.
“Non credo di averne bisogno.” disse Matt, mentre si accendeva una sigaretta. I suoi occhi guardavano lontano, quasi persi nel crepuscolo che iniziava lentamente ad avanzare.”Farsi male ad una mano non è da strizzacervelli.”
Brian sospirò e guardò l'amico di sottecchi, quasi deluso. Sperava davvero che un'ora col dottor Grey gli avesse chiarito, almeno vagamente, le idee.
“Non è di una ferita che stiamo parlando, Matt, se ti fossi trovato di fronte una persona invece che uno specchio non avrebbe fatto alcuna differenza, lo avresti preso a pugni comunque rischiando anche la galera. Ne hai bisogno, credimi.”
L'altro ragazzo increspò le labbra accennando un sorriso, Brian era davvero testardo quando teneva a qualcosa, soprattutto alle proprie opinioni.
“Portami a casa.” rispose solo, senza spostare lo sguardo. “Ho bisogno di dormire.
L'orologio sul cruscotto dell'auto segnava le 19 quando Matt aprì la portiera e poggiò i piedi sull'asfalto; una leggera brezza lo fece stringere nelle spalle e socchiudere gli occhi.
“Ci vediamo, amico. Grazie del passaggio.”
Brian, invece di rispondere, scese anche lui dall'auto, beccandosi una fronte corrugata da parte dell'amico.
“Credevi davvero che dopo un'esperienza del genere ti lasciassi da solo? Apri la porta, sbrigati.”
Matt girò più volte la chiave nella toppa, prima che la pesante porta d'ingresso si aprì cigolando leggermente. Non era entusiasta della presa di posizione dell'altro ma, d'altro canto, non aveva neanche voglia di discutere.
 
***


Il salotto era silenzioso e buio, solo la luce che proveniva dalla televisione illuminava debolmente il ragazzo seduto sul divano, mentre una bottiglia di birra ormai vuota brillava sul tavolino. Questo si riavviò i capelli scuri con una mano, prima di alzarsi e dirigersi verso la camera da letto dove Matt dormiva. Aprì la porta con dolcezza evitando di fare rumore ed un cono di luce si fece spazio sul pavimento, sotto i suoi piedi.
Il padrone di casa era disteso a pancia in giù, vestito ma senza scarpe, la t-shirt che indossava gli si era leggermente alzata lasciando scoperta la parte bassa della schiena. Il braccio sinistro era disteso formando un angolo retto, mentre la mano destra penzolava fuori dal letto.
“Sempre il solito.” mormorò Brian che l'aveva visto dormire in quella posizione innumerevoli volte,
gli aveva sempre sistemato la mano ciondolante per poi appoggiarli addosso una copertina; quando erano in tour usava quello che capitava, anche una delle sue giacche se necessario, ma quando erano a casa sua prendeva sempre una delle trapunte che Matt aveva nell'armadio.
Quando ebbe finito ammirò con soddisfazione il suo lavoro e poi si sedette sul letto accanto al ragazzo per togliersi le scarpe.
Non sapeva che ore fossero, sicuramente però non era tardi, in ogni caso aveva deciso di stendersi e magari dormire nella speranza di donare un po' di serenità a Matt anche se a lui stesso mancava del tutto.
Stava andando tutto a rotoli giorno dopo giorno: Jimmy prima, poi tutti i problemi che si sono susseguiti uno dopo l'altro fino ad inghiottirli tutti, ma solo loro stessi erano in grado di salvarsi da quel declino in apparenza senza fine.
Alla fine si sistemò anche lui sotto la coperta e, disteso su un fianco, allungò un braccio verso la schiena di Matt come se volesse attirarlo a sé. Non sapeva bene così altro fare oltre che continuare a guardarlo sussurrandogli Andrà tutto bene, perché non aveva altro in cui poteva sperare.
Era buio, l'inverno imperversava fuori, e le ombre nella stanza sembravano aver preso la forma dei loro incubi.
“Ci salveremo.” disse avvicinandosi all'orecchio di Matt. “Andremo avanti.”
A quel punto il ragazzo mugolò e strofinò il viso su quello che era il petto di Brian, poi dischiuse lentamente gli occhi.
“Sei ancora qui...”
“Dove dovrei essere?”
Quella domanda non ottenne risposta in quel momento e probabilmente non l'avrebbe mai ottenuta, rimase ad aleggiare nella camera in silenzio, vegliando su quei due ragazzi che si stringevano forte.
“Mi fa male la mano.” disse Matt, cercando di mettersi a sedere.
Brian gliela raccolse e la accarezzò delicatamente, per poi alzarsi.
“Vado a prendere una garza pulita ed il disinfettante, torno subito.
“Ahi...”
Un lamento attraversò le pareti, quando la fasciatura venne sciolta, rivelando grumi di sangue attorno alla ferita e molto rossore.
“Brucerà un po', scusami.” si scusò Brian, per poi versare quel liquido verde chiaro sulla pelle dell'amico.
“Ormai ci sono abituato, brucia tanto anche a te... vero?”
Il ragazzo non capì, temette di essersi perso qualcosa, concentrato com'era sulla medicazione.
“Eh?”
“Jimmy, t-tutto il resto... Il dottore aveva ragione, brucia da morire.”
E così, senza nemmeno accorgersene, Matt stava seguendo il consiglio del medico, ponendo quella domanda; cinque minuti del suo tempo erano in quel momento dedicati alla seduta di quel pomeriggio, anche se nessuno ci avrebbe mai scommesso nemmeno un centesimo.
“No, sono solo rassegnato.”
E con questo non voleva dire che non stava male, che non sentiva il dolore trafiggerlo da parte a parte, solo che in qualche modo il suo incedio aveva iniziato a spegnersi, goccioline di pioggia stavano cadendo sulle sue membra.
“Vorrei tanto che fosse così anche per me.” concluse Matt sospirando, mentre l'altro sistemava la garza pulita. “Come ci sei riuscito?”
“Non lo so.” rispose Brian, dopo essersi alzato. “È successo e basta, col tempo, anche se so che tu a questa frase non ci credi. Ma, d'altronde, ognuno ha il proprio modo di andare avanti, sappi solo che il tuo non è quello giusto.”
Forse, avrebbe voluto rispondere Matt, però lo faceva quasi sentire bene vedere il proprio sangue affiorare sulla pelle, sentire il bruciore che pian piano si diffondeva dalla mano al resto del corpo; lo faceva sentire puro, come se quel rito espiasse tutti i suoi peccati.
Matt aveva peccato tanto, si sentiva così in colpa.
   
 
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