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Autore: _Des    13/06/2013    5 recensioni
«Mi divertirò, me lo sento.» sprofondai con aria sognante nel letto della mia camera mentre Louis, dalla sua webcam, mi osservava accigliato. Si trovava alla casa al mare dei suoi genitori, insieme ai ragazzi e alle ragazze. A quanto pareva, se la stavano spassando.
«Uh, io non ne sarei così sicuro.» bofonchiò il castano.
«E perché?» domandai, ricordando ancora qualcuna delle avventure affrontate nel mio viaggio da quindicenne.
«Se conosco Sam- e la conosco- dopo la settimana disastrosa a Parigi, ti renderà il soggiorno a Roma un inferno.»
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Sconvolto. Ero sconvolto.
Percepii un brusio, una specie di richiamo dal computer nel quale Louis era proiettato e voltandomi, lo trovai tanto vicino alla sua webcam da comparire enorme nel mio schermo, prima che la sua voce s’insinuasse nel mio apparato uditivo in un sussurro:
«Che l’inferno abbia inizio.»
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Scommettiamo. Ti piace giocare? '
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Holiday in Rome: That hell have start.

Informazione di servizio: si tratta di una fan fiction ricollegata alla storia Scommettiamo. Ti piace giocare? E alla one one-shot Holiday in Paris: The worst week of my life.  Inoltre con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo.

 

«Roma, Lou, Roma. Capisci?»
«Sì Harry, sì. Ho capito: Sam ha deciso che la prossima meta sarà Roma e a te piace tanto Roma.» annuii convinto, mentre un immenso sorriso si faceva largo sul mio viso.
Dopo la disastrosa avventura vissuta a Parigi, avevo lasciato a Sam l’opportunità di organizzare una nuova vacanza, nel paese che più preferiva, senza mettere mai il naso. In caso contrario, l’avrei irritata e poi, addio vacanza.
A quanto pare, la ragazza aveva fiuto per certe cose: amavo Roma sin da quando, all’età di quindici anni, l’avevo visitata in gita con la classe di storia. Era stata l’esperienza più educativa a cui mai avessi preso parte.
Già.. sgattaiolando fuori dall’albergo e imbucandomi in un party privato in cui alcool e belle ragazze furono solo il principio di una serata all’insegna del divertimento. Certo, trascorsi il giorno a seguire in compagnia del mio amatissimo amico gabinetto e la prof. di storia ci tenne ad avvertire mia madre e mio padre della serata a cui avevo preso parte, aveva ritenuto opportuno abbassare la mia media di ben due voti e, chissà come, persino mia nonna dalla Polonia venne a conoscenza della mia piccola fuga e consigliò vivamente ai miei genitori d’interrompere la paghetta mensile con la quale mi procuravo certi giornali sconci. Ma dettagli.
«Mi divertirò, me lo sento.» sprofondai con aria sognante nel letto della mia camera mentre Louis, dalla sua webcam, mi osservava accigliato. Si trovava alla casa al mare dei suoi genitori, insieme ai ragazzi e alle ragazze. A quanto pareva, se la stavano spassando.  
«Uh, io non ne sarei così sicuro.» bofonchiò il castano.
«E perché?» domandai, ricordando ancora qualcuna delle avventure affrontate nel mio viaggio da quindicenne.
«Se conosco Sam- e la conosco- dopo la settimana disastrosa a Parigi, ti renderà il soggiorno a Roma un inferno.» lo guardai con irritazione. Sam non era capace di tanto, soprattutto perché le avevo esplicitamente chiarito che non avrei messo bocca riguardo l’itinerario, il viaggio, il soggiorno o qualsiasi altro preparativo che spettava solo e soltanto a lei, in base ai suoi gusti.
«Sam non farà nulla.» precisai, ridacchiando.
Probabilmente Louis avrebbe ribadito con una delle sue frasi poco filosofiche e concise, ma la porta della camera fu spalancata improvvisamente e questa fu varcata da Sam che portava con sé una busta da shopping.
«Hola chicas.» le riservai un’occhiataccia, prima di risponderle:
«Non siamo delle ragazze.»
«Oh, ma certo che non siete delle ragazze.» avvicinandosi al letto sul quale io e, virtualmente, Louis sedevamo, continuò: «Siete le mie ragazze.» probabilmente Louis mi ringraziò mentalmente quando, con il guanciale, le sferrai un colpo lungimirante dall’essere delicato.
«Cosa ci fai nella camera di Harry, razza di essere abominevole?» le domandò il mio amico.
«Non posso far visita ai miei migliori amici in una mattinata così splendida?» occhi da cerbiatto. Adoperò degli occhi da cerbiatto e furono proprio quelli a tradirla. Nascondeva qualcosa, un segreto o forse qualche stravagante intenzione.
«Non quando fai gli occhi da cerbiatta, cara.» l’ammonii, divertito. La sentii bisbigliare un «accidenti» frustrato, prima di puntare con lo sguardo prima me, poi Louis e, sospirando, decidere di ammettere il reale motivo per il quale ci aveva interrotti durante una discussione così eccitante quale quella che avevamo intrapreso io e il tizio che se la rideva, nel computer al mio fianco.
«Okay, ve lo dirò. Ma..» puntò un dito verso di me che, trovandola comica, tentavo già di frenare le risate. «..niente risate oppure la mia ira si riverserà su di voi.» annuimmo, mettendoci comodi. Sapevamo di dover seguire alla lettera ogni su ordine, altrimenti saremo stati soggetti a qualche sorta di tortura cinese che, va ammesso, Samantha era capace di escogitare in un arco di tempo che va da mezzo ad un secondo pieno.
«Questa mattina Hayley, che l’ha saputo da Juliette, a cui l’ha detto Niall che aveva parlato in precedenza con Liam, mi ha detto che oggi Zayn sarebbe partito dalla tua casa al mare, caro Lou, per venire a farmi visita. Quindi eccomi qui.»
«Lo stai evitando, Destiny?» domandò con fare retorico, Louis.
«Non chiamarmi con quel nome.» lo rimproverò. Effettivamente, Louis amava stuzzicarla affibbiandole tutti quei nomignoli che sapeva Sam detestare come, in questo caso, il suo secondo nome. «E no, non lo sto proprio evitando.»
«Lo stai evitando.» precisai ancora.
«Taci.» sbottò.«Ah, a proposito.»
«Di chi?» chiesi.
«Di te.» sorrise sghemba. Avvertii dei brividi. Se Samantha sorrideva a me in quell’irritante modo, solo un ipotesi poteva farsi largo nella mia mente. Vendetta. «Ti ho fatto un regalo.» afferrò la busta da shopping che aveva con sé e da quella estrasse.. un orribile pigiama a fiori giallo e blu?
«E’ una tuta.» puntualizzò, notando il mio sguardo. «Ho un vestito simile anche per me.» mostrò il suo che, sulle sfumature del viole, con qualche fiore decorativo, sembrava poterle stare a pennello sul corpo scolpito. «Li indosseremo per la partenza. Così tutti sapranno che siamo amici.» mi sorrise, ma io non fui capace di ricambiare.
Sconvolto. Ero sconvolto.
Percepii un brusio, una specie di richiamo dal computer nel quale Louis era proiettato e voltandomi, lo trovai tanto vicino alla sua webcam da comparire enorme nel mio schermo, prima che la sua voce s’insinuasse nel mio apparato uditivo in un sussurro:
«Che l’inferno abbia inizio.»
 
Mi guardai attorno.
Roma era stupenda, forse ancor più di quanto ricordassi. Gelaterie, pizzerie, negozietti, fontane, piazze, monumenti.. gladiatori, strani essere travestiti da statue, sampietrini ovunque. Il paradiso.
Sam mi trascinò dapprima in giro per la città, muniti di taxi. Fu rifugiandoci nella frescura di una gelateria che incontrammo il primo vero Romano: il gelataio.
«Salve.» lo salutammo, sorridendogli. Questo ci osservò un momento, riconoscendo nel nostro accento un non so ché di ben differente dal romano, dall’italiano stesso.
«Inglesi?» domandò, con buffo accento.
«Yeah.» sorrisi.
«Un momento.» furono le ultime due parole che, pronunciate da lui in inglese, io e Sam comprendemmo, poi iniziò a comunicare con una donna che si trovava in una stanza della gelateria adiacente all’ingresso in cui ci attendevamo.
«Valentina! Vie’ npo’ qua. Ce stanno du’ tizi che dicono d’esse inglesi.»
«A pà, veditela te. C’ho da fa mò.»
«Ma nun ce capisco ncaz..» troncò proprio quell’ultima parola quando si accorse dei nostri sguardi curiosi posati su di lui. Sorrise cordiale, per poi riprendere quella conversazione così.. appassionante.
«Marco! Almeno tu, bello de papà. Damme ‘na mano, daje.»
«Quanto me dai se t’aiuto?» vedemmo l’uomo divenire per un breve istante di un rosso fuoco. Sam mi guardò impaurita, mentre io, divertito, continuavo a godermi la scena. Certo, non capivo nulla, ma evidentemente l’uomo stava andando su tutte le furie.
«Ncalcio nculo, te basta o ne voi de più?» fu tutto ciò che disse prima che sbucassero due ragazzi, un maschio ed una femmina e che questi sorridessero all’uomo sornioni. Il signore ci rivolse un’occhiata, accompagnata da un saluto, prima di cedere il posto ai due che ci squadrarono per bene, iniziando a servirci. Chissà perché la ragazza volle occuparsi proprio di me.
Quando poi mi accorsi che il moro dagli occhi color ghiaccio, osservava in modo petulante Sam, tentando di attaccar bottone, pensai bene di puntare dei paletti.. in qualità di migliore amico di Zayn.
Posai un braccio attorno alla spalle della mia migliore amica che mi osservò divertita.Aveva compreso il mio piano.
«E’ il tuo ragazzo?» le domandò, prontamente.
«No.» lei.
«Si.» io.
E venne a crearsi una tale confusione nello sguardo dei due ragazzi che ci servivano che, da quel momento, non osarono domandare oltre.
S’inizia bene.
 
Sam’s point of view:
Tutto molto carino.
La città, le persone, l’albergo, la camera. Tutto, perché ovviamente chi ha buon gusto sa decidere per le destinazioni più cool e fiutare gli alberghi migliori.
La prima sera avevamo optato per uno strappo alla regola: avevamo voglia di visitare Roma con le stelle, proprio come consigliatoci da certi individui alla reception. Erano vestiti di tutto punto in giacca e cravatta con trenta gradi persino all’ombra. Capivo le origini storiche, l’importanza della città e delle tradizioni, il voler apparire conformi alla reputazione di gran classe che l’intero paese sfoggiava.. ma giacca e cravatta. Scherziamo?
«Sam ti vuoi muovere?» sbuffai, esasperata. Era la millesima volta nel giro di dieci minuti che Harry mi reclamava a gran voce. Ma dico, non sa che ad una donna non basta una mezz’ora scarsa per rendersi presentabile? Specie se questa deve coprire certe occhiaie, certi brufoli, certe imperfezioni che affittano residenza fin quando questa, la donna, comprende che è ora di non trastullarsi la notte, dormire maggiormente, ricorrere ad una sana alimentazione.. ad una dieta.
Stando ai suoi continui richiami, non ne aveva idea. Scherziamo?
Aprii la porta del bagno, uscendone di mala voglia. Lo squadrai da capo a piedi, trattenendo le risa: indossava un paio di pantaloni neri a mezza gamba ed una maglia rossa e gialla sulla cui parte posteriore era scritto in bianco il nome di quello che ricordai essere anche un giocatore della nazionale italiana. Come si pronunciava? Di Rasi, no.. De Russi, non ci siamo.. De Rosai? No, De Rosai no. De rossi, sì. Decisamente De Rossi.
«Vuoi conformarti alla massa, Harry?» ridacchiai.
«Certo. E’ importante integrarsi.» lo fissai allibita. Aveva formulato una frase sensata, la prima della sua vita. Scherziamo?
 
Sarei scoppiata.
La mia pancia avrebbe fatto BOOM, ne ero più che certa.
Avevo gustato ogni portata, senza controllarmi un minimo. Primo, secondo, contorno, dolce ed Harry aveva insistito per bere certi “amaretti” che gli avevano dato sin da subito alla testa, costringendo il proprietario stesso a proibirgliene altri.
Mi ritrovavo, quindi, a passeggiare per il centro di Roma, con un Harry ben più che brillo, fermandoci di tanto in tanto quando il riccio percepiva il mondo vibrare oppure annunciava la presenza di certi cavallucci marini che si dimenavano davanti ai suoi occhi. Non c’era anima viva.
Ci spostammo in una piazza dov’erano presenti delle sedute. Lo scaraventai su una panchina, impedendogli di muoversi, mentre mi scapicollavo alla ricerca di un bar in cui procurarmi dell’acqua.
Girai per ben tre volte la piazza con scarsi risultati.
Di tanto in tanto lanciavo delle occhiate ad Harry che, disteso sulla panchina, sembrava chiacchierare da solo, escogitare delle teorie che rivelava a qualcuno che probabilmente la sua vista proiettava nel cielo blu notte.
Esausta, sospirai.
«Serve una mano?» mi voltai ad osservare il mio interlocutore, stralunata. Non avevo compreso una parola di ciò che aveva detto.
«Parlo inglese.» spiegai, sperando che mi capisse. Il ragazzo sulla ventina che mi si presentava poteva essermi assai utile.
«Oh, okay. Ti serve aiuto?» rispose, parlando la mia medesima lingua. Lo ammirai, adorante. Se mi serviva aiuto?
«Si!» sbottai, ringraziandolo. Gli spiegai la situazione, indicando Harry che, nel frattempo, si contorceva in modo stravagante sulla panchina. Luca, il ragazzo, buttò qualche occhiata nella direzione indicatagli, trattenendo le risate. Evidentemente credeva d’offendermi, ridendo.
«Puoi ridere, so che ricorda una scimmia in calore.» lo tranquillizzai con nonchalance. Per tutta risposta, Luca proruppe in una risata così sentita, da scaturirmi un sorrisino.
«Andiamolo a prendere.» decretò in fine.
 
Trascinammo Harry per qualche viuzza, fin quando non sbucammo in un’ennesima piazza più grande e decisamente più affollata. Cominciai a chiedermi se fosse da considerarsi nella norma che in una sola città fossero presenti almeno centomila piazze.
Assorta nei miei pensieri, mi risvegliai solo quando Harry accennò a certi uccelli presenti nella piazza. Non c’erano uccelli.
«Di quali uccelli parli, Harry?» borbottai, contrariata.
«Nella piazza ce ne sono tanti, non fanno cip cip, ma puoi sentirli comunque. Te lo ripeto, ce ne sono tanti, non fanno..» tentai di zittire Harry che Luca ascoltava divertito, ma il riccio sembrava non volermi assecondare. «..sentirli comunque e anche io ne possiedo uno..» mi fermai all’istante, costringendo gli altri due ad imitarmi.
Riflettei un secondo su quanto Harry aveva detto.
«Aspetta, ma.. se ce ne sono tanti e non fanno cip cip e se posso sentirli comunque e tu ne hai uno.. Harry, ma tu non hai un uccel..» sbarrai gli occhi, coprendomi le labbra con una mano, mentre Luca scoppiava nuovamente a ridere e Harry mi osservava, contento del fatto che con il suo indovinello avesse ottenuto l’effetto desiderato su di me.
Si trattava di uccelli, okay. Ma particolari.
«Depravato, maniaco!» sbottai, ridendo. Harry da ubriaco rappresentava il massimo del divertimento.
 
Lo conducemmo in un bar frequentato da amici di Luca.
Non era molto affollato, senza considerare appunto i conoscenti del ragazzo. La signora che serviva al bancone si prodigò perché Harry bevesse certi intrugli adatti alle sbronze e le fui grata, malgrado il mio amico si comportasse come un perverso persino con una simpatica signora.
«Sapete che Sam e Zayn stanno insieme, ma non stanno insieme? E sapete che hanno fatto sesso, ma non hanno fatto sesso?» esclamò Harry, seduto in un tavolino. I ragazzi che ci accerchiavano risero senza controllo, mentre io tornavo ad arrossire, tentando di frenare gli istinti omicida nei confronti del riccio.
«Sapete che Harry ha la bocca larga e se non tace questa sera lo picchierò con un santino?» sbottai, lanciandogli occhiatacce.
«Ma come sei acida. Viva la vita, locaaaa.» schiaffai una mano sulla fronte, sospirando.
Ora parlava spagnolo.. a Roma. Scherziamo?
 
Harry’s Point of View:
Sbarrai gli occhi, sputando quella minima quantità d’acqua che avevo introdotto nella bocca, mentre Sam mi osservava accigliata, ma divertita.
Chissà quanto aveva goduto nel vedermi ridotto come un maniaco che parla di.. uccelli?
«Dimmi che non è vero.» la implorai.
«E non è tutto. Hai straparlato sulla mia storia con Zayn, facendoti passare per matto poiché nessuno comprendeva chi fosse “macho man” come l’hai soprannominato. Hai cominciato a parlare spagnolo, urlavi frasi sconnesse e ballavi canzoncine idiote. Per un attimo ho creduto di averti perso del tutto.» sprofondai il viso nel cuscino, tentando di attenuare il dolore pulsante alla testa. Ero solito ubriacarmi dopo una decina di cocktail, non dopo due amaretti. Che diamine contenevano quei bicchierini?
«Ma la parte migliore è arrivata probabilmente quando, flirtando in modo spassionato con una bionda, all’improvviso le hai vomitato sulle scarpe firmate Gucci.» e mentre lei emetteva altre risate irrefrenabili, appurai l’ardente desiderio di seppellirmi in quello stesso momento, d’ovunque purché non fossi costretto a sorbirmi almeno altre ventiquattro ore di risate, sfottimenti e prese in giro vari da parte di Sam che, oh se ne ero certo, avrebbe impedito che quella serie infinta di pessime figure finisse nel dimenticatoio.
«La serata più bella di tutta la mia vita.» terminò, distendendosi al mio fianco.
 
Un’intera giornata in camera, tra mal di testa e getti di vomito.
E la sera sono crollato in sonno profondo, lasciando Sam ad un film noleggiato nella nostra lingua che spero, almeno, le sia piaciuto.
Il terzo giorno però non ha ammesso esitazioni o scuse: dovevamo visitare musei e luoghi d’arte. Tempo che lei programmasse l’itinerario della giornata, cinque minuti per l’esattezza, ed io ero già pronto.
Non so quante piazze, basiliche, teatri, ponti, monumenti, domus, templi, fori, strutture sacre e cristiane e musei visitammo dalle nove del mattino sino alle sette della sera. Impossibile, ma vero. Sam avrebbe voluto prolungare e curiosare anche nelle tombe, ma a quel punto mi rifiutai categoricamente. Le tombe erano tombe e io che ci andavo a fare in una tomba?
«Sai cosa sono le catacombe?» chiese all’improvviso quando, mentre un taxi ci riconduceva in albergo, lei sfogliava degli opuscoli.
«Qualcosa attinente all’età cristiana dei romani, suppongo.» risposi, annoiato.
«Cimiteri sotterranei, per l’esattezza. Ricordano delle vere e proprie città sotterranee e all’interno di ogni catacomba, i famigliari dei defunti dipingevano oggetti simbolo tipo pesci, pani. Oppure elementi che sarebbero potuti servire al morto in una vita futura e..»
«Arriva al dunque.» la interruppi, percependo le meningi pulsare.
Sam mi osservò infastidita con la coda dell’occhio, prima di metter su un sorrisetto maligno e decretare:
«Domani visitiamo le catacombe etrusche. Non saranno come quelle romane, ma voglio vederle comunque.» Sbarrai gli occhi.
 
«Non voglio.» piagnucolai, abbracciando un palo presente in quel ritrovo di cimiteri infestato da fantasmi, da spiriti senza fissa dimora.
«Harry, la guida si sta spazientendo.» sussurrò lei, tra i denti. Non mi mossi di una virgola. Non sarei entrato in quel posto, nemmeno sotto tortura. «Non vieni? Perfetto, vado da sola. Stammi bene.» davvero avrebbe fatto a meno di me in quell’escursione? Tentai di bloccarla un paio di volte, richiamandola. Ma Sam, spietata, né voltò lo sguardo, né arrestò il suo cammino per sentire cos’avevo da dirle.
Entrò nella catacomba accompagnata dalla guida donna e non mi prestò attenzione. Sarei rimasto incollato al palo se un rumore molesto non mi avesse spaventato e costretto all’inseguimento di Sam. Entrando, la scorsi poco più distante e, chiamandola a gran voce, incontrai il suo sguardo. Si allargò in un sorriso a cui non riuscii a non rispondere, sebbene la stessi detestando.
«Arrivo.» urlai, correndo.
«Fa piano o..» non fece neppure in tempo ad avvertirmi: mi ritrovai spiaccicato sul suolo umido. «..cadrai.» sia lei che la guida risero, mentre si apprestarono ad avvicinarsi per fornirmi un aiuto che, sgarbatamente, rifiutai.
Mi prendeva per il culo e poi si aspettava che accettassi di essere aiutato da lei? Ma pff.
Strinsi la sua mano, con la scusa che, causa fantasmi, avrebbe potuto aver paura, nonostante mi avesse ribadito un centinaio di volte di non temere per la sua incolumità o per gli spiriti che, ne ero certo, brulicavano a bizzeffe in quel posto.
Fu quando avvertii un un’ululare che cominciai a delirare. Sussultavo continuamente, mi guardavo attorno con fare sospetto e a momenti non svenni per mancanza d’aria.
«Harry!» gridò Sam, spaventata. «Okay, basta. Usciamo.» e fu così che terminò la mia avventura etrusca.
 
Sam’s point of view:
Una festa.
Luca aveva invitato sia me che Harry ad una festa organizzata in un locale prestigioso di Roma. Lo avevamo incontrato quella mattina mentre, per puro caso, ci eravamo ritrovati nella stessa piazza del misfatto, ovvero il punto in cui Harry aveva preso a “cinguettare” riguardo determinati uccelli. E, senza esitazione, tra una chiacchiera e l’altra, aveva trovato il modo per metterci in lista e permetterci di trascorrere una serata stile romano.
Ero euforica. Forse l’idea di trasgredire le regole mi mandava in estasi oppure era solo l’effetto dei piani geniali che avevo progettato per mettere in ridicolo Harry persino in quella circostanza.
 
Uscii dal bagno e rimasi incantata dallo scenario che stavo ammirando: Harry vestito di un pantalone nero, aderente sulle gambe lunghe, una camicia bianca sotto una giacchetta nera stile inglese. I capelli ricci perfettamente ripiegati secondo il senso dato loro dalla riga ed uno smagliante sorriso brillante sul viso spiccava come al solito.
«Tu sai che non conquisterai nemmeno una ragazza, vero?» domandai, con fare accattivante.
«E perché non dovrei?» ribatté con voce suadente.
«Perché questa sera sarai il mio accompagnatore..» afferrai la pochette e spazzai le distanze tra di noi, sussurrandogli ancora: «..my boy.» e per finire, uscii dalla camera.
 
Ballavamo senza sosta da ore.
Io ed Harry ci stavamo divertendo in modo assurdo. A dire il vero, più io che Harry, ma questo lui non lo sapeva.
Per l’appunto, come predetto da Harry, un’innumerevole folla di ragazze, come avvoltoi, gli ronzava attorno, scaturendo dei sorrisi compiaciuti in lui. Ma io, in un suo momento di distrazione, puntualmente, pronunciavo le medesime due parole, che avevo proferito persino in sua presenza e con le quali avevo, senza destargli alcun sospetto, rivelato quelli che erano in realtà i miei piani per la serata: rendergli un inferno l’acchiappo.
Alla trentatreesima ragazza che si avvicinava con l’evidente intento di farlo sfuggire alle mie grinfie, non appena Harry voltò la testa, mimai con le labbra un «my boy.» che per grazia divina la riccia dal seno prorompente comprese, dileguandosi.
Ed ogni volta, ero assalita da attacchi di ridarella che Harry non si spiegava, ma ai quali partecipava, divertito.
Con “my boy” non intendevo dire che Harry fosse il mio fidanzato, eppure, proprio come calcolato, chiunque comprendeva il contrario. Avevo quindi l’espediente per poterne uscire sana e salva, nel caso in cui Harry mi sgamasse.
 
«Non capisco perché ieri nessuna ci abbia provato decentemente.» trattenni le risate, infilando ogni mio indumento nella valigia.
«Probabilmente non affascini le italiane.» mormorai.
«Impossibile. Qualche anno fa ho recuperato più numeri dalle italiane, di quanto sia riuscito a fare in tutta la vita dalle inglesi.» sospirai, mentre Harry dava inizio all’ennesimo monologo riguardo la bellezza dei suoi occhi, il fascino dei suoi riccioli, la dolcezza delle sue fossette. Delle doti a sua disposizione, insomma.
Stavamo preparando le valigie poiché Luca ci aveva invitati, nuovamente, a trascorrere gli ultimi due giorni in un piccolo hotel che costeggiava il mare. Ci saremmo spostati da Roma centro, per dirigerci verso una località marittima, non troppo distante dalla città.
Ed avevamo accettato senza alcun indugio, contenti di metter su un’abbronzatura da far invidia, poiché, si sa, noi inglesi non abbondiamo di melanina nel corpo. Magari, un’esposizione prolungata al sole mi avrebbe avvantaggiata in tal senso.
A questo proposito, mi osservai qualche istante allo specchio, meditando sulle tante giornate trascorse sotto il sole cocente di Roma. E notai, con mio grande stupore, di aver guance arrossate, proprio come le restanti parti del corpo non riparate da vestiti e che, sulle spalle, era visibile il contrasto tra l’originaria pelle chiara, coperta dalle bretelle delle canottiere indossate, e quella scuritasi causa sole.
Sorrisi.
 
Prestavo attenzione al rumore delle onde che s’infrangevano sulla sabbia mentre, distesa sul mio telo da spiaggia, prendevo il sole.
Era facile sentir schiamazzi e vociare provenienti dalla miriade di gente che ci circondava, ma riuscivo comunque a trovare quella tranquillità di cui necessitavo.
Di tanto in tanto ridacchiavo, compiaciuta. Oltre ad aver allontanato ogni ragazza da Harry, la sera del party, ero riuscita persino a rovinare ogni sua chance con una bella moretta che lo aveva adocchiato, appena giunti in spiaggia.
Erano bastate le parole «my boy» ed un’occhiata sprezzante, seguita da un sorrisino convincente per scoraggiarla all’idea di poggiare anche un solo dito, completo di unghia smaltata, sul riccio che, pur avvertendo le avance, restava sorpreso dal non ricevere qualche offerta sconcia.
Con la bionda che, a seguire, lo aveva puntato, era stato decisamente più complesso: l’avevo dovuta letteralmente trucidare con lo sguardo, per poi ricorrere ad attacchi improvvisi di “tenerezza” e di “coccole” dedicate ad Harry che, stupito, ma decisamente propenso a quei momenti di normale intimità tra amici, accarezzava con estrema delicatezza ogni mio boccolo, poi le guance.
Interruppi le mie riflessioni, quando un’ombra oscurò il sole che mi colpiva in pieno viso. Sbuffai, tentando di far percepire quanto l’ostilità, che si ripercuoteva su di me, a breve avrebbe fatto lo stesso con l’individuo.
«Mi oscuri il sole.» borbottai, invano. «Mi oscuri il sole, idiot..» un cumulo d’acqua sul mio corpo. I miei occhi che si spalancarono Un secchiello per bambini che cadde a terra. Un’idiota riccio che prese a correre in mare. Infine io che lo inseguì. Harry e quelle sue folli idee me l’avrebbero pagata.. cara.
 
Harry’s point of view:
Due intere giornate al mare ed eravamo stravolti.
La comitiva di amici di Luca ed il ragazzo stesso non sembravano aver subito i nostri stessi effetti, sebbene fossero appena storditi dall’acqua di mare.
Amavamo quel posto. Colazione veloce, mattinata al mare. Poi gelati a volontà, accompagnati da fresche granite. Verso le due pranzavamo e, al termine del pasto, ci congedavamo nelle camere per riposare. Alle quattro la spiaggia era nuovamente invasa da turisti come noi che trascorrevano l’intero pomeriggio in acqua tra partite di palla a volo o nuotate pazze. La sera, dopo una lunga doccia rigenerante, cenavamo con portate fresche, assistendo a spettacoli nelle piazze o passeggiando lungo la costa sempre affollata.
Era legge ritirarsi per il sonno sempre in tarda nottata, non prima di essersi abbuffati di cornetti ripieni di creme e il mattino successivo la sveglia avveniva non prima delle dieci.
Io e Sam adoravamo la vita di mare e ci spiaceva che il soggiorno stesse per scadere, ma contavamo di tornare il prima possibile. Magari con tutta la ciurma.
 
«Mi stai dicendo che ha vomitato sulle scarpe di una bionda?» proruppe Louis.
«Oh, sì. E poi si è scusato dicendole che grazie ai suoiairbag era riuscito a non colpirla in pieno viso.» sia Sam che Louis scoppiarono nuovamente in risate, mentre chiacchieravano allegramente tramite Skype. L’una sul letto, l’altro nella cucina della sua casa al mare.
Canaglie. Quei due erano delle canaglie. Provavano immenso piacere, sfottendo per aver commesso qualche erroraccio qua e là, durante la vacanza a Roma. Ma non era affatto una mia colpa.
«A momenti sveniva quando siamo entrati nelle catacombe.» mi rinfacciò la mora, mentre Louis ci tormentava con le sue risate.
Seduto al fianco della ragazza, sbuffavo. Avevo degli amici idioti.
«Chi sveniva quando?» il mio sguardo si ravvivò all’udire della voce di Niall, così pacata e spensierata, così.. irlandese.
«Har..» eccolo, il mio momento. La mia vendetta. Per mezzo di una spinta, feci letteralmente balzare a terra Sam che, dolorante, non poté terminare quanto aveva da dire e che prese a frignare, mentre io afferrai sicuro il computer e me lo posizionai davanti per chiacchierare con i ragazzi.
«Stronzate.» bofonchiai quando, sia Niall che Louis, incominciarono a ridere per il volo di Sam.
«Se l’hai uccisa ti decapito, Styles.» mi avvertii Louis.
«Ci conto, allora.» mormorò Sam, tornando tra noi. Inutile dire che mi ridusse uno straccio tra pugni e colpi di guanciale e che, nel frattempo, imprecava contro Louis, chiacchierava con Niall e faceva considerazioni personali.
Geniale.
«La settimana più strana della mia vita.» mi pronunciai.
«Non deve essere stata così bigotta.» mi riprese Niall.
«E tra quattro ore partirete e ci raggiungerete nella mia favolosa casa al mare.» considerò, invece, Louis.
«Chi parte quando?» fu in quel preciso istante, accostando quella voce mai intervenuta prima nella conversazione, che Sam smise di picchiarmi e tutti sbarrarono gli occhi, comprendendo il perché della reazione avuta dalla ragazza.
«Z-Zayn.» sussurrò lei, intimidita.
Zayn fece capolino nell’inquadratura, scostando brutalmente gli altri. Mise a fuoco l’immagine davanti a sé, poi, con un mini sorriso tra le labbra, proferì il nome della ragazza.
«Sam.»
Ma riflettendoci.. quattro ore? Louis aveva detto quattro ore?
«Minchia, Sam.» borbottai.
«Cazzo vuoi?» finezza, portami via.
« Ciao Zayn è stato un piacere.» salutai. «Biondo, Louis idiota. Arrivederci.» chiusi di getto il portatile che fiondai nella custodia.
«Mi dici che succede?» gridò, esterrefatta.
«Quattro ore. Noi. L’aereo.» spalancò le palpebre.
Avevamo dimenticato l’aereo.. di nuovo.
 

my spaaaaace.
Mi scuso subito perché so che è una one-shot
piuttosto ridicola, ma l’ho scritta semplicemente
per divertire voi e me stessa.
Spero vi piaccia.. tornerò tra non molto con il sequel di
‘Scommettiamo. Ti piace giocare?’.
Stay tuned.
Desi. xx

  
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