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Autore: Rowina    29/12/2007    5 recensioni
È un uomo, alto e scuro.
Porta un ampio mantello che lo copre completamente dalle spalle in giù.
Ha capelli neri, che gli incorniciano i lati del viso spigoloso.

One-shot vincitrice del secondo girone del Torneo indetto da Free sul forum a Tema "Rancore".
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Shottina che ha partecipato al secondo girone del Torneo per Drabbles
e One-shot originali indetto da Free sul forum di EFP.
Il claim era il Rancore, e la sottoscritta ha tentato di realizzarlo
come meglio poteva e nel miglior modo che conosceva: personificando.

Vi auguro una buona lettura.

******


Fotogrammi e un bagliore viola.



I suoi passi echeggiano per la stanza, mentre con movimenti concitati tenta di mettere insieme gli ingredienti necessari per preparare la cena -consapevole tuttavia di mancare, al momento, di quello fondamentale: la pazienza.
Sa anche che, ancora una volta, non sarà ringraziata per i suoi sforzi. Ma tenta di scacciare quel pensiero, che pare conficcato da qualche parte in profondità nella sua corteccia cerebrale, e che ogni tanto si diverte a mandare piccoli suoni infantili come prese in giro, come se il suo risentimento non fosse che un gioco.
I suoi movimenti sono irrequieti, nervosi; il tentativo di far tacere i pensieri strenuo -vano.
Il neon illumina a giorno la cucina. Nel retro della sua mente lei ne percepisce il rumore persistente, quello stridio quasi metallico. Sa che rischia di mettersi ad urlare in preda alla follia da un momento all’altro, se non riesce a scacciarlo dalla testa.
Apre il frigorifero, senza sapere più neppure di cosa sia alla ricerca. Sbatte la porta per chiuderla, producendo un tonfo sordo ed uno sbuffo d’aria fresca.
Ma è il brivido gelido che sente improvvisamente -inaspettatamente- salirle lungo la schiena a metterla in allarme.
Non ha avvertito il minimo rumore, ma è inequivocabilmente certa che ci sia qualcuno lì con lei.
Lentamente si volta. E lo vede.
È un uomo, alto e scuro.
Porta un ampio mantello che lo copre completamente dalle spalle in giù. Il cappuccio è abbassato, perciò lei può vederlo in volto.
Ha capelli neri, che gli incorniciano i lati del viso spigoloso. Gocciolano acqua, come se fosse rimasto per lunghi minuti sotto la pioggia scrosciante. Per riflesso lei getta un rapido sguardo alla finestra, ma appura che non sta piovendo.
Ha labbra sottili e il naso appuntito. I suoi occhi sono piccoli e allungati, come quelli di un felino. Le pupille sono cerchiate di un nero intenso, penetrante, e il cristallino è di colore quasi inumano.
Un viola così profondo e fluttuante da sconfinare nel cremisi.
Lo sguardo di lei corre al centro del suo petto, sul quale campeggia un massivo medaglione d’ottone dalla forma di un pendolo. È opaco, laccato in oro. È ben intagliato sulla superficie, e non particolarmente spesso. Ma lei sa che grava su di Lui, appeso al suo collo e appoggiato ai drappeggi del suo mantello nero.
Un peso sul cuore.
Si permette di osservarlo silenziosa per lunghi istanti, meno spaventata di quanto fosse lecito.
Finché non accade.
Dura la frazione di un istante: il tempo di un battito di ciglia, ma lei lo vede.
L’immagine dell’uomo cambia: come un fotogramma che scatta al successivo le sue fattezze mutano, per tornare immediatamente quelle di prima.
In quel rapidissimo frangente le mostra un volto che lei conosce forse persino più dettagliatamente del proprio.
Cosciente e più certa di non aver avuto un’allucinazione, lei soffoca un gemito portandosi una mano davanti alla bocca.
L’uomo tace, ma lei sa che ha appena voluto mostrarle il volto più vero del suo Rancore.
La voce le trema quando gli parla per la prima volta da quando si è materializzato.
- Chi sei? - gli chiede, malgrado lo sappia già.
- Se puoi vedermi, significa che conosci già la risposta alla tua domanda.
La voce dell’uomo è fredda. Assomiglia allo stridio di quel maledetto neon.
Per un istante lei rabbrividisce.
- Cosa ci fai qui? - la sua voce esce ancora vacillante, ma è una stretta sicura quella in cui si chiude la sua mandibola dopo aver parlato.
- Mi hai convocato tu, Signora.
- Non è vero! - strilla lei, oltraggiata dall’evidenza di quell’ovvia verità.
Lui tace, ma un angolo della sua bocca si solleva in un sorriso cinico che non arriva a contagiare gli occhi.
- Io… regno, in questo luogo. - sibila poi a mezza voce, gettando un ampio sguardo all’ambiente circostante. Poi torna a guardare lei in viso.
Sta soffocando a fatica le lacrime di dolore che le salgono agli occhi. Ma può leggere rabbia, nella piega delle labbra e della mascella strettamente serrata.
- Io sono anche lì. - dice allora Lui laconicamente.
Muove due passi nella direzione di lei -che sussulta ma non si ritrae- e accosta una mano guantata al suo occhio destro, raccogliendo sull’indice una scia bagnata.
- Nelle tue lacrime. - aggiunge in un sibilo.
- Perché non vai via di qui? - è la domanda di lei, pronunciata con tono implorante, la voce tremula in fondo alla gola mentre si sforza di frenare quel pianto umiliante.
Lui pare esitare qualche istante, come se fosse indeciso.
- È… difficile. - dice poi, come se questa sentenza spiegasse ogni cosa.
Lei dilata gli occhi, ma non dice nulla.
- Ogni angolo e anfratto di questa casa puzza di rancore represso. Al punto che io stesso, che ne sono l’Essenza, mi sono materializzato qui. - le spiega, cadenzando le parole.
Lei scuote la testa, come per impedire alla sua frase di penetrarle il cervello e divenire idea acquisita, accettazione.
- Guardati, mia Signora. - le dice ancora Lui, il tono deferente.
Lei abbassa lo sguardo su di sé, e le vede.
Sottili catene che si intrecciano attorno ai suoi arti e al suo corpo. Può sentirle premere contro la sua pelle, lasciare segni sottili e rosei, imprimere con forza dentro di lei il dolore di cui sono veicoli.
Dopo un istante di immobile stupore, inizia a cercare con occhiate spasmodiche un lucchetto o un anello di apertura, ma non lo trova, e allora sente montare il panico dentro di sé e di scatto rialza la testa verso di Lui.
Mentre lo fa, in un angolo della sua visuale può vedere le catene che indossa rilucere di un sinistro bagliore violaceo -e questo le gela in sangue nelle vene all’istante.
- Dimmi che si tratta di un’allucinazione. - gli intima, la voce secca dal freddo terrore che sente impossessarsi di lei.
- Non più di quanto lo sia io. - ribatte Lui, e le sue parole incredibilmente non le procurano il minimo conforto.
Un profondo sospiro colmo di stanchezza la scuote, per poi uscirle dal petto.
- Va bene. - esala, e uno spasmo le scuote il respiro. - Come mi sbarazzo di te?
Per lunghi istanti è silenzio.
Lui tace, la sua espressione seria, i suoi occhi immoti nel loro viola cremisi.
Dovrai operare una scelta.
Il sibilo tagliente arriva direttamente alla testa di lei, doloroso come se avesse reciso un fascio di nervi. Per un attimo lei sussulta.
Ma riconosce la sua voce, e per quanto ferisca torna in ascolto.
Dovrai scegliere colui che mi rimpiazzerà.
Di rimando lei lo guarda, confusa, senza tuttavia trovare risposta sul suo volto, che ora appare congelato nella sua espressione.
È ancora più stupita, però, quando dopo qualche momento vede tornare un sorriso appena accennato sul suo viso -nulla più che un guizzo ad un angolo delle labbra sottilissime e chiare.
- Sono certo che a mia sorella gemella farebbe piacere fare la tua conoscenza, Signora.
A quelle parole, lei solleva le sopracciglia in un moto di sorpresa; poi ammutolisce di nuovo.
Come prima, la figura di Rancore è cambiata per un brevissimo momento, mostrandole un’altra figura per immediatamente tornare uguale a se stesso, veloce e mutevole come l’immagine disturbata di un canale televisivo.
Poi lo vede voltarsi senza una parola di più, e allora lo chiama.
- Aspetta! - gli grida dietro.
Ma Lui non si ferma, e mentre si allontana il suo mantello fluttua, avvolgendolo in un fumo scuro.
- Chi è tua sorella? - chiede allora lei a bassa voce, più a se stessa che non a Lui, ormai scomparso eppure così presente tra quelle mura.
Rassegnata, abbassa la testa, sospirando.

Collera.


***

Apre gli occhi nel buio.
È stesa nel suo letto; è notte fonda.
Fuori è l’oscurità. Il neon è spento e non ronza più nel suo cervello, simile al trapano di un chirurgo. Mette a fuoco la vista, e come ogni notte la vede.
La schiena di suo marito, voltata verso di lei -bugiarda, ingrata, traditrice.
Si costringe all’autocontrollo, e inspira profondamente l’aria notturna e vagamente stantia.
Lui ha ragione, pensa.
La stanza è impregnata dell’odore umido e appiccicoso del Rancore più sordo e imperituro, il cuscino emana quel lezzo direttamente alle sue narici.
Le sue stesse lacrime hanno sapore di amaro risentimento.
Gli occhi le cadono sulla sua mano destra, appoggiata sopra il guanciale a pochi centimetri dal suo volto.
Le catene sottili e indistruttibili sono lì, che la salutano con il loro dispettoso lucore viola.
Stanno già irritando la sua pelle, divorando tutta lei stessa da un tempo tristemente immemore, che lei non ama quantificare.
Deve scegliere, adesso. Sa che è necessario.
Se le catene corrosive del Rancore, conosciute ma non pertanto meno scomode e pesanti.
Se la Collera, sua dirompente, distruttiva, curativa gemella.
Allora chiude gli occhi, pregando affinché la notte decida per lei, e si lascia andare al sonno.

Il sussurro tagliente è l’ultima cosa che la sua coscienza già parzialmente obliata riesce ad avvertire; ma non fa male, questa volta.

O se Perdono.


Fine.


******


Si ricorda ai lettori che qualunque delle tre famigerate "C" -commenti, critiche, complimenti- è più che ben accetta.

Rowina.

  
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