E
pensare che è da un anno e mezzo che siamo qui. Come dire da
sempre. Nei rari momenti di tranquillità parliamo
spesso tra di noi delle nostre vite precedenti. Vite precedenti, come
se ci
fossimo reincarnati. Perché questi non siamo noi. No, non
è possibile. Ci
raccontiamo delle nostre famiglie. Alcuni parlano e parlano, poi tirano
fuori
dal portafogli delle foto sgualcite dal tempo e dal dolore.
–Ecco, questa è mia
moglie Domenica, è lei che ora manda avanti la fattoria. E
questi sono i
bambini, crescono all’aria pura di campagna, e si fanno
forti- li senti dire, e
ti viene da piangere, da urlare, mentre nel tuo cervello si affollano
tanti
“perché?”: Perché sono qui?
Perché io?
Le nostre condizioni sono disastrose. I rifornimenti arrivano
irregolari e quasi mai sufficienti per così tanti soldati.
Tanti? Veramente non
lo so. Ricordo che quando siamo arrivati eravamo veramente tanti, ma
ormai vedo
solo più il mio battaglione, ed il nostro numero a volte
aumenta, ma più spesso cala. E così siamo qui,
sepolti
dagli errori di calcolo dei generali. Ma, d'altra parte, chi
aveva la sfera di cristallo? Sembra che ci sia un tacito accordo con i
nemici: oggi avanziamo un po' noi, domani avanzate un po' voi.
La nostra indifferenza verso i corpi dei soldati morti che rimangono
insepoli per giorni ha una stranezza inquietante. Ma se anche ci
soffermiamo a guardarli, passiamo oltre, non è compito
nostro
dare loro cristiana sepoltura, dobbiamo stare attenti se non vogliamo
fare la loro fine.
Ci avevano detto che
sarebbe stata breve, poche settimane per una nobile causa,
invece siamo ancora bloccati qui, e la guerra non
dà segno
di finire. Dalle linee nemiche ci sparano addosso giorno e
notte,
ci
mutilano con le loro bombe e ci asfissiano con i loro gas. E noi
facciamo lo stesso. Paolo, il mio migliore amico, è morto
così, colpito da una bomba durante un ennesimo attacco
andato a
vuoto. Eravamo due interventisti diciottenni, volevano combattere per
Trento e Trieste senza sapere neanche che posti fossero. Ci eravamo
arruolati, eravamo andati con entusiasmo all'addestramento e ancora di
più al fronte. Ma cosa volete che ne sappiano di guerra due
ragazzi della campagna piemontese? Prima di arrivare qui, avremo
sparato in tutto cinque volte. Quel giorno i nemici avevano lanciato un
attacco che era durato tutto il giorno. Paolo era alla mitraglia, come
tutti el tentativo di fermare la fanteria; un po' isolato dal resto del
battaglione. Ho visto la bomba volare in aria con una parvenza di
libertà, cadere in trincea, colpire Paolo, esplodere. Non
era
chissà quale ordigno e la trincea non si è
danneggiata
più di tanto. Ma Paolo... ah, gli uomini fossero come le
trincee, che si possono ricostruire! La mano sinistra non c'era
più, sostituita da un'orrenda poltiglia rossa. L'altra era
messa
un po' meglio, se esiste il meglio o il peggio in questi casi. Ma la
cosa terribile era che Paolo era ancora vivo. Quando mi ha visto ha
detto solo -Ehi...-. Io non gli ho risposto, lo sguardo fisso sul suo
corpo mutilato. Così ha continuato lui: -Sto bene, neh! Tra
un
po' torniamo a casa. Ci compreremo una macchina nuova. Aiutami ad
alzarmi ora-. Ma io non mi muovevo, la mia mente era spenta, non potevo
pensare. Paolo ha rivolto lo sguardo al cielo grigio, ha fatto un
grande respiro come a liberarsi di tutto il dolore ed è
morto.
Non dovevo essere così fuori dal mondo, perché
gli ho
chiuso gli occhi ormai vitrei. Il nostro generale si è
avvicinato, ormai gli altri erano in ritirata. Ha tirato fuori una
fiaschetta di liquore, l'ha aperta e ha detto: -è morto per
una
buona causa. Alla sua anima-. Mi è venuta voglia di piangere.
Il suo corpo è rimasto lì per
tre, quattro giorni,
non lo so, mi è sembrato di vivere in un sogno onirico. Poi
lo
hanno portato via. Una volta credevo impossibile vivere senza gli
amici, ma ora mi trovo a dovermi ricredere. Pensare a lui non mi desta
alcuna emozione precisa.
Spero che questa guerra finisca. Spero che torneremo ad essere tutti
fratelli, i francesi con i tedeschi, gli italiani con gli austriaci.
Perché i fratelli non si fanno la guerra. O almeno penso...