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Autore: Ron96    14/06/2013    3 recensioni
–Non renda tutto più difficile. Sa come finirà. La resistenza rende tutto più doloroso e vano. Sia calmo e non mi sporcherà le pareti.-
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi aggiro per le strade della città, in silenzio. Non penso, cammino.
Attorno a me ragazzi passeggiano, alcuni soli, altri in gruppo. Alcuni sorridono, altri ridono. Alcuni si baciano.
Altri semplicemente vanno, pensando a cose solo loro, imperscrutabili.
Io cammino. Le mie gambe mi portano verso un luogo che fatico a mettere a fuoco.
A un certo punto mi rendo conto di essermi fermato. Alzo gli occhi e vengo accecato dalla luminosa insegna di un pub irlandese. All’interno musica a tutto volume e voci confuse.
Entro e mi rendo conto di avere sete. Mi siedo al bancone e ordino una classica birra.
Accanto a me si siede un uomo. Indossa un appariscente maglione giallo.
Mi guarda preoccupato.
-Si sente bene?-
Alzo lentamente i miei occhi e lo guardo in faccia, tentando di metterlo a fuoco. Cazzo, quel giallo è a dir poco accecante.
Rispondo, tentando di far risultare la mia voce meno incerta possibile.
-Certo, non si preoccupi.-
Il barista finalmente arriva con la mia birra.
Prima di berla la annuso. Mi piace, mi rassicura, mi calma.
L’uomo non è del tutto convinto della mia lucidità.
-Ne è sicuro?-
Afferro la birra e tento di portarla alla bocca, ma vengo fermato dall’ennesima domanda.
-Si è fatto qualcosa alla mano?-
La guardo. E’ incrostata di sangue.
-Devo essermi ferito mangiandomi le unghie. Sa, un vizio…-
Scruta attentamente le mie dita.
-Non mi pare un onicofago.-
Scatto.
Sbatto il bicchiere sul bancone, rovesciandone una parte del contenuto, innescando la più classica a prevedibile reazione.
Nel pub scende il silenzio. Gli occhi di tutti si piantano su di me. Qualcuno applaude.
Non mi importa.
Pianto i miei occhi in quelli dell’uomo.
-Come si chiama, signore?-
-Jack.-
-Ha famiglia?-
-Ho una moglie e tre figli.-
Mi guarda attentamente. Nei suo occhi leggo una certa inquietudine.
Nel frattempo il pub è tornato al suo consueto aspetto. Un lurido, chiassoso, buco in cui la gente va per affogare i propri problemi nell’alcol, perché è troppo fottutamente vigliacca per affrontarli senza qualche sostanza stupefacente in circolo.
Tento di rallentare il mio battito cardiaco. Ci riesco.
Per ora.
-Le va di aiutarmi ad andare a casa?-
L’uomo non si lascia sfuggire l’occasione di fare una buona azione. Pur di darsi un minimo di coerenza, pur di fare ciò che si aspetta da se stesso per poter andare a letto sereno e tronfio, è disposto a vendersi l’anima.
Usciamo dal pub. E’ dietro di me. Sento il suo sguardo perforarmi la nuca e la schiena.
Torno sulla strada. Non mi dirigo verso la mia casa. Ma questo non lo sa.
Inizio a parlare.
-Ha studiato?-
-Certo! Biotecnologie.-
-Interessante…-
Mi guarda incuriosito. Sta iniziando a stufarmi. Ma devo resistere. Ancora per poco.
-E lei?- Mi chiede.
-Io… beh, 5 anni di liceo classico e poi basta. Utile, vero?-
-In un certo senso sì!Ha studiato cose di una bellezza miracolosa.-
-Per quello che vale…-
Ci stiamo allontanando dal pub. Iniziamo ad aggirarci per i vicoli del centro. Non c’è nessuno.
L’uomo (come si chiamava?) inizia a dare segni di turbamento.
-Abita da queste parti?-
Cazzo, tra poco lo perderò.
-Ha mai sento parlare di Jack lo Squartatore?-
Silenzio.
-Certo. E’ agghiacciante. Faceva a pezzi le vittime e asportava…-
-Esatto. Dopotutto… quelle puttane se la cercavano. Andare in giro di notte… le scollature… le promesse…-
L’uomo ha perso l’orientamento, si guarda attorno tentando di capire dove si trovi.
-Cosa sta cercando di dirmi?-
-Si calmi. E’ solo una simpatica conversazione. Un tranquillo scambio di idee.-
Eccoci arrivati.
Una porta di legno, malandata. La spingo e si apre.
Avverto un ormai familiare odore dolciastro.
Mi volto e guardo l’uomo.
-E’ questo che non sarò un tranquillo scambio di idee. Prenderò tutto.-
Le sue pupille si dilatano, ma respinge il pensiero. Il corpo ha capito, ma la mente si ostina, condannandosi da se stessa.
Classico.
-Cosa?- Nella sua voce, una punta di panico mal celata.
-Ha capito. Suvvia, entri e non faccia storie.- Getto il mio cappotto a terra, incurante dell’aria fredda.
Mostro le mie vesti macchiate di sangue.
L’effetto è immediato.
L’uomo inizia a indietreggiare. La sua bocca è spalancata in una smorfia di orrore.
Mi avvicino. –Non renda tutto più difficile. Sa come finirà. La resistenza rende tutto più doloroso e vano. Sia calmo e non mi sporcherà le pareti.-
Dalla tasca dei pantaloni estraggo un coltello e glielo conficco nel ventre.
Lui tenta di urlare, ma gli metto una mano sulla bocca, e ne esce solo un buffo mugugno. Sui suoi pantaloni si allarga una macchia scura.
-Sempre così. Sempre il solito schifo.-
Il sangue inizia a colare.
Lo trascino in casa e chiudo la porta.
Lo lego ad un lettino di metallo. Ha perso troppo sangue e ormai è debole. Mi faccio un appunto: NON ASPETTARE TROPPO.
Lo torturo fino a quando è possibile. Quando sviene ha numerosi tagli.
Appena chiude gli occhi, con un movimento secco gli taglio la gola. Il sangue esce con violenza e imbratta le pareti. Sbuffo. Devo trovare un modo per evitare questi inconvenienti.
Prendo il corpo e lo conduco nella stanza accanto.
Al centro c’è un lungo tavolo in noce, apparecchiato con una tavola candida. Attorno, tutte le sedie sono occupate, tranne due. Lo posiziono lì, e gli metto in mano una forchetta.
Io occupo l’altra sedia libera a capotavola.
Mi sento felice… a casa.
Tra i cadaveri.
  
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